Caprarica di Lecce
Compostaggio? Caprarica e Galugnano in subbuglio
In zona “Scaliddra”, la notizia scatena l’ira degli ambientalisti, del web, degli imprenditori agricoli. L’assessore Verri di Caprarica: “Scelta del sindaco di San Donato incorerente”
La questione rifiuti tiene sempre banco in Salento. Il problema dello smaltimento può aprire strade alternative nel tentativo di sfruttare a dovere le sostanze di rifiuto solo apparentemente non riciclabili. Ma il “sistema-spazzatura” da sempre rappresenta un’ottima fonte di guadagno (per pochi) e (storicamente e senza cenno alcuno alle vicende che stiamo per raccontare, su cui si esprimeranno il tempo e i fatti) una delle occasioni migliori per arricchire le casse di chi specula parecchio sulla salute delle persone. Premesso: compostare i rifiuti organici per ottenerne energia pulita sembra un bel modo per ovviare alla spinosa circostanza dell’accumulo di esorbitanti quantità di “monnezza”. Ma non è così semplice. O, perlomeno, non lo è sempre, se le cose non sono fatte come si deve. Come un fulmine la notizia è rimbalzata da parte a parte, percorrendo la brevissima distanza che intercorre tra San Donato e Caprarica di Lecce, 5 km e 6 minuti di automobile, passando per Galugnano, frazione del primo Comune ma separato dal secondo da pochi appezzamenti di terreno e da una lunga discesa. La popolazione è in subbuglio e c’è grande preoccupazione per l’imminente avvenire. Potremmo dire che, in fondo, la notizia era nell’aria, perché parte da lontano.
La ditta IGECO aveva inoltrato, in tempi non sospetti, la proposta della costruzione di una centrale di compostaggio per il trattamento di rifiuti organici. Il gigantesco sito si svilupperebbe in due frammenti, il compostaggio dei rifiuti e la produzione di energia elettrica, una fase aerobica e una anaerobica. L’impero dei rifiuti, che dovrebbe sorgere in zona “Scaliddra” (nelle zone rurali site nei pressi di Caprarica e Galugnano, ma in territorio di San Donato), sta scatenando l’ira degli ambientalisti, del web, degli imprenditori agricoli e di molti cittadini; non quella, però, dell’amministrazione del Comune di San Donato, che fa capo al sindaco Ezio Conte. Si mostra molto preoccupato in proposito l’assessore del Comune di Caprarica ed esponente della sezione PD locale, Oronzino Verri: “Rimaniamo stupiti: proprio il sindaco Conte, insieme al quale, in passato, abbiamo sostenuto battaglie ambientaliste contro i cattivi odori provenienti dalla discarica della vicina Cavallino, ora fa una scelta molto incoerente. E, anche se egli stesso si dice “favorevole, nel rispetto della normativa”, speriamo in un totale ripensamento”. 16 ettari di terreno, 30000 tonnellate (trenta milioni di chilogrammi) di rifiuti l’anno, un costo di realizzazione di 23 milioni di euro: solo alcune delle cifre legate a questo impianto! “Ma non è questo il punto nodale. Qui si parla di benessere dei cittadini: la cosa che non riusciamo a comprendere è come questa struttura possa sorgere a circa 400 metri dall’abitato di Galugnano e a neanche 1 Km da quello di Caprarica! La legge parla chiaro: questo tipo di centrale deve distare almeno 2000 metri dai centri abitati (da tutti: non solo da quello di San Donato!!!, ndc) e 2500 metri dai siti sensibili come scuole, asili, strutture sanitarie con degenza, case di riposo. Il fatto che addirittura i lavori stiano già iniziando –e non riusciamo a capirne i motivi- significa che qualcuno non sta rispettando la legge”. Da registrare la posizione favorevole al progetto, espressa pubblicamente dal Sindaco e da alcuni Assessori di un Comune, quello di San Donato, già circondato da centri di stoccaggio e/o trasformazione dei rifiuti come quello di Cavallino (maleodorante soprattutto in alcuni giorni dell’anno: solo discarica, non tratta l’umido, pensate se lo trattasse!) e non lontano dalla centrale a biomasse di Calimera, sorta pochi anni fa, che tratta ramaglie e risulta comunque di dimensioni ben ridotte rispetto a quello che nascerebbe a Galugnano/Caprarica. Si avrebbero in circa 12 Km tre impianti di deposito dei rifiuti: non è un’esagerazione? “Immaginate i miasmi: la puzza sarebbe eccessiva a così poca distanze dalle case. La rabbia dei cittadini sarebbe amplificata dal fatto che l’impianto non dovrebbe proprio starci in quel punto! La questione è molto seria. Ciò che è “tangibile” è l’odore, non certo un bel profumino, inevitabilmente emanato dall’umido in decomposizione, ma durante la fase finalizzata alla produzione di energia elettrica l’inquinamento dell’aria potrebbe esser tale da mettere in pericolo la salute delle persone” continua Oronzino Verri, che si aspetta “un intervento da parte della Provincia: questo tipo di cose dovrebbero essere evitate perché ledono palesemente il benessere”.
Ci pensa Dario Corsini, responsabile del Servizio Ambiente della Provincia di Lecce a rasserenare, almeno per il momento, gli animi dei battaglieri pro-salute: “Non è stato presentato alcun progetto (al giorno 26 ottobre 2013, ndc), ergo non ci sono state autorizzazioni. Quando e se questo sarà fatto si valuteranno condizioni, rischi e pericoli”.
Contrari gli uomini e le donne della sezione LILT di San Donato (alcuni dei quali hanno passato sulla propria pelle il dramma di un tumore e di certo consiglierebbero di evitare una nuova “occasione di malattia”), contrarissimo Massimo Passabì, presidente del comitato cittadino “SOS Ambiente”: “Non si discute l’importanza e necessità di questa tipologia di impianti per il completamento dei ciclo dei rifiuti, ma l’ubicazione, a soli 400 metri dalle prime case di Galugnano e appena 1 km da quelle di Caprarica. La zona su cui si vuole operare, oltretutto, è di inestimabile valore ambientale, paesaggistico e storico-archeologico. è già incredibile che il nuovo PPTR la tuteli solo in parte…”.
Il sindaco di San Donato di Lecce Ezio Conte sull’impianto
“Favorevole solo alla sua tipologia”
La replica del sindaco di San Donato di Lecce, Ezio Conte, non si è fatta attendere: “Sono stato e continuo ad essere uno strenuo difensore dell’ambiente”, dice il primo cittadino, “e le mie lunghe battaglie contro la discarica di Cavallino sono e continueranno ad essere incisive e costanti. È bene però precisare, che in questo caso non parliamo assolutamente di una discarica, bensì di un impianto di compostaggio che deve accogliere la frazione umida dei rifiuti che altrimenti andrebbe in discarica. Gli impianti di compostaggio possono costituire, oggi, una concreta soluzione. Da amministratori non possiamo continuare ad evitare il problema posponendolo di giorno in giorno e sperando che si risolva da sé; dobbiamo intervenire scegliendo una soluzione che non danneggi il nostro territorio. Il mio parere favorevole”, conclude Ezio Conte, “è quindi rivolto esclusivamente alla tipologia di impianto, fermo restando che siano rispettati tutti i parametri di legge, comprese le distanze da Galugnano e dai paesi confinanti”.
Attualità
L’agricoltura sociale rafforza le imprese salentine
CIA Salentina: gli esiti del convegno che si è svolto nell’ambito di Agro.Ge.Pa.Ciok. Dalla rigenerazione anti-Xylella all’innovazione del comparto primario salentino per una nuova fase
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L’agricoltura sociale rappresenta un’interessante opportunità di sviluppo per le imprese del settore primario. Da un lato, infatti, si possono diversificare le attività delle aziende agricole e, dall’altro, si possono offrire alle comunità locali servizi e luoghi di inclusione.
Per diffonderne la conoscenza e rimarcarne i vantaggi, Cia-Agricoltori Italiani area Salento ha promosso un convegno sul tema, nell’ambito del Salone internazionale della gelateria, pasticceria, cioccolateria e dell’agroalimentare (Agro.Ge.Pa.Ciok), svoltosi a Lecce.
L’iniziativa, presentata e moderata dal direttore provinciale di Cia Salento Emanuela Longo, ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali, esperti e tecnici della materia ma anche di imprenditori ed operatori di lungo corso che hanno portato la loro testimonianza.
Per la Provincia di Lecce è intervenuto il consigliere con delega all’Agricoltura e sindaco di Caprarica Paolo Greco che ha sottolineato quanto l’ente sia impegnato sul fronte della rigenerazione delle aree colpite dalla Xylella fastidiosa e della valorizzazione del paesaggio rurale, ma non solo.
Giuseppe Mauro Ferro, dottore agronomo ed esperto di agricoltura Struttura missione Pnrr, ha fatto dei cenni storici sull’evoluzione dell’agricoltura sociale e ne ha narrato gli esordi in Italia, evidenziando le ricadute positive per il territorio.
Il data analyst Davide Stasi ha snocciolato i numeri del settore e ha fornito i principali indicatori per avere un quadro complessivo.
L’agricoltura sociale favorisce l’inserimento socio-lavorativo di persone con disabilità; incentiva le attività sociali e di servizio per le comunità locali; sostiene i servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative grazie alla coltivazione delle piante e all’allevamento degli animali; promuove progetti finalizzati all’educazione ambientale ed alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio.
Su questi aspetti si è soffermato Vito Paradiso, responsabile tecnico del progetto di agricoltura sociale Utilità Marginale di Fondazione Div.ergo onlus, organizzazione non lucrativa di utilità sociale, che ha come scopo la solidarietà e l’assistenza sociale, la formazione a favore di persone con disabilità intellettiva e, comunque, delle fasce deboli della società, favorendo processi di inclusione.
Infine, Roberta Bruno, presidente della società cooperativa agricola Karadrà, ha raccontato l’impegno di volenterosi giovani agricoltori e i sacrifici da tempo portati avanti al fine di promuovere un’agricoltura sana che rispetti l’ambiente e il territorio.
La cooperativa prende in comodato d’uso terreni abbandonati ed incolti per bonificarli e riportarli a produzione con la tecnica dell’aridocultura. Uno dei loro prodotti più rappresentativi è la penda, una qualità di pomodoro giallo d’inverno, coltivato senza rincorrere all’irrigazione.
Approfondimenti
Costruire salentino, come eravamo
Giuseppe Maria Costantini, Conservatore-Restauratore di Beni Culturali: dalle coperture ai soffitti interni, dagli intonaci ai pavimenti interni ed esterni, dalla “suppinna” alla “loggia”: i caratteri tradizionali tipizzanti dell’edilizia salentina
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di Giuseppe Maria Costantini
(Conservatore-Restauratore di Beni Culturali)
Mi si chiede: «Se qualcuno volesse costruire un’abitazione secondo i canoni della tradizione salentina cosa dovrebbe fare? Quali sono gli aspetti più caratteristici e tipizzanti?».
Le abitazioni del Salento sono sempre state alquanto eterogenee in relazione alla condizione socio-economica e culturale dei loro abitanti, così caratterizzando i vari paesi e quartieri urbani, anche vicinissimi tra loro, inoltre, sono molto cambiate nel corso dei secoli, anche in breve tempo quando ce ne fosse un’importante condizionamento esterno.
Basti considerare che nel Salento, almeno fino al sedicesimo secolo, tutte le coperture degli edifici erano costituite da tetti spioventi e tegole in terracotta, come nel resto d’Italia.
Tra l’altro, la copertura esterna a spioventi corrispondeva largamente a soffitti interni in legno, sia lasciati a vista sia nascosti da incannucciate ricoperte da intonaci a stucco, come nel resto d’Italia.
Tale lunghissima “stagione dei tetti” vedeva anche pavimenti interni che, dove non fossero un umile battuto di terra, erano frequentemente in legno, nudo o variamente rifinito, oppure in terracotta, nuda o financo maiolicata; l’impiantito in pietra era destinato in prevalenza agli spazi esterni, o aperti, nonché a rimesse e opifici.
Tornando alla questione posta: come e più del resto d’Italia, nel Salento il consumo del suolo, dal secondo dopoguerra del Novecento a oggi, è stato enormemente maggiore che dalla preistoria allo stesso secondo dopoguerra; pertanto, non si dovrebbe più consumare neppure un metro-quadrato di terreno agricolo o naturale per costruire checchessia.
Ciò detto, innumerevoli edifici dell’ultimo secolo, privi di particolari valenze storiche o artistiche, necessiterebbero di importanti interventi “di costruzione”.
Si tratta di edifici variamente inefficaci in fatto di materiali di cui sono costituiti, di caratteri strutturali-statici, oppure affatto indecenti in termini di funzionalità, e/o di forma e di aspetto.
In altre parole, le tante costruzioni inadeguate e brutte che ci circondano dovrebbero essere radicalmente demolite e, ove necessario, ricostruite in termini idonei, o, se possibile e opportuno, parzialmente manomesse, recuperandone quanto già idoneo e sostituendone quanto inidoneo.
Che siano totali o parziali, è essenziale che tali auspicabili rigenerazioni tengano nella massima considerazione i caratteri tradizionali e tipizzanti del Salento, anzi, in particolare, che siano armoniche al centro abitato, o alla località di campagna, cui appartengono.
Il nostro grande intellettuale e poeta Vittorio Bodini, in Foglie di tabacco (1945-47), tipizza fantasticamente un carattere cardinale delle abitazioni pugliesi e salentine: «… le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia di un dado».
Tuttavia, neppure l’imbiancatura in bianco vale per ogni località: molti centri abitati, costieri e no, erano caratterizzati da prevalenti imbiancature di calce addizionata a pigmento, fino a ottenerne colori pastello, rosa, ocra gialla, azzurro, turchese, verde, ne era un esempio emblematico Gallipoli.
Perchè spellare le case?
Ne parlo al passato perché negli ultimi decenni è invalsa la deleteria moda di spellare le nostre abitazioni, fino a mostrarne l’orditura muraria in pietra, come si trattasse di un edificio non terminato.
Infatti, restando ai caratteri tradizionali tipizzanti: le abitazioni salentine, dalla più umile al palazzo nobiliare, quando edificate fino a conclusione, all’esterno e all’interno, erano immancabilmente intonacate o, comunque, rifinite con uno strato superficiale, quale rivestimento tradizionale del materiale lapideo costruttivo, con valenze funzionali ed estetiche, e ciò riguardava persino cantine e stalle.
Oltre alle coperture esterne a terrazza, destinate a convogliare le acque piovane nelle cisterne, un altro carattere tipizzante delle nostre abitazioni era la presenza di spazi interni aperti: ortali, giardini, cortili al piano terreno; al piano superiore: terrazze complanari, terrazze soprastanti, spesso dotate di suppinna o attico, nonché verande, balconi e balconcini.
In particolare, le facciate, anche quando di dimensioni contenute, tendevano ad avere uno spazio aperto protetto: portico, loggia, o loggetta a serliana.
Il colore degli infissi
Similmente alle murature, che dovrebbero mostrarsi sempre vestite, anche gli infissi, secondo tradizione, non mostrano mai il loro legno a vista, neppure quando pregiato.
Il colore degli infissi, come quello delle imbiancature tradizionali, era largamente condizionato dalla tradizione della località.
Certamente per le porte e i portoni, o le persiane, il colore più tipizzante era il verde (in infinite tonalità locali, più o meno scure), o, soprattutto per le località costiere, l’azzurro; seguono le tonalità del bruno-grigio.
A ogni modo, lontano dall’avere svolto questo interessante e poliedrico tema, spero di avere stimolato la vostra attenzione e rispetto per la conservazione e il recupero delle nostre tradizioni costruttive e del nostro bel paesaggio.
GIUSEPPE MARIA COSTANTINI
Conservatore-Restauratore di Beni Culturali.
Possiede numerose specializzazioni, tra cui superfici dell’architettura.
Lungamente ricercatore e docente di Restauro per l’Università di Bologna, oltreché per altri prestigiosi enti nazionali.
Su diretto invito del dirigente Arch. Piero Cavalcoli (Urbanista), ha partecipato all’elaborazione del DRAG della Regione Puglia (Schema di Documento Regionale di Assetto Generale).
*Nella foto in alto, Specchia da “I Borghi più belli d’Italia”
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Attualità
“La Gabbia”: film made in Salento, iniziate le riprese
Il nuovo lungometraggio dele leccesi Agnese Perrone e Annaelena Rispoli. Si gira tra Lecce, Frigole, Squinzano, Caprarica e San Donato
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Il Salento si conferma terra di cinema e stavolta lo fa attraverso il talento di due donne e un cast tutto salentino, per raccontare le maglie strette della società in cui spesso a rimanere intrappolati sono i più fragili.
Il film è promosso da Frida aps. La pellicola nasce da un’idea delle leccesi Agnese Perrone e Annaelena Rispoli, entrambe produttrici del film, la regia e la sceneggiatura sono di Annaelena Rispoli.
Ne “La Gabbia” la bellezza degli scenari si mescola a storie forti, la Rispoli infatti sin dal suo esordio ha puntato a temi sociali di spessore.
Le riprese sono in corso di svolgimento tra Lecce (quartiere San Pio), Frigole, Squinzano, Caprarica di Lecce e San Donato di Lecce.
Quella raccontata è una storia ambientata nel 1978 quando un gruppo di giovani borghesi decide di documentare il degrado delle periferie addentrandosi in vecchi e pericolosi quartieri, mentre delle studentesse si riuniscono a casa di una professoressa, Camilla per degli incontri culturali. Da queste premesse si dipanano le storie dei personaggi caratterizzati da una forte nota introspettiva che fanno luce su aspetti e interrogativi da cui lo spettatore non può esimersi. Possiamo percepire le scelte messe sul tavolo dei protagonisti come la rappresentazione delle reazioni che si possono avere a un evento traumatico.
«Il messaggio che si intende veicolare con questo lungometraggio», sottolinea Agnese Perrone, «è che spesso la società ci impone e ci relega in una vita che in realtà non abbiamo scelto, o che non amiamo. Proprio quelle scelte sbagliate portano le persone ad essere infelici, a sentirsi in gabbia. Da qui l’invito a uscire dalle periferie della psiche in cui ci troviamo, per ricostruire le nostre esistenze. Ma i temi trattati coinvolgono anche la parità genere, le diversità, le conquiste sociali, che rappresentano un percorso sempre pieno di punti ciechi».
Il cast è volutamente tutto salentino: Marianna Compagnone, Denise Cimino, Simone Miglietta, Stefano Mazzotta.
Intorno a questo quattro personaggi ruotano altri nomi di attori già noti sul territorio come Nik Manzi, Debora Sanapo, Beppe Fusillo, Vanessa Pereo, la stessa Perrone.
“La Gabbia” è l’ennesima conferma di come l’arte e la cultura italiana e salentina in particolare, abbiano ancora tanto da offrire.
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