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Approfondimenti

Una rete solidale nel cuore del Salento

8xmille Chiesa cattolica: la “Casa della Carità Santi Martiri di Otranto” di Poggiardo è una delle opere al centro della nuova campagna informativa della CEI. La mensa del Buon Pastore di Galatina, Casa Raab a Maglie e Poggiardo…

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Non è mai solo una firma. È di più, molto di più. Con questo claim parte la nuova campagna di comunicazione 8xmille della Conferenza Episcopale Italiana, che mette in evidenza il significato profondo della firma: un semplice gesto che vale migliaia di opere.


La campagna, che racconta sette storie di speranza e di coraggio, illustra come la Chiesa cattolica, grazie alle firme dei cittadini, riesca ad offrire aiuto, conforto e sostegno ai più fragili con il supporto di centinaia di volontari, sacerdoti, religiosi e religiose. Così un piatto di minestra, una coperta, uno sguardo diventano molto di più e si traducono in ascolto e carezze, in una mano che si tende verso un’altra mano, in una scelta coraggiosa di chi si mette quotidianamente nei panni degli altri.


“La nuova campagna ruota intorno al ‘valore della firma’ e a quanto conta in termini di progetti realizzati», afferma il responsabile del Servizio Promozione della CEI Massimo Monzio Compagnoni, «Chi firma è protagonista di un cambiamento, offre sostegno a chi è in difficoltà. È autore di una scelta solidale, frutto di una decisione consapevole, da rinnovare ogni anno. Grazie alle firme di tanti cittadini la Chiesa cattolica ha potuto mettere a disposizione del Paese un aiuto declinato in moltissime forme».



La Casa della Carità Santi Martiri di Otranto


Quest’anno la campagna fa tappa a Poggiardo per raccontare i progetti della Caritas Idruntina e, in particolare, l’articolata realtà della “Casa della Carità Santi Martiri di Otranto” che ospita una nuova struttura polifunzionale composta da centro di ascolto, distribuzione alimentare, sportello giuridico per immigrati e il Gruppo Davide di sostegno scolastico a minori in difficoltà.


Dopo 15 anni di attività con un servizio di ascolto e di sostegno, rivolto alle persone e alle famiglie in stato di disagio, la Caritas diocesana ha deciso di potenziare l’attività mediante la realizzazione di una nuova sede più ampia ed accogliente in grado di rispondere ai crescenti bisogni del territorio.


Cuore della struttura è il centro d’ascolto, aperto due giorni a settimana grazie a 7 volontari che si occupano dei colloqui preliminari per accedere ai servizi offerti, dell’accoglienza delle famiglie, dell’organizzazione e della gestione del magazzino.


Opera segno della Caritas Idruntina, la Casa sostenuta con 130mila  euro provenienti dai fondi 8xmille alla Chiesa cattolica, concentra in sé molti aspetti richiesti da chi adotta percorsi di ascolto, accompagnamento, accudimento e reinserimento sociale. La struttura lavora in stretta sinergia con le amministrazioni locali per strutturare una rete capace di condividere informazioni su pratiche e servizi.


«Luogo privilegiato in cui si intessono relazioni con i poveri»


«L’attività di una Caritas diocesana è il modo attraverso il quale una Chiesa si rende presente nel territorio e testimonia la sua vicinanza alle persone, soprattutto a chi è in difficoltà. Il centro di ascolto», spiega il direttore della Caritas idruntina, don Maurizio Tarantino, «luogo privilegiato in cui si intessono relazioni con i poveri, è stato in questi anni punto di riferimento di tante persone, italiane e straniere. Attraverso il centro la comunità cristiana si è fatta prossima alla vita di quanti faticano nella ricerca di aiuto materiale. Il nuovo assetto e l’ampliamento della struttura sono stati possibili grazie ai fondi 8xmille alla Chiesa cattolica che ci hanno consentito anche di offrire un nuovo servizio, un ambulatorio medico, che vuole rappresentare un ponte verso il servizio pubblico sostenendo soprattutto i soggetti, italiani e stranieri, che spesso hanno difficoltà ad accedere alle strutture pubbliche».


L’ambulatorio, dotato di ecografo e di elettrocardiografo, aperto il martedì pomeriggio, coordinato da Suor Maria Chiara Ferrari, fornisce visite specialistiche grazie ad una squadra di 20 medici volontari che si alternano negli studi di Poggiardo. In virtù di un accordo con alcune farmacie del territorio i pazienti, poi, possono ricevere gratuitamente i farmaci prescritti.


All’interno della Casa vi è anche lo sportello giuridico per cittadini stranieri per pratiche inerenti i diritti alla cittadinanza, al lavoro, al ricongiungimento familiare e al riconoscimento dello status di rifugiato politico. La presa in carico delle persone e il loro accompagnamento verso la liberazione dallo stato di bisogno sono il metodo attraverso il quale la struttura ecclesiale si pone al servizio del territorio.


«Il successo del nostro progetto», aggiunge Don Maurizio, «si basa, soprattutto, su tre elementi: il prezioso contributo dell’8xmille alla Chiesa cattolica, la forza del volontariato e la sensibilità del tessuto economico e sociale del territorio. Durante il lockdown e nei mesi successivi sono aumentati gli italiani in difficoltà, i cosiddetti nuovi poveri, che hanno chiesto un aiuto per andare avanti. Grazie alla squadra dei nostri 30 volontari, alla risposta concreta di numerose aziende e alla collaborazione della popolazione, siamo riusciti a garantire la distribuzione alimentare anche nei mesi più difficili».






A Galatina, Maglie e Poggiardo…


La campagna 8xmille mette in luce come, attraverso l’ambulatorio, la mensa, il gruppo Davide, la Caritas Idruntina risponda alle esigenze crescenti della popolazione. Come accade con la mensa del Buon Pastore di Galatina, aperta 365 giorni all’anno, Casa Raab che accoglie 30 donne migranti, vittime di tratta, e 6 bambini, ed il centro diurno per minori. Articolato su due sedi, a Maglie e a Poggiardo, coordinato da Suor Rosaria D’Esposito e gestito dal Gruppo Davide, il doposcuola è aperto ogni giorno dalle 15.30 alle ore 18.00. Grazie all’impegno di 30 volontari, tra cui figurano professori in pensione, vengono seguiti 12 bambini italiani e 6 stranieri tra i 6 e i 10 anni. Oltre al sostegno scolastico sono previste attività ludiche e ricreative, escursioni e un laboratorio teatrale; anche durante il lockdown è stata garantita ai ragazzi un’attività di sostegno a distanza.


Nel 2021 la Casa della Carità punta su due direttrici: l’implementazione e il potenziamento dei servizi socio sanitari, offerti dall’Ambulatorio medico, e la cura di nuove dipendenze con l’apertura di uno sportello anti gioco d’azzardo, realizzato con il contributo dei fondi 8xmille, per fare fronte ad una problematica diffusa sul territorio diocesano.


«Credo che quando noi pensiamo all’8xmille e a che fine fanno quei soldi », conclude Don Maurizio,  «sia molto opportuno poter rivedere le immagini, le storie, i volti delle persone per comprendere che quel sostegno è assolutamente necessario. E’ un segno semplice ma è anche un grande atto di giustizia».


“Stories di casa nostra”, “Se davvero vuoi”


La campagna, ideata per l’agenzia Another Place da Stefano Maria Palombi che firma anche la regia, è pianificata su tv, con spot da 40”, 30” e 15”, web, radio, stampa e affissione. Le foto sono di Francesco Zizola.


Sul web e sui social sono previste due campagne ad hoc: “Stories di casa nostra”, che mette in luce i profili di alcuni volontari come Simona, responsabile del progetto per le vittime di tratta, e “Se davvero vuoi”, brevi video dei protagonisti delle opere, volutamente senza sonoro per catturare l’attenzione degli utenti rimandandoli al sito per conoscere le loro storie.


Ogni anno, grazie alle firme dei contribuenti, si realizzano, in Italia e nei Paesi più poveri del mondo, oltre 8mila progetti attraverso le tre direttrici fondamentali di spesa: carità in Italia e nel Terzo mondo, sostentamento dei sacerdoti diocesani, culto e pastorale.


L’8xmille alla Chiesa cattolica


Destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica equivale, quindi, ad assicurare conforto, assistenza e carità tramite una scelta che si traduce in servizio al prossimo. La Chiesa cattolica, ogni anno, si affida alla libertà e alla corresponsabilità dei fedeli e dei contribuenti italiani per rinnovarla, a sostegno della sua missione.


L’utilizzo dei fondi è rendicontato sul sito istituzionale www.8xmille.it dove si può consultare la Mappa 8xmille, interattiva ed in continuo aggiornamento, che geolocalizza e documenta con trasparenza quasi 20mila interventi già realizzati. Un’intera sezione è dedicata al rendiconto storico della ripartizione 8xmille a livello nazionale e diocesano mentre nell’area “Firmo perché” sono raccolte le testimonianze dei contribuenti sul perché di una scelta consapevole.


Disponibile sia sul sito 8xmille.it che nel relativo canale YouTube il video relativo alle opere della Caritas Idruntina racconta, attraverso la testimonianza del direttore Caritas, delle suore, dei volontari e dei responsabili di progetto tante iniziative, articolate sul territorio diocesano, con il comune denominatore del sostegno, dell’ascolto e dell’inclusione sociale.


Approfondimenti

Gli anni passano, le tradizioni cambiano, in meglio o in peggio?

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti..

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di Hervé Cavallera

Con le Festività di inizio novembre si è entrati nell’ampio periodo delle feste di fine anno con tutte le celebrazioni rituali che esse implicano. Ora, già da un remoto passato l’essere umano ha avvertito con perplessità la fine della bella stagione, l’allungarsi del buio nelle giornate e l’appressarsi del freddo.

Ed ha collegato la fine della stagione calda e luminosa con la fine di un ciclo, che non è soltanto quello solare, ma soprattutto quello della stessa vita. Ha colto cioè il senso del trapasso con tutte le incognite ad esso legate, sì da elaborare nel corso dei millenni dei riti di passaggio tra questa e l’altra vita oltremondana. Al tempo stesso, si è pensato di illustrare il cammino del tempo secondo calendari legati al ciclo solare e a quello lunare.

Così per diverse popolazioni dell’antichità, tra cui i Celti che risiedevano principalmente nel centro Europa, il transito tra un anno e l’altro era previsto con l’attuale 1° novembre e in quel giorno, essendo poco netta la transizione tra la luce e le tenebre, il mondo dei vivi si mescolava con quello dei morti e questi ultimi potevano riapparire.

Non a caso il 2 novembre, che seguiva Ognissanti, fu scelto come il giorno della commemorazione dei defunti ed è triste constatare come oggi tanti cimiteri monumentali siano praticamente abbandonati.

Ora, il primo calendario che unificò il mondo mediterraneo fu quello giuliano, ideato dall’astronomo greco Sosigene e divenuto operativo nel 46 avanti Cristo con Giulio Cesare.

Tale calendario rimase in vigore sostanzialmente sino al 24 febbraio 1582 quando papa Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissimas, lo sostituì con vari ritocchi con il calendario tuttora esistente detto appunto gregoriano.
Il mondo cristiano ha poi inserito varie ricorrenze a tutti note, fissando le feste di precetto, ossia quelle in cui i fedeli sono particolarmente tenuti alla partecipazione della messa.

Per i cattolici sono: tutte le domeniche; Capodanno (1° gennaio); Epifania (6 gennaio); Assunzione di Maria Vergine (15 agosto); Tutti i Santi (1° novembre); Immacolata Concezione (8 dicembre); Natale (25 dicembre).
Accanto alle feste religiose ogni Stato ha aggiunto per suo conto le feste civili, tra le quali in Italia ricordiamo almeno il 1° maggio (festa dei Lavoratori) e il 2 giugno (festa della Repubblica).

È evidente che se la divisione del tempo in anni, mesi, settimane, giorni, corrisponde ad una esigenza di dare ordine in una realtà ciclica (il rinnovarsi delle stagioni), il concetto di festa si collega, per l’aspetto civile, ad un evento di cui si è particolarmente orgogliosi, e, per quello religioso, è volto ad onorare la Divinità e i Santi.

Sotto tale profilo la festa sia religiosa sia civile non è da intendersi come una vacanza, ma come una celebrazione. Certo nei giorni festivi non si lavora, ma essi non si dovrebbero intendere come meramente vacanzieri.

Festa o vacanza?

Al contrario, dovrebbero servire a raccogliere i componenti di una comunità, quotidianamente intenti ad attività differenti, in uno spirito celebrativo comune.

Una comunanza soprattutto spirituale che può naturalmente trovare un momento gioioso particolarmente nei pasti che una volta erano frugali per i più e ai quali si riusciva a fare qualche eccezione nei giorni di festa.
Così a Natale si poteva arricchire la tavola con il panettone o il pandoro, come nel cenone di Capodanno si mangiavano lenticchie (ritenute ben auguranti) e cotechino.

Sono solo pochi esempi di cibi per così dire “nazionali”, mentre ogni regione aveva (e in gran parte ha) i suoi piatti tipici. Per tale aspetto, nelle feste (e soprattutto in quelle religiose) il sacro si mescola col profano, la speranza del premio ultraterreno con il buon piatto, il senso della fratellanza spirituale con quello della buona compagnia. In ogni caso si percepisce o si dovrebbe percepire il riconoscimento del sacro confermato dalla grazia di star bene.

È così ancora oggi? Non proprio. Nella nostra società si è imposto e si va imponendo un modo di essere sempre più materialistico e consumistico. L’esempio più vistoso è Halloween, la notte di Tutti i Santi, che alla luce di evidenti influenze anglosassoni, è divenuta la festa del macabro e del soprannaturale in una atmosfera neopagana e consumistica. Che dire poi di prodotti come il panettone o la colomba che si cominciano a vendere mesi prima di Natale o di Pasqua?

Le due stesse massime festività della Cristianità (la nascita di Cristo e la Sua resurrezione) passano quasi in second’ordine nella loro specificità di fronte alle spese, ai doni e a quant’altro di godereccio possa esistere. Anche in questo caso occorre precisare che non vi è nulla di male nel mangiare il panettone e la colomba, che è bene brindare purché non si ecceda, che qualche bambino può ben dire Trick or Treat (Dolcetto o Scherzetto).

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti (si pensi alle processioni, ai piatti particolari e così via), ora tutto si va modificando e si impone solo la dimensione del consumo e dello spettacolo.

Certo, il mondo da sempre va cambiando ed è così, ma il mutamento positivo è quello che sa conservare i valori e mettere da parte l’inutile; in tal modo una civiltà cresce e si sviluppa e le persone maturano. Che le cosiddette tradizioni rimangano solo per attrarre turisti o per generare consumi certamente non è positivo e rischia di ridurre tutta la realtà al semplice godimento – non sempre corretto né di tutti – dell’immediato.

Quello che veramente oggi dovrebbe contare, in una società dove soffiano pericolosi venti di guerra e l’Occidente è pervaso da un edonismo individualistico, è il recupero della dimensione spirituale che accomuna gli animi e li rende aperti al dialogo e agli affetti disinteressati.

E da tempo immemorabile tale è stato il compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, istituzioni che attraversano un momento non facile, ma nel rilancio della loro funzione risiede la salvezza di un Occidente che va spegnendosi nelle luci artificiali dei consumi.

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Approfondimenti

Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte

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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.

I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.

Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.

La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.

Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».

Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».

PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI

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PER APPROFONDIRE SU MURETTI A SECCO E PAJARE CLICCA QUI

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Muretti a Secco e Pajare

Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre

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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)

Dario ha fatto della sua passione un lavoro.

Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».

Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».

Qual è in particolare il tuo lavoro?

«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».

In particolare, a cosa ti riferisci?

«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».

Il cemento non lo utilizzi affatto?

«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».

Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?

«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».

E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?

«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».

Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»

Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:

«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».

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