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News & Salento

Pasqua d’altri tempi

I sepolcri, la processione del Venerdì santo, la festa domenicale, Pasquetta, tutti vissuti con una partecipazione corale nella quale la cittadinanza ritrovava l’unità spirituale

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di Hervé Cavallera


Il prof. Hervé Cavallera


Una volta, come si diceva quando si iniziava a raccontare le favole, almeno sino ai primi anni ’60 dello scorso secolo, l’attesa delle Feste era davvero importante per gli abitanti dei nostri paesi.


Di là dagli aspetti liturgici che hanno subìto consistenti modificazioni a partire dal 1962 (nel marzo del 1965 si è tenuta la prima messa in italiano e non in latino), già Domenica delle Palme si respirava un’aria nuova quando gli adulti maschi portavano a casa i rametti benedetti di ulivo e di palma, mentre altri rami benedetti erano portati in campagna a protezione della coltivazione.


Da parte loro, gli studenti pensavano già alle vacanze.


In effetti nella Settimana Santa sacro e profano si mescolavano e l’attesa della Pasqua suscitava sentimenti profondi.


Giovedì Santo


Prescindendo in questa sede dall’analisi della liturgia e lasciandomi andare ai ricordi di anni lontani, vissuti a Tricase, la prima giornata importante per noi ragazzi era Giovedì Santo.


Nella serata era celebrata la messa in coena Domini con cui si ricordava l’ultima cena di Gesù e si ripeteva la lavanda dei piedi che Cristo aveva effettuato agli Apostoli come esempio di estrema umiltà.


Le campane venivano poi legate in segno di lutto e avveniva la Velatio, cioè la velatura degli altari, delle croci e delle immagini presenti nelle chiese.


Venivano quindi realizzati nelle varie chiese di ogni paese i sepolcri, i sabburchi come si dice in dialetto.


I sabburchi riguardano l’altare della reposizione, cioè del tabernacolo in cui, nella liturgia cattolica, vengono riposte e conservate dopo la Missa in coena Domini le specie eucaristiche consacrate per essere poi distribuite ai fedeli.


I sepolcri erano addobbati con grano o altri cereali fatti germogliare e con piante e fiori.


I devoti di ogni chiesa facevano a gara per realizzare il “sepolcro” più bello e ricordo molto bene come i Tricasini si disponevano a visitare tutte le chiese cittadine per pregare e per ammirare i sepolcri.


Vi era un’atmosfera particolare.


L’andirivieni delle persone, molte delle quali proferivano preghiere ad alta voce, riusciva a trasmettere un senso di tristezza e di stupore.


Era poi praticata l’Ora santa, un’ora di preghiera da farsi possibilmente dalle 23 alle 24, nella quale i fedeli meditavano l’agonia di Gesù nell’orto degli ulivi. L’altare era vegliato da due confratelli inginocchiati.


Venerdì Santo


Il Venerdì Santo, poi, si faceva digiuno e la radio e la televisione (per i pochi che l’avevano, essendo la tv presente in Italia dal 1954) trasmettevano musiche sacre e programmi religiosi, il che incupiva non poco l’animo dei fanciulli.


Poiché era costume che mezzogiorno fosse avvisato dal suono delle campane ed essendo queste legate, l’ora era comunicata da una persona che percorreva le strade della propria parrocchia con la trozzola, uno strumento di legno caratteristico per il suono secco e crepitante, un po’ fastidioso, significativo di una mesta giornata.


Seguiva poi la Via Crucis, la solenne processione del Venerdì Santo, a cui partecipavano tutte le confraternite con i membri incappucciati. Lunghissima, la processione portava la statua di Cristo morto a cui seguiva a distanza quella della Madonna Addolorata.


Ci si fermava ogni tanto nelle 14 stazioni volte a ricordare la sofferenza di Cristo (Gesù è condannato a morte, le tre cadute di Gesù, Veronica che asciuga il volto di Cristo, Gesù inchiodato ecc.).


Il tutto al suono di marce funebri.


Si coglieva molto bene la sofferenza di Gesù e lo strazio della Madre.


Quasi tutti i paesani si confessavano nel pomeriggio.


Al sabato

Il sabato era il giorno dell’attesa, del silenzio e della meditazione.


Lento da trascorrere.


Intorno alle 22 si andava a messa.


I ragazzi facevano fatica per resistere a stare svegli.


A mezzanotte le campane venivano slegate e fatte suonare a festa annunciando la resurrezione.


La statua di Cristo, prima velata, era scoperta ed Egli appariva come risorto, trionfante, apportatore di vita eterna.


PASQUA


Domenica, Pasqua, era ovviamente giorno di grande festa.


Ci si vestiva con l’abito migliore, si usciva di casa e si scambiavano gli auguri.


Momento importante era il pranzo a cui si dedicavano con cura le donne di casa.


Di solito si mangiavano sagne o orecchiette con la carne (o di maiale o di pollo).


Come dolce le mamme preparavano la cuddhura (dal greco antico koddura), una sorta di ciambella intrecciata, una specie di pagnotta con uova sode.


Poteva avere varie forme e denominazioni specifiche: a forma di corona, di cuore (lu core), di gallo (lu caddhuzzu) o di bambola (la pupa).


Naturalmente il gallo rappresentava la virilità per i maschietti, la pupa la fertilità per le femminucce. A tavola non mancava il vino per gli adulti.


Pasquetta


Importante per i ragazzi era il lunedì successivo a Pasqua, detto anche lunedì dell’Angelo o lunedì in Albis, più comunemente Pasquetta (Pascareddha in dialetto).


La ricorrenza è quella delle donne che si recarono al sepolcro di Gesù e trovarono l’Angelo che annunciò loro la resurrezione.


Pasquetta rappresentava la giornata del pasto all’aperto in campagna.


In anni in cui le automobili erano poche, si facevano tante passeggiate.


A Pasquetta ci si riuniva in gruppo, si portava la cuddhura e quanto altro era rimasto del giorno prima e si mangiava fuori: era una sorta di rito di iniziazione in cui si cominciava a staccarsi da casa, ad essere indipendenti.


Con un po’ di malinconia, perché il giorno dopo si sarebbe tornati a scuola.


E si rientrava a casa di solito un po’ sbronzi!


Così, se dovessi riassumere cosa mi rimane della Pasqua di tanti anni fa dovrei ricordare i sepolcri, la processione del Venerdì santo, la festa domenicale, Pasquetta con quello che significavano e significano.


Si trattava soprattutto di una partecipazione corale nella quale la cittadinanza ritrovava la propria unità spirituale.


Attualità

«Stiamo costruendo il futuro di Matino»

Videointervista con le anticipazioni dell’intervista al sindaco di Matino Giorgio Salvatore Toma in uscita, in versione integrale, sul prossimo numero dell’edizione cartacea de “il Gallo”

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di Giuseppe Cerfeda

Dal Premio nazionale ELOGE per la buona governance, ai progetti per il futuro.

Il sindaco di Matino Giorgio Salvatore Toma ospite in redazione.

I finanziamenti del PNRR, i progetti già realizzati, l’attenzione per il centro storico, l’albergo diffuso, il desiderio di restituire alla comunità la Storica Cantina Matinese, il terzo mandato, la preoccupazione per la diffusione della droga nel nostro territorio, tra gli argomenti trattati.

Nel video in basso un’anticipazione dell’intervista che sarà pubblicata integralmente sul prossimo numero dell’edizione cartacea de “il Gallo”, in distribuzione nel fine settimana.

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News & Salento

Ci pensiamo più ai nostri nonni?

L’età media si è alzata, ma spesso gli anziani restano soli. La nostra modernità liquida, tanto decantata li ha resi avulsi e privati del loro ruolo tradizionale

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Anche se il 28 luglio è passato da un po’, ci piace soffermarci, in questa occasione, su la “Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani”.

Una ricorrenza voluta da papa Francesco e istituita per onorare il ruolo dei nonni nella società.

Durante un’udienza in Vaticano, uno dei bambini presenti, ha domandato al Pontefice: «Papa Francesco, chi sono i tuoi Supereroi?».

Il Santo Padre dopo un attimo di esitazione ha risposto: «I miei supereroi sono i nonni!».

Il piccolo è rimasto per un attimo sorpreso, poi ha sorriso e è taciuto. Credo che la maggioranza di noi sia concorde col Pontefice, sul fatto che i nonni, gli anziani siano effettivamente un patrimonio dall’inestimabile valore. Si, dei Supereroi! Non tanto perché incarnano l’uomo nella sua essenza antropologica, quanto perché costituiscono l’autentica sostanza spirituale.

A quel bambino resterà per sempre nella memoria la risposta del Pontefice.

Anche perché, secondo gli esperti dell’infanzia, le capacità migliori a livello mnemonico di un bambino si registrano proprio nella fascia di età compresa fra i 3 e i 7 anni.

Certo è che la globalizzazione ha cambiato parecchio la considerazione sulla figura degli anziani, che nel tempo hanno modificato, mandando in frantumi il modello dei vecchio Nonno cui eravamo abituati.

I tempi cambiano ed anche le persone. Così i nostri nonni.

Gli anziani hanno dovuto omologarsi ad una società frenetica e individualista. Una società che li ha trascurati e relegati ai margini.

Il filosofo Tommaso Campanella sosteneva che la vecchiaia è come una candela che si spegne lentamente, ma le essenze primarie dell’uomo rimangono, sono quelle della sua origine: la potenza, la sapienza, l’amore.

I nonni conservano nella loro natura e nell’esperienza che si portano appresso i valori universali di cui parla il filosofo.

La scienza medica ha allungato l’età anagrafica; la medicina, ora anche con l’Intelligenza Artificiale ha guarito e guarisce molte malattie che nel passato non avrebbero consentito di sopravvivere. Abbiamo i “Chatgpt”, i robot, gli umanoidi che danno manforte e supporto ai medici a livello terapeutico per le malattie della senilità, alleviando la sofferenza e debellando anche alcuni mali che una volta erano ritenuti incurabili.

Ci sono anche i robot di compagnia, da poco tempo testati per allentare la solitudine di cui gli anziani sono spesso succubi. Allo stesso modo, gli umanoidi, robot di ultima generazione, già testati ma non ancora diffusi su grande scala, possono assurgere persino a ruoli sentimentali senza alcun vincolo e con la promessa di portare conforto, sollievo e tenerezza tra i nonni e gli anziani che restano soli.

Chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbe arrivati a questo?

Ammettiamolo: c’è da rimanere sgomenti!

La nostra modernità liquida, tanto decantata ha reso l’anziano avulso e privo del suo ruolo tradizionale.

Lo ha relegato, in taluni casi, in luoghi dalla dicitura altisonante, che rasentano il mistico ed il surreale ma che, nella sostanza, sono spesso intrisi d’una tristezza infinita… Gli anziani non cercano giuochi o balli, non vogliono mettersi in mostra, in vetrina con copioni risibili e da macchietta. Piuttosto cercano serenità, l’affetto dei propri cari in modo costante e continuativo.

Il sorriso d’un congiunto è diverso da quello collettivo, è permeato di valore affettivo e amorevole essenza.

I nostri nonni sono i custodi delle fiabe e dei racconti.

In loro dimora la saggezza della vita, che il tempo non può corrodere né vincere.

I nostri nonni, i nostri anziani sono il baluardo della nostra conoscenza perché sono “abitati” dalla storia, retaggio incontestato della nostra identità culturale.

Il loro è un disincanto d’una dimensione magica ed immortale, un toccasana per l’eternità.

Alberto Scalfari

 

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Lecce

Pantaleo Corvino, il maggior artefice del successo della rosa giallorossa

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Pur non essendo una delle protagoniste storiche della Serie A, il Lecce è senza dubbio tra le squadre che più sono cresciute negli ultimi anni. Terzo club del Mezzogiorno per numero di campionati disputati, quest’anno la squadra di Gotti è alla sua quarta partecipazione consecutiva in Serie A. Un vero e proprio successo, il cui merito va attribuito principalmente al DS Pantaleo Corvino, che ha ricoperto un ruolo centrale nella ristrutturazione della rosa giallorossa, il cui valore attuale si aggira intorno ai 100 milioni di euro.

La ristrutturazione avviata da Corvino

L’arrivo di Corvino al Lecce risale all’agosto 2020, subito dopo la retrocessione del club in Serie B. Il suo contributo nel processo di ricostruzione della squadra si è rivelato determinante fin dal primo giorno, tanto che i frutti della sua gestione non hanno tardato a manifestarsi. Quando Corvino subentrò a Mauro Meluso, di fatto, il valore della rosa giallorossa ammontava a circa 52 milioni di euro, cifra che al termine del primo anno in Serie A era già raddoppiata, arrivando a toccare i 105 milioni di euro.

Scouting internazionale 

A detta degli esperti, le ragioni del successo di Corvino, che in soli 4 anni è riuscito a rafforzare la squadra sia dal punto di vista sportivo che sul piano finanziario, sono da attribuire a un’intensa opera di scouting, unita al ricambio strategico dei giocatori. Questo approccio ha permesso al club di scovare giovani di grande prospettiva, da valorizzare e far crescere all’interno del proprio vivaio, fino a convertirli in veri e propri talenti in grado di generare importanti plusvalenze con la loro cessione. Ma ha anche contribuito a far crescere l’interesse degli appassionati di scommesse calcio, sempre più attenti all’evolversi del mercato giallorosso.

I talenti della stagione in corso

Anche nella stagione in corso, sono tanti i giocatori che portano la sua firma. Uno dei più promettenti è sicuramente Morente, un gioiellino offensivo dalla spiccata intelligenza tattica che, a detta del Betfair blog, potrebbe essere l’innesto giusto per dare dinamicità alla manovra giallorossa.

Tuttavia, il vero fiore all’occhiello del club rimane Patrick Dorgu, giovane terzino classe 2004, ad oggi il più quotato della rosa. La sua scalata ha subito una forte accelerazione durante le prime giornate di campionato, tanto che Corvino ha confermato la sua intenzione di prolungarne il contratto fino alla prossima estate, puntando a una rivalutazione di mercato, che potrebbe generare – ancora una volta – una plusvalenza importante.

Lecce, un club dal futuro promettente

La gestione societaria di Corvino rappresenta un modello di successo, che ha consentito alla squadra salentina di consolidare la propria presenza in Serie A, trasformandosi in una delle realtà più dinamiche del panorama calcistico attuale. Questo approccio lungimirante ha permesso al DS di conquistare il sostegno dei tifosi, che ora assistono alle partite della giallorossa con rinnovato entusiasmo. A testiomoniarlo, ci sono gli straordinari numeri della campagna abbonamenti per la stagione in corso (21.677 iscritti), segno di una profonda fiducia nella squadra e nel progetto sportivo avviato da Corvino.

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