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Approfondimenti

Omicidio Melissano, la mafia de noantri

Tutto colpa della droga. Circola a fiumi in tutti i nostri paesi e chi cerca soldi facili stringe patti con le ’ndrine calabresi o altre mafie importando enormi quantità di stupefacenti

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“9 arresti per droga” / “l’inchiesta ha portato 219 indagati e 147 capi di imputazione / infiltrazioni di clan criminali nel mondo delle costruzioni e dell’efficientamento energetico (inchiesta “Aemilia” / “le indagini dei magistrati antimafia rivelano gli importanti interessi delle organizzazioni criminali”. Sono tutte frasi e titoli estratti da quotidiani e magari state pensando che siano accaduti nei nostri paesi qui intorno ed invece, controllate pure, sono relative a Venezia, Aosta, Reggio Emilia ed addirittura San Marino. Luoghi di un’Italia vittima della droga e di conseguenza vittima dei clan che lottano per il controllo dello spaccio; un mercato che è in grado di produrre milioni di euro e che, di conseguenza fa gola a molti.

Siamo partiti geograficamente da lontano per arrivare comunque alla martoriata Melissano che è attualità con i suoi omicidi e gli arresti che li hanno seguiti a distanza di poche ore e che tante colonne di giornali hanno riempito in questi ultimi periodi.

Stiamo parlando di cose serie, gravi, di un ragazzo che è stato ammazzato con un sol colpo alla tempia, molto probabilmente da una persona di cui lui si fidava. Un’efferatezza che ha sconvolto la gente comune (un po’) e tutta la stampa (quella locale, perché quella nazionale è troppo impegnata a cercare di farci apparire tutti dei razzisti). La gente comune ha letto distrattamente la notizia, ha fatto finta di scandalizzarsi ma in realtà non più di tanto (si sa, se non c’è un cane torturato, un immigrato maltrattato o un gay discriminato, la gente difficilmente si indigna sui social) ma in compenso i pensatori dell’antimafia hanno tirato fuori le penne delle grandi occasioni; come i sommi sacerdoti il venerdì della passione: “Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza?”: è l’ennesima prova che siamo vittime, ostaggi della mafia.

Non si sa in realtà cosa scatti nella mente di alcuni colleghi o dei benpensanti quando di fronte ad un fatto malavitoso, sanguinario o meno, senza nemmeno analizzare i fatti, prendono quella penna della festa e scrivono mafia. Il problema poi si acuisce quando, sostenere il contrario (cioè che probabilmente non si tratti di mafia), vuol automaticamente dire essere con essa colluso, o quantomeno fare inconsapevolmente proprio il suo gioco.


Come dire: la mafia c’è e chi dice il contrario è minimo un vile se non addirittura complice. Ecco il motivo per cui questo articolo si apre con degli esempi molto simili ai fatti di cronaca dei nostri giorni ma a cui, solo perché accaduti in zone dell’Italia del nord, viene dato il giusto nome: atti malavitosi ad opera di clan, di bande di malviventi, in lotta tra loro per il controllo della piazza di spaccio o uomini di malaffare che cercano di controllare appalti e imprese. Mai compare in questi articoli la parola mafia. Al contrario invece, qui da noi, ogni fatto di cronaca ha il colore fosco della mafia convinti che il parlarne di continuo possa valere da deterrente.


I magistrati, che della lotta alla criminalità hanno fatto il loro mestiere, parlano sempre di clan, di criminalità organizzata, di lotte intestine fra balordi che vogliono fare soldi facili con la droga ma hanno storicamente superato il periodo della Sacra Corona Unita che, negli anni passati era riuscita a darsi, essa sì, un’organizzazione molto simile a quella mafiosa. Oggi si ha a che fare con balordi della vecchia guardia e delle nuove generazioni (e lo capiamo guardando le età degli ultimi arrestati) che, imbottiti loro stessi di cocaina, dopo aver visto 3 volte l’intera serie di Gomorra, hanno la pretesa di sentirsi dei boss e si arrogano il diritto di decidere della vita e (purtroppo) della morte anche dei ragazzini. Allora cosa fare: innanzitutto, riprendendo le parole del Procuratore della Repubblica Leonardo Leone de Castris, “non regalate soldi alla criminalità! Ogni tiro di cocaina ed ogni canna fumata alimentano le ricchezze della criminalità organizzata” e poi… smettiamola di parlare di mafia.

Questa gentaglia vive nel culto della mafia, mette la colonna sonora de “il padrino” come suoneria del cellulare e, per ognuno che magari ha realmente i contatti con la ndrangheta calabrese per veicolare il traffico della droga, ce ne stanno cento che vivono nell’idolatria di un boss di cui conoscono forse solo il soprannome.

Definirli mafiosi vuol dire far loro un complimento di cui andar fieri; in realtà sono criminali da quattro soldi che vengono usati dalla mafia (quella vera) come uomini di fatica, quelli che fanno il lavoro sporco e che, per qualche spicciolo in più, sono pronti a rovinarsi per sempre la vita arrivando anche ad uccidere a sangue freddo. E poi, a parlare sempre di mafia c’è il rischio che alla fine ci si creda per davvero e questo può sicuramente influire sul comportamento della gente comune, la gente per bene.

Mentre, infatti, un normale padre di famiglia non avrebbe remore a rivolgersi ai Carabinieri per denunciare uno qualunque di questi balordi, convinto che l’intervento coordinato della Procura e delle Forze dell’Ordine sia sufficiente a sgominare la banda (come ad esempio è accaduto proprio qualche giorno fa), se invece si dovesse creare la convinzione che dietro ci sia la mafia, e che quindi non basterebbe un valido Capitano dei Carabinieri o un altrettanto valido Procuratore per sradicarne i tentacoli, quanti sarebbero pronti a denunciare?

Dobbiamo vigilare, questo sì, tutti insieme; la droga è ovunque, a fiumi, nei paesi di cui si parla sui giornali ed in quelli mai citati ma c’è e crea malevola ricchezza e quindi il primo dovere è non alimentarla. Il secondo, andare dai Carabinieri e denunciare; senza paura che dietro possa esserci un don Vito Corleone capace di controllare e comandare su tutto. Con buona pace degli antimafiosi per professione.

Antonio Memmi



 

 


 


 


 


 


IL FATTO


Nella notte del 24 luglio, mancava poco a mezzanotte, Francesco Fasano, 22 anni di Melissano è stato brutalmente assassinato sulla strada provinciale 206 Casarano-Ugento. È stato freddato con una calibro 9, un colpo esploso da distanza ravvicinata che non gli ha lasciato scampo. Un proiettile sparato all’altezza dell’arcata sopraccigliare sinistra che gli ha oltrepassato il cranio. Poi lo hanno lasciato lì, sull’asfalto, in una pozza di sangue. Il colpo di pistola era già stato fatale, come stabilito dall’autopsia, ma il corpo del 22enne è stato ulteriormente martoriato dall’investimento di una automobile che lo ha trascinato per alcuni metri per la strada.

Come sempre più spesso accade quando, efferati crimini vengono consumati alle nostre latitudini, anche questa volta si tratta di questioni legate al traffico di droga. I carabinieri, che evidentemente già indagavano e tenevano d’occhio il sodalizio criminale da tempo, non ci hanno messo molto ad arrestare gli esecutori materiali dell’agguato mortale.

Si tratta di Daniele Manni, 32 anni, e Angelo Rizzo, 22. Le indagini erano in corso già dall’omicidio di Manuel Cesari, crivellato da colpi di pistola nei pressi di un fast food il 21 marzo scorso e poi deceduto dopo qualche giorno in ospedale. L’omicidio di Francesco Fasano è stato un regolamento di conti tra fazioni dello stesso gruppo criminale per il controllo del traffico di stupefacenti sul territorio. Marijuana e cocaina, procurate grazie ai rapporti stretti con i clan calabresi, in quantità enormi, con affari a molti zeri che evidentemente hanno minato i rapporti tra i criminali dello stesso gruppo sempre più assetati di denaro e potere.

Francesco è stato ammazzato per lanciare un segnale al gruppo di cui faceva parte.

Era già scampato ad un agguato mentre si trovava in macchina con un altra persona. L’auto era stata crivellata di colpi, ma lui e il suo socio ne erano miracolosamente usciti illesi. “Non ci hanno colpito, ma c’è mancato poco” avrebbe detto il 22enne in una telefonata intercettata dai carabinieri. La seconda volta non è stato così fortunato.


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Potenziamento Rai a Lecce, due pesi e tre misure

Mario Vadrucci, Stefano Minerva; Claudio Stefanazzi, Poli Bortone. Il lavoro comune, in questi ultimi anni, di Enti, imprese e Università raramente, però, ha ottenuto l’attenzione meritata dai suoi risultati, da parte del servizio radiotelevisivo pubblico, sia della redazione regionale che dei programmi nazionali.

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LA RAI E IL SALENTO

In questo periodo di ferie e di gran caldo ci sentiamo di unirci alla sottolineatura fatta da alcuni esponenti istituzionali salentini sulla necessità, peraltro più volte evidenziata in passato dalla Camera di Commercio, di un’attenzione maggiore e più approfondita da parte della RAI agli eventi e alle problematiche che riguardano il grande Salento e le comunità che ne fanno parte.

Gli sforzi delle istituzioni pubbliche e degli operatori privati hanno più volte portato questo territorio a guidare settori verso risultati importanti, in campo economico, scientifico o sportivo.

Il lavoro comune, in questi ultimi anni, di Enti, imprese e Università raramente, però, ha ottenuto l’attenzione meritata dai suoi risultati, da parte del servizio radiotelevisivo pubblico, sia della redazione regionale che dei programmi nazionali.

Non pretendiamo di entrare nel merito delle scelte editoriali né delle problematiche organizzative del lavoro della RAI, ma giudichiamo estremamente positivo il movimento di opinione senza differenze o preclusioni politiche, che in questi ultimi tempi si è formato su iniziativa degli Enti locali, Comune di Lecce in testa, pronto a rinnovare le sollecitazioni nei confronti degli organismi regionali e nazionali del servizio radiotelevisivo pubblico, mettendo a disposizione ambienti per accogliere uffici e giornalisti, ma richiedendo anche un diverso e più attento atteggiamento nei confronti degli avvenimenti che vedono protagonisti gli esponenti della società del grande Salento. 

D’altra parte non è la prima volta che in Italia la RAI interagisce con gli Enti locali territoriali, per poter offrire la giusta immagine e la opportuna sottolineatura agli eventi, al lavoro di migliaia di persone, alle conquiste imprenditoriali, ai risultati delle ricerche, ai successi sportivi, soprattutto attraverso un potenziamento delle unità giornalistiche e tecniche impegnate sul territorio.

E’ tempo che la RAI guardi con una diversa attenzione alle comunità, come quella salentina, che si dimostrano capaci di guidare il cambiamento all’interno della società meridionale. Non c’è bisogno di attendere un altro G7, e la Camera di Commercio di Lecce è pronta a sostenere, insieme agli altri Enti locali, questa ansia di futuro dei salentini, che deve essere supportata anche da un adeguato potenziamento del servizio pubblico della RAI. 

Mario Vadrucci, Presidente Camera di Commercio di Lecce

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Stefano Minerva, Presidente Provincia di Lecce

“Apprendiamo dalla stampa della questione relativa al futuro della sede Rai a Lecce.

Come Provincia di Lecce ribadiamo la disponibilità già offerta alla Rai nel momento in cui ci era stata palesata la necessità di una sede, che ha permesso di collocare lo studio della testata al terzo piano di Palazzo dei Celestini a Lecce, offrendo una sistemazione rispetto alla quale abbiamo applicato le leggi che regolano la gestione del patrimonio pubblico da parte degli enti locali.

Confermiamo alla Rai lo stesso interessamento che risultò fondamentale alla permanenza sul territorio salentino e la rinnovata disponibilità a dialogare per ulteriori esigenze,  allo stato attuale non ancora espresse, per capire se le necessità a suo tempo manifestate siano cambiate e per studiare eventualmente delle soluzioni”.


Claudio Stefanazzi, Partito Democratico

Potenziamento sede Rai di Lecce, Stefanazzi (PD): Esigenza reale o megafono politico?

“La vicenda del potenziamento della sede Rai di Lecce sta assumendo contorni grotteschi.

In una Regione in cui ci sono province, prive o sottodimensionate rispetto alla copertura dell’informazione Rai, si discute di come potenziare quella di Lecce, senza un progetto complessivo di aumento della presenza di giornalisti nella nostra Regione, che pure nel panorama nazionale meriterebbe un’attenzione alta, per ragioni politiche, economiche e sociali.

Il sospetto che le pressioni politiche del centrodestra possano convincere la Rai a prestare attenzione particolare alla sede di Lecce è molto alto. Mi sento di dire agli esponenti politici di centro destra, ed in particolare alla sindaca Poli Bortone, che non dovrebbero preoccuparsi più di tanto di assicurarsi copertura giornalistica anche da parte della Rai.

Già una emittente locale garantisce una narrazione delle gesta della nostra sindaca e della sua maggioranza degna del cinegiornale del ventennio. Probabilmente non c’è bisogno di replicare, anche nella nostra provincia, l’asservimento che la Rai dimostra al Governo Meloni.”

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RAI: POLI BORTONE, SU SEDE LECCE SINISTRA SE NE FACCIA UNA RAGIONE

NUOVA STAGIONE SERVIZIO PUBBLICO DI PLURALISMO E TERRITORI

Poltronificio? Vogliamo fare l’elenco di tutti coloro che a vario titolo lavorano in Rai? La nuova stagione del pluralismo sta dando fastidio  a chi nel tempo pensava di essersi impadronito per sempre anche del servizio pubblico radiotelevisivo. Se ne facciano una ragione e stiano… sereni”. Lo afferma Adriana Poli Bortone, sindaco di Lecce in merito al progetto di potenziamento della sede Rai nel capoluogo salentino.

Poli Bortone replica anche al deputato del Pd Claudio Stefanazzi. “Forse Stefanazzi non vuole una sede Rai a Lecce – continua Poli Bortone –  perché farebbe difficoltà  ad individuare  attività del parlamentare in questione degne di nota. E comunque ha dimenticato  che la terza rete fu inventata per dare spazio ai comunisti.

Da allora ne è passata acqua sotto i ponti ed ora la Rai sta pian piano riassumendo la sua missione dando spazio a più voci ed ai territori. Si accontenti Stefanazzi delle presenza soffocante della sinistra nelle reti nazionali  private”.

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Grotta della Poesia: un Luogo di Fortune Nascoste

La Grotta della Poesia è avvolta da leggende suggestive. Una di esse narra che nelle limpide acque della grotta era solita bagnarsi una principessa bellissima, che attirava i poeti del Sud Italia. Questi poeti componevano versi ispirati da tanta bellezza. La fama di questi versi fu tale da…

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Il Salento è una terra che nasconde fortune inaspettate. Ogni angolo di questa regione è avvolto da un’aura di mistero e fascino, un luogo dove si respira un’atmosfera magica.

Camminando per le stradine tortuose dei suo piccoli borghi, scopriamo piazzette nascoste, antiche chiese, scenari che ci lasciano senza fiato. Questa sensazione di scoperta continua alimenta l’idea che il Salento sia un luogo dove la fortuna può sorriderti in ogni momento.

Un posto emblematico è la famosa grotta della Poesia, considerato un esempio delle magie salentine. Situata a tra le Marine di San Foca e Torre dell’Orso, lungo un tratto di costa della Marina di Melendugno, questa piscina naturale rappresenta un vero e proprio gioiello del Salento.  In questo luogo la bellezza della natura viene avvolta dal fascino di una leggenda.

La Leggenda: Tra Fascino e Mistero

Sin dal 1983, la grotta ha catturato l’attenzione di molti archeologi, ma è solo grazie all’archeologo Cosimo Pagliara che il luogo ha iniziato a suscitare un grande interesse, attirando molti appassionati di poesie dell’antica Grecia e dell’antica Roma.

All’interno della caverna, infatti, sono state ritrovate iscrizioni messapiche, greche e latine, che testimoniano l’antico uso del luogo come sito di culto del dio Taotor (o Tátor). Queste iscrizioni hanno contribuito a delineare la storia affascinante di questo luogo, suggerendo che fosse considerato sacro e venerato sin dai tempi antichi.

E pensare che ogni anno migliaia di italiani viaggiano in Mexico per ammirare le piscine naturali de Los Cenotes, non sapendo di avere qualcosa di altrettanto meraviglioso a  poche ore da casa.

Un’Esperienza di Riflessione e Connessione

Oltre alla sua bellezza naturale, la Grotta della Poesia offre anche un’opportunità unica di riflessione. Sedersi sulle rocce e ascoltare il suono delle onde che si infrangono permette di entrare in contatto con la natura in modo profondo. È facile sentirsi fortunati quando si è circondati da tanta bellezza, e scoprire che la visita alla suggestiva grotta ha trasmesso la sua magia, magari prima di verificare l’estrazione del lotto della settimana, e perché no, entrando a far parte di una delle sue numerose leggende.

Leggende Suggestive

La Grotta della Poesia è avvolta da leggende suggestive. Una di esse narra che nelle limpide acque della grotta era solita bagnarsi una principessa bellissima, che attirava i poeti del Sud Italia. Questi poeti componevano versi ispirati da tanta bellezza. La fama di questi versi fu tale da far ribattezzare il luogo come Grotta della Poesia.

Per il Salento, la Grotta della Poesia è molto più di una semplice attrazione turistica; è un luogo avvolto dalla leggenda e da una natura incontaminata. Un angolo nascosto che rappresenta un patrimonio storico, capace di incantare chiunque abbia la fortuna di visitarlo. Tra il fascino delle sue acque cristalline e il mistero delle sue antiche iscrizioni, la Grotta della Poesia continua a essere un vero e proprio tesoro della Puglia.

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Parabita, un giorno con Anna Garzia

La poetessa, che vive a Parabita, decanta l’amore materno, immenso, che va oltre ogni pretesa e che si caratterizza, sempre, per una dolce attesa, lì, a dare forma ad ogni azione. …

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Docufilm. “Un giorno con… Anna Garzia”. Nei versi l’amore materno, immenso, oltre ogni pretesa

Sale le scale, come se fossero quelle della vita che portano ad un bel panorama nonostante le difficoltà, l’autrice Anna Garzia, protagonista del docufilm “Un giorno con…”, targato Aletti editore. «Raccontarsi è sempre un bel momento» – esordisce così la poetessa, che fa dei suoi versi l’espressione più intima di se stessa, dei suoi sogni, della realtà che si intreccia con i desideri. Versi che parlano di amore, quello puro, quello vero, quello di una madre, che è l’unico autentico. Del resto, Anna è nata proprio nel giorno della festa della mamma, ma l’amore, invece, quello che pensava essere con la A maiuscola, le ha fatto male, e non è stato facile voltare pagina facendo i conti con la solitudine. 

Una bambina vivace, ma anche timida e riservata, cresciuta mescolando emozioni e pensieri, tra giacigli di foglie e di storie raccontate. Una bambina diventata donna grazie a due mamme, la sua e una zia paterna adottiva. “Madre per sempre… Da quel lembo di cuore, l’unico vero amore”. E, poi, mamma di quei figli che Anna definisce «tre girasoli, che hanno reso meraviglioso il suo percorso di vita ma, a volte, anche difficile».

La poetessa, che vive a Parabita, decanta l’amore materno, immenso, che va oltre ogni pretesa e che si caratterizza, sempre, per una dolce attesa, lì, a dare forma ad ogni azione. 

«Non sono stati i tacchi a farmi donna, ma un sottile gioco di vita – racconta, nel docufilm che scorre sugli “Spartiti del tempo”, l’autrice ai suoi lettori e spettatori». Non toglie lo sguardo poetico sulla bellezza della natura, del Sud, con i suoi sorrisi, profumi e sapori; sul suo Salento, sul confine tra cielo e terra, sul mare ora in tempesta, ora di una calma piatta, quasi spaventosa, senonché, di colpo, partoriva onde di profumata brezza e non costava nulla, qui, illudersi”; sul cielo, che a volte somiglia a qualcuno che ha solo voglia di piangere, nonostante provi a fermarsi” e fa sprofondare in una profonda tristezza e malinconia, finché non si pensa al tempo che passa veloce e che segna l’arrivo di altre stagioni da vivere all’insegna di nuove speranze. Lo sguardo su tutto ciò che l’ha sempre accolta come una culla dove si è lasciata trasportare, che ha visto le sue lacrime di gioia, di dolore, le sue ansie.

E alla sua terra dedica dei versi. “Ogni granello di sabbia, qui nel mio Salento, ti dà ristoro e, mentre accarezzi con i piedi il suo suolo rovente della tua amata terra, la passione perduta ti riempie il cor e la mente”.

La passione per la scrittura nasce in età adolescenziale, con la penna su fogli, biglietti, giornali, in modo anche disordinato, a volte. Ma d’altronde la vita è così, spesso il caos regna dentro e fuori. «Io definisco la mia poesia un flusso di esternazioni vere e proprie, distrutte, strappate, perse, rifatte». Tra momenti difficili e speranze, Anna diventa maestra e i bambini sono stati, per lei, «raggi laser di entusiasmo, di vita, meraviglia e bellezza». Una passione sopita che Anna riscopre è, poi, quella del teatro, con le emozioni che suscita stare sul palcoscenico.

Nel docufilm, girato a Tivoli (Roma), le parole si fondono con le immagini, dove si alternano paesaggi naturali e foto dell’autrice, bambina e, poi, donna, fragile e forte, poetessa e mamma. A concludere il video, le parole di Alessandro Quasimodo, figlio del Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore Quasimodo.

«I testi di Anna Garzia non solo enunciano tematiche di carattere esistenziale, ma anche problemi attuali che si presentano ogni giorno. La vita è breve; occorre recuperare il significato profondo dell’istante, saperlo apprezzare e imparare a dare significato ad ogni aspetto del nostro viaggio terreno. I versi brevi imprimono un movimento a tutto il testo, che si basa su due piani: realtà e desiderio. La bellezza aiuta a sublimare percezioni e stati d’animo».

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