Alessano
Convento dei Cappuccini di Alessano, una storia d’amore salentina
Luoghi del Cuore, il Convento e la Chiesa dei Cappuccini di Alessano, tra storia e leggende
di fra Francesco Monticchio
“Premessa”
Conoscere per amare, la storia e la bellezza del Salento passano anche, e sopratutto, attraverso la riscoperta di piccoli scrigni custoditi nella memoria del tempo, nella dedizione riposta nel realizzarli e nella pervicacia di alcuni uomini che, più di altri, hanno segnato un tempo, un luogo, e impresso una traccia indelebile a futura memoria.
Quello del Convento dei Cappuccini di Alessano è l’esempio perfetto per descrivere i tanti lavori-tesori che il Salento custodisce e che, per nostra fortuna, per grazia divina o ostinazione umana, sono giunti quasi integri ai nostri giorni.
“Un uomo senza memoria è un uomo senza futuro”, recita una famosa massima, e forse questa è la leva che ha spinto fra Francesco Monticchio, del Convento dei Cappuccini di Alessano, ad inviarci questo breve cenno, relativo al Convento, che narra della fondazione di 4 secoli orsono, della interessante e travagliata storia che hanno accompagnato i fedeli e quanti hanno voluto che quel luogo venisse eretto: a cominciare dalla Grazia e dalla guarigione occorsa al Vescovo Nicolò Antonio Spinelli, era il 1624, anno della calata dei Turchi nel Salento, il prelato che ‘non resistette al saccheggio e agli incendi del santuario di S. Maria di Leuca, s’ammalo e s’aggravò in modo che lo tenne a letto tre anni, e lì ebbe in sogno una visione, apparendogli la Vergine con S. Francesco d’Assisi, che gli ordinarono di costruire un convento ai Cappuccini…’
Luigi Zito
Il primo novembre 2019 è stata riaperta al culto la chiesa del convento dei cappuccini di Alessano dopo i lunghi venti mesi di chiusura per realizzare il restauro della macchina d’altare e altri interventi di ricupero di tutte le tele e dello stesso immobile.
È stata una serata memorabile. La chiesa era davvero piccola per contenere la grande folla convenuta per la celebrazione. Quasi in coro tutti gli alessanesi esclamavano: «Siamo tornati a casa!».
Il vescovo monsignor Vito Angiuli, accompagnato dal vicario generale, don Beniamino Nuzzo, dal provinciale cappuccino fra Alfredo Marchello e da molti confratelli e sacerdoti diocesani, ha presieduto la solenne celebrazione benedicendo la chiesa e celebrando l’Eucaristia. Il coro di Alessano ha sottolineato col canto i momenti più sentiti della celebrazione. Tutti abbiamo ringraziato il Signore perché ci ha sostenuto durante il complesso processo del restauro.
«Siamo tornati a casa!» … proprio così! Gli alessanesi sono molto affezionati al convento, alla chiesa e ai frati cappuccini. Gli alessanesi… ma anche gli abitanti dei paesi vicini; tutti sentono questa presenza con affetto. Per tutti, laici e sacerdoti, vale citare la testimonianza di affetto e di spiritualità di don Tonino Bello. Egli scrive: «Il cielo in una stanza è il titolo di una celebre canzone… Ma in fondo non è altro che la trascrizione musicale di una frase latina… che i monaci del convento del mio paese avevano scolpito sullo stipite delle loro celle: Cella sit tibi coelum che vuol dire: la cella sia per te come il cielo. Ricordo ancora oggi la stanzetta del frate, un vecchio missionario, dal quale andavo spesso a confessarmi, col batticuore, quando ero ragazzo, lì nel convento dei cappuccini del mio paese!». Inoltre con tutta spontaneità egli, terziario francescano, affermava che quel convento dei cappuccini del suo paese, frequentato e vissuto da lui ancora bambino quando partecipava alla messa e poi anche da sacerdote quando vi trascorreva il suo ritiro mensile, era il suo convento!
Fondazione del convento di Alessano
Così, si può affermare, molte generazioni di alessanesi hanno sentito il convento dei cappuccini!
Un convento antico di quasi 400 anni. Ma la presenza di frati cappuccini ad Alessano è ancora più remota. Alcuni documenti la fanno risalire al 1624, quando esisteva presumibilmente un ospizio o un primo insediamento. (V. Criscuolo, I Cappuccini e la Congregazione Romana dei Vescovi e Regolari, 1989-2004, vol. VIII, pagg. 39, 99.)
Ma la prima pietra del convento fu posta dalle mani del vescovo di Alessano, Nicolò Antonio Spinelli, che ne volle la costruzione, il 29 agosto del 1628, secondo una testimonianza conservata nell’archivio parrocchiale di Alessano, che qui viene trascritta:
«Sia il nome del Signore benedetto nei secoli. Amen. Oggi 29 del mese di agosto dell’anno 1628 in questa città di Alessano è stata messa la prima pietra del Monastero dei Frati Minori di San Francesco, chiamati Cappuccini, intitolato a S. Giuseppe, Sposo di Maria Madre di Dio, per mano dell’Ill.mo e Rev.mo Monsignor Nicol’Antonio Spinelli, per grazia di Dio vescovo di detta città alla presenza di numerosissima gente, sia uomini che donne. Sotto il pontificato del Sommo Pontefice il papa Urbano VIII, essendo Imperatore dei Romani Fernando e Re delle Spagne Filippo IV, Signore di questa città don Fabrizio Guarini, Generale dei Cappuccini il molto Rev.do Padre Giovanni Maria da Noto e Provinciale di questa Provincia d’Otranto il Rev.do Padre fra Giacomo da Castellaneta.
Quanto sopra sebbene scritto da altra mano, come è stato affermato si è svolto con una processione cui ha partecipato moltissima gente, sia cittadini che forestieri.
Per cui, in fede, io Massenzio Gallo, Canonico di Alessano e Notaio Apostolico che vi sono stato presente, ho partecipato e ho visto, essendone stato richiesto, ho sottoscritto il presente atto e vi ho apposto il mio solito sigillo. Lode a Dio e alla Vergine. Così è. Io Massenzio Gallo, Canonico di Alessano e Notaio Apostolico».
Con questa testimonianza concorda Filippo Bernardi (per quanto riguarda la data di fondazione ma non per quanto riguarda il titolare della chiesa) che, trascrivendo “le memorie manuscritte della Provincia d’Otranto” dice che il vescovo di Alessano Nicolò Antonio Spinelli: «… in esecuzione della promessa (alla Madonna e a S. Francesco) scrisse al padre Giovanni Maria da Noto generale dei cappuccini ed al padre Giacomo da Castellaneta Provinciale d’Otranto per il consenso, quale ottenuto e, stabilito il fondo, il medesimo vescovo vi si portò processionalmente a’ 29 d’agosto 1628 e con le proprie mani vi collocò la prima pietra presente un’infinità di popolo. La sua situazione è un quarto di miglio fuori della città e porta il titolo di Santa Maria de gli Angeli». (F. Bernardi, I frati minori cappuccini di Puglia e Basilicata (1530-1776), a cura di T. Pedio, Bari 1985, pagg. 232-233)
Un’altra testimonianza tardiva, del 1650, firmata dal frate guardiano del convento, riportata da Mariano D’Alatri (I conventi Cappuccini nell’inchiesta del 1650, III, L’Italia meridionale e insulare, pagg. 108-109), registra una variante sulla data di fondazione del convento di Alessano, sul titolare della chiesa e introduce una novità circa il terreno su cui fu costruito il convento. Ecco il testo:
«Il convento dei frati minori cappuccini della città di Alessano, della provincia di Otranto, situato fuora della città un quarto di miglio circa, in una strada pubblica, fu fondato col consenso e la richiesta dell’ill.mo e rev.mo Nicolò Antonio Spinelli, quale vi piantò la prima pietra a’ 19 d’agosto 1629 (si noti la differenza tra 19 e 29 di agosto dello stesso anno) col titolo di S. Maria degli Angioli (e non a S. Giuseppe) col concorso di tutto il popolo della città e castella circonvicine. La chiesa e parte delli horto et officine stan fondate in un terreno che era de’ frati minori conventuali con licenza e dispensa della Santa Sede Apostolica. Un’altra parte dell’horto fu e era della mensa vescovale di questa città (…). Noi infrascritti, col mezzo del nostro giuramento, attestiamo haver fatta diligente inquisizione e ricognizione dello stato del sudetto luogo (…). In fede abbiamo sottoscritta la presente (…). Data in Alessano, le 17 di febraro 1650».
Anche il Bernardi testimonia che «la Chiesa e parte dell’orto sono fondati in certo terreno che era de’ Padri Conventuali con licenza della Santa Sede. Un’altra parte dell’orto, che era della mensa Vescovale d’Alessano, ci fu dato pure con facoltà pontificia».
Per quanto riguarda il terreno su cui fu costruito il convento di Alessano più autorevoli sono i Brevi apostolici conservati nell’Archivio Vaticano (Archivio Vaticano, Brevi apostolici anno 1628, fol. 106; anno 1620 fol. 74) in cui si dice che il primo lotto, di proprietà della mensa vescovile, fu comprato dai frati per 25 scudi (viene esclusa la donazione da parte dei frati conventuali) e il secondo fu realizzato con permuta di terreni tra i frati e la mensa vescovile, nella contrada “le palombare”, sempre previa autorizzazione del papa Urbano VIII, del 24 marzo 1629.
Per quanto riguarda infine la data di fondazione del convento di Alessano, padre Salvatore da Valenzano nella sua opera I Cappuccini nelle Puglie. Memorie storiche (1530-1926) (pagg. 148-149), scrive che l’abbate Andrea Meli, incaricato del vescovo, di concerto col provinciale cappuccino P. Giacomo da Castellaneta e col conte Fabrizio Guarini, decise che la prima pietra doveva essere posta il 29 agosto 1627 (anziché il 1628).
In conclusione tra tutte le fonti citate si può ritenere che la data storicamente più esatta sia quella del 29 agosto 1628 indicata dal canonico Massenzio Gallo, che nello stesso giorno in cui veniva posta la prima pietra scriveva la sua testimonianza, e dal Bernardi che si richiama alle “memorie manuscritte della Provincia d’Otranto”.
La Grazia e la guarigione
Più intrigante, più cara alla pietà cristiana e più affettivamente interessante per l’Ordine dei Cappuccini è quanto la tradizione ci tramanda circa l’origine della venuta dei frati cappuccini ad Alessano voluta dal vescovo della città e dalla duchessa donna Laura D’Aiello, moglie di don Fabrizio Guarini.
- Salvatore da Valenzano (Op. Cit. pagg. 148-149) scrive: «Era vescovo della cittadina di Alessano, sede della diocesi, che si estendeva per tutto il capo di S. Maria di Leuca (…) Nicolò Antonio Spinelli dei duchi di Acquara, consacrato vescovo da Paolo V, il 16 luglio 1612 (…). Quando i turchi nel 1624 invasero la sua diocesi invitò i signori a resistere agli assalti del nemico. Non pochi furono gli atti di eroismo. Se tanta forza non gli venne meno in tanti pericoli, non poté poi resistere al saccheggio e agli incendi del santuario di S. Maria di Leuca. Ebbe un tal colpo, che una malattia, che soffriva s’aggravò in modo, che lo tenne a letto tre anni. Nel corso di questa malattia, quando pareva che volgesse in meglio, giacché s’era al terzo anno, come egli raccontò, ebbe in sogno una visione, apparendogli la Vergine con S. Francesco d’Assisi, che gli ordinarono di costruire un convento ai Cappuccini. L’ordine e l’esecuzione fu tutt’uno (…). Il vescovo (il giorno della posa della prima pietra) si sentì in grado di prendere parte alla funzione che fu compiuta con grande folla di popolo plaudente; e ritenne poi una grazia della Vergine e di S. Francesco la sua perfetta guarigione».
Scrive Bernardi (op.cit. pagg. 232-233): «È degna d’esser registrata la fondazione di questo nostro convento d’Alessano perché seguì con modo prodigioso e per impulso divino, come ci recano le memorie manuscritte della Provincia d’Otranto. Dicono dunque che l’anno 1627, essendo Monsignor Nicolò Antonio Spinelli vescovo d’Alessano travagliato da pericolosa infermità, non trovava altro rimedio tra l’arsura delle febbri che raccomandandosi alla Regina del cielo. E mentre giaceva così oppresso trangosciato d’affanni, prese un’aria di sonno e subito gli apparve in sogno la Madre di Dio col S. P. Francesco da’ quali venne accertato che guarirebbe se dava opera d’introdurre i cappuccini in Alessano con fabbricar loro un convento. Promise il buon vescovo a questi suoi protettori quanto gli comandavano ed eccolo libero da ogni malore».
Costruzione della chiesa annessa al convento
Scarseggiano del tutto notizie e documenti circa la costruzione della chiesa. Il primo documento è la richiesta del 1631 di donna Laura d’Aiello al papa (Bullarium Cappuccinorum pag. 127) per ottenere il permesso di completare e decorare “con ogni magnificenza” la cappella della chiesa dei cappuccini, che era in costruzione:
«Santo Padre, Donna Laura d’Aiello, moglie di don Fabrizio Guarini, signore e patrono della città di Alessano, avendo fatto voto di ampliare una cappella sita in un campo lontano dalla città un miglio circa, supplica umilissimamente che la Santità vostra si degni di commutare in altra opera di maggiore utilità, cioè di perfezionare la cappella nella chiesa dei Cappuccini, che di fatti è costruita e terminarla con ogni magnificenza, avendo bisogno grandemente detti padri di questo aiuto. Il giorno 23 dicembre 1631, il Santissimo domino nostro acconsente benignamente alla richiesta più sopra esposta. Reverendo cardinale Ubaldino
Franc. Paulut. Segret.».
La chiesa per qualche tempo fu dedicata a S. Giuseppe Patriarca, ne fa fede l’ovale raffigurante san Giuseppe e Gesù Bambino posto sulla sommità della pala, e poi, in data non documentata, fu dedicata a S. Maria degli Angeli, forse in concomitanza col dono, da parte della famiglia Guarino, della grande tela del Perdono d’Assisi o della Porziuncola o di S. Maria degli Angeli.
La chiesa fu consacrata nel 1656 dal vescovo di Alessano, Giovanni Granafei, come è attestato dalla lapide situata nella chiesa.
La chiesa e il convento furono chiusi con le leggi della soppressione degli ordini religiosi del 1809, ma dopo il concordato del 1818 la chiesa fu riaperta al culto e i frati potettero ritornare in convento fino all’incameramento dei beni ecclesiastici operato dal regno italico con la soppressione del 1861. Nel 1866 il convento fu adibito a svariati usi sociali: lo stabile divenne carcere e l’orto in parte fu adibito a cimitero fino agli anni ’70 del 1900.
Il ritorno dei cappuccini ad Alessano viene raccontato così dalla cronaca conventuale: «Nel 1928, venuto a predicare ad Alessano padre Giulio Gadaleta da Molfetta, resosi bene accetto dalla popolazione, lanciò subito l’idea del riacquisto del convento, accolta prontamente e con vivo entusiasmo dalla popolazione, rimasta col solo parroco. Ne parlò al padre provinciale M. Rev. Zaccaria da Triggiano, dal quale ebbe l’incarico di iniziare le trattative, le quali durarono quasi un anno e cioè fino al 5 settembre 1929, data in cui fu stipulato il contratto, dopo aver superato difficoltà di vario genere. Intanto i lavori, cominciati fin da gennaio, si avviarono al loro compimento con ritmo accelerato; così che, dopo pochi giorni della firma del contratto, e cioè il 4 ottobre 1929, solennità del Serafico Padre S. Francesco, si poté procedere alla inaugurazione tra la gioia e consenso unanime di simpatia manifestati da ogni ceto di persone (…). L’intera popolazione cooperò con generosità e slancio commoventi. Chi offrì denaro, chi s’impegnò a fornire le porte, chi le finestre ecc., chi prestò gratuitamente giornate di lavoro, chi preparò e raccolse biancheria ed altro occorrente; insomma si notò una gara veramente meravigliosa superiore ad ogni elogio».
Il restauro della chiesa e del convento
Una volta in convento, i frati lo trasformarono in un cantiere senza fine. I lavori di ristrutturazione del convento e della chiesa hanno una forte accelerazione dal 28 agosto del 1938 quando viene inviato ad Alessano come guardiano p. Pio Lagioia da Triggiano «per effettuare la costruzione del nuovo braccio del convento destinato al noviziato», si legge nella cronaca. L’urgenza dei lavori trova la sua ragione di essere a causa della disastrosa condizione in cui era stato ridotto e dal fatto che con decreto della Santa Sede del 25 febbraio 1938 veniva eretto canonicamente il noviziato nel convento di Alessano.
Con p. Pio Lagioia da Triggiano convento e chiesa perdono le caratteristiche architettoniche originali, fino ad assumere quelle attuali.
Citando sempre la cronaca conventuale, già il 6 settembre «si iniziano i lavori per chiudere le arcate dei locali esistenti a fianco alla chiesa». Il 13 settembre «si iniziano i lavori per costruire la cappella esistente a destra dell’altare maggiore destinata agli uomini. Il 4 ottobre il p. guardiano lancia un commosso appello a tutti a concorrere per l’erigendo noviziato… Nello stesso giorno si raccoglie la somma di 200.000 lire».
L’uno gennaio 1939 «si ha, dopo innumerevoli difficoltà e pratiche, il permesso di iniziare i lavori del nuovo braccio… Il 16 gennaio si inizia la demolizione delle case retrostanti la portineria (ex-carcere) per guadagnare il sito necessario all’erezione del nuovo braccio. I lavori di costruzione del nuovo braccio hanno inizio il 30 gennaio. Il 20 luglio si finisce l’allungamento e ingrandimento del refettorio. Il 29 luglio finiscono i lavori della foresteria… e si mette a nuovo il muro della clausura che fiancheggia la via e si fa la balaustra sulla foresteria». Finita la costruzione del braccio destinato al noviziato «il 30 ottobre comincia l’imbianchimento di tutto il convento; il 26 dicembre viene stampato il manifesto riguardante la cerimonia solenne dell’inaugurazione del noviziato. Primo gennaio 1940: festa dell’inaugurazione della nuova fabbrica. Il 14 febbraio fra Diego Giordano da Bitonto termina i lavori di falegnameria del nuovo braccio».
Appena otto mesi dopo l’inaugurazione, il 6 agosto 1940 p. Pio Lagioia da Triggiano presenta un complesso piano di ristrutturazione della chiesa che viene autorizzato e realizzato nello spazio di tre anni. Il progetto prevedeva la trasformazione in un ampio coro della veranda (il camerone) del primo piano attiguo alla chiesa. In realtà, i lavori per chiudere le arcate di questi locali affianco alla chiesa (il camerone) per realizzare il nuovo coro, erano già iniziati nel settembre del 1938. Durante i lavori si trasformò in corridoio di passaggio al coro una cameretta situata in fondo verso nord; si demolirono dell’antico coro situato sulla navata centrale e la muratura esistente perché “ingombrante e soffocante per una chiesa troppo piccola”. Il «27 agosto1940 iniziano i lavori di restauro in chiesa e di demolizione dell’antico coro come pure degli altari della navata destra. Il 31 novembre 1940 terminano i lavori di restauro e di ampliamento della chiesa e si pianta la croce sulla facciata della chiesa». I lavori proseguirono con lo smantellamento dei sott’archi delle cappelle e l’innalzamento, a livello degli altari, dei due archi sottostanti al coro; con l’ingrandimento, dare più luce ed aria alla chiesa, delle finestre del camerone (già stato trasformato in coro) e “l’apertura completa delle finestre della chiesa che danno sul chiostro” (16 luglio 1941); l’allargamento dell’accesso al coro per i novizi lungo la parete interna della facciata della chiesa, (16 aprile 1941); la demolizione del muro frontale della navata destra della chiesa allungando la stessa fino al muro dell’ex-sacrestia; e infine lo spostamento di due metri all’indietro degli altari della navata destra. In ultimo «il 5 giugno 1941, si comincia la demolizione dei locali esistenti a destra della chiesa per la erezione del salone per il terz’ordine».
Nulla viene detto circa la demolizione degli antichi altari laterali. Solo una nota del 14 marzo del 1942 riporta: «il p. guardiano si reca a Maglie per firmare il contratto degli altarini nuovi della chiesa in castagno». E poi il 16 aprile del 1944 un’altra annotazione informa: «Solenne inaugurazione dei quattro altarini in legno». Intanto i quadri degli altarini il 4 maggio del 1943 erano già pronti: «Arrivano i quadri nuovi, dipinti da Giuseppina Pansini per la chiesa agli altarini nuovi».
Per quanto riguarda gli stalli del nuovo coro, la cronaca annota al 27 agosto 1943: «Viene fra Diego Giordano da Bitonto per segare i tronchi d’ulivo per fare il nuovo coro». E al 31 dello stesso mese è scritto: «si pone in chiesa la bussola (il tamburo) alla porta piccola laterale». Il 6 febbraio 1945 «cominciano i lavori del piazzale antistante la chiesa. L’appalto è stato preso dal maestro Ciccio Pizziolo per una spesa complessiva di £ 30.000, raccolte con sottoscrizioni e offerte volontarie».
Nella programmazione di tutti questi lavori non si parla del rifacimento della facciata originale della chiesa del 1600. Sarà stata rifatta proprio nel corso di questi lavori? Nella cronaca si trova solo la nota del 3 maggio 1942: «si incomincia l’intonaco alla facciata esterna della chiesa».
Quattro fotografie del tempo documentano, appunto, che il rifacimento della facciata seicentesca della chiesa deve essere avvenuto durante l’anno 1942.
La prima foto, che si può datare prima del 1935, mostra ancora le arcate della veranda del “camerone” del primo piano, poi trasformato in coro, e il braccio del noviziato non ancora costruito; mostra la facciata con al centro il campanile a vela, un finestrone rettangolare e sotto di esso la nicchia fregiata con la statua della Madonna Immacolata, (collocata in seguito nella cappella del viale centrale del giardino) e la porta centrale incorniciata da due colonne.
Nella seconda foto, che certamente si può datare l’uno gennaio 1940 perché riportata nel numero speciale di L’Aurora Serafica per l’inaugurazione del noviziato avvenuta in questa data, si nota la facciata seicentesca ancora intatta.
Nella terza foto, da datare al 1942, riporta la facciata ormai trasformata: la finestra è stata sostituita da un rosone e una lunetta in ceramica sull’architrave della porta centrale (ivi collocata il 26 giugno 1942, così annota la cronaca) con l’immagine di s. Francesco ha preso il posto della nicchia con l’Immacolata, infine, il campanile a vela è stato spostato sulla destra della facciata ora sormontata da un timpano.
Nella quarta foto databile al 1943 si nota il timpano ora ornato con piccoli archi pensili e il campanile, ancora a vela, sostenuto da una finta base realizzata in carparo sulla facciata della chiesa.
Restauro della macchina d’altare
L’attuale macchina d’altare della chiesa S. Maria degli Angeli sostituisce l’antico altare in pietra leccese demolito nel sec. XVIII di cui oggi non rimane che il basamento che funge da supporto ai gradoni dell’attuale altare ligneo. Questa operazione avvenne probabilmente quando i duchi Guarini offrirono la grande tela del Perdono d’Assisi (3,75×2,60) dipinta dal frate cappuccino Angelo da Copertino, intorno alla quale abili intarsiatori salentini ed esperte maestranze, venute probabilmente dal convento cappuccino di Martina Franca, costruirono nel XVIII secolo l’attuale macchina d’altare.
Frate Angelo da Copertino, al secolo Giacomo Maria Tumolo (Copertino 1609–1685?), autore di diverse tele che si trovano in molte chiese del Salento, fu chiamato a Roma da Fabio Chigi (papa Alessandro VII), per rivestire la carica di conservatore delle pitture vaticane (1658-1668). La tela del Perdono d’Assisi di Alessano, realizzata dopo il suo ritorno da Roma, oltre ad apparire sintonizzata con l’atmosfera del Seicento, si ricollega al filone della grande pittura barocca romana post caravaggesca, da cui questo frate rimase “contaminato”. L’autore si firma ad uso michelangiolesco dipingendo il proprio ritratto mascherato. Egli appare vestito da penitente con un piatto fra le mani intento ad offrire la sua opera alla Regina degli Angeli.
La manutenzione e salvaguardia della macchina d’altare fu una delle prime preoccupazioni dei frati una volta tornati a Alessano. Già p. Giulio Gadaleta da Molfetta tra il 1929 e il 1931 realizzò il primo restauro dell’altare storicamente registrato. Nulla però viene detto nella cronaca conventuale sullo stato dell’altare e neppure sui lavori di restauro realizzati. Solo al 14 aprile 1936 si legge: «si sono restituite 2.000 lire al signor Germano Torsello, prese in prestito dal p. Giulio da Molfetta per il restauro dell’altare maggiore».
Il primo restauro documentato, che risale agli anni 1941-42, fu effettuato dalla Soprintendenza di Bari. La cronaca conventuale al 12 maggio 1941 per la parte lignea, annota: «Iniziano i lavori di restauro all’altare maggiore ad opera di Alberico Russo di Scorrano», per le tele fu incaricato dalla Soprintendenza un pittore di Alessano, Gustavo Urro. I lavori si conclusero, dopo varie ispezioni della Soprintendenza, il 28 marzo 1942. La cronaca conventuale dice lapidariamente: «il maestro Alberico Russo finisce i lavori di restauro dell’altare maggiore». Le operazioni eseguite consistettero nello smontaggio e rimontaggio di alcuni pezzi, nel ripristino di alcune decorazioni intarsiate e, per le tele, nel ritocco pittorico di vaste zone “a tutto effetto”, come allora si usava.
Nella cronaca conventuale si legge ancora di un altro intervento: «Il 28 settembre 1948, oggi sono terminati i lavori di restauro dell’altare maggiore per opera di distruzione compiuta dal tarlo». È solo un’annotazione secca senza nessuna documentazione.
Un altro intervento, in ossequio alle disposizioni liturgiche del Concilio Vaticano II, risale al 1969. Nella cronaca conventuale al giorno 10 marzo si annota: «Si sposta in avanti l’altare maggiore per la celebrazione di fronte al popolo». Oltre allo spostamento dell’altare furono rifatte ex-novo, riportando gli stessi motivi ornamentali, dall’artigiano locale Rolando Piccinni, le ante laterali perché quelle originali non erano ricuperabili.
Dal 6 luglio al 30 settembre 1986 si effettuò un’altra operazione di restauro ad opera di Ruggero Villanova coadiuvato da Antonio Pizzolante. La consulenza scientifica e la direzione tecnica dei lavori furono affidate a Giovanni Giangreco, terziario francescano della fraternità di Scorrano e funzionario della Soprintendenza dei beni culturali di Lecce.
Dalla relazione del Giangreco risulta che l’intervento si limitò alla rimozione e restauro delle quattro tele; rimozione, smontaggio e restauro del tabernacolo; consolidamento della struttura lignea e delle travi di ancoraggio; disinfestazione, stuccatura, spennellatura e siringatura delle zone pregiudicate dagli insetti xilofagi.
Un altro intervento molto parziale, per scarsità di finanziamenti, si registra nel 2004 ad opera della ditta di Gaetano Martignano di Parabita che si limitò alla manutenzione della lesena sinistra della pala, quella dove è inserito il quadro di Maria Bambina e S. Anna.
Nel maggio del 2016 si notarono alcune anomalie (polverine, distacco di tessere, fessure troppo larghe tra le giunture principali…) e si chiese un parere tecnico a Giovanni Giangreco. Questi, esaminata la situazione, ritenne necessario avvertire e coinvolgere la Soprintendenza che, incaricò il restauratore Dario Taras di eseguire i primi sondaggi per verificare la condizione della pala.
Il restauro della macchina d’altare iniziò ufficialmente il 22 marzo 2018 con l’apertura del cantiere (ma molte azioni – saggi, sondaggi, smontaggio di alcune parti pericolanti, prove di restauro i l’impianto antitermitico – erano iniziate già dal 2016) e si è concluso il 30 settembre 2019. La chiesa, invece, è stata riaperta al culto e benedetta il primo novembre successivo, dopo i lavori di ricupero dell’immobile consistiti nella pitturazione delle pareti, levigamento del pavimento, impianto elettrico e sonoro. Il restauro, monitorato dalla Soprintendenza dei beni culturali di Lecce fu affidato alla ditta Messapia Antiqua del restauratore Dario Taras di Specchia, mentre quello delle tele fu affidato alla restauratrice Rita Raffaella Cavaliere di San Vito dei Normanni.
La sorprendente macchina d’altare, capolavoro di ebanisteria, concepita quale vera e propria macchina scenografica, è estesa all’intera parete di fondo della navata principale modellandosi e quasi deformandosi per aderire perfettamente ad uno spazio architettonico che sembra non poterlo contenere. Essa è articolata in tre settori verticali simmetricamente disposti: quello centrale, che incornicia la pregevole tela seicentesca di frate Angelo da Copertino, della larghezza di circa 4 metri, si estende in altezza sino a lambire l’intradosso della sovrastante volta a stella, situato a oltre 8 metri dal piano del calpestio; quelli laterali, della larghezza di circa 2 metri ciascuno, racchiudono, a mo’ di edicola, le tele di sant’Anna e Maria Bambina, a destra e, a sinistra, quella del profeta Isaia e superano di poco la quota d’imposta delle appese angolari; più in alto, al centro, è collocato l’ovale raffigurante S. Giuseppe e il Bambino. Una chiara articolazione si ravvisa anche nell’orditura orizzontale: in basso l’altare sormontato da una coppia di gradini in mezzo ai quali si incastona il prezioso tabernacolo. La totalità della superficie a vista si sviluppa secondo un raffinato e minuzioso disegno che si ispira a motivi geometrici e vegetali. L’intero apparato decorativo si compone con tessere lignee di varie essenze: noce, mogano, palissandro, acero, pioppo e altri. Ricchissimo è anche l’apparato plastico che si compone di robuste cornici mistilinee, medaglioni, fastigi, volute e cartigli in un equilibrato spirito barocco semplificato, e convincente.
Questo prezioso gioiello di arte e di fede era gravemente malato. Lo stacco di una tessera è stata la spia per capire che un forte attacco termitico e di insetti xilofagi era in corso. Bisognava intervenire al più presto.
Con il restauratore e i tecnici si è proceduto allo studio e redazione di un progetto di restauro molto interessante il cui costo totale ammontava da 116 a 140 mila euro. La Soprintendenza, però, per mancanza di fondi, ha prescritto un intervento meno ambizioso, anche se molto radicale. Secondo le sue indicazioni, si è proceduto alla bonifica dell’apparato murario e pavimentale all’interno e nel perimetro esterno alla chiesa contro l’invasione delle termiti. Molto delicato si è rivelato lo smontaggio completo di tutta la macchina d’altare, che a operazione terminata, è stata smembrata in più di 60 pezzi che sono stati sottoposti a disinfestazione insieme con le cornici lignee delle tele delle cappelle laterali, con prodotti biocidi gassosi. Poi si è proceduto al consolidamento statico e alla sostituzione dei supporti strutturali di base ammalorati e alla ricostruzione di tutta l’ossatura portante distrutta dalle termiti. Infine si sono effettuati il consolidamento e l’integrazione dell’apparato decorativo.
Un processo lungo, laborioso e complesso fino al rimontaggio di tutti i pezzi restaurati per ricostruire la macchina d’altare nella sua originale posizione. La chiesa per lunghi mesi è stata trasformata in un laboratorio perché il restauro del materiale ligneo è stato eseguito nella stessa per disposizione della Soprintendenza.
Per decisione di questa, le due ante laterali, ricostruite ex-novo nel 1969 riprendendo gli stessi motivi ornamentali di quelle originali ormai irrecuperabili, sono state rimosse perché ritenute non originali; così pure sono stati eliminati due finti supporti della trave longitudinale, ritenuti materiale di risulta proveniente da altri manufatti. E sempre per disposizione della Soprintendenza, anche il paliotto, che nello spostamento dell’altare versus populum realizzato nel 1969 lo aveva automaticamente seguito formando un blocco unico con lo stesso, è stato ora collocato nel corpo della macchina d’altare, lasciando alla fantasia e professionalità del restauratore la ricostruzione del nuovo altare con motivi ornamentali geometrici.
Le quattro tele della macchina d’altare, quella centrale del Perdono d’Assisi, quella del fastigio di S. Giuseppe e Gesù Bambino, e le due laterali di S. Anna con Maria Bambina e del profeta Isaia insieme ad una tela conservata in convento che rappresenta la visita dei pastori a Betlemme, sono state restaurate presso il laboratorio della restauratrice Rita Raffaella Cavaliere a San Vito dei Normanni, secondo i canoni del restauro oggi in voga: l’asporto di residui organici, il consolidamento della superficie della tela, la velinatura con carta giapponese, il tensionamento delle tele su un telaio interinale per appianare deformazioni e imborsamenti, la facilitazione dei movimenti naturali delle tele con nuovi telai lignei ad espansione ed altri interventi specifici come una leggera verniciatura, stuccatura e ritocchi pittorici per eliminare alcune lacune della superficie pittorica.
Per quanto fatto, un doveroso ringraziamento va alla Soprintendenza e in modo speciale ai restauratori. Un grazie particolare al vescovo della nostra diocesi sua eccellenza monsignor Vito Angiuli per il generoso contributo economico; alla Fondazione Giorgio Primiceri della Banca popolare pugliese (BPP) nella persona del suo presidente il dottor Vito Primiceri per aver finanziato il restauro delle tele della macchina d’altare e di tutto il patrimonio iconografico del convento; alla fraternità dell’Ofs e a tutte le associazioni cittadine.
Un ricordo particolare all’amico regista Edoardo Winspeare per avere girato un clip sulla macchina d’altare con l’intento di sensibilizzare il mondo artistico e culturale. E, infine, non perché sia l’ultimo, sento di dover esprimere la gratitudine della fraternità cappuccina al popolo di Alessano continuamente vicino, anche con un generoso sostegno economico, alle vicende non sempre agevoli del processo del restauro di questo tesoro di arte, cultura e fede che per molti secoli ha accompagnato la storia e l’evoluzione di questa comunità cittadina.
fra Francesco Monticchio
Alessano
“Vi voglio bene”, un libro essenziale per raccontare don Tonino e la sua storia
Monsignor Vito Angiuli: “Scritti e documenti inediti per scoprire l’intera vocazione pastorale da sacerdote e da vescovo. Guardate con simpatia alle persone e agli avvenimenti della storia, per testimoniare a tutti la gioia del Vangelo”
di Luca De Santis
Vi voglio bene, Continuità e sviluppo nel ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino Bello è l’ultima fatica data alle stampe dal vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli. Il nuovo libro ha visto la luce nel mese di ottobre 2024, per le edizioni Il pozzo di Giacobbe. Quest’ultima si colloca in continuità con le precedenti pubblicazioni frutto di interessanti studi che Angiuli ha compiuto sul sacerdote della diocesi ugentina divenuto vescovo di Molfetta.
Il sottotitolo dell’opera ci fornisce le giuste delucidazioni riguardo a quelle che sono le intenzioni dell’autore: Continuità e sviluppo nel ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino Bello. Il testo è composto da una corposa introduzione dove l’autore pone e spiega la sua tesi riguardo a un’inscindibile armonia e continuità presente tra il ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino.
Nel primo capitolo, Ordinazione episcopale, sono stati curati una serie di scritti in cui il futuro vescovo di Molfetta mette in evidenza un forte attaccamento alla sua terra natia e le motivazioni che lo hanno condotto ad accettare l’ordinazione episcopale. Il secondo capitolo, Don Tonino saluta la Chiesa ugentina, raccoglie alcune omelie di saluto che don Tonino ha pronunciato prima della sua partenza per Molfetta, dove traspare in modo palpabile il suo amore per la Diocesi di Ugento che ha servito per 25 anni.
All’interno dell’ultimo capitolo troveremo invece degli scritti inediti da datarsi secondo Angiuli tra il 1960 e il 1980. La gran parte di essi pur non avendo una data o la firma, possono tranquillamente essere definiti autentici, tenendo conto della calligrafia di don Tonino. L’ordine cronologico è dato dal Curatore sulla base delle tematiche che in questi scritti vengono a essere trattate.
La maggior parte di questi risale al periodo in cui don Tonino svolgeva il suo ministero presso la Diocesi di Ugento.
Questi scritti contengono in modo germinale quelle tematiche che durante gli anni di episcopato don Tonino tratterà in modo più approfondito, in base alle sollecitazioni di quel contesto storico. Tenendo conto di quanto abbiamo rilevato è possibile dire che il libro si lascia leggere in modo molto scorrevole dimostrandosi adatto persino per coloro che non hanno avuto una conoscenza dettagliata di colui che la Chiesa Cattolica ha dichiarato Venerabile.
Il vescovo Angiuli ha deciso di intitolare questo suo ultimo libro con un’espressione che don Tonino lungo il suo ministero sacerdotale ed episcopale ha utilizzato spesso: Vi voglio bene.
Quest’ultima non ha solo la funzione di comunicare i suoi sentimenti, quanto la simpatia con cui si poneva nei confronti di quella porzione di popolo che era stata affidata alle sue cure pastorali, ma anche nei confronti della storia a lui contemporanea in cui l’umanità era immersa.
Il vi voglio bene di don Tonino
Il vi voglio bene di don Tonino – ci aiuta a comprendere l’autore – trova significato in una delle più belle espressioni da lui spesso utilizzate e contenute nella Costituzione Conciliare Gaudium et spes al n. 1: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
Le motivazioni ministeriali di don Tonino nelle varie fasi dei suoi incarichi sia nella diocesi ugentina che in quella di pastore della Chiesa di Molfetta hanno mantenuto le medesime fondamenta che hanno da sempre configurato la sua fede: coltivare la preghiera, meditare la Parola, adorare Gesù eucarestia. Prendiamo atto che gli anni del ministero episcopale hanno oscurato il periodo sacerdotale, ma quegli aspetti che hanno reso il vescovo Bello conosciuto in campo nazionale e oltre, ciò per cui è stato amato nella Diocesi a lui affidata, erano già presenti nel ministero svolto nell’estremo lembo d’Italia, in quel Capo di Leuca, durante il suo lungo ministero sacerdotale come professore e vice-rettore presso il Seminario vescovile, come parroco a Ugento e Tricase, nei vari incarichi pastorali.
Cade in grave errore chi sostiene che l’episcopato, in particolar modo la presidenza di Pax Christi, abbia segnato una svolta ministeriale in don Tonino, una conversione verso le tematiche sociali, in particolar modo quella della pace e della non violenza. A tal proposito Angiuli nell’Introduzione del libro è perentorio nel sostenere il fatto che non vi è nessuna discontinuità di pensiero tra il don Tonino sacerdote e vescovo, e che pensare il contrario significherebbe mistificare la realtà.
Quest’ultimo durante il suo percorso di studio ha consolidato un ottimo utilizzo del metodo deduttivo tramite la sua formazione filosofica e teologica, così come una padronanza del metodo induttivo nel confrontarsi e padroneggiare le scienze moderne: sociologia, psicologia, diritto del lavoro, legislazione sociale, all’interno delle quali venne introdotto durante gli anni seminariali a Bologna presso l’ONARMO.
La cultura sessantottina
Accanto a coloro che sostengono una discontinuità ministeriale di don Tonino, vi sono quelli che manifestano una certa antipatia nei confronti del suo ministero, sostenendo come quest’ultimo sia il prodotto di quella cultura sessantottina che ha avuto i suoi risvolti più nefasti all’interno degli anni ’70 del secolo scorso. A costoro risponde il decreto che sancisce la Venerabilità di don Tonino, definendolo come un ottimo interprete delle istanze conciliari.
L’aspetto, forse il più deleterio, è rappresentato da coloro che del ministero di mons. Bello prendono in considerazione e ne propagano solo i temi sociali (pace, giustizia e salvaguardia del creato), dandone una lettura ideologica.
Costoro affrontano i temi sociali senza tener conto di quelli etici (divorzio, aborto, eutanasia), quest’ultimi aspetti non possono essere separati dai primi ed è chiaro come don Tonino gli abbia mantenuti sempre insieme. Proseguire su questa linea – sostiene Angiuli – significa trovarsi dinanzi a un Giano Bifronte dove diviene molto difficile cogliere, per esempio, la profondità teologica di alcune immagini eloquenti che don Tonino ci ha lasciato come quella della Convivialità delle differenze e della Chiesa del grembiule.
Ciò che mons. Bello esprime nel periodo molfettese, affonda le sue radici nel basso Salento e nella formazione bolognese. Nello specifico va considerata l’impronta ministeriale di mons. Ruotolo, il vescovo di Ugento che ha ordinato presbitero don Tonino e con cui quest’ultimo ha molto collaborato: l’amore all’eucarestia, la devozione mariana, l’impegno ad attuare gli orientamenti pastorali scaturiti dal Concilio Vaticano II, la programmazione per gli itinerari di formazione per i laici, l’attenzione alle problematiche sociali presenti in questa parte del Salento.
Un particolare merito del libro lo si riscontra nel III Capitolo Scritti vari.
In questa sezione si trovano, come già detto, degli scritti inediti di don Tonino, i quali pur non avendo lo stesso spessore o valore di quelli pubblicati da lui stesso, hanno il merito di contenere quelle tematiche che rappresentano la continuità ministeriale che Angiuli, a ragione, evidenzia.
Quest’opera è imprescindibile per chi ha un serio interesse a conoscere la sensibilità e le radici in grado di nutrire il ministero pastorale di don Tonino dal punto di vista teologico e sociale.
Il grande merito di Angiuli consiste nell’averci consegnato un testo che in continuità con le altre sue pubblicazioni su mons.
Bello, ci dona una chiarezza, una verità, che non può essere tralasciata e non considerata, un atteggiamento contrario significherebbe alterare il suo pensiero, oscurare aspetti essenziali e sostanziali della sua santità.
Alessano
La speranza nel dono
Ad Alessano una serata di testimonianze e letture sulla forza dei pazienti. Domani 18,30, presso la Casa della Convivialità in via Corte Vittorio Emanuele. Fulcro della serata la presentazione del libro “Mi racconto a voi”, realizzato da sei ex pazienti e un team di professionisti del settore medico
Si rinnova l’annuale appuntamento intitolato “La speranza nel dono”.
L’evento rappresenta un’importante occasione per condividere le esperienze e i racconti di pazienti che hanno affrontato il difficile percorso di cura e guarigione dai tumori del sangue.
L’evento è in programma per domani, martedì 19 novembre, dalle 18,30, presso la Casa della Convivialità in via Corte Vittorio Emanuele, ad Alessano.
I saluti istituzionali apriranno l’evento.
Seguiranno gli interventi del dottor Nicola Di Renzo (Direttore UOC Ematologia e Trapianti Cellule Staminali all’Ospedale Vito Fazzi di Lecce), della dottoressa Anna Mele (Direttore UOC Ematologia e Trapianti Cellule Staminali all’Ospedale Cardinale Panico di Tricase) e del dottor Mario Tarricone (Presidente di AIL Lecce ODV e Referente nazionale del Gruppo Pazienti Linfomi AIL-FIL).
Il fulcro della serata sarà la presentazione del libro “Mi racconto a voi”, realizzato grazie alla collaborazione di sei ex pazienti e un team di professionisti del settore medico, tra cui i dottori Di Renzo, Mele, Dargenio, De Giorgi, De Risi, G. Greco, C. Greco e la dottoressa S. Sibilla.
Il progetto, nato per dare voce ai vissuti personali dei pazienti e delle loro famiglie, intende sensibilizzare il pubblico e promuovere una maggiore empatia e comprensione verso chi affronta queste sfide.
Attraverso la narrazione, l’obiettivo è migliorare la comunicazione medico-paziente, rendendo più evidente l’importanza di comprendere e rispondere alle esigenze individuali.
Durante l’evento, Elisea Ciardo e Valerio Melcarne interpreteranno le storie ed emozioni dei sei protagonisti, ripercorrendo il loro cammino dalla diagnosi alla guarigione con letture profonde e toccanti.
A concludere la serata, il dottor Vincenzo Pavone dell’Ospedale Cardinale Panico di Tricase offrirà un intervento riassuntivo e riflessivo.
La serata sarà moderata dalla giornalista Silvia Cazzato.
Il volume e l’iniziativa si inseriscono nel contesto della Medicina Narrativa, una disciplina che ha iniziato a diffondersi negli anni ’90 e che dal 2015 ha trovato il supporto dell’Istituto Superiore di Sanità, che ne ha pubblicato le linee di indirizzo per l’uso nelle malattie croniche e rare.
La Medicina Narrativa si distingue per l’adozione di una metodologia comunicativa che riconosce il valore della narrazione come strumento fondamentale per integrare i punti di vista di tutti gli attori del processo di cura.
“La speranza nel dono” è un evento che invita alla riflessione e all’ascolto, sottolineando che dietro ogni numero e statistica c’è una persona con un vissuto unico e prezioso.
Partecipare significa contribuire a costruire una comunità più consapevole e solidale.
Alessano
Tragedia ad Alessano: 26enne muore nel giorno del suo compleanno
Il giovane potrebbe essere deceduto a causa dell’utilizzo dei cosiddetti balloons, dei palloni contenenti un gas aspirato per godere degli effetti esilaranti
Una festa finita in tragedia nel Capo di Leuca dove un ragazzo è deceduto nel giorno del suo compleanno.
È quanto accaduto nelle scorse ore ad Alessano dove ha perso la vita un 26enne del posto.
Il giovane era in compagnia di alcuni suoi amici per il suo giorno di festa. All’improvviso le celebrazioni si sono trasformate in dramma: per il ragazzo si è reso necessario l’intervento d’urgenza del 118, tra lo sgomento dei suoi amici.
Il giovane è irrimediabilmente deceduto nel giro di pochi minuti. A provocarne la morte, con tutta probabilità, secondo le prime ricostruzioni, l’utilizzo dei cosiddetti balloons, dei palloncini contenenti protossido d’azoto.
Una pratica in voga secoli fa tra i giovani britannici e tornata, purtroppo, di moda ai nostri giorni: inspirare il cosiddetto gas esilarante per godere degli effetti che provoca, una sorta di sballo esilarante.
Pratica che, purtroppo, può avere anche conseguenze letali. I carabinieri, intervenuti sul luogo della tragedia, sono al lavoro in queste ore per ricostruire nel dettaglio l’accaduto.
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