Approfondimenti
In un anno tutto è cambiato
L’anno nero del virus venuto da lontano: era il 2 marzo 2020 quando il coronavirus che ci aveva, inizialmente,
fatto accendere i riflettori sulla Wuhan e la Cina, è stato isolato in Salento…
Un anno denso e infinito è trascorso: un anno di Covid. Era il 2 marzo 2020 quando quell’invisibile virus che ci aveva, inizialmente, fatto accendere i riflettori solo sulla Cina e su Wuhan, è stato isolato in Salento. Da allora, l’esistenza di ognuno di noi è cambiata a suon di mascherine, tamponi e distanziamento. In provincia di Lecce in questi 12 mesi l’Asl ha eseguito 261mila e 668 tamponi faringei, su una popolazione che supera di poco le 800mila unità. Nel frattempo sono nati nuovi test che hanno portato quasi ciascuno di noi a misurarsi, almeno una volta, con l’ansia da tampone. Con l’attesa del risultato. Con la paura di finire in quella interminabile lista di numeri che in principio sentivamo così lontana da noi.
21 febbraio 2020 – La febbre da Covid arriva in Salento col treno. Tutti i passeggeri di un convoglio partito da Roma vengono bloccati in stazione a Lecce. Nessuno può lasciare le carrozze a causa della presenza di un uomo che ha accusato quelli che, fino a pochi giorni prima, erano considerati normali sintomi influenzali. Nel panico, arrivano in stazione le forze dell’ordine e l’Asl. Trascorrono alcune ore prima che tutti possano tornare normalmente a casa. Ricapiterà sulla tratta Milano-Lecce. Durante la corsa, un treno verrà bloccato da un genitore al grido: “Mio figlio ha il Covid!”. Il giovane aveva solo starnutito.
22 febbraio 2020 – Dopo il treno, l’aereo. A Brindisi si ripete la stessa storia. Su un volo proveniente da Milano, un uomo accusa un malore. Restano tutti bloccati in cabina fino ai controlli: grande spavento, ma era un infarto.
26 febbraio 2020 – Il Covid arriva in Puglia pochi giorni dopo. Il primo contagiato è un uomo di 33 anni del tarantino. Per lui scatta il primo ricovero per Coronavirus in Malattie Infettive. Era stato a Codogno, prima zona rossa in Italia.
2 marzo 2020 – Ad Aradeo si registra il primo caso accertato di Covid in provincia di Lecce. Per l’esito del tampone c’è ancora da attendere che venga elaborato a Bari: nella prima fase il capoluogo pugliese era l’unico luogo dove venivano elaborati i test. A contrarre il virus un barbiere che fino al giorno prima aveva lavorato. In paese scatta l’allarme e partono le prime girandole di tamponi.
4 marzo 2020 – Viene firmato il secondo DPCM in materia Covid. L’indomani UniSalento sospende le lezioni in presenza. Sarà il primo step di un lungo percorso che ha visto l’istruzione adattarsi e reinventarsi, attraversando migliaia di dispositivi elettronici in nome della Didattica a Distanza.
5 marzo 2020 – A Copertino il secondo focolaio in provincia. Un caso dopo l’altro, il ciclone Covid travolge l’ospedale. La grave carenza di dispositivi di protezione individuale fa nascere un caso che viene rimbalzato persino in tv. Quello di Copertino è il primo ospedale chiuso per Covid in Salento.
6 marzo 2020 – Sulle nostre colonne Rosy e Rocco, una coppia originaria di Maglie ma residente nel Lodigiano, e Filippo e Roberto, tricasini rispettivamente a Cremona e Milano, ci raccontano ciò che a breve sarebbe toccato a tutta Italia: la vita in lockdown.
7 marzo 2020 – Il Salento si attrezza. Gli ospedali Covid sono quelli che contemplano i reparti Infettivi: Galatina e Lecce. Intanto a Tricase si montano le tende nell’area esterna del nosocomio. C’è da preparare delle aree triage apposite.
8 marzo 2020 – Mentre il Covid è già sbarcato in provincia, l’attenzione resta focalizzata sulla Lombardia. Codogno e dintorni vengono tenuti d’occhio da tutta l’Italia. Sono ritenuti da tutti il luogo da cui il virus si sta diffondendo in Italia. A Milano i treni per il sud vengono presi d’assalto. Anche quelli per Lecce. Tutti i meridionali che vivono al nord vogliono tornare a casa e lasciarsi l’incubo alle spalle. Il Paese si spacca in due: una ondata di paura e odio si scatena nei confronti dei partenti, soprattutto sui social.
9 marzo 2020 – In ottemperanza al DPCM, partono i controlli. Sono state imposte le prime limitazioni agli spostamenti. Si esce solo per lavoro e motivi di comprovata necessità. Inizia la convivenza con le autocertificazioni. Anche le messe vengono sospese. Le chiese rischiano di essere luogo di contagio e vengono chiuse. La Prefettura dispone i controlli sul territorio: in due settimane vi incappano oltre 6mila persone. Di questi, ben mille e 400 vengono denunciati.
10 marzo 2020 – Si registra il primo decesso da Covid in provincia. Al “Vito Fazzi” di Lecce un 88enne perde la lotta contro il virus. Era originario di Copertino.
18 marzo 2020 – Il Covid fa paura al punto da spingere un uomo al tentato suicidio. La convinzione è che ammalarsi significhi quasi certamente morire. Pensando di aver contratto il virus, un 65enne di Veglie prova a togliersi la vita. Salvato in extremis.
25 marzo 2020 – L’Rsa di Soleto sale alla ribalta della cronaca, occupando presto le pagine di nera. È una delle prime strutture residenziali in cui si insinua il Covid ed è tra quelle che di più ne saranno segnate. Muoiono in 13. Contagiati 33 ospiti e 8 operatori. La Procura aprirà una inchiesta per epidemia colposa.
12 giugno 2020 – Dopo tre mesi bui, il Salento vede la luce in fondo al tunnel: mentre il lockdown viene gradualmente alleggerito, viene annunciata la riapertura degli aeroporti e il ripristino graduale dei voli per Brindisi.
12 luglio 2020 – È il giorno in cui i carabinieri fanno sgomberare centinaia di persone nelle campagne di Scorrano. Avevano organizzato una festa abusiva in dei terreni abbandonati. Un vero e proprio rave party con musica a palla fino all’alba. Una data indicativa, simbolica. È il ritratto di una estate di follie. Migliaia di persone rincorrono ciò che ci è stato privato nei mesi precedenti. La consapevolezza che le restrizioni torneranno, ancor di più dopo una estate dissennata, non è uno stimolo a frenarsi ma una “buona ragione” per eccedere a più non posso.
30 luglio 2020 – La Puglia intanto è presa d’assalto da milioni di turisti. Un afflusso forse senza precedenti. Le frontiere semichiuse danno vita al turismo di prossimità. L’Italia intera si riversa in Salento. Secondo una indagine di CNA Turismo, la nostra regione è la meta preferita del momento. Anche i Vip che scelgono il Salento sono tantissimi.
21 settembre 2020 – Con l’estate ormai alle spalle, ci si immerge nelle prime elezioni in tempo di Covid. Con qualche scenata di isteria “no mask” ai seggi, vengono eletti 20 sindaci in provincia di Lecce.
31 ottobre 2020 – Il Covid è tornato. Il confronto con la mappa del contagio di fine settembre fa paura. La Puglia si colora di rosso. Di giorno in giorno “cadono” paesi Covid-free. I contagi in un mese crescono del 140%.
2 novembre 2020 – A Taurisano arriva l’esercito. Scoppia un focolaio e i casi improvvisamente aumentano. I militari montano una postazione drive-through per i tamponi. Taurisano sarà il primo centro della provincia (Lecce esclusa) a superare i 100 positivi contemporaneamente. I contagi viaggeranno anche nei paesi limitrofi, a partire da Ruffano.
9 novembre 2020 – La sindaca di Alessano, Francesca Torsello, mette in guardia: «La nostra sitazione epidemiologica potrebbe peggiorare». Non si sbaglia. Un focolaio travolge Alessano tra novembre e dicembre. È un Natale tribolato. Tante famiglie sono investite dal Covid, molti i morti. Nasce anche una querelle sul caso scatenante.
25 dicembre 2020 – Il Natale è clemente e non presenta il conto. Il peggio sembra alle spalle: i casi di positività non salgono più come prima. Le restrizioni hanno il loro effetto anche se in molti, durante le feste, trovano il modo di aggirarle. È il primo (e speriamo ultimo) Natale con mascherine e tamponi. Per tantissime famiglie un Natale da non ricordare.
27 dicembre 2020 – Arrivano in Salento i primi vaccini. La campagna di somministrazioni parte dagli ospedali e dalle Rsa. Da Tricase arrivano le prime immagini delle vaccinazioni. Assieme ad Andrano e Poggiardo, Tricase rimarrà sino ad oggi il centro della provincia con più somministrazioni.
21 gennaio 2021 – La curva del contagio continua a scendere ma la guerra al virus non è finita. Mentre cresce lo spauracchio delle varianti, i posti letto in terapia intensiva non sono ancora sufficienti a far uscire la Puglia dalla soglia critica. Le Rsa diventano il nuovo campo di battaglia. In poche settimane, in tre tra Miggiano, Matino e Casarano vengono falcidiate dal coronavirus. Sono giorni di grande tensioni. Si susseguono i ricoveri, aumentano i decessi. I familiari degli ospiti si fanno forza con un grido di solidarietà agli operanti, ma in molti lamentano il trinceramento, anche comunicativo, di alcune delle Rsa colpite dal Covid.
23 febbraio 2021 – Si registra l’ultimo capitolo della saga scuola. L’apri e chiudi al ritmo del quale i nostri giovani hanno vissuto l’istruzione in questo tribolato anno, diventa follia. Il Tar boccia l’ordinanza con cui la Regione ha chiuso gli istituti di ogni ordine e grado. Nel giro di poche ore Emiliano firma una ordinanza “corretta”, adeguandola a quanto contestato dal tribunale amministrativo. Le famiglie si risvegliano nella confusione. Si va a scuola oppure no? Lo show continuerà…
24 febbraio 2021 – La campagna vaccinale avanza ma non senza intoppi. Le prenotazioni per gli over80 partono nel caos. Molte farmacie con servizio Cup sono in difficoltà: i sistemi sono in tilt e ci vorrà qualche giorno per sistemare tutto. Tiene banco però il sospetto che le dosi possano scarseggiare.
2 marzo 2021 – C’è il primo DPCM del nuovo Presidente del Consiglio, Mario Draghi. L’Italia multicolor avvia il mese che la porterà alle festività pasquali con una buona dose di ottimismo in corpo ma con qualche ombra ancora alle calcagna. I contagi non sono alti come in autunno, ma le curve non seguono un andamento regolare: le varianti giocano il loro ruolo nell’incertezza che resta sul futuro.
Lorenzo Zito
Approfondimenti
Gli anni passano, le tradizioni cambiano, in meglio o in peggio?
Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti..
di Hervé Cavallera
Con le Festività di inizio novembre si è entrati nell’ampio periodo delle feste di fine anno con tutte le celebrazioni rituali che esse implicano. Ora, già da un remoto passato l’essere umano ha avvertito con perplessità la fine della bella stagione, l’allungarsi del buio nelle giornate e l’appressarsi del freddo.
Ed ha collegato la fine della stagione calda e luminosa con la fine di un ciclo, che non è soltanto quello solare, ma soprattutto quello della stessa vita. Ha colto cioè il senso del trapasso con tutte le incognite ad esso legate, sì da elaborare nel corso dei millenni dei riti di passaggio tra questa e l’altra vita oltremondana. Al tempo stesso, si è pensato di illustrare il cammino del tempo secondo calendari legati al ciclo solare e a quello lunare.
Così per diverse popolazioni dell’antichità, tra cui i Celti che risiedevano principalmente nel centro Europa, il transito tra un anno e l’altro era previsto con l’attuale 1° novembre e in quel giorno, essendo poco netta la transizione tra la luce e le tenebre, il mondo dei vivi si mescolava con quello dei morti e questi ultimi potevano riapparire.
Non a caso il 2 novembre, che seguiva Ognissanti, fu scelto come il giorno della commemorazione dei defunti ed è triste constatare come oggi tanti cimiteri monumentali siano praticamente abbandonati.
Ora, il primo calendario che unificò il mondo mediterraneo fu quello giuliano, ideato dall’astronomo greco Sosigene e divenuto operativo nel 46 avanti Cristo con Giulio Cesare.
Tale calendario rimase in vigore sostanzialmente sino al 24 febbraio 1582 quando papa Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissimas, lo sostituì con vari ritocchi con il calendario tuttora esistente detto appunto gregoriano.
Il mondo cristiano ha poi inserito varie ricorrenze a tutti note, fissando le feste di precetto, ossia quelle in cui i fedeli sono particolarmente tenuti alla partecipazione della messa.
Per i cattolici sono: tutte le domeniche; Capodanno (1° gennaio); Epifania (6 gennaio); Assunzione di Maria Vergine (15 agosto); Tutti i Santi (1° novembre); Immacolata Concezione (8 dicembre); Natale (25 dicembre).
Accanto alle feste religiose ogni Stato ha aggiunto per suo conto le feste civili, tra le quali in Italia ricordiamo almeno il 1° maggio (festa dei Lavoratori) e il 2 giugno (festa della Repubblica).
È evidente che se la divisione del tempo in anni, mesi, settimane, giorni, corrisponde ad una esigenza di dare ordine in una realtà ciclica (il rinnovarsi delle stagioni), il concetto di festa si collega, per l’aspetto civile, ad un evento di cui si è particolarmente orgogliosi, e, per quello religioso, è volto ad onorare la Divinità e i Santi.
Sotto tale profilo la festa sia religiosa sia civile non è da intendersi come una vacanza, ma come una celebrazione. Certo nei giorni festivi non si lavora, ma essi non si dovrebbero intendere come meramente vacanzieri.
Festa o vacanza?
Al contrario, dovrebbero servire a raccogliere i componenti di una comunità, quotidianamente intenti ad attività differenti, in uno spirito celebrativo comune.
Una comunanza soprattutto spirituale che può naturalmente trovare un momento gioioso particolarmente nei pasti che una volta erano frugali per i più e ai quali si riusciva a fare qualche eccezione nei giorni di festa.
Così a Natale si poteva arricchire la tavola con il panettone o il pandoro, come nel cenone di Capodanno si mangiavano lenticchie (ritenute ben auguranti) e cotechino.
Sono solo pochi esempi di cibi per così dire “nazionali”, mentre ogni regione aveva (e in gran parte ha) i suoi piatti tipici. Per tale aspetto, nelle feste (e soprattutto in quelle religiose) il sacro si mescola col profano, la speranza del premio ultraterreno con il buon piatto, il senso della fratellanza spirituale con quello della buona compagnia. In ogni caso si percepisce o si dovrebbe percepire il riconoscimento del sacro confermato dalla grazia di star bene.
È così ancora oggi? Non proprio. Nella nostra società si è imposto e si va imponendo un modo di essere sempre più materialistico e consumistico. L’esempio più vistoso è Halloween, la notte di Tutti i Santi, che alla luce di evidenti influenze anglosassoni, è divenuta la festa del macabro e del soprannaturale in una atmosfera neopagana e consumistica. Che dire poi di prodotti come il panettone o la colomba che si cominciano a vendere mesi prima di Natale o di Pasqua?
Le due stesse massime festività della Cristianità (la nascita di Cristo e la Sua resurrezione) passano quasi in second’ordine nella loro specificità di fronte alle spese, ai doni e a quant’altro di godereccio possa esistere. Anche in questo caso occorre precisare che non vi è nulla di male nel mangiare il panettone e la colomba, che è bene brindare purché non si ecceda, che qualche bambino può ben dire Trick or Treat (Dolcetto o Scherzetto).
Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti (si pensi alle processioni, ai piatti particolari e così via), ora tutto si va modificando e si impone solo la dimensione del consumo e dello spettacolo.
Certo, il mondo da sempre va cambiando ed è così, ma il mutamento positivo è quello che sa conservare i valori e mettere da parte l’inutile; in tal modo una civiltà cresce e si sviluppa e le persone maturano. Che le cosiddette tradizioni rimangano solo per attrarre turisti o per generare consumi certamente non è positivo e rischia di ridurre tutta la realtà al semplice godimento – non sempre corretto né di tutti – dell’immediato.
Quello che veramente oggi dovrebbe contare, in una società dove soffiano pericolosi venti di guerra e l’Occidente è pervaso da un edonismo individualistico, è il recupero della dimensione spirituale che accomuna gli animi e li rende aperti al dialogo e agli affetti disinteressati.
E da tempo immemorabile tale è stato il compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, istituzioni che attraversano un momento non facile, ma nel rilancio della loro funzione risiede la salvezza di un Occidente che va spegnendosi nelle luci artificiali dei consumi.
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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