Cronaca
Cyber security: così ci rubano l’identità
Aziende continuamente bersagliate dai cosiddetti “criminali del web”

Il 2016, in Italia, è partito veramente male per le aziende che vengono continuamente bersagliate dai cosiddetti “Criminali del web”. Solo davvero tante le aziende che sono state vittima di ransomware sono circa 250.
Uno degli ultimi arrivi in Italia è TeslaCrypt 3.0 che si manifesta criptando tutti i files presenti sul PC e dispositivi collegati, rinominando gli stessi in files con estensione “.MICRO” e rendendo inaccessibili tutti i dati aziendali per poi chiedere un riscatto per rendere nuovamente disponibili e leggibili i dati.
I danni per molte aziende sono stati ingenti, quelle non organizzate e strutturate con sistemi di protezione, sistemi di backup e/o disaster recovery hanno avuto la peggio perdendo i dati, mentre le organizzazioni che avevano già da tempo dato importanza alla “Sicurezza Informatica” si sono limitate a qualche ora di fermo per poter avviare e portare a termine i vari piani di Disaster Recovery.
Purtroppo questi fenomeni e queste tipologie di attacchi stanno diventando sempre più numerosi e potenti, grazie al fatto che, nel mondo del “Dark Web”, si trovano spesso i cosiddetti “Distributori di ransomware”, che arruolano nelle proprie organizzazioni criminali chiunque sia in cerca di soldi facili: vendono dei kit a pochi soldi, naturalmente si fanno pagare in Bitcoin (moneta virtuale) aumentando così la rete e l’area di distribuzione.
Un consiglio che mi permetto di dare a tutte le aziende che avranno a che fare con questa tipologia di problema è quello di non pagare mai il riscatto, ma rivolgersi ad esperti del settore e iniziare immediatamente un processo di messa in sicurezza della stessa azienda.
Le soluzioni “fai da te” non hanno portato buoni risultati; ho visto negli ultimi mesi aziende che avevano sistemi di backup e soluzioni antivirus che comunque sono state attaccate da queste tipologie di virus perdendo dati e backup. Alcuni, ad esempio, avevano i dispositivi su cui venivano depositati i backup connessi ai computer e/o server e privi di sistemi di protezione adeguati. Voglio ricordare che i ransomware si espandono sul PC infettato e su tutti i dispositivi collegati (Dischi USB, Pen Drive, sistemi di Storage, NAS, e quant’altro), ripeto, privi di sistemi di protezione adeguati.
Brutte notizie anche per i possessori di MAC per l’arrivo di KeRanger, che si nasconde in una versione Transmission, software popolare nel mondo Torrent.
Massima attenzione bisogna prestarla anche nei confronti di altre tipologie di attacco, una delle più datate è quella dell’ingegneria sociale che si basa proprio sullo studio del comportamento di una persona al fine di carpirne informazioni utili all’attacco.
Il modus operandi di uno di questi ultimi attacchi è il seguente: la vittima (in genere quasi sempre maschile) viene agganciata sui social da un utente a lui sconosciuto, dal nome femminile, che subito dopo sposta la conversazione su whatsapp, come richiesto dall’interlocutrice. In poco tempo quindi, il criminale, ottiene nome, cognome, data, luogo di nascita e indirizzo di posta elettronica: tutte queste dal social network, poi spostando la conversazione su whatsapp ottiene anche il numero di telefono.
A questo punto, in possesso di questi dati, il criminale può tentare in un centro di telefonia la richiesta di duplicato della SIM telefonica, facendo figurare ad esempio una perdita del telefono.
In possesso della nuova SIM telefonica, effettuare un reset della password dell’indirizzo di posta elettronica è in alcuni casi molto semplice, soprattutto se l’utente ha impostato a suo tempo l’SMS come metodologia di recupero password.
Entrati in possesso della casella di posta elettronica i pericoli aumentano, si possono trovare informazioni utili come la Banca della vittima, codice e numero del conto corrente, e altro.
Da qui ad arrivare a prelevare e spostare denaro dal conto corrente è un’operazione abbastanza semplice poiché l’80% delle operazioni di reset e cambio password si basano sulla casella di posta elettronica e SIM telefonica.
Altro punto su cui vorrei soffermarmi in quest’articolo è il processo d’installazione delle varie APP che si trovano sugli store.
Da un’analisi effettuata dai laboratori di Kaspersky è emerso che più del 50% non legge il contratto di licenza prima di effettuare l’installazione, e non legge nemmeno l’elenco delle autorizzazioni richieste dall’APP, ma si limitano a cliccare sempre su AVANTI autorizzando praticamente tutto.
Teniamo conto che, una volta installata, ci si dimentica anche di avere installata una determinata APP, magari un gioco per bimbi, o un ricettario, o altro.
Le APP, una volta installate e autorizzate, essendo dei software che hanno accesso ai dati del telefono possono essere utilizzate dai cyber criminali per nascondere apposite funzioni, ad esempio registrare conversazioni, numeri, rubrica, sms, foto, ecc. e inviare il tutto via internet ai loro stessi server. Tali informazioni possono essere successivamente utilizzate per gli scopi più vari.
Tenendo conto che, ai giorni nostri, sui cellulari abbiamo qualsiasi tipologia di dato: dalla semplice chiamata, alla conversazione Whatsapp, all’SMS, alla mail, sino ad arrivare a collegamenti con sistemi cloud come Onedrive, Dropbox, Googledrive, ecc. non prestando la massima attenzione su quello che installiamo, potremmo incorrere in problemi di varia natura, dando accesso ai nostri dati a criminali che utilizzano le APP come punto d’ingresso.
La tecnologia va utilizzata prestando la massima attenzione, leggendo condizioni d’uso, autorizzazioni, diffidando da sconosciuti, ma soprattutto comprendendo che il dato digitale rappresenta una delle principali ricchezze delle aziende.
Massimo Chirivì – Ict Consultant
Copertino
Gioco illegale, denuncia e sequestro di beni
Pignorati in beni mobili e immobili fino a 165mila euro quale provento illecito derivante dal volume di giocate irregolari al netto delle vincite effettivamente corrisposte agli ignari avventori. Imprenditore indagato per l’ipotesi di frode informatica

I finanzieri del Comando Provinciale di Lecce hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo emesso dal Tribunale di Lecce, nei confronti di un imprenditore indagato per l’ipotesi di frode informatica.
Il provvedimento giunge al termine di un’attività d’indagine svolta dalle Fiamme Gialle della Tenenza di Porto Cesareo, alle dipendenze del Gruppo Guardia di Finanza di Lecce, volta al contrasto al gioco illegale.
In tale ambito, già lo scorso 6 dicembre, i militari – unitamente a funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Bari – erano intervenuti presso un circolo privato, sito a Copertino, dove avevano individuato due slot machine manomesse: all’interno erano state irregolarmente installate delle schede gioco”scollegate dall’A.D.M., sulle quali sarebbe stata canalizzata gran parte dei volumi di gioco, così sottraendoli ai controlli ed alla prevista tassazione (Prelievo Unico Erariale).
Le successive investigazioni e gli ulteriori accertamenti tecnici eseguiti sulle schede gioco sottoposte a sequestro, hanno consentito alle Fiamme Gialle di ricostruire i reali volumi d’affari e di quantificare in oltre 500mila euro l’importo delle giocate illecitamente effettuate.
Pertanto, il G.I.P. del Tribunale di Lecce, su proposta della locale Procura delle Repubblica, ha emesso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca di valori, beni immobili e mobili nella disponibilità dell’indagato, fino alla concorrenza del valore di oltre euro 165mila quale provento illecito derivante dal volume di giocate irregolari al netto delle vincite effettivamente corrisposte agli ignari avventori.
Nella fase esecutiva, i finanzieri di Porto Cesareo hanno proceduto al sequestro della somma di 145mila euro in contanti, rinvenuta durante le perquisizioni locali, nonché delle quote di una società e di un autocarro.
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Cronaca
Cinque costruzioni abusive in rive al mare
Contrasto ai reati nelle aree a tutela paesaggistica. Torre Chianca: i carabinieri forestali individuano le costruzioni abusive nelle Paludi di Rauccio, zona vincolata. Denunciati i proprietari. Ulteriori accertamenti sono tuttora in corso in tutta l’area litoranea adriatica, in particolare nei Comuni di Lecce, Vernole, Melendugno e Otranto, con l’ ausilio dell’elicottero

Nel corso della campagna di controlli nazionale, denominata “Fiume Sicuro”, finalizzata al contrasto degli abusi edilizi nelle aree fluviali, e comunque a tutela del reticolo idrografico e della sua funzionalità, i Carabinieri Forestali del Nucleo di Lecce, all’ esito di capillari accertamenti sull’area umida del Fiume Idume, delle Paludi di Rauccio e zone circostanti, hanno individuato 5 costruzioni abusive, tutte nella nota località balneare di Torre Chianca (Lecce), ricomprese in area vincolata ai sensi del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale.
Si tratta, in un caso, di una struttura prefabbricata in lamiera, utilizzata per abitazione, completa di recinzione in muratura, pavimentazione in massetto di cemento e due tettoie sporgenti.
In un’altra situazione, ancora un prefabbricato metallico, della superficie di circa 50 metri quadri, completo di impianto idrico, elettrico e fognario, con un vano in muratura adiacente della superficie di circa 15 metri quadri, con piazzale in cemento di 250 mq e cancello in ferro.
Da ultimo, un caso di 3 casette adiacenti, all’interno di un’area recintata con cancello di ingresso in comune, tutte composte da un unico vano, di dimensioni da 25 a 50 metri quadri, con verande in legno (una delle tre costruzioni già ammobiliata, un’ altra ancora priva di intonaci ed impianti).
Per i cinque immobili di cui sopra, costruiti senza permesso di costruire e tantomeno autorizzazione paesaggistica, i Carabinieri Forestali hanno deferito alla Procura della Repubblica di Lecce i rispettivi proprietari.
La zona interessata dagli abusi edilizi presenta un particolare pregio floristico e faunistico, oltre che paesaggistico, rientrando in Sito di Interesse Comunitario della Rete “Natura 2000”, nonché nella fascia di rispetto del Parco Regionale “Bosco e Paludi di Rauccio”, sottoposta anche a vincolo idrogeologico.
Ulteriori accertamenti sono tuttora in corso in tutta l’area litoranea adriatica, in particolare nei Comuni di Lecce, Vernole, Melendugno e Otranto, con l’ausilio dell’elicottero AW169 del 6° Nucleo Carabinieri, di stanza a Bari-Palese, quanto mai efficace e prezioso laddove le perlustrazioni al suolo sono più difficoltose per la presenza di fitta vegetazione o di alte recinzioni.
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Cronaca
Offesero in tv la memoria di Noemi, condanne confermate
Un anno per Biagio Marzo e 6 mesi per Rocchetta Rizzelli per diffamazione aggravata e continuata a mezzo stampa. La mamma di Noemi Durini Imma Rizzo, accompagnata dai suoi avvocati Valentina Presicce e Flavio Santoro: «Giustizia è fatta»

«Hanno sempre diffamato la memoria di mia figlia per giustificare il fatto criminoso commesso dal figlio», urla Imma Rizzo, la mamma di Noemi Durini, la sedicenne di Specchia assassinata nel settembre 2017 dal suo fidanzato, «anche la Corte di Appello di Lecce mi ha dato ragione confermando la sentenza di primo grado. I genitori di Lucio Marzo, invece di rimanere in silenzio, dopo l’omicidio di mia figlia, hanno cercato in tutti i modi di giustificare il gesto aberrante commesso dal figlio arrivando addirittura a dire che mia figlia volesse ucciderli. Tutto questo è falso e infamante».
«Confermata la condanna per i genitori di Lucio Marzo che si proclamavano orgogliosi del figlio omicida reo confesso», tuona l’avv. Valentina Presicce, «il modo allusivo utilizzato da Biagio Marzo e Rocchetta Rizzelli per raccontare di comportamenti assunti da Noemi, di fatto, mai verificatisi, al solo fine di denigrare l’immagine e la memoria di una ragazza di 16 anni, uccisa dal loro figlio è vergognoso. I genitori di Lucio Marzo non hanno mai dimostrato alcun sentimento di pietà nei confronti di Noemi Durini, e hanno cercato, in tutti i modi, di giustificare il fatto criminoso commesso dal figlio infangando la sua memoria attraverso interviste televisive rilasciate ai principali programmi sulle più note reti nazionali. Viene totalmente smentita la tesi della difesa che tentava di far leva sul processo mediatico e sull’ingerenza dei giornalisti nella vita di Marzo e Rizzelli. Dai video, acquisiti nel processo di primo grado, i genitori di Lucio Marzo aprivano spontaneamente le porte della loro casa alla giornalista Paola Grauso di “Chi l’ha Visto?”, e Biagio Marzo interveniva spontaneamente nella trasmissione “Quarto Grado” senza essere “braccato” dalla giornalista come volevano far credere. Oggi», conclude l’avv. Valentina Presicce, «arriva per loro la giusta giustizia con la conferma della condanna per diffamazione aggravata a mezzo stampa».
COSA DICE LA SENTENZA
Con sentenza N. 1024/21 del 28/06/21, Biagio Marzo e Rocchetta Rizzelli erano stati condannati per diffamazione aggravata e continuata, ai sensi dell’art. 81 e 595, commi 1-3 c.p. perché, “in concorso fra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso offendevano la reputazione della defunta Noemi Durini nel corso di tante trasmissioni televisive”.
Oggi la Corte di Appello di Lecce ha confermato la condanna di primo grado ad un anno per Biagio Marzo e a 6 mesi per Rocchetta Rizzelli.
Sin dai primi giorni della scomparsa di Noemi e anche dopo la confessione del figlio, i genitori di Lucio Marzo, rilasciavano interviste televisive ai principali programmi televisivi, descrivendo la persona di Noemi e la sua famiglia con accezioni di carattere negativo e dispregiativo.
In particolare, nella puntata del programma “Chi l’ha visto” andata in onda in data 20.09.2017 ma registrata in data 13 settembre 2017, Marzo Biagio e Rizzelli Rocchetta iniziavano a parlare di Noemi in termini dispregiativi: “Era una ragazza notturna, altro che solare, si è infilata in casa di notte… A me lo ha detto (parlando di Noemi) chiaramente. Ti devo fare impazzire”… “aveva problemi… era gelosa… si è chiusa nell’armadio e poi è andata a letto con mio figlio… ma la ragazzina, pur anche di un anno più piccola, aveva un bagaglio di esperienza molto più grande…”.
Biagio Marzo proseguiva: “Era tutt’altro che una brava ragazza, si accompagnava con delinquenti di trenta quarant’anni, una ragazzina di sedici e non voglio andare oltre – lasciando intendere qualcosa di ancora più negativo e continuava: “Addirittura aveva dato i soldi ad un certo tipo per comprare una pistola e per spararci… addirittura incitava mio figlio affinché ci scannasse tutti… era una ragazza cresciuta allo stato brado”. È bene ricordare come le indagini ed il processo di primo e secondo grado nel giudizio nei confronti di Lucio Marzo, abbiano dimostrato come tali dichiarazioni fossero del tutto prive di fondamento.
Nella trasmissione Quarto Grado del 21 aprile 2018, Biagio Marzo definiva “Noemi vittima delle sue amicizie e di chi non l’ha controllata”.
Nella trasmissione Quarto Grado “Delitto Noemi Durini” del 30 maggio 2018, Rizzelli Rocchetta urlava: “Siamo orgogliosi noi siamo vivi” così ribadendo la falsa e infamante accusa che Noemi volesse ucciderli e questo nonostante alla data del 30 maggio 2018 le indagini fossero ormai pienamente concluse e, dunque, l’intento calunnioso portato avanti da Lucio e dai suoi genitori ai danni di Noemi fosse stato completamente e totalmente smentito.
Con sentenza N. 1024/21 del 28/06/21 la condanna per i genitori di Lucio Marzo per diffamazione aggravata e continuata a mezzo stampa.
Il Giudice monocratico dott. Tanisi statuiva che “Alla stregua delle immagini dei programmi televisivi contenute nei files acquisiti al processo, non sia a dubitarsi né del fatto che le espressioni riportate in rubrica siano state effettivamente pronunciate dagli imputati, né del loro carattere altamente diffamatorio (peraltro rimarcato in un passaggio anche dal giornalista Nuzzi, che al Marzo, che per l’ennesima volta aveva lanciato pesanti allusioni sulla ragazza, contesta di aver gratuitamente “infangato” la povera vittima)… Espressioni quali quelle riportate in rubrica (che costituiscono solo una parte di quelle effettivamente profferite dal Marzo e, in parte, dalla Rizzelli) siano altamente offensive della reputazione di Noemi Durini, la cui figura risulta gravemente deturpata da parole talvolta volgari, talaltra allusive, pronunciate in più riprese in svariate trasmissioni televisive, anche dopo che gli imputati avevano avuto contezza che la ragazza – una studentessa di soli 16 anni – era stata massacrata dal proprio figlio. Si tratta, fra l’altro, di espressioni che oltre ad offendere la reputazione della ragazza, suonano come altamente offensive anche nei confronti dei genitori della stessa, accusati senza mezzi termini di non essere stati in grado di dare a Noemi la dovuta educazione e, quasi, di essere causa indiretta della tragedia. Al contrario – sostiene il Marzo in alcune delle interviste – di quanto da lui fatto col proprio figlio, evidentemente dimenticando che proprio suo figlio si è macchiato dell’assassinio della sua giovanissima fidanzatina».
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