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Approfondimenti

Dal PD una crociata contro le trivelle

“No alle trivelle nel mare del Salento” è l’appello lanciato dal PD salentino: “Prevalgano gli interessi e la tutela del territorio e dei suoi beni naturali. “No alle trivellazioni progettate dalla Global Med”

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“No alle trivelle nel mare del Salento” è l’appello lanciato dal PD salentino.


BlasiPenso che sia assolutamente utile che i partiti siano in grado di coinvolgere e mobilitare i cittadini intorno a questioni che sono vitali per un territorio”, ha detto Sergio Blasi, consigliere regionale del Pd, “l’idea di provare a cercare qui petrolio non tiene conto del fatto che il nostro petrolio è proprio questo mare, la nostra ricchezza è questa, che può essere utilizzata per la pesca, per il turismo, per un modello di sviluppo differente da quello dominante. L’idea che se ci mettiamo qualche metro cubo di cemento in più e un po’ di ruspe che sbancano un territorio va tutto molto meglio, non può essere l’idea alla quale noi dobbiamo puntare. Ecco perché credo che sia importante che il Partito Democratico si sia mobilitato. Se poi questo riesca a scalfire le lobbies e i poteri forti di Roma io non lo so; spesso questo è accaduto quando c’è stato il coinvolgimento pieno dei cittadini. Speriamo di essere in grado di costruire una consapevolezza, una coscienza e anche un livello di responsabilità tale da coinvolgere più gente possibile.


Il fatto di trivellare “il nostro mare” è solo un’ipotesi? Di base non c’è la certezza che ci sia il petrolio? “Loro fanno le ricerche con un sistema che si chiama air gum, che è assolutamente devastante per il territorio perché produce nella ricerca una sorta di onda sismica, e lì il rischio per i nostri fondali è sicuro, a prescindere dal fatto se trovano o meno il petrolio”.


PDOltre alla devastazione, ci sarà un inquinamento ulteriore del nostro mare? Sarebbe già troppo questo devastare i fondali, poi lo vedremo. Tra l’altro, non si capisce che cosa vuol dire “siamo alla ricerca”, per che cosa “dobbiamo andare alla ricerca”, che cosa “dovremmo ricercare”, dal momento che c’è una possibilità straordinaria di valorizzare al meglio questa ricchezza, questo dovremmo fare adesso. Siamo stati lungamente “FinibusTerrae”, noi eravamo la terra dove finiva la terra, eravamo periferia, ma ad un certo punto ci siamo ritrovati al centro di un contesto nuovo, di una condizione anche geopolitica nuova; beh, proviamo a sfruttare questa invece di devastare i fondali con pseudoricerche, che poi servono soltanto “alla ricchezza” non si sa bene di chi, non certo dei territori e dei cittadini di questi territori.


Piconese: “Questo territorio vuole altro, non le trivelle”


PiconeseIl PD salentino si schiera per la tutela dell’ambiente, del territorio, del paesaggio”, ha dichiarato il segretario provinciale del Partito Democratico e sindaco di Uggiano La Chiesa, Salvatore Piconese, “Pensiamo che le trivellazioni al largo di Santa Maria di Leuca, nello Jonio, siano in netta contrarietà con lo spirito di salvaguardia del territorio; in questo momento la Regione Puglia è attraversata da un movimento ambientalista, un movimento che crede nella tutela dell’ambiente e quindi si schiera contro le trivelle, perché la Regione Puglia esporta l’85% dell’energia che produce, ed è al primo posto in Italia per gli impianti rinnovabili; quindi, a livello ambientale, in questi anni si è andati in una direzione completamente diversa da quella di utilizzare le fonti rinnovabili, di utilizzare la tutela del territorio e del paesaggio come strumento di crescita e di sviluppo sostenibile. E noi siamo qui oggi come Pd salentino per dimostrare e per rivendicare il diritto di autodeterminazione del partito locale, ma soprattutto per portare, insieme ai nostri parlamentari, insieme ai consiglieri regionali, questa istanza a Roma, affinché si comprenda che questo territorio vuole altro e non vuole trivelle.

Abaterusso: “Via le trivelle da tutto il mediterraneo”


Abaterusso“Il PD lancia l’appello a tutti i nostri rappresentanti istituzionali perché si facciano portatori presso il governo di una iniziativa internazionale”, ha aggiunto Gabriele Abaterusso, coordinatore della segreteria provinciale e vice sindaco di Patù, “non solo le trivelle non ci devono essere nel mare italiano, ma non ci devono essere in tutto il mar Mediterraneo. Con questa manifestazione noi diciamo “no” alle trivelle, ma sollecitiamo il nostro Governo a farsi portatore di una proposta al governo dell’Europa affinché ci sia una moratoria internazionale, perché se non le facciamo noi le trivelle, non devono farle neanche in Grecia, altrimenti gli effetti negativi arrivano anche qui. Questo è lo spirito dell’iniziativa: dire “si” ad una moratoria internazionale contro le trivelle, che impegni l’Italia e che impegni i nostri dirimpettai europei.


Capone: “Che centrano le trivelle con Leuca?”


Capone “In realtà noi chiediamo un’interlocuzione al Governo per riflettere sulla vocazione di questo territorio, che, per quanto riguarda Leuca, non è certamente né una vocazione industriale, né una vocazione che può esaltare le trivelle”, secondo Loredana Capone, vicepresidente della Giunta regionale e assessore allo sviluppo economico, “si tratta di concepire quanti più investimenti possibili per favorire il turismo, valorizzare i beni culturali, l’aspetto paesaggistico di un territorio che continua ad attrarre e lo dovrà fare sempre di più in futuro per la bellezza dei suoi luoghi, dalle strade alla campagna, al mare, alle ville storiche presenti, tutto segnala un tempo lento di riflessione, di pace per i turisti che vengono. Tenendo conto che la Puglia non è una regione dei “no”, ma è una regione dove si produce più energia di quanta se ne consuma e la si diffonde a tutta l’Italia, è la Regione che ha investito sulle energie rinnovabili, per fotovoltaico e per eolico, quindi non è che non contribuisca allo Stato nazionale con la produzione di energia; chiedere alla Puglia l’ulteriore sacrificio di intervenire sui nostri mari anche con prospezioni da cui non sappiamo quanto danno possa derivare, secondo noi è un atto scellerato ed è per questa ragione che chiediamo che il governo, di cui pure condividiamo lo Sblocca-Italia, su questo punto delle trivelle rifletta.


Paola Tarantino


Approfondimenti

Gli anni passano, le tradizioni cambiano, in meglio o in peggio?

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti..

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di Hervé Cavallera

Con le Festività di inizio novembre si è entrati nell’ampio periodo delle feste di fine anno con tutte le celebrazioni rituali che esse implicano. Ora, già da un remoto passato l’essere umano ha avvertito con perplessità la fine della bella stagione, l’allungarsi del buio nelle giornate e l’appressarsi del freddo.

Ed ha collegato la fine della stagione calda e luminosa con la fine di un ciclo, che non è soltanto quello solare, ma soprattutto quello della stessa vita. Ha colto cioè il senso del trapasso con tutte le incognite ad esso legate, sì da elaborare nel corso dei millenni dei riti di passaggio tra questa e l’altra vita oltremondana. Al tempo stesso, si è pensato di illustrare il cammino del tempo secondo calendari legati al ciclo solare e a quello lunare.

Così per diverse popolazioni dell’antichità, tra cui i Celti che risiedevano principalmente nel centro Europa, il transito tra un anno e l’altro era previsto con l’attuale 1° novembre e in quel giorno, essendo poco netta la transizione tra la luce e le tenebre, il mondo dei vivi si mescolava con quello dei morti e questi ultimi potevano riapparire.

Non a caso il 2 novembre, che seguiva Ognissanti, fu scelto come il giorno della commemorazione dei defunti ed è triste constatare come oggi tanti cimiteri monumentali siano praticamente abbandonati.

Ora, il primo calendario che unificò il mondo mediterraneo fu quello giuliano, ideato dall’astronomo greco Sosigene e divenuto operativo nel 46 avanti Cristo con Giulio Cesare.

Tale calendario rimase in vigore sostanzialmente sino al 24 febbraio 1582 quando papa Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissimas, lo sostituì con vari ritocchi con il calendario tuttora esistente detto appunto gregoriano.
Il mondo cristiano ha poi inserito varie ricorrenze a tutti note, fissando le feste di precetto, ossia quelle in cui i fedeli sono particolarmente tenuti alla partecipazione della messa.

Per i cattolici sono: tutte le domeniche; Capodanno (1° gennaio); Epifania (6 gennaio); Assunzione di Maria Vergine (15 agosto); Tutti i Santi (1° novembre); Immacolata Concezione (8 dicembre); Natale (25 dicembre).
Accanto alle feste religiose ogni Stato ha aggiunto per suo conto le feste civili, tra le quali in Italia ricordiamo almeno il 1° maggio (festa dei Lavoratori) e il 2 giugno (festa della Repubblica).

È evidente che se la divisione del tempo in anni, mesi, settimane, giorni, corrisponde ad una esigenza di dare ordine in una realtà ciclica (il rinnovarsi delle stagioni), il concetto di festa si collega, per l’aspetto civile, ad un evento di cui si è particolarmente orgogliosi, e, per quello religioso, è volto ad onorare la Divinità e i Santi.

Sotto tale profilo la festa sia religiosa sia civile non è da intendersi come una vacanza, ma come una celebrazione. Certo nei giorni festivi non si lavora, ma essi non si dovrebbero intendere come meramente vacanzieri.

Festa o vacanza?

Al contrario, dovrebbero servire a raccogliere i componenti di una comunità, quotidianamente intenti ad attività differenti, in uno spirito celebrativo comune.

Una comunanza soprattutto spirituale che può naturalmente trovare un momento gioioso particolarmente nei pasti che una volta erano frugali per i più e ai quali si riusciva a fare qualche eccezione nei giorni di festa.
Così a Natale si poteva arricchire la tavola con il panettone o il pandoro, come nel cenone di Capodanno si mangiavano lenticchie (ritenute ben auguranti) e cotechino.

Sono solo pochi esempi di cibi per così dire “nazionali”, mentre ogni regione aveva (e in gran parte ha) i suoi piatti tipici. Per tale aspetto, nelle feste (e soprattutto in quelle religiose) il sacro si mescola col profano, la speranza del premio ultraterreno con il buon piatto, il senso della fratellanza spirituale con quello della buona compagnia. In ogni caso si percepisce o si dovrebbe percepire il riconoscimento del sacro confermato dalla grazia di star bene.

È così ancora oggi? Non proprio. Nella nostra società si è imposto e si va imponendo un modo di essere sempre più materialistico e consumistico. L’esempio più vistoso è Halloween, la notte di Tutti i Santi, che alla luce di evidenti influenze anglosassoni, è divenuta la festa del macabro e del soprannaturale in una atmosfera neopagana e consumistica. Che dire poi di prodotti come il panettone o la colomba che si cominciano a vendere mesi prima di Natale o di Pasqua?

Le due stesse massime festività della Cristianità (la nascita di Cristo e la Sua resurrezione) passano quasi in second’ordine nella loro specificità di fronte alle spese, ai doni e a quant’altro di godereccio possa esistere. Anche in questo caso occorre precisare che non vi è nulla di male nel mangiare il panettone e la colomba, che è bene brindare purché non si ecceda, che qualche bambino può ben dire Trick or Treat (Dolcetto o Scherzetto).

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti (si pensi alle processioni, ai piatti particolari e così via), ora tutto si va modificando e si impone solo la dimensione del consumo e dello spettacolo.

Certo, il mondo da sempre va cambiando ed è così, ma il mutamento positivo è quello che sa conservare i valori e mettere da parte l’inutile; in tal modo una civiltà cresce e si sviluppa e le persone maturano. Che le cosiddette tradizioni rimangano solo per attrarre turisti o per generare consumi certamente non è positivo e rischia di ridurre tutta la realtà al semplice godimento – non sempre corretto né di tutti – dell’immediato.

Quello che veramente oggi dovrebbe contare, in una società dove soffiano pericolosi venti di guerra e l’Occidente è pervaso da un edonismo individualistico, è il recupero della dimensione spirituale che accomuna gli animi e li rende aperti al dialogo e agli affetti disinteressati.

E da tempo immemorabile tale è stato il compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, istituzioni che attraversano un momento non facile, ma nel rilancio della loro funzione risiede la salvezza di un Occidente che va spegnendosi nelle luci artificiali dei consumi.

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Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte

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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.

I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.

Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.

La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.

Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».

Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».

PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI

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PER APPROFONDIRE SULLE VOLTE A STELLA CLICCA QUI

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Muretti a Secco e Pajare

Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre

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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)

Dario ha fatto della sua passione un lavoro.

Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».

Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».

Qual è in particolare il tuo lavoro?

«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».

In particolare, a cosa ti riferisci?

«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».

Il cemento non lo utilizzi affatto?

«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».

Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?

«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».

E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?

«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».

Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»

Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:

«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».

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