Cronaca
Tricase Porto, Villa Sauli: «Vietato abbattersi, obbligatorio abbattere!»
L’ex consigliera comunale Francesca Sodero dopo la notizia di un nuovo ricorso al Tar da noi pubblicata per primi: «Non cali il silenzio sul nuovo ricorso contro l’abbattimento dell’Ecomostro. Negli ambienti legali non c’è timore per la messa in discussione della sentenza di demolizione e, anzi, c’è chi è pronto a confermare che tecnicamente il procedimento potrebbe serenamente andare avanti anche ignorando l’attuale ricorso»

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Dopo che ha fatto capolino, in esclusiva, sul nostro sito, la notizia di un nuovo ricorso al Tar di una degli eredi e di possibili nuove lungaggini prima dell’agognato abbattimento si continua a discutere di Villa Sauli.
In particolare è tornata sull’argomento Francesca Sodero, consigliera comunale durante il mandato di sindaco di Carlo Chiuri, quando, cioè, è stata condotta e vinta (lo dicono le sentenze) la battaglia per l’abbattimento dell’ecomostro di Tricase Porto.
Di seguito l’intervento della ex consigliera comunale.
«Ricordo che a giugno 2019, a seguito dell’accoglimento della sospensiva relativa all’ordinanza di demolizione del 2019 da parte del TAR, la cittadinanza fu investita dallo sconforto, abbandonandosi velocemente alla vulgata: “tanto non cambierà mai nulla!”.
Non fu facile dare fondo al poco ottimismo rimasto per invitare i cittadini a continuare a crederci.
Lo sforzo non fu vano e i risultati, dopo quasi 5 anni, arrivarono grazie alla perseveranza di una leadership politica cui non mancava di certo il coraggio, una qualità che oggi non è facile riscontrare.
Eppure tutti gli attuali amministratori, chi più chi meno, sono proseliti del presidente Emiliano, che deve buona parte del suo successo politico (non dico elettorale, perché su quello sono già ampiamente evocative le cronache giornalistiche) ai detonatori su Punta Perotti.
Ebbene, il 30 aprile scorso, per merito de “Il Gallo”, siamo venuti a conoscenza di una nuova problematica, ossia di un nuovo ricorso al TAR che poggerebbe su un difetto di notificazione. Leggendo gli atti pubblicati sull’albo pretorio si deduce che una degli eredi lamenterebbe l’omessa notifica della seconda ordinanza di demolizione (datata 6 marzo 2019), quella confermata dal Consiglio di Stato per intenderci, mentre avrebbe ricevuto la prima ordinanza sindacale di dicembre 2018, quella emanata dal sindaco Carlo Chiuri per motivi di sicurezza pubblica.
È lecito pensare ad una precisa strategia processuale per prendere tempo, perché è diversamente inspiegabile il motivo per il quale questa comproprietaria non abbia fatto ricorso insieme agli altri avverso la prima ordinanza, abbia continuato così a dormire sonni tranquilli, restando all’oscuro dell’esito del ricorso sulla prima ordinanza del 2018 e restando anche all’oscuro del contenuto della dichiarazione di inefficacia della SCIA presentata dai comproprietari per tentare di consolidare l’immobile. Entrambi questi documenti, infatti, menzionano l’incriminata ordinanza di demolizione del 2019.
La sentenza sul ricorso relativo alla prima ordinanza, quella sindacale del 2018, dichiarò l’improcedibilità del ricorso stesso proprio in base all’emanazione della seconda ordinanza nel 2019 e risulta difficile pensare che l’attuale ricorrente non si sia preoccupata di informarsi sul destino della predetta ordinanza che, in mancanza di impugnazione, avrebbe determinato il rischio di vedersi abbattuto l’immobile.
Per quanto riguarda invece la SCIA presentata dopo l’ordinanza di demolizione del 2019, bisogna tener conto che dovrebbe essere stata presentata con l’assenso di tutti i comproprietari, risultando difficile pensare che il relativo provvedimento di rigetto, contenente il riferimento proprio all’ordinanza del 2019, sia stato effettivamente ignorato dall’interessata; anzi, bisognerebbe dare per scontato che ne abbia avuta cognizione se non altro indirettamente.
Restano riflessioni poggiate su una documentazione incompleta e sulle confuse parole del sindaco e sarebbe davvero utile sentire la voce dei consiglieri comunali e degli assessori su tutta la vicenda, in primis di quelli che festeggiarono prontamente per la sentenza di rigetto del ricorso dello scorso dicembre.
Scopriamo che il nuovo ricorso è stato notificato al comune il 23 marzo scorso, la delibera di giunta che decide per la costituzione in giudizio risale al 18 aprile, mentre è dal 30 aprile che il caso è stato reso noto sulle testate giornalistiche locali. Alla stessa data (30 aprile) risale la determina dirigenziale di affidamento dell’incarico al legale che rappresenterà il comune in giudizio, quindi anche da questo punto di vista si può ben presumere che il risalto mediatico abbia svolto un ruolo nell’accelerare i tempi di risposta del Comune.
Sarebbe d’aiuto che le opposizioni rompessero il silenzio insieme a tutto quel movimento che alla fine dello scorso febbraio si compattò al grido “Abbattiamo l’ecomostro!”.
È nei momenti difficili che la politica dovrebbe metterci la faccia, non solo quando c’è da cavalcare l’onda dei successi altrui. Sarebbe interessante capire se oggi siano ancora tutti in prima linea o se al primo soffio di vento ci sia stato un generale ammutinamento. È dalle minoranze che un’amministrazione trae la forza per condurre congiuntamente le battaglie più difficili ed è nel silenzio delle stesse che si costruiscono alibi e complici dimenticanze.
Negli ambienti legali non c’è timore per la messa in discussione della sentenza di demolizione e, anzi, c’è chi è pronto a confermare che tecnicamente il procedimento potrebbe serenamente andare avanti anche ignorando l’attuale ricorso. Questo solo per ribadire che anche oggi il mio messaggio resta il medesimo: non dobbiamo scoraggiarci, usiamo il tempo per coltivare fiducia nella giustizia e allenare la nostra forza d’animo».
Alliste
Un ettaro di discarica abusiva
Carabinieri forestali a tutela del vincolo paesaggistico. Ad Alliste sequestrata vasta area quadri utilizzata come discarica di rifiuti anche pericolosi. Denunciato il proprietario

I Carabinieri Forestali del Nucleo di Gallipoli sono intervenuti ad accertare una situazione di gestione di rifiuti, su una vasta area in zona tutelata per il paesaggio, ai sensi del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (categoria “Immobili ed aree di notevole interesse pubblico” del cosiddetto “Codice Urbani”), risultata del tutto illecita.
L’ episodio riguarda un terreno in località Perni in agro di Alliste, della superficie di quasi un ettaro (9mila metri quadri), per due terzi ricoperto da rifiuti di ogni tipo, in parte livellati e spianati.
I materiali abbandonati al suolo erano composti prevalentemente da scarti di demolizioni edili, compresi infissi in legno, ferro e plastica, pannelli in cartongesso, nonché rifiuti pericolosi come contenitori con residui di vernici, solventi, silicone.
Al margine di questo piazzale di rifiuti erano stati realizzati un locale in lamiera della superficie di 30 metri quadri, ad uso deposito, e un altro in pietra a secco, con antistante pavimentazione in piastrelle e tufo granulare.
A parte la gestione illecita dei rifiuti, le suddette opere sono risultate abusive, mancando qualsiasi titolo autorizzativo.
Per di più, come detto, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, e caratterizzata da vegetazione spontanea a macchia mediterranea.
Ad evitare il protrarsi degli abusi, i Carabinieri Forestali hanno sottoposto a sequestro preventivo l’ intera area, e denunciato alla Procura della Repubblica di Lecce il proprietario, un 70enne del posto.
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Cronaca
Condannato per omicidio e latitante: era in un B&B, in riva al mare
Arrestato a Torre Lapillo Carmine Mazzotta l’uomo che nel 1999, a capo di un commando di 4 persone, fu l’esecutore materiale dell’assassinio del 21enne Gabriele Manca

Si nascondeva nella camera di un B&B a Torre Lapillo, Carmine Mazzotta, latitante dall’8 marzo di quest’anno dopo la sua condanna a trent’anni di carcere per omicidio, confermata il giorno prima dalla Cassazione.
A stanarlo sono stati i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando Provinciale, che dopo la sua fuga non hanno mai abbandonato l’idea di trovarlo ancora in zona.
Si è chiusa così la latitanza del pregiudicato 51enne, sparito dalla circolazione dal 7 marzo di quest’anno, poche ore dopo la sentenza definitiva della Cassazione che aveva confermato la condanna a 30 anni di carcere, inflittagli dalla Corte d’Assise d’Appello di Taranto il 30 maggio scorso poiché riconosciuto colpevole di omicidio in concorso, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.
L’omicidio in questione fu commesso il 17 marzo 1999 quando fu assassinato il 21enne Gabriele Manca, coinvolto in contrasti legati allo spaccio di droga e poi ucciso in una zona di campagna compresa tra Lizzanello e la frazione di Merine, a pochi chilometri da Lecce.
Il cadavere del giovane venne ritrovato il 5 aprile successivo, giorno di Pasquetta.
Manca, secondo il quadro ricostruito dai Carabinieri del ROS diciotto anni dopo il delitto, fu ucciso a colpi di pistola sparatigli alle spalle con una Tokarev semi-automatica calibro 7,62, mentre tentava la fuga da un commando di quattro persone che aveva organizzato una vera e propria esecuzione.
Nel commando anche Carmine Mazzotta, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio, ossia colui che ha premuto il grilletto, tirato in ballo anche da due collaboratori di giustizia.
Dopo la condanna in primo grado a trent’anni con il rito abbreviato e conferma della pena in appello, i giudici della Cassazione avevano annullato con rinvio la condanna per Mazzotta, ragion per cui era stato instaurato un nuovo processo d’appello a Taranto.
In seguito alla decisione definitiva della condanna a trent’anni arrivata il 7 marzo 2025, l’uomo si era reso uccel di bosco ma, alla fine, è stato rintracciato dai Carabinieri del Nucleo Investigativo, all’esito di un’articolata indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia.
Dopo prolungati appostamenti, servizi di osservazione e ricognizioni, i militari dell’Arma hanno individuato il presunto nascondiglio del latitante presso un B&B di Torre Lapillo, poco distante dalla spiaggia.
Sono rimasti appostati giorno e notte per essere sicuri che fra gli ospiti della struttura ci fosse proprio il 51enne da catturare.
Prima di entrare in azione, due carabinieri hanno prenotato una stanza spacciandosi per una coppia di turisti arrivati in Salento per il “ponte” festivo.
Una volta individuata la camera occupata dal latitante, hanno avvisato le altre pattuglie che hanno circondato la struttura ricettiva e fatto irruzione, cogliendolo di sorpresa.
Il 51enne, che naturalmente aveva trovato rifugio nel b&b senza fornire veri nome e cognome, al momento dell’arresto era da solo e non ha opposto resistenza, mostrandosi sorpreso per l’arrivo degli investigatori.
Ha raccontato che, per non farsi scoprire, aveva evitato qualsiasi rapporto con l’esterno, approfittando della vicinanza al mare per fare qualche passeggiata e concedendosi solo qualche sporadico spostamento nei dintorni per fare la spesa.
L’uomo aveva con sé vari telefoni e diverse utenze telefoniche, oltre a capi di abbigliamento estivi e invernali.
Non è escluso, pertanto, non stesse pensando di spostarsi altrove per prolungare la sua latitanza.
Il 51enne è stato quindi portato in carcere a Lecce, dove dovrà scontare la pena definitiva.
Nel frattempo, con gli elementi acquisti durante le ricerche, sono in corso ulteriori indagini da parte dei carabinieri, mirate a ricostruire il periodo di latitanza e a scoprire le persone che lo hanno protetto e aiutato dal giorno della sua fuga.
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Cronaca
Lecce da applausi. Lezione all’Italia pallonara
Sulle linee guida dettate dal presidente Saverio Sticchi Damiani giallorossi campioni di comportamento e stile. Anche nella difficoltà estrema, tra il devastante dolore per l’improvvisa e tragica scomparsa del fisioterapista Graziano Fiorita e l’imbarazzo di dover andare a giocare una partita con la morte nel cuore…

Il lunedì è costume molto italiano discutere delle partite del fine settimana, celebrare la vittoria della propria squadra, sfottere chi tifa per una squadra diversa dalla tua o prendersela con l’arbitro di turno.
Oggi ci accodiamo anche noi, ma l’argomento seppur sempre calcistico, è molto diverso.
Vogliamo rendere onore al Lecce del presidente Saverio Sticchi Damiani.
Il presidente, un Signore, che sicuramente ha poco a che vedere con certi personaggi che gravitano (e comandano) nel mondo del calcio, ha sempre detto che il suo Lecce deve essere portabandiera dell’intero Salento anche nel comportamento e nello stile.
Ed è stato di parola!
Anche nella difficoltà estrema, tra il lutto che devasta per l’improvvisa e tragica scomparsa del fisioterapista Graziano Fiorita e l’imbarazzo di dover andare a giocare una partita con la morte nel cuore.
Morte non certo sportiva, perché anche salvezza e retrocessione sono termini che, davanti alla vita umana, perdono di significato.
Pur nelle difficoltà di cui sopra, il presidente, la società e la squadra hanno messo in piedi un capolavoro.
E non ci riferiamo certo al pareggio di Bergamo, che pure rimane un risultato straordinario.
Ci riferiamo alla protesta civile messa in atto senza violare le regole, senza sceneggiate ed isterie.
Il Lecce ieri sera ha indossato una maglia bianca senza loghi e con la scritta “Nessun valore. Nessun colore“.
Decisione preannunciata da un comunicato stampa della società che dovrebbe far riflettere tanta gente: «Ad una grave ingiustizia non si risponde violando platealmente le regole, come se per onorare Graziano si debba intraprendere una gara, tra noi e la Lega, a chi fa peggio. Giocheremo la partita “dei valori calpestati”», annunciava il Lecce, «ma lo faremo indossando una anonima casacca bianca, che non ci rappresenta, senza colori, stemmi e loghi. Torneremo a vestire la nostra maglia quando Graziano ritornerà a casa e sarà omaggiato, come merita, dalla sua gente».
I ragazzi in campo hanno mostrato orgoglio e umanità, così come anche il pubblico presente, gli ultrà bergamaschi, hanno applaudito a lungo i giallorossi all’arrivo allo stadio, durante la partita e alla fine.
Non hanno esposto striscioni e, per usare un termine in voga in questo periodo, hanno tifato in modo sobrio, per rispetto della vita umana e di chi tutto avrebbe voluto fare tranne che giocare una partita di pallone.
Ieri il calcio doveva fermarsi, doveva chinare la testa, farsi piccolo davanti alla vita vera.
Non si gioca sopra le lacrime, non si corre sopra il cuore spezzato di una squadra che aveva solo voglia di piangere.
Invece, la Lega ha deciso: si è giocato.
Come se il dolore si potesse mettere da parte.
Come se un uomo fosse solo un numero da sostituire.
Ne possono bastare un minuto di silenzio o una fascia nera al braccio.
La gente comune, le tifoserie, gli appassionati di calcio di tutta Italia si sono schierati senza esitazioni al fianco dei giallorossi e contro chi non conosce più il significato di rispetto, di umanità.
La Lega ha mostrato di avere interesse solo per sponsor e televisioni.
Ha perso l’ultimo briciolo di dignità ed ha tradito chi ama il calcio con il cuore.
Attenzione, però!
Anche un amore incondizionato, come quello di noi italiani per il calcio, potrebbe improvvisamente finire.
Giuseppe Cerfeda
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