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“Banche sempre più distanti”

Avv. Tanza (Adusbef): “Alla tradizionale distanza operativa tra banca e clienti, si è aggiunta quella funzionale tra centi decisionali e locali”

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Le banche sono sempre più nell’occhio del ciclone: anatocismo, swap e prodotti finanziari altamente rischiosi, usura bancaria, ombre di fallimento e risparmi dei creditori a rischio. Ne consegue che il rapporto di fiducia tra cittadini, imprenditori e banche sia ridotto ai minimi termini. Abbiamo voluto parlare di questi argomenti con l’avv. Antonio Tanza, presidente provinciale dell’Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari Finanziari Postali e Assicurativi e, curiosa coincidenza, dal 1996, anno di nascita de “il Gallo”, vicepresidente nazionale sempre dell’Adusbef. 


Il 2016 per lei è il ventesimo anno da vice presidente vicario dell’Adusbef. In tutti questi anni come è cambiato il ruolo delle banche?


Sicuramente negli ultimi il processo di globalizzazione ha comportato anche un’evoluzione del sistema bancario. È evidente che oggi assistiamo allo sviluppo del concetto di “distanza”: non c’è più solo la distanza tradizionale tra banca e clienti, che è la distanza operativa, ma anche alla distanza funzionale tra centri decisionali delle banche e i centri locali. È cambiata sicuramente la geografia del sistema bancario: le decisioni vengono prese in Europa.


L'avvocato Tanza

L’avvocato Tanza


Basta far riferimento al ruolo svolto dalla BCE: dal novembre del 2014 la BCE ha assunto i compiti di supervisione bancaria per le banche dell’area dell’Euro, che esercita nell’ambito nel meccanismo unico di vigilanza. Il trasferimento di responsabilità di vigilanza dalle autorità nazionali alla BCE è stato totale: la BCE ha tutti gli strumenti di vigilanza di cui dispongono le autorità nazionali; ha piena responsabilità per tutte le banche che hanno una significatività sistemica ed anche la possibilità di richiamare sotto la propria responsabilità le banche più piccole, nel caso in cui queste generino potenziali problemi di dimensioni europee. È ancora indiscutibile il ruolo che la Banca centrale ha avuto nella risoluzione della crisi di alcuni stati membri (basti pensare alla Grecia). All’evoluzione di ruolo della BCE occasionata dalla crisi non si può ancora mettere la parola fine, perché la crisi non è purtroppo conclusa. Staremo a vedere!”.


Il rapporto di fiducia tra cittadini, imprenditori e banche è irrimediabilmente incrinato? Anatocismo, usura, decreti salva banche hanno portato il gradimento ai minimi termini…


La fiducia è fortemente compromessa anche dagli ultimissimi eventi. Siamo di fronte ad un dissesto finanziario del sistema, non solo per le “perdite” in termini di risparmi persi e di capitali non restituiti, ma soprattutto perché si è verificato l’estremo logoramento della relazione di fiducia tra banche e clienti, che avrà bisogno di tempo per ricostruirsi.  È palese, infatti, una certa stanchezza ed una certa sfiducia da parte della clientela, stanchezza e sfiducia che si sta traducendo, nel tempo, in una crisi di rigetto e in una avversione verso le banche. Sarebbe opportuno costruire una nuova dimensione di correttezza reciproca tra banche e risparmiatori, si dovrebbe riuscire a recuperare una forma di rispetto del cliente-risparmiatore, in quanto persona”.


Tanti piccoli e medi imprenditori lamentano un atteggiamento di chiusura nei loro confronti dopo tanti anni nei quali hanno foraggiato le banche. Ma la BCE non aveva irrorato 139 mld di euro alle banche italiane proprio per le imprese?


La banca centrale finora ha iniettato mille miliardi di euro nel sistema bancario. In particolare Unicredit ha chiesto poco meno di 12,5 miliardi di euro, Ubi 6 miliardi,  Mediobanca e Banco Popolare 3,5 miliardi, Intesa Sanpaolo 24 miliardi e  Mps tra 7 e 10 miliardi. Di fatto certamente restano i dubbi su come saranno usati questi soldi: se verso le aziende e le famiglie oppure no.


Del resto, anche in passato, le Banche hanno preferito investire il denaro preso in prestito all’1% dalla Bce in Btp o Bonos dai rendimenti più allettanti, invece di allargare le maglie dei finanziamenti e dei prestiti alle famiglie e alle imprese.


Nonostante le rassicurazioni del Direttore Generale dell’ABI che ha dichiarato che la liquidità della Bce sarà utilizzata per finanziare imprese e famiglie, rimane, dunque, il dubbio che alle famiglie e alle imprese arrivino solo le briciole.


Guardando al nostro panorama del resto il superamento delle crisi e, dunque, la possibile ripresa economica del Paese sembra ancora lontana”.


Anatocismo bancario: il caso più clamoroso quello che ha riguardato Adelchi Sergio che lei ha seguito in prima persona


La vicenda della Nuova Adelchi spa costituisce sicuramente un caso da manuale in materia di indebite pretese delle banche.


La condanna delle BNL al pagamento di circa 7 milioni di euro, rappresenta un’ancora di salvezza per tutti gli imprenditori in crisi, che conservano ancora gli estratti conto, e che non sanno di avere tra le mani un tesoro, o meglio, la loro possibilità di svolta, recuperando il maltolto, grazie al lavoro delle associazioni di consumatori”.


Ci sono altri casi in provincia di Lecce? Quali le banche coinvolte? Ci sono state già sentenze in merito?


Le pronunce in provincia relative a casi di anatocismo bancario da me personalmente curate sono innumerevoli e coinvolgono praticamente tutti gli Istituti bancari operanti sul territorio. La prima, storica, sentenza risale al 1992. A partire da quella data si sono registrate tantissime vittorie per i consumatori, anche al di fuori del Salento (possono essere consultate sul sito www.studiotanza.it, dove sono pubblicate tutte le sentenze relative a cause patrocinate dall’Avv. Tanza)”.


Swap e prodotti finanziari: possibile che ancora si possano rifilare ad ignari correntisti investimenti ad alto rischio? Di recente ha avuto segnalazioni in merito?


Purtroppo gli eventi più recenti dimostrano che ancora oggi, nonostante le tante campagne di informazione e le battaglie vinte nelle aule giudiziarie a tutela degli investitori, gli investimenti finanziari vengono effettuati con poca consapevolezza, vuoi perché le persone sono condizionate dal rapporto di fiducia col dipendente/promotore proponente, vuoi perché sono costrette a compiere determinate operazioni al fine di accedere a finanziamenti o altre agevolazioni (“Quest’ultimo caso riguarda in particolare le imprese, come si è verificato nella distribuzione dei derivati”). Sul fronte degli swap abbiamo una giurisprudenza anche di merito ormai pacifica nel ritenere che questi prodotti sono nulli se non in grado di fungere da copertura rispetto a finanziamenti a termine ricevuti dalla società investitrice, con conseguente condanna della banca a restituire gli importi degli addebiti. Quindi le società che ne hanno contratti dovrebbero verificare se il nozionale del derivato, il timing dei flussi finanziari ed altri dati economici del rapporto corrispondono a quelli dei finanziamenti che hanno ricevuto. Ad ogni buon conto, spesso dalla complessa documentazione contrattuale firmata, emergono altri vizi formali ed omissioni informative utili ai fini processuali. Sul fronte degli investimenti privati, poi, dobbiamo riscontrare ancora molti abusi e disinformazione”.

Altro capitolo preoccupante, quello dell’usura bancaria. Com’è la situazione oggi, soprattutto nel Salento?


Preoccupante, in quanto riscontriamo numerosi casi di rapporti bancari affetti da usurarietà, a seguito della richiesta di assistenza da parte di cittadini ed imprese, spesso in seguito a pignoramenti su beni immobili destinati alle vendite giudiziarie. Le perizie econometriche redatte dai nostri esperti commercialisti, al fine di vagliare la correttezza dei presunti crediti vantati dagli istituti di credito, rilevano in numerosi casi l’applicazione di interessi usurari, sia con riferimento a contratti mutuo o finanziamenti ed affini, che ad affidamenti su contratti di conto corrente. A quel punto può iniziare la battaglia in Tribunale per far valere i diritti dei nostri assistiti”.


Bail-in: quattro banche cooperative hanno lasciato sul lastrico migliaia di risparmiatori obbligazionisti (Banca Etruria, CarichietiCariparma Banca Marche), ma si parla sempre più insistentemente di altre 33 banche sull’orlo del fallimento e tra queste ci sarebbe la Bcc di Terra d’Otranto. Le risulta?


La Banca di Credito Cooperativo di Terra d’Otranto è stata posta dalla Banca d’Italia a fine 2014 in amministrazione straordinaria ed a settembre 2015 ha subito dalla stessa Autorità di vigilanza un provvedimento sanzionatorio per accertate carenze nell’organizzazione e nei controlli. Sappiamo inoltre dalla stampa che sono in corso indagini penali. Ciò però non è sufficiente per ritenere che la banca sia sull’orlo del fallimento. Certo è che, dopo l’introduzione in Italia dei principi contenuti nella direttiva comunitaria Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) ed il famoso decreto legge del 22 novembre 2015 che ha posto in risoluzione le 4 banche, l’intero mondo bancario è cambiato ed il dogma “le banche non possono fallire” non è più valido. Quindi, a maggior ragione consigliamo estrema prudenza negli investimenti in azioni ed obbligazioni di tutte le banche, tenendo pur sempre in conto che il fenomeno del disinvestimento selvaggio e della “corsa agli sportelli” non può che aggravare la crisi finanziaria”.


Tra le altre banche coinvolte ce ne sono che operano in provincia di Lecce?


La questione che più recentemente ci vede coinvolti in prima fila come Adusbef Puglia è quella della vendita delle azioni e delle obbligazioni convertibili Veneto Banca presso le filiali della controllata Banca Apulia. È un caso che interessa l’intera regione, da Foggia fino al basso Salento, e che ha visto bruciati i risparmi di tanti investitori ignari. A tale proposito, stiamo inviando reclami alle due banche, nella speranza che, dato l’elevato numero di casi, venga avviato un tavolo di trattative per la soluzione bonaria della questione”.


In tutto questo marasma chi ha l’obbligo di vigilare (Banca d’Italia) che fa?


Banca d’Italia e Consob sono oggi nel mirino delle critiche perché si ritiene che una maggiore attenzione e sensibilità nell’attività di vigilanza avrebbe consentito di evitare, da un lato, il dissesto e la crisi finanziaria di banche (il controllo sulla loro stabilità patrimoniale è di competenza della Banca d’Italia) e, dall’altro, la vendita indiscriminata di azioni ed obbligazioni subordinate alla clientela retail incompetente ed inconsapevole (spetta alla Consob il controllo sul rispetto degli obblighi informativi da parte degli intermediari nella vendita degli strumenti finanziari). In particolare, si ritiene che una normativa interna più efficace, che espressamente dichiarasse le obbligazioni bancarie strumenti finanziari complessi e rischiosi, avrebbe costretto le banche ad una maggiore trasparenza nelle vendite”.


Intanto la gente è sempre più preoccupata dall’equazione “se la banca fallisce pagano i correntisti”: è proprio così?


Non esattamente. I depositi bancari (libretti, c/c, conti deposito, certificati di deposito, ecc.) sono fino ad un certo importo garantiti dal Fondo Interbancario a Tutela dei Depositi. Solo per la parte eccedente i 100 mila euro sarebbero coinvolti nel cosiddetto bail in”.


Nell’ambito dell’edilizia, uno dei motori dell’economia salentina, ci sono casi in cui imprenditori si sono rivolti all’Adusbef? C’è qualche storia particolare che ci può raccontare?


Il mondo dell’edilizia purtroppo è stato uno dei più colpiti dalla crisi che attanaglia da molti anni il panorama italiano, in particolare nel meridione. Dunque abbiamo assistito ed assistiamo numerose imprese edili in difficoltà, stritolate tra la morsa di entrate ridotte al minimo e l’aggressività delle Banche. Per ovvie questioni di privacy non mi è consentito divulgare i nominativi senza previa autorizzazione, ma posso assicurarvi che questo settore è indubbiamente uno dei più coinvolti nel contenzioso bancario, e che di riflesso l’attività della nostra Associazione ha contribuito ad aiutare numerose imprese che hanno ottenuto risarcimenti importanti”.


Lei, quotidianamente, riceve persone che devono affrontare problemi con le banche. Quali sono le “anomalie” più frequenti che le sottopongono?


Le anomalie che riscontriamo sono innumerevoli. Senz’altro quelle più comuni attengono all’applicazione di indebite competenze su rapporti di conto corrente affidato e all’applicazione di tassi di interesse usurari su rapporti di mutuo. Inoltre frequenti sono i casi di mancanza di trasparenza nelle vendite dei prodotti finanziari, errata od illegittima segnalazione dei nominativi a Centrale Rischi, ed ultimamente sono in aumento i casi di truffe online come il pharming (tentativo di truffa che avviene con la diffusione di un virus che indirizza il cliente al di fuori dei server della banca) od il phishing (frode finalizzata all’acquisizione di dati riservati attraverso l’invio di e-mail contraffatte, imitando grafica e loghi ufficiali della banca)”.


Ha da raccontare qualche aneddoto particolare?


Nel 2009 per la prima volta nella storia un’intera agenzia di una banca stava per essere pignorata da parte di un suo cliente. La Banca, infatti, era stata condannata al pagamento di € 1.339.310 per indebite competenze (interessi ultralegali indeterminati, commissioni di massimo scoperto trimestrali, valute fittizie, spese forfettarie e capitalizzazione composta) dal Tribunale di Lanciano. Rifiutandosi di adempiere, io ed il mio cliente eravamo pronti al pignoramento. Solo di fronte a tale prospettiva ed alla presenza dell’ufficiale giudiziario e delle telecamere di Striscia la Notizia, la banca decise di staccare un assegno di oltre € 1.400.000”.


Giuseppe Cerfeda


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Gli anni passano, le tradizioni cambiano, in meglio o in peggio?

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti..

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di Hervé Cavallera

Con le Festività di inizio novembre si è entrati nell’ampio periodo delle feste di fine anno con tutte le celebrazioni rituali che esse implicano. Ora, già da un remoto passato l’essere umano ha avvertito con perplessità la fine della bella stagione, l’allungarsi del buio nelle giornate e l’appressarsi del freddo.

Ed ha collegato la fine della stagione calda e luminosa con la fine di un ciclo, che non è soltanto quello solare, ma soprattutto quello della stessa vita. Ha colto cioè il senso del trapasso con tutte le incognite ad esso legate, sì da elaborare nel corso dei millenni dei riti di passaggio tra questa e l’altra vita oltremondana. Al tempo stesso, si è pensato di illustrare il cammino del tempo secondo calendari legati al ciclo solare e a quello lunare.

Così per diverse popolazioni dell’antichità, tra cui i Celti che risiedevano principalmente nel centro Europa, il transito tra un anno e l’altro era previsto con l’attuale 1° novembre e in quel giorno, essendo poco netta la transizione tra la luce e le tenebre, il mondo dei vivi si mescolava con quello dei morti e questi ultimi potevano riapparire.

Non a caso il 2 novembre, che seguiva Ognissanti, fu scelto come il giorno della commemorazione dei defunti ed è triste constatare come oggi tanti cimiteri monumentali siano praticamente abbandonati.

Ora, il primo calendario che unificò il mondo mediterraneo fu quello giuliano, ideato dall’astronomo greco Sosigene e divenuto operativo nel 46 avanti Cristo con Giulio Cesare.

Tale calendario rimase in vigore sostanzialmente sino al 24 febbraio 1582 quando papa Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissimas, lo sostituì con vari ritocchi con il calendario tuttora esistente detto appunto gregoriano.
Il mondo cristiano ha poi inserito varie ricorrenze a tutti note, fissando le feste di precetto, ossia quelle in cui i fedeli sono particolarmente tenuti alla partecipazione della messa.

Per i cattolici sono: tutte le domeniche; Capodanno (1° gennaio); Epifania (6 gennaio); Assunzione di Maria Vergine (15 agosto); Tutti i Santi (1° novembre); Immacolata Concezione (8 dicembre); Natale (25 dicembre).
Accanto alle feste religiose ogni Stato ha aggiunto per suo conto le feste civili, tra le quali in Italia ricordiamo almeno il 1° maggio (festa dei Lavoratori) e il 2 giugno (festa della Repubblica).

È evidente che se la divisione del tempo in anni, mesi, settimane, giorni, corrisponde ad una esigenza di dare ordine in una realtà ciclica (il rinnovarsi delle stagioni), il concetto di festa si collega, per l’aspetto civile, ad un evento di cui si è particolarmente orgogliosi, e, per quello religioso, è volto ad onorare la Divinità e i Santi.

Sotto tale profilo la festa sia religiosa sia civile non è da intendersi come una vacanza, ma come una celebrazione. Certo nei giorni festivi non si lavora, ma essi non si dovrebbero intendere come meramente vacanzieri.

Festa o vacanza?

Al contrario, dovrebbero servire a raccogliere i componenti di una comunità, quotidianamente intenti ad attività differenti, in uno spirito celebrativo comune.

Una comunanza soprattutto spirituale che può naturalmente trovare un momento gioioso particolarmente nei pasti che una volta erano frugali per i più e ai quali si riusciva a fare qualche eccezione nei giorni di festa.
Così a Natale si poteva arricchire la tavola con il panettone o il pandoro, come nel cenone di Capodanno si mangiavano lenticchie (ritenute ben auguranti) e cotechino.

Sono solo pochi esempi di cibi per così dire “nazionali”, mentre ogni regione aveva (e in gran parte ha) i suoi piatti tipici. Per tale aspetto, nelle feste (e soprattutto in quelle religiose) il sacro si mescola col profano, la speranza del premio ultraterreno con il buon piatto, il senso della fratellanza spirituale con quello della buona compagnia. In ogni caso si percepisce o si dovrebbe percepire il riconoscimento del sacro confermato dalla grazia di star bene.

È così ancora oggi? Non proprio. Nella nostra società si è imposto e si va imponendo un modo di essere sempre più materialistico e consumistico. L’esempio più vistoso è Halloween, la notte di Tutti i Santi, che alla luce di evidenti influenze anglosassoni, è divenuta la festa del macabro e del soprannaturale in una atmosfera neopagana e consumistica. Che dire poi di prodotti come il panettone o la colomba che si cominciano a vendere mesi prima di Natale o di Pasqua?

Le due stesse massime festività della Cristianità (la nascita di Cristo e la Sua resurrezione) passano quasi in second’ordine nella loro specificità di fronte alle spese, ai doni e a quant’altro di godereccio possa esistere. Anche in questo caso occorre precisare che non vi è nulla di male nel mangiare il panettone e la colomba, che è bene brindare purché non si ecceda, che qualche bambino può ben dire Trick or Treat (Dolcetto o Scherzetto).

Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti (si pensi alle processioni, ai piatti particolari e così via), ora tutto si va modificando e si impone solo la dimensione del consumo e dello spettacolo.

Certo, il mondo da sempre va cambiando ed è così, ma il mutamento positivo è quello che sa conservare i valori e mettere da parte l’inutile; in tal modo una civiltà cresce e si sviluppa e le persone maturano. Che le cosiddette tradizioni rimangano solo per attrarre turisti o per generare consumi certamente non è positivo e rischia di ridurre tutta la realtà al semplice godimento – non sempre corretto né di tutti – dell’immediato.

Quello che veramente oggi dovrebbe contare, in una società dove soffiano pericolosi venti di guerra e l’Occidente è pervaso da un edonismo individualistico, è il recupero della dimensione spirituale che accomuna gli animi e li rende aperti al dialogo e agli affetti disinteressati.

E da tempo immemorabile tale è stato il compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, istituzioni che attraversano un momento non facile, ma nel rilancio della loro funzione risiede la salvezza di un Occidente che va spegnendosi nelle luci artificiali dei consumi.

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Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte

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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.

I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.

Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.

La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.

Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».

Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».

PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI

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Muretti a Secco e Pajare

Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre

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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)

Dario ha fatto della sua passione un lavoro.

Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».

Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».

Qual è in particolare il tuo lavoro?

«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».

In particolare, a cosa ti riferisci?

«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».

Il cemento non lo utilizzi affatto?

«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».

Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?

«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».

E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?

«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».

Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»

Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:

«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».

PER MESCIU PIPPI, CUSTODE DELL’ARTE EDILIZIA CLICCA QUI

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