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Cyber jihad: la minaccia passa dal Web

Mario Avantini, vicepresidente del Centro Italiano di Strategia e Intelligence: “Ci stanno imponendo il marchio dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso internet e televisione”

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L’arresto della cellula italiana dell’Isis impegnata nell’arruolamento di combattenti ha ulteriormente puntato i riflettori dell’attenzione pubblica sulla questione islamica e le minaccie al nostro Paese.


Antonella Marchisella, responsabile relazioni esterne del Centro Italiano Strategia e Intelligence

Antonella Marchisella,
responsabile relazioni esterne del Centro Italiano
Strategia e Intelligence


Il Salento, meta di continui sbarchi clandestini è vigilato con attenzione da intelligence e forze dell’ordine nel timore che, insieme ai disperati in fuga dalle guerre e dalla fame, sbarchino anche nuovi arruolatori di martiri o potenziali terroristi. Ecco perché il nuovo Decreto Legge sul terrorismo prevede anche un inasprimento delle pene per gli scafisti che possono essere arrestati in flagranza al pari degli appartenenti a gruppi eversivi che utilizzano il web. Proprio internet pare essere un punto di forza per gli estremisti, molto abili ad utilizzarlo per trovare terreno fertile tra i tanti disadattati che vivono in Occidente anche da più generazioni ma non sono realmente integrati. Consapevoli che la Jihad del Terzo Millennio non si combatte solo sul terreno, o a colpi di attentati, ma anche e soprattutto nella rete virtuale, possiamo considerare quella scatenata dallo stato islamico una vera e propria “Cyber Jihad”. Per questo la nostra Antonella Marchisella ha intervistato Mario Avantini, vicepresidente del Cisint (Centro Italiano di Strategia e Intelligence) studioso e ricercatore di Sicurezza Cibernetica e Cyber Terrorismo ed esperto del fenomeno della Cyber Jihad sul web e sul linguaggio dell’Isis attraverso i social network. Il Cisint è nato, su iniziativa di un gruppo di esperti e ricercatori, dalla necessità di porre in essere un centro capace di approfondire e diffondere la conoscenza degli Studi Strategici e della cultura dell’Intelligence. 


Aspiranti jihadisti e i social network


ISIS guerrigliaQuanto e importante la comunicazione sul web per l’Isis? “Per i combattenti dell’Isis il web è un vettore fondamentale per trasmettere il terrore nel mondo, la comunicazione digitale è finalizzata alla sensibilizzazione della causa, alla propaganda, e ad aggiornare neofiti e jihadisti sui successi ottenuti. Vengono fornite, attraverso la rete, informazioni su come unirsi a gruppi e come raggiungere lo stato islamico. Ma attenzione non si tratta solo di capacità nell’usare i media ma di avere una strategia organizzata fatta da diversi prodotti multimediali (video, foto, messaggi Twitter, testi su Facebook ecc.) per differenti destinatari (occidentali, orientali e mediorientali) e con tecniche differenti. Viene prestata l’attenzione alla produzione dei video, proprio come avviene in televisione, quando si vuole catturare un determinato tipo pubblico si cerca di capire cosa interessa a quel segmento sociale e a quel punto si crea il prodotto adatto. Domandiamoci un attimo perché proclamano e ci impongono il nome di stato islamico, perche ci inducono a farci sapere che emettono moneta e riscuotono tasse. E’ tutto parte integrante della loro strategia di comunicazione. Ci stanno imponendo un marchio, cioè quello dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso il web e la televisione, che sono veri strumenti di amplificazione globale”.

Chi sono gli aspiranti jihadisti dell’Isis? “In molti casi giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’Isis appartengono a figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che vivono definitivamente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. Poi troviamo, invece, i giovani aspiranti occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno alcun tipo di contatto con la religione islamica e che contestualmente al loro reclutamento si convertono alla fede musulmana. Questi ultimi, ovviamente, hanno necessità da parte dei reclutatori di un intervento di avvicinamento e persuasione più complesso e articolato. I giovani che si votano alla jihad non sono quelli che crescono nell’ignoranza e nella povertà, ma sono tutti istruiti e in buone condizioni economiche. Hanno molta esperienza in internet e portano a termine scelte ideologiche personali, talvolta spinti da condizioni psicologiche disagiate e conflitti famigliari”.


Mario Avantini, vicepresidente del Cisint ed esperto ddella Cyber Jihad

Mario Avantini, vicepresidente del Cisint ed esperto ddella Cyber Jihad


Quali sono i luoghi e le metodologie di reclutamento? “Possiamo dire che il web o più specificatamente i social network sono il luogo centrale di «reclutamento per aspiranti jihadisti», pronti a passare dalla tastiera di un computer ai teatri di guerra siriani e iracheni o a compiere attentati anche in Occidente. Si passa dall’avvicinamento virtuale su Twitter, Facebook o vari blog dove si cerca di capire l’interesse dell’aspirante mediante la diffusione di messaggi culturali “ingannevoli”, con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi destinatari tra giovani “in attesa di qualcosa”, in grado di fornirgli una nuova identità o un ideale nella vita. E’ quella che viene definita “la ragnatela” dove i messaggi allettanti vengono realizzati e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente vulnerabile vi rimanga impigliato. Subito dopo si passa al contatto “face to face” dove troviamo i cosiddetti reclutatori “facilitatori” che operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali pronti a fornire consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere Isis o i luoghi di addestramento e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti”.

Che tipo di sistemi multimediali adottano?

“Lo stato islamico ha una troupe di combat cameraman che seguono i combattenti nelle zone di conflitto, inoltre ogni combattente, con i propri telefonini riprende il video delle azioni per poi postarle sui social network, in modo che ogni affiliato sia aggiornato in tempo reale su quello che sta accadendo: una valanga di informazioni. I sistemi di comunicazione adottati sono: siti web ufficiali dove diffondono la loro visione dell’Islam attraverso videomessaggi; una rivista, Dabiq, in versione cartacea e digitale dove si trovano riferimenti alle conquiste territoriali, eroi morti in battaglia, interpretazione dei tesi sacri, insomma una vera guida al Califfato; “La Islamic New Agency”, che è esattamente come ogni agenzia di stampa multimediale trasmetteva (fino al suo oscuramento), attraverso video e comunicati stampa dei portavoce dei gruppi affiliati allo stato islamico. Le agenzie di stampa sono un nodo strategico di questa guerra cibernetica fatta di informazioni e disinformazioni; la Hayat Media Center casa di Produzione Audiovisivi dove producono veri e propri video ben strutturati degni di film cinematografici. Lo strumento preferito di diffusione dell’informazione dell’Isis è il canale audiovisivo, come YouTube, comprensibile aldilà della lingua parlata, ed emotivamente forte. E poi troviamo i social network come Facebook e Twitter che negli ultimi anni sono stati il mezzo più veloce per diffondere e condividere qualsiasi notizia, azione e avvenimento tra combattenti lontani migliaia di chilometri di distanza, e tutto questo quasi in modo anonimo”.

In che modo vengono veicolati i messaggi tra i jihadisti? “Assistiamo ad un conflitto dove la Rete e il cyberspazio giocano certamente un ruolo determinante in termini di reclutamento, organizzazione e comunicazione. L’anonimato online consente addestramenti teorici e militari senza rischi anche a distanza. L’utilizzo di archivi “bozze”, di comunissimi indirizzi e-mail condivisi con altri membri dell’organizzazione, garantiscono lo scambio di messaggi senza l’invio di una sola e-mail. I soldati, siano essi virtuali o reali, dello stato islamico, hanno account protetti proprio dalla virtualità, perché nessuno sa se esistano e chi siano veramente, e nel caso in cui le autorità li blocchi, lo stesso account rinasce il giorno dopo con una variante nella “user”, ad esempio da @Abu2 si passa ad @Abu3 (dettagliatamente spiegato nel libro di AGC comunication in “Lo stato islamico”). Il compito del jihadista che usa la rete internet, è quello di postare all’interno degli account (Facebook, Twitter), messi a disposizione gratuitamente, i video, le foto, file audio ecc. Dopodiché le case di produzione prelevano da questi “contenitori” i video per lavorarli in tempo reale e successivamente reinserirli su Youtube o su altro canale video gratuito fruibile da tutti i simpatizzanti nel mondo che a loro volta lo posteranno nuovamente e così via per un’interminabile catena”.

Cosa sappiamo delle sigle responsabili dei Cyber attacchi? “Prendendo sempre con prudenza le attribuzioni e perfino le rivendicazioni degli attacchi, sappiamo che le sigle pro-jihad sono gruppi chiamati Fallaga e Cyber Caliphate, responsabile quest’ultimo dell’attacco agli account dei profili Twitter e YouTube del Comando Centrale Usa. Sebbene questa volta si sia trattato di vandalismo e terrorismo psicologico non ci si può permettere di abbassare la guardia. L’Isis sembrerebbe avere a propria disposizione almeno qualche unità con esperienza in ingegneria sociale e hacking. È notizia recente di una sedicente Hacking Division dell’Isis che ha pubblicato su un sito online nomi, foto e indirizzi di 100 militari americani che hanno preso parte alle operazioni in Siria e Iraq, esortando membri e simpatizzanti dell’Isis negli Stati Uniti ad ucciderli. Tutto questo è il prodotto di informazioni rubate da server del Dipartimento della Difesa oppure di un attività meticolosa di raccolta dati sul web e soprattutto sui social media? E’probabile che Al Baghdadi potrebbe far riferimento al modello simile del Syrian Electronic Army, questo gruppo è considerato il primo esercito di hacker comparso in Medio Oriente, che sostiene il governo siriano del presidente Assad, dimostrando di avere competenze e addestramento di tipo militare”.

Quali sono gli obiettivi dell’Isis? “Sul web circolano una varietà di ipotesi tra cui una moltitudine di mappe che mostrano i progetti dell’Isis nell’estendersi in tutto il Medio Oriente, in parte dell’est Europa e in tutta l’Africa centro-settentrionale. Credo che una di queste ipotesi sia di ricreare un califfato islamista con il sicuro intento di rompere i confini degli stati mediorientali decisi con gli accordi “confidenziali” del 1916 in primis da Francia e Inghilterra, con cui si divisero il territorio dopo il collasso dell’impero ottomano. Tuttavia c’è invece chi dichiara che l’offensiva dell’Isis sia importante per i produttori di armamenti, mediante la quale sperano di poter vendere una maggior quantità di armi alle monarchie del Golfo. Comunque in ogni guerra c’è sempre chi ci guadagna!”.


Site,nuove minacce all'Italia,Isis evoca lupi solitariQuanto e importante la comunicazione sul web per l’Isis? “Per i combattenti dell’Isis il web è un vettore fondamentale per trasmettere il terrore nel mondo, la comunicazione digitale è finalizzata alla sensibilizzazione della causa, alla propaganda, e ad aggiornare neofiti e jihadisti sui successi ottenuti. Vengono fornite, attraverso la rete, informazioni su come unirsi a gruppi e come raggiungere lo stato islamico. Ma attenzione non si tratta solo di capacità nell’usare i media ma di avere una strategia organizzata fatta da diversi prodotti multimediali (video, foto, messaggi Twitter, testi su Facebook ecc.) per differenti destinatari (occidentali, orientali e mediorientali) e con tecniche differenti. Viene prestata l’attenzione alla produzione dei video, proprio come avviene in televisione, quando si vuole catturare un determinato tipo pubblico si cerca di capire cosa interessa a quel segmento sociale e a quel punto si crea il prodotto adatto. Domandiamoci un attimo perché proclamano e ci impongono il nome di stato islamico, perche ci inducono a farci sapere che emettono moneta e riscuotono tasse. E’ tutto parte integrante della loro strategia di comunicazione. Ci stanno imponendo un marchio, cioè quello dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso il web e la televisione, che sono veri strumenti di amplificazione globale”.

Chi sono gli aspiranti jihadisti dell’Isis? “In molti casi giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’Isis appartengono a figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che vivono definitivamente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. Poi troviamo, invece, i giovani aspiranti occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno alcun tipo di contatto con la religione islamica e che contestualmente al loro reclutamento si convertono alla fede musulmana. Questi ultimi, ovviamente, hanno necessità da parte dei reclutatori di un intervento di avvicinamento e persuasione più complesso e articolato. I giovani che si votano alla jihad non sono quelli che crescono nell’ignoranza e nella povertà, ma sono tutti istruiti e in buone condizioni economiche. Hanno molta esperienza in internet e portano a termine scelte ideologiche personali, talvolta spinti da condizioni psicologiche disagiate e conflitti famigliari”.

Quali sono i luoghi e le metodologie di reclutamento? “Possiamo dire che il web o più specificatamente i social network sono il luogo centrale di «reclutamento per aspiranti jihadisti», pronti a passare dalla tastiera di un computer ai teatri di guerra siriani e iracheni o a compiere attentati anche in Occidente. Si passa dall’avvicinamento virtuale su Twitter, Facebook o vari blog dove si cerca di capire l’interesse dell’aspirante mediante la diffusione di messaggi culturali “ingannevoli”, con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi destinatari tra giovani “in attesa di qualcosa”, in grado di fornirgli una nuova identità o un ideale nella vita. E’ quella che viene definita “la ragnatela” dove i messaggi allettanti vengono realizzati e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente vulnerabile vi rimanga impigliato. Subito dopo si passa al contatto “face to face” dove troviamo i cosiddetti reclutatori “facilitatori” che operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali pronti a fornire consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere Isis o i luoghi di addestramento e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti”.

Che tipo di sistemi multimediali adottano?

“Lo stato islamico ha una troupe di combat cameraman che seguono i combattenti nelle zone di conflitto, inoltre ogni combattente, con i propri telefonini riprende il video delle azioni per poi postarle sui social network, in modo che ogni affiliato sia aggiornato in tempo reale su quello che sta accadendo: una valanga di informazioni. I sistemi di comunicazione adottati sono: siti web ufficiali dove diffondono la loro visione dell’Islam attraverso videomessaggi; una rivista, Dabiq, in versione cartacea e digitale dove si trovano riferimenti alle conquiste territoriali, eroi morti in battaglia, interpretazione dei tesi sacri, insomma una vera guida al Califfato; “La Islamic New Agency”, che è esattamente come ogni agenzia di stampa multimediale trasmetteva (fino al suo oscuramento), attraverso video e comunicati stampa dei portavoce dei gruppi affiliati allo stato islamico. Le agenzie di stampa sono un nodo strategico di questa guerra cibernetica fatta di informazioni e disinformazioni; la Hayat Media Center casa di Produzione Audiovisivi dove producono veri e propri video ben strutturati degni di film cinematografici. Lo strumento preferito di diffusione dell’informazione dell’Isis è il canale audiovisivo, come YouTube, comprensibile aldilà della lingua parlata, ed emotivamente forte. E poi troviamo i social network come Facebook e Twitter che negli ultimi anni sono stati il mezzo più veloce per diffondere e condividere qualsiasi notizia, azione e avvenimento tra combattenti lontani migliaia di chilometri di distanza, e tutto questo quasi in modo anonimo”.

In che modo vengono veicolati i messaggi tra i jihadisti? “Assistiamo ad un conflitto dove la Rete e il cyberspazio giocano certamente un ruolo determinante in termini di reclutamento, organizzazione e comunicazione. L’anonimato online consente addestramenti teorici e militari senza rischi anche a distanza. L’utilizzo di archivi “bozze”, di comunissimi indirizzi e-mail condivisi con altri membri dell’organizzazione, garantiscono lo scambio di messaggi senza l’invio di una sola e-mail. I soldati, siano essi virtuali o reali, dello stato islamico, hanno account protetti proprio dalla virtualità, perché nessuno sa se esistano e chi siano veramente, e nel caso in cui le autorità li blocchi, lo stesso account rinasce il giorno dopo con una variante nella “user”, ad esempio da @Abu2 si passa ad @Abu3 (dettagliatamente spiegato nel libro di AGC comunication in “Lo stato islamico”). Il compito del jihadista che usa la rete internet, è quello di postare all’interno degli account (Facebook, Twitter), messi a disposizione gratuitamente, i video, le foto, file audio ecc. Dopodiché le case di produzione prelevano da questi “contenitori” i video per lavorarli in tempo reale e successivamente reinserirli su Youtube o su altro canale video gratuito fruibile da tutti i simpatizzanti nel mondo che a loro volta lo posteranno nuovamente e così via per un’interminabile catena”.

Cosa sappiamo delle sigle responsabili dei Cyber attacchi? “Prendendo sempre con prudenza le attribuzioni e perfino le rivendicazioni degli attacchi, sappiamo che le sigle pro-jihad sono gruppi chiamati Fallaga e Cyber Caliphate, responsabile quest’ultimo dell’attacco agli account dei profili Twitter e YouTube del Comando Centrale Usa. Sebbene questa volta si sia trattato di vandalismo e terrorismo psicologico non ci si può permettere di abbassare la guardia. L’Isis sembrerebbe avere a propria disposizione almeno qualche unità con esperienza in ingegneria sociale e hacking. È notizia recente di una sedicente Hacking Division dell’Isis che ha pubblicato su un sito online nomi, foto e indirizzi di 100 militari americani che hanno preso parte alle operazioni in Siria e Iraq, esortando membri e simpatizzanti dell’Isis negli Stati Uniti ad ucciderli. Tutto questo è il prodotto di informazioni rubate da server del Dipartimento della Difesa oppure di un attività meticolosa di raccolta dati sul web e soprattutto sui social media? E’probabile che Al Baghdadi potrebbe far riferimento al modello simile del Syrian Electronic Army, questo gruppo è considerato il primo esercito di hacker comparso in Medio Oriente, che sostiene il governo siriano del presidente Assad, dimostrando di avere competenze e addestramento di tipo militare”.

Quali sono gli obiettivi dell’Isis? “Sul web circolano una varietà di ipotesi tra cui una moltitudine di mappe che mostrano i progetti dell’Isis nell’estendersi in tutto il Medio Oriente, in parte dell’est Europa e in tutta l’Africa centro-settentrionale. Credo che una di queste ipotesi sia di ricreare un califfato islamista con il sicuro intento di rompere i confini degli stati mediorientali decisi con gli accordi “confidenziali” del 1916 in primis da Francia e Inghilterra, con cui si divisero il territorio dopo il collasso dell’impero ottomano. Tuttavia c’è invece chi dichiara che l’offensiva dell’Isis sia importante per i produttori di armamenti, mediante la quale sperano di poter vendere una maggior quantità di armi alle monarchie del Golfo. Comunque in ogni guerra c’è sempre chi ci guadagna!”.


Antonella Marchisella


Approfondimenti

Sindaco e assessora di Cutrofiano: a domanda rispondono

Ospiti in redazione il sindaco Luigi Melissano e all’assessora alle attività produttive Alessandra Blanco in redazione. Il bilancio di 4 anni di attività amministrativa, i progetti in ballo. Il primo cittadino sull’impianto digestore anaerobico: «Se la società incaricata non procede, troveremo il modo per realizzarlo lo stesso. Avrebbe ricadute positive sia sul piano economico che ecologico»

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Da anni ospitiamo in Redazione un sindaco salentino che, periodicamente, da 28 anni a questa parte, riceve il nostro giornale perché distribuito nel suo comune.

Nell’occasione abbiamo ospitato il sindaco Luigi Melissano, di Cutrofiano, e l’assessora Alessandra Blanco, con i quali, dopo un caloroso benvenuto, abbiamo intavolato una discussione con una serie di domande che vi restituiamo, nella speranza che servano a creare una democratica discussione ed uno scambio di idee, poco prima che le urna restituiscano ai cutrofianesi la scelta di chi dovrà governarli per gli anni futuri.

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ESCLUSIVA

Luigi Melissano durante l’intervista

È sindaco dal 2020: vogliamo fare un primo bilancio di questi quattro anni di amministrazione? 

«È stato particolarmente impegnativo perché e per i primi due anni tutte le nostre energie sono state prosciugate dal covid. In quel periodo, com’era giusto che fosse, la programmazione è stata accantonata per fronteggiare l’emergenza.
Il terzo anno c’è stata una ripresa delle attività ma, presto, abbiamo dovuto fare i conti con le conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina. Con le enormi difficoltà nella gestione dei lavori pubblici a causa dell’aumento dei prezzi di tutte le materie prime e dell’energia elettrica. Tutte le nostre forze sono state convogliate nel mettere ordine dal punto di vista economico e finanziario e per stabilizzare le finanze comunali. Quindi ci siamo preoccupati più che altro di efficientare la rete energetica, in quel momento era la cosa più importante. Tramite la partecipazione a un bando per l’efficientamento della pubblica illuminazione, abbiamo potuto stabilizzare la quota di energia elettrica da pagare. La stessa nel corso del 2023 era raddoppiata, al netto degli interventi di efficientamento».

Uffici comunali: siete sottorganico come accade in altri paesi?

«Sin negli anni ’70 il comune è stato gestito in un’ottica di efficienza. Abbiamo oltre 30 dipendenti, il numero giusto per una gestione equilibrata della partita corrente. Nel corso di questi anni abbiamo avuto 4- 5 dipendenti che sono andati in pensione e sono stati sostituiti. Mi riferisco in particolare al corpo della polizia locale che pagava quel deficit di personale. Abbiamo pubblicato un bando di concorso e assorbito tre unità nuove, quelle che servivano.  Abbiamo anche pubblicato un bando per la categoria C (per cosiddetti tecnici, in genere diplomati che hanno un incarico inerente al settore, ad esempio geometri, periti, ecc.) ed uno per la categoria D (personale laureato, quindi i funzionari)».

Cosa vuol dire per Cutrofiano essere città della ceramica?

(Risponde l’assessora Alessandra Blanco)

«Siamo entrati nel circuito nazionale delle Città della Ceramica (AiCC – Associazione Italiana Città della Ceramica) che è riconosciuta ufficialmente dal Ministero dello Sviluppo economico. È un riconoscimento alla nostra storia. Quest’anno abbiamo organizzato la cinquantaduesima edizione della Mostra della Ceramica. Da 52 anni siamo protagonisti del settore. Prima si faceva nelle scuole, adesso è stata portata nel borgo, quindi nel centro storico. Oggi non è soltanto una mostra legata alla ceramica, coinvolge anche altri artigiani, altri espositori. In più facciamo rete con altre città pugliesi (Grottaglie, Rutigliano, San Pietro in Lama, Terlizzi e Laterza) con le quali abbiamo lanciato il marchio Pottery Of Puglia (PoP), un brand identificativo per tutte e sei le città della ceramica. Brand che abbiamo presentato a Milano, sia alla Bit che al Salone del Mobile. Il brand regionale, ovviamente, dà più forza ad ognuna delle città che fanno parte della rete».

Quindi salvaguardia della tradizione e dell’artigianato locale e anche lavoro e anche ritorno d’immagine…

«Certo! Ed anche turistico ed economico. Tanto che quest’anno, all’interno della Mostra tradizionale, abbiamo realizzato un’altra mostra con il marchio PoP, alla quale hanno partecipato tutte le città della ceramica pugliese, ognuna con la propria opera». 

Quanti sono i lavoratori impegnati nella lavorazione della ceramica a Cutrofiano?

«Una cinquantina solo nelle aziende più grandi (Nuova Colì, Fratelli Colì e Benegiamo). Le altre sono aziende per lo più a conduzione familiare. In totale ci lavorano una settantina di persone».
Ovviamente c’è tutto un mondo intorno: «Accanto alle attività prettamente dedicate ai produttori, c’è il Polo Biblio Museale, il museo della ceramica dedicato, gestito ottimamente e parte integrante di tutto il movimento. Gestisce una fetta importante della Festa della Ceramica che si svolge nel borgo. Quest’anno ha ospitato anche la mostra-evento “La Santa Tavola – Cibi rituali pugliesi in mostra” a cura di Salento Km0. Un inedito viaggio nella tradizione gastronomica pugliese attraverso riproduzioni di cibi rituali realizzate dal maestro ceramista tricasino Agostino Branca. Ovviamente da non sottovalutare quello che gira intorno, dalla ricettività, al food agli spettacoli musicali».

Cutrofiano vanta anche il Campione mondiale Tecnico Maestri, con Giuseppe Colì che ha trionfato alla Mondial Tornianti Gino Geminiani, svoltosi a Faenza. L’assessora Blanco, confortata anche dal sindaco Melissano, non nasconde il desiderio di «ospitare a Cutrofiano l’edizione del prossimo anno del Mondiale. Ci stiamo muovendo in tal senso. Vedremo quel che accadrà».

Una volta Cutrofiano era famosa anche oltre provincia per essere il centro del mercato delle scarpe. Poi cosa è accaduto?

«Il mio paese ha sempre avuto una vocazione commerciale: negli anni Settanta era il centro del commercio delle automobili, poi hanno preso piede le calzature. Per acquistarle arrivavano a Cutrofiano da ogni dove. Con il progressivo mutamento a livello globale della produzione e del commercio delle calzature, quel mondo è andato scomparendo. Oggi al centro resta la ceramica, così come sono tante e floride le attività legate alla produzione del vino e all’enogastronomia in generale».

IL PNRR

A quali finanziamenti siete riusciti ad accedere? Avete già realizzato qualcosa?

«Abbiamo cercato di partecipare a tutti i bandi possibili. Attivate una serie di piccole attività legate all’informatizzazione dei servizi anagrafici e della rete interna. Abbiamo partecipato a dei bandi per le attività legate allo sport, creando un piccolo parco con attrezzatura ginnica. Lo stesso per l’efficientamento energetico per le scuole. Gli interventi più corposi già finanziati sono tre: uno di oltre due milioni di euro per il Centro Famiglia con ludoteca e spazi riservati, per cui i lavori sono già stati avviati alla periferia del paese; l’altro per il nuovo asilo nido, sempre in periferia, in via Uccio Bandello, già appaltato ed in costruzione. Accanto all’asilo nido verrà realizzata una scuola per l’infanzia. Il progetto è già stato finanziato e i lavori assegnati».

Intanto avete appena inaugurato la nuova scuola media…

«Giusto precisare che il finanziamento del ministero per la sicurezza sismica era stato ottenuto dall’amministrazione che ci ha preceduto (sindaco Lele Rolli).
Noi abbiamo portato avanti il progetto fino al completamento, il che ci ha consentito di accogliere in un luogo sicuro i ragazzi che fino ad ora si erano dovuti arrangiare in altre strutture comunali».

Si è molto discusso dell’eventuale realizzazione di un impianto digestore anaerobico da realizzare in agro di Cutrofiano sulla Maglie-Collepasso, quasi al confine con Casarano. Qual è oggi la situazione?

«Siamo in standby. Sembra proprio, almeno a giudicare dalla totale assenza di passi concreti, che la società incaricata del progetto non abbia più intenzione di procedere. In linea di massima eravamo e siamo favorevoli. Tanto più che, se non ci saranno novità in tempi brevi, revocheremo l’incarico a quella società e valuteremo se procedere in prima persona o con l’Aro Lecce 7, di cui facciamo parte. Siamo arrivati ad un punto in cui non si può più ignorare il problema. Quell’impianto è necessario».

Quali sarebbero i vantaggi?

«Chiuderebbe il ciclo dei rifiuti. L’organico della nostra Aro viene biostabilizzato a Poggiardo e poi portato in discarica a Cavallino: è un assurdo in termini economici
ed anche ecologici.
Praticando la differenziata spinta, l’impianto diventa una necessità.
Nell’accordo abbozzato con la società, avevamo previsto che Cutrofiano potesse smaltire gratuitamente tutto l’organico con un risparmio di circa 300mila euro l’anno che ci avrebbe consentito di ridurre le tasse per i nostri concittadini».

Quali, invece, gli eventuali rischi che hanno anche agitato alcune associazioni? Il Forum del Territorio ha paventato la possibilità che giungano anche rifiuti pericolosi di provenienza industriale.

«Ovviamente vigileremmo affinché controlli e valutazioni siano seri e continui.
Questo tipo di impianti sono già funzionanti da tempo in altre parti d’Italia e non hanno mai dato problemi. Si tratta di un impianto che non emette CO2 né metalli, che vengono catturati all’origine.
Stiamo seriamente valutando l’opzione di revocare l’incarico alla società incaricata e sbloccare la situazione per poi procedere con l’Aro o da soli come comune.
Nel primo caso l’impianto avrebbe una portata più grande, altrimenti soddisferebbe solo le esigenze di Cutrofiano».

CONSORZIO DI BONIFICA, A CHE PUNTO SIAMO?

Consorzio di bonifica e gabelle non sempre giustificate dai servizi erogati. Lei che idea ha in merito?

«La proposta presentata in consiglio comunale era quella di chiudere il consorzio di bonifica, pensato per inizio secolo, quando aveva funzioni di recupero igienico-sanitario dei luoghi e di bonifica delle paludi. Poi hanno assunto la distribuzione dell’acqua per uso irriguo, funzione  che non sono in grado di esercitare o, comunque, che fanno non efficientemente e a costi troppo alti. La gestione delle aree («che comunque va fatta per i canali, la rete viva, le esigenze di tutela del territorio e per prevenire gli allagamenti»), potrebbe passare alla fiscalità generale. Non può assumerla il comune perchè troppo omerosa. Purtroppo, il nostro è un territorio di natura alluvionale ed è attraversato da una rete fittissima di canali la cui gestione risulta decisamente costosa. Che i consorzi non abbiano svolto la loro funzione storica, che non eseguano servizi puntuali è palese, sacrosanto. Per quanto mi riguarda ho consigliato ai miei concittadini di pagare se la loro tariffa è sotto i 200 euro, altrimenti costerebbe di più fare ricorso».

Resta un’enorme ingiustizia…

«Che rischia di assumere proporzioni ancora più clamorose perché stanno escludendo dai pagamenti gli abitati che non ricevono benefici, come quelli costieri. Finirà che dovremo pagare ancora di più, contravvenendo il principio iniziale di pagare tutti e pagare meno».

Ultimo anno, che Cutrofiano lascia? Cosa è lecito attendersi nell’ultimo anno (o poco più) del suo mandato?           

«Le attività su cui ci stiamo concentrando sono quelle in contrasto alla pericolosità geomorfologica e idrogeologica, alla pianificazione di bacino e urbanistica.
Abbiamo messo su una grande opera di programmazione. In ballo c’è un progetto sulla sicurezza idraulica, finanziata dal Ministero con mezzo milione di euro, per arginare il rischio idrogeologico a cui il nostro territorio è esposto. Quel finanziamento è propedeutico ad altri in arrivo. È il presupposto per ambire a nuovi finanziamenti, concessi solo per un progetto organico di intervento sul territorio, anche se finanziato a stralci. Subito dopo presenteremo un Piano particolareggiato per il bacino. Tra sicurezza, pericolosità idraulica legata alla rete di smaltimento delle acque, pericolosità geomorfologica e 800 ettari con cavità ipogee, dovute all’estrazione della calcarenite, siamo paralizzati dai vincoli. Così ci stiamo sforzando di portare avanti il Piano particolareggiato e avviare l’attività estrattiva in quelle zone soggette a dissesto.

Il tutto tramite quel meccanismo che si chiama scavo virtuoso, altrimenti queste zone rimarrebbero di pericolosità geomorfologica PG3, il che significherebbe che non si potrà immaginare alcunché per il futuro. Ci piacerebbe poi arrivare all’adozione di un Piano Urbanistico Generale (a Cutrofiano detta legge ancora un piano di fabbricazione del 1977) con tutta la pianificazione urbanistica. Non so se ce la faremo a completare tutto entro la fine del mandato, ma siamo in dirittura d’arrivo, almeno per quanto riguarda la prima parte del PUG. Non è più il tempo di pensare alla programmazione urbanistica come strumento di espansione, perché siamo in fase di decremento. Però, un elemento di pianificazione del territorio a Cutrofiano serve perché, altrimenti, il fenomeno dell’abbandono degli stabili potrebbe divenire irreversibile. Fenomeno che dilaga se non ci sono regole certe che consentano la sostenibilità dello sfruttamento degli immobili esistenti».

ALLE PROSSIME ELEZIONI

Ha intenzione di ricandidarsi?

«Dipende dai risultati che avremo ottenuto. Se riusciremo a chiudere in maniera positiva tutte le attività di cui abbiamo parlato potrei anche avere quell’ambizione. Altrimenti sarebbe giusto cedere il passo».

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di Hervé Cavallera

Le sagre paesane, volte di solito a celebrare il Santo patrono (feste patronali), ma anche positivi eventi come il raccolto o un particolare cibo, si perdono, per così dire, nella notte dei tempi.
Il Salento, come ogni parte d’Italia, ne vanta tantissime e non si può elencarle tutte, considerando i tanti centri della provincia di Lecce.

Ad esse naturalmente sono da aggiungere le Festività nazionali religiose e civili come Natale, Capodanno, la Festa delle Repubblica e così via.

Una volta, la festa era sempre accolta con particolare gioia soprattutto dai bambini e ragazzi. Basti ricordare che già la domenica era un giorno felice in quanto non si andava a scuola.  Poi nella festa patronale e in quelle importanti vi erano i dolci, alcuni propri della festa. Inoltre, vi erano le fiere e i piccoli vedevano e chiedevano ai genitori l’acquisto dei giocattoli. Era il momento dell’incontro e delle curiosità, come attraevano le bande musicali che, suonando, percorrevano le strade.

Chi non è più giovane ricorda molto bene che le feste rappresentavano per la comunità in cui si viveva un momento nel quale si interrompeva la routine di una realtà prevalentemente agricola, e quindi scandita dalle stagioni e dalla levata e dal tramonto del sole, e ci si riuniva nella pubblica piazza liberamente e allegramente, e si comunicava.

Il clima festaiolo era di fatto per lo più connesso con l’evento religioso che trovava (e trova) per il pubblico il momento più appariscente nella processione con la statua del Santo.

Di fatto i buoni pranzi e quant’altro non erano che una forma di testimonianza della benevolenza del Patrono a cui andava il ringraziamento solenne. Di qui lo spettacolo delle luminarie, per alcune delle quali il Salento è noto in tutta Italia.

Accadeva – e accade tutt’oggi –  che tra paesi o tra frazioni dello stesso paese si facesse a gara a chi riusciva a realizzare il festeggiamento più spettacolare. Il che ha condotto, dappertutto nella Penisola, a spostare l’attenzione dalla celebrazione liturgica in sé alla festa come spettacolo.

L’elemento laico ha finito col prevalere su quello religioso con la presenza di cantanti, ghiottonerie, balli e tant’altro. Questo sempre a prescindere dalle sagre chiaramente mangerecce come a Tricase la Sagra di San Vito Cucuzza e Cadduzzu» (9 agosto) e la Sagra de la Pasta fatta a casa (17 agosto, frazione di Depressa) per fare qualche esempio di sagre che hanno caratterizzato un determinato prodotto.

Ora, che le festività patronali e le sagre continuino ad esserci è un fatto chiaramente positivo in quanto rappresentano la nostra tradizione, solo che si stanno risolvendo, alcune volte, in puro spettacolo volto alla promozione turistica e al guadagno (basti pensare alla “Notte della Taranta” che è divenuto un notissimo e fortunato festival della canzone popolare, ma che ha perduto ogni rapporto con l’ancestrale fenomeno del tarantismo).

Sotto tale profilo sono soprattutto da tenere presenti le festività religiose, dove la celebrazione del sacro dovrebbe essere prevalente e veramente sentita.

Tali feste, infatti, non hanno alcun scopo di lucro, anche se in alcune le spese per luminarie e complessi musicali sono ingenti e non mancano le difficoltà a far quadrare il bilancio.

Né solo questo. È in forte crescita, purtroppo, il fenomeno della denatalità. I giovani sono sempre meno e talvolta disattenti alle tradizioni. Il mondo dei social networks è per lo più quello della comunicazione quotidiana, dell’immersione nel contingente.

Avviene così che viene meno quel cambio generazionale che vi è stato per secoli e i componenti dei comitati festa, i quali curano l’aspetto esteriore delle feste religiose dedicate alla Madonna e ai Santi venerati nella parrocchia di appartenenza, non hanno il naturale ricambio, spesso apportatore di nuove idee.

Così, generalizzando un discorso che ovviamente è diverso variando i luoghi e le persone, si rischia, soprattutto per le feste patronali, che tutto si traduca in un déjà vu, in un prodotto già visto e quindi poco attraente.  Tuttavia, occorre non confondere due elementi che sono diversi e, però, accomunati.

Il primo e fondamentale è la venerazione del Santo Protettore, con le cerimonie sacre pertinenti che riguardano esplicitamente il Parroco e nel quale si manifesta la liturgia propria del culto. Il secondo è il bisogno di accrescere la partecipazione della comunità attraverso manifestazioni non ripetitive e che coinvolgano i giovani e non solo i giovani.

L’accortezza è appunto quella di conservare il passato nei suoi elementi qualificanti, i quali consentono di non perdere l’identità di una cultura, di un luogo, in un mondo in cui tutto sembra invece omologarsi e smarrirsi nel contingente, e al tempo stesso arricchire la manifestazione con innovazioni mirate al coinvolgimento dei presenti.

La festa è un fatto corale, di partecipazione collettiva e non un mero spettacolo a cui si assiste da estranei. Occorre sentirsi parte della comunità. Ciò è oggi molto difficile poiché si tende a vivere una comunicazione virtuale, tramite i social.

Per tale motivo, far partecipare fisicamente e coinvolgere in una festa diventa anche un compito educativo per far incontrare e dialogare le persone. Si capisce che tutto questo non è facile, ma il coinvolgimento è necessario per far crescere la comunità ed è una delle sfide che ci attende se si vuole essere una società civile in cui tutti si sentano veramente e responsabilmente di far parte.

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Insidie comuni nelle scommesse non AAMS per gli italiani

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Il mondo delle scommesse non aams sta avendo sempre maggior seguito soprattutto negli appassionati di betting più giovani e smart capaci di utilizzare al meglio le nuove tecnologie.Tuttavia, molte persone scelgono siti come casino online non aams paypal proprio per la sicurezza offerta dai metodi di pagamento digitali come PayPal, che forniscono protezione nelle transazioni. Ma i luoghi comuni e i pregiudizi sui bookmakers non aams continuano ad essere molti. In special luogo gli italiani credono che le piattaforme di betting straniere nascondono delle insidie. In questo articolo analizziamo le 5 insidie più comuni per le scommesse non aams e ti diamo anche la soluzione per superarle senza problemi.

Legalità dei siti di scommesse non aams.

Insidia – I detrattori dei bookmakers non aams sottolineano sempre il fatto che questi siti, non avendo una regolare concessione aams o adm, non siano legali. Questo crea nel giocatori paura di incorrere in multe se aprono un conto gioco su questi siti in quanto questo comporterebbe un’azione di fatto illegale.

Soluzione – E’ vero, ci sono alcuni siti di scommesse non aams che sono illegali ma sono quelli che sono sprovvisti di licenza internazionale ed in genere sono quelli con sede operativa nei paesi dell’est. Ecco perchè è molto importante che prima di aprire un account su un sito di betting ti assicuri che l’azienda in questione sia totalmente regolarizzata in una di queste giurisdizioni: Malta, Gibilterra o Curacao. Questi 3 stati hanno enti regolatori molto severi e impeccabili a garantiscono la piena legalità dei sito. 

Sicurezza dei bookmakers non aams

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Soluzione – Assicurati che il bookmakers non aams su cui vuoi scommettere garantisca l’utilizzo di crittografia SSL, di protocolli anti-riciclaggio, di strumenti per password e accessi sicuri. In questo modo sarai certo al 100% che il bookmaker non aams su cui stai giocando sia sicuro e affidabile come un qualsiasi sito aams o adm.

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Bonus e promozioni nei bookmakers non aams

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Pagamenti delle vincite nei siti non aams

Insidia – Una delle critiche maggiori di chi non ama i bookmakers non aams è quella di dire che queste aziende non pagano le vincita, specialmente quelle più grosse.

Soluzione – Anche in questo caso è un attacco gratuito e non veritiero a un mondo, quello dei siti di scommesse non aams serio e professionale come lo è quello del betting con concessione nazionale.

I depositi e i prelievi, anche in criptovalute, sono garantiti al 100% su tutti i siti di scommesse non aams che hanno un’autorizzazione internazionale.

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