Attualità
Mons. Angiuli: “Occupazione priorità per le famiglie”
Lavoro, declino economico, crisi della famiglia: il vescovo della Diocesi di Ugento-S.M.Leuca interviene su temi di scottante attualità
ESCLUSIVA
Matrimoni cristiani.
“È vero, sono sempre di meno, ma più convinti sul piano dei contenuti spirituali, morali e culturali”
Una buona pastorale giovanile.
“Può contribuire alla formazione di giovani forti, solidali e capaci di amare. E questa è una condizione fondamentale per far crescere famiglie solide, fedeli e felici”
Cammini di formazione per nubendi.
“Nella Diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, in questi anni, abbiamo sperimentato diverse modalità e affinato strategie per coinvolgere sempre di più i giovani in un cammino di maturazione alla vita matrimoniale”
Famiglia bistrattata.
“Il nostro lavoro pastorale, purtroppo, non trova sostegno nella cultura dominante e nelle scelte politiche degli ultimi decenni, dove la famiglia cristiana viene etichettata come “tradizionale” e quindi vecchia e inutile”.
Anche una pietra di “scarto” può diventare pietra angolare. Le istituzioni politiche si diano da fare per creare occupazione.
“Il lavoro è necessario non solo come mezzo di sussistenza ma anche come condizione imprescindibile per conferire dignità alla persona umana”
Dalle statistiche vediamo che sono sempre più ridotti i matrimoni cristiani. Quali prospettive lei vede per la pastorale familiare? Pensa possa esserci un nesso con la pastorale giovanile?
“Da diversi anni le statistiche registrano un calo dei matrimoni celebrati in Chiesa. Questo trend è presente persino nei nostri piccoli centri. Oltre al calo dei matrimoni c’è anche uno spaventoso calo delle nascite. I due fenomeni sono strettamente collegati. Le cause sono molteplici: il ritmo della vita attuale, lo stress, l’organizzazione sociale e lavorativa, la precarietà volubile dei desideri e delle emozioni, la mancanza di politiche familiari e lo scarso riconoscimento del valore sociale dell’impegno educativo dei genitori. In realtà, il nodo fondamentale risiede in un’esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento. Questo genera la fuga dagli impegni e dai vincoli, e accresce il numero di persone che decidono di vivere sole o che convivono. Alla base vi è la confusione circa il modo di comprendere la libertà. Spesso essa è intesa «come se al di là degli individui non ci fossero verità, valori, principi che ci orientino, come se tutto fosse uguale e si dovesse permettere qualsiasi cosa. In tale contesto, l’ideale matrimoniale, con un impegno di esclusività e di stabilità, finisce per essere distrutto dalle convenienze contingenti o dai capricci della sensibilità» (Francesco, Amoris laetitia, 34). Occorre recuperare la dimensione familiare della comunità cristiana. Come ha detto Papa Francesco nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, essa dev’essere più capace di accogliere, accompagnare, discernere e integrare. In questa prospettiva, bisogna registrare che il calo numerico dei matrimoni religiosi, è compensato da una maggiore sensibilità e responsabilità nelle coppie giovani che frequentano i corsi di preparazione alla vita matrimoniale. Potremmo dire: sono sempre di meno, ma più convinti sul piano dei contenuti spirituali, morali e culturali. In questi anni c’è stato uno sviluppo in crescendo dei percorsi di preparazione al matrimonio, sia riguardo al metodo sia riguardo ai contenuti. Certo, non si può pensare che un “corso” risolva tutti i problemi, anzi talora ne apre di nuovi nel dialogo interno alla coppia. Ciò che risulta chiaro è la necessità di una più attenta educazione alla vita affettiva e all’amore. È fuor di dubbio che la pastorale familiare e quella giovanile debbano lavorare insieme. Al matrimonio bisogna far precedere una formazione al vero senso dell’affettività e dell’amore che parta già dall’età dell’adolescenza. Pastorale giovanile e familiare non possono camminare per vie parallele. Una buona pastorale giovanile può contribuire alla formazione di giovani forti, solidali e capaci di amare. E questa è una condizione fondamentale per far crescere famiglie solide, fedeli e felici. Nel piano pastorale della nostra Chiesa diocesana ho indicato una nuova modalità dell’azione pastorale delle comunità parrocchiali mettendo al centro la famiglia e i giovani, ripartendo proprio dalla preparazione dei giovani alla vita matrimoniale”.
Papa Francesco ha detto: «Sposarsi non è celebrare il matrimonio, ma fare cammino da io a noi».
“Il Pontefice intende dire che non si può ridurre il matrimonio solo all’aspetto rituale senza tener conto del cammino personale che i due sposi sono chiamati a compiere. La celebrazione del matrimonio è il punto di arrivo di un cammino di crescita degli sposi; una crescita che è frutto di reciproca conoscenza, di una più profonda relazione personale, di un’accettazione della diversità di caratteri, di pensiero di aspirazioni. Si tratta di compiere il passaggio da una visione individuale del loro legame matrimoniale a una relazione più comunionale, realizzando un «cammino “dall’io al noi”». Sposarsi nel Signore, impegna la coppia a vivere una relazione di amore che tende al dono di sé, uscendo dal proprio egoismo, interesse e tornaconto per incontrare il “tu” dell’altro e costruire, giorno per giorno, il “noi” dell’amore che è unità, reciprocità, condivisione, fedeltà. Amare, diceva don Tonino Bello, è voce del verbo morire… morire a se stessi, al proprio io, al proprio orgoglio perché l’altro/a viva. Passare dall’egocentrismo all’altruismo è segno di grande maturità, ed è condizione imprescindibile per una vita di relazione bella, realizzata, felice. D’altra parte, non basta nemmeno il rapporto di amore tra i due sposi. La vita matrimoniale, infatti, diventa più stabile «quando l’amore assume la modalità dell’istituzione matrimoniale. L’unione trova in tale istituzione il modo di incanalare la sua stabilità e la sua crescita reale e concreta. È vero che l’amore è molto di più di un consenso esterno o di una forma di contratto matrimoniale, ma è altrettanto certo che la decisione di dare al matrimonio una configurazione visibile nella società con determinati impegni, manifesta la sua rilevanza: mostra la serietà dell’identificazione con l’altro, indica un superamento dell’individualismo adolescenziale, ed esprime la ferma decisione di appartenersi l’uno all’altro» (Francesco, Amoris laetitia,131). In tal modo, si esprime la decisione reale ed effettiva di trasformare due strade in un’unica via. Quando si ama veramente, si tende a manifestare agli altri il proprio amore. L’amore sancito con un patto matrimoniale è manifestazione di un “sì” che si offre all’altro senza riserve e senza restrizioni”.
Sempre Papa Francesco, riferendosi all’adulterio, ha affermato: «Non si può amare solo finché conviene».
“L’amore non può essere frutto di una scelta di convenienza, ma espressione del dono di sé. Non bisogna coltivare l’idea di un amore idilliaco e nemmeno lasciarsi prendere da una visione consumistica. Il matrimonio è un patto d’amore e va oltre ogni moda passeggera. La sua essenza è radicata nella natura stessa della persona umana e del suo carattere sociale. Implica una serie di obblighi, che scaturiscono dall’amore stesso e si coltivano attraverso il dialogo, la capacità di ascoltare l’altro con pazienza e attenzione, l’abitudine a dare valore all’altro cercando di mettersi nei suoi panni e di interpretare la profondità del suo cuore, individuando ciò che lo appassiona. La relazione d’amore nel matrimonio matura quando i due coniugi non si rinchiudono nelle proprie idee, e mostrano flessibilità nel modificare o completare le proprie opinioni. Alimentando i gesti di attenzione per l’altro e le dimostrazioni di affetto i coniugi rendono più stabile il loro rapporto. La ricchezza interiore, poi, si alimenta nella lettura, nella riflessione personale, nella preghiera e nell’apertura alla società”.
“Ritengo che anche oggi si può riconoscere la bellezza di una relazione duratura. Lo attestano quelle coppie che, nonostante le difficoltà che devono affrontare, offrono un bell’esempio di vita matrimoniale. Perché questo avvenga bisogna evitare di cadere nella “cultura del provvisorio e dello scarto”. Mi riferisco alla rapidità con la quale si passa da una relazione affettiva ad un’altra. Alcuni pensano che l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a proprio piacimento. Talvolta, trasferiscono alle relazioni affettive quello che accade con gli oggetti e con l’ambiente seguendo la logica dell’usa e getta. Il narcisismo rende le persone incapaci di guardare al di là di sé stesse, dei propri desideri e necessità. Il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno di un impegno. Il sacramento è un dono e una vocazione; una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la decisione di sposarsi e di formare una famiglia dev’essere frutto di un discernimento vocazionale. La Chiesa non può rinunciare a proporre questa forma esigente di legame coniugale. Se lo facesse priverebbe la società del richiamo a valori autentici che non si possono disconoscere. Essa, però, deve proporre questo annuncio non con la denuncia retorica dei mali attuali e nemmeno soltanto richiamando le norme e le regole. Deve, invece, presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia così come è stabilito nel piano originario di Dio”.
“Dove c’è violenza io non sposo. Quando si vede che il rapporto è di soggezione mi fermo: si vede da come il fidanzato parla alla fidanzata, la rimprovera”. È il pensiero di monsignor Simone Giusti, vescovo di Livorno che ammette di non aver unito in matrimonio coppie proprio per questo motivo e spiega che la Chiesa impone un anno di preparazione al sacramento per educare all’affettività. Lei come si comporterebbe in casi simili?
“Allo stesso modo. Un vero matrimonio si fonda sulla libertà del consenso e soprattutto sull’amore autentico, quello che cerca la felicità dell’altro e la realizzazione di un progetto comune. Senza questi presupposti non si dovrebbe procedere alla celebrazione. La violenza è un’esperienza sconvolgente per qualsiasi essere umano. Lascia sempre tracce difficili e, in alcuni casi, impossibili da cancellare. Ancor di più se viene perpetuata da qualcuno che si ama. La violenza è segno di mancanza di amore. Per questo la preparazione al matrimonio deve consentire ai due sposi la possibilità, attraverso il dialogo, di riconoscere incompatibilità e rischi per non esporli a un prevedibile fallimento che potrà avere conseguenze molto dolorose. Bisogna aiutare e stimolare i fidanzati a esprimere ciò che ognuno si aspetta dal matrimonio, ciò che l’uno desidera dall’altra, il tipo di vita in comune che vorrebbero progettare. Queste conversazioni possono aiutare a vedere con realismo i punti di convergenza e di differenza. La sola attrazione reciproca non è sufficiente a sostenere l’unione. Per questo «non si deve mai incoraggiare una decisione di contrarre matrimonio se non si sono approfondite le motivazioni che conferiscano a quel patto possibilità reali di stabilità» (Francesco, Amoris laetitia, 209). Da più di quarant’anni, la Chiesa propone cammini di formazione per i nubendi. In questi anni, nella nostra Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, abbiamo sperimentato diverse modalità e abbiamo affinato strategie per coinvolgere sempre di più i giovani in un cammino di maturazione alla vita matrimoniale. Essi non sono aiutati dal sistema pubblico a formarsi una famiglia. Il nostro lavoro pastorale, purtroppo, non trova sostegno nella cultura dominante e nelle scelte politiche di questi ultimi decenni, dove la famiglia cristiana viene etichettata come “tradizionale” e quindi vecchia e inutile”.
Tra le preoccupazioni dei futuri sposi anche quelle di eventi inattesi, difficili da fronteggiare: come la disabilità di un figlio o la malattia del compagno. Lei cosa dice alle coppie che esternano tali preoccupazioni?
“Queste situazioni sono già contemplate nella formula del consenso matrimoniale: «Prendo te nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia». Bisogna affrontare la vita con realismo. La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Ogni crisi implica un apprendistato che permette di incrementare l’intensità della vita condivisa, o almeno di trovare un nuovo senso all’esperienza matrimoniale. Indubbiamente un figlio con una patologia cronica è per i genitori e per tutta la famiglia un’esperienza carica di dolore. In queste situazione è bene accompagnare i genitori, in modo attento e discreto, facendo capire che ogni vita umana è dono di Dio, ed è perciò sacra, inviolabile. Vale per se stessa e non perché è sana, forte, efficiente e produttiva. Anche una pietra di “scarto” può diventare una pietra “angolare”! Ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore. Da parte mia, mi metterei in ascolto dei loro problemi, delle loro attese e anche delle loro paure. Certo, nessuno ha le ricette pronte per fronteggiare le vicissitudini della vita. Nel disorientamento per la nascita di un bambino con disabilità, occorre aiutare i genitori a sostenersi reciprocamente e a condividere il loro dolore, dando ad esso un tempo e uno spazio in cui possa essere elaborato. Lentamente il superamento dello shock li aiuterà a costruirsi un’immagine più realistica del proprio bambino, delle sue risorse e dei suoi limiti in modo da mettere in atto un progetto riabilitativo del figlio, in cui essi stessi si sentano protagonisti. Da parte mia, la cosa che sento di poter dire è che l’amore sa trovare la soluzione giusta per ogni circostanza della vita. L’amore, inteso come dono di sé, è così forte che diventa fede e affidamento. Di valido aiuto è il rapporto e il dialogo con coniugi esperti e formati che possano accompagnare le coppie di giovani sposi in modo che le crisi non li spaventino né li portino a prendere decisioni affrettate”.
Divorziati, risposati, conviventi e omosessuali: come è cambiata, se è cambiata, negli anni la posizione della chiesa?
“Dal punto di vista dottrinale e morale l’insegnamento della Chiesa, radicato nel messaggio evangelico, non è cambiato né può cambiare. Lo stimolo che Papa Francesco sta dando alla Chiesa impegna tutti all’accoglienza e all’accompagnamento. D’altra parte, bisogna riconoscere che le parole dell’attuale Papa non sono del tutto nuove, basta leggere alcuni documenti o alcune catechesi di Giovanni Paolo II sul matrimonio e sulla famiglia. La dottrina della Chiesa cammina secondo lo schema dello sviluppo nella continuità. Riguardo alle persone omosessuali, poi, molti non conoscono il bellissimo documento che la Congregazione della Dottrina della Fede ha pubblicato a metà degli anni ’80: “Pur sempre nostri figli”, il cui titolo è già una bella attestazione di comprensione e di accoglienza, senza negare la verità sull’uomo e la sua identità. Pertanto dal punto di vista pastorale, occorre sviluppare uno stile di vicinanza e di prossimità. Le due parole d’ordine sono: discernimento e accompagnamento. In questo senso, bisogna evitare ogni linguaggio e atteggiamento discriminatorio e promuovere la partecipazione di tutti alla vita della comunità”.
Lei una volta ci disse: “Meglio un matrimonio civile che una convivenza!”…
“Confermo quanto detto in passato. L’ideale sarebbe di arrivare alla celebrazione del sacramento che valorizza il vissuto di fede degli sposi. Ma se ciò non è possibile, il matrimonio civile assicura almeno l’impegno dell’unione e della stabilità che fonda una famiglia. È sempre meglio per tutti, anche per i figli, dare una stabilità anche giuridica, oltre che affettiva e morale, all’unione coniugale e alla famiglia. La semplice convivenza spesso viene scelta a causa della mentalità generale contraria agli aspetti istituzionali e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale attraverso un lavoro stabile e salario fisso. Nella mia diocesi vi sono situazioni differenti. In alcuni casi, vi sono coppie che, per una forma di acquiescenza, convivono da molti anni e fanno difficoltà a regolarizzare la loro unione, anche con la celebrazione del sacramento del matrimonio. In altri casi, cresce il numero di coloro che, dopo aver vissuto insieme per lungo tempo, chiedono la celebrazione del matrimonio in Chiesa”.
Qual è la missione che la Chiesa deve avere in un territorio in forte ritardo di sviluppo e con gravi carenze di occupazione come il nostro?
“Ribadisco la necessità di un impegno incessante delle istituzioni politiche affinché si creino tutte le condizioni atte a favorire la piena occupazione. Il lavoro è necessario non solo come mezzo di sussistenza ma anche come condizione imprescindibile per conferire dignità alla persona umana. La nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca sente molto il problema della mancanza del lavoro e della precarietà di alcune situazioni lavorative. E per questo, già da tempo, abbiamo messo in campo delle iniziative per offrire soluzioni di sostegno e di aiuto ai giovani e alle famiglie in difficoltà. Penso al Banco delle opere di carità, al prestito della speranza, al micro-credito che la Fondazione “Mons. De Grisantis” porta avanti da più di dieci anni. Sono stati molti coloro che nei nostri paesi hanno trovato in queste iniziative un valido sostegno per il loro progetto di vita. Certamente è una goccia nel mare dei problemi della società odierna. Dovremmo fare di più. Occorre però sottolineare che il compito della Chiesa è soprattutto educativo. Ed è appunto quanto cerchiamo di fare attraverso una rete diffusa sul territorio: le parrocchie e le altre esperienze associative di tipo caritativo e sociale”.
In questa fase di declino economico, di mancanza di prospettiva, ci sembra che le famiglie si stiano riavvicinando alla Chiesa…
“La situazione è ambivalente. In alcuni casi si constata la perdita dell’ambiente di fede che esisteva nella famiglia. La crisi odierna è veramente profonda perché ha toccato la struttura portante della persona umana: la sua coscienza. È una crisi etica e spirituale. A stento si parla di religione, ed è sempre più raro che la famiglia si riunisca per condividere la sua fede o per pregare. Si può dire che la famiglia sta cessando di essere una «scuola di fede». Credo, però, che le persone si stiano già accorgendo e si accorgeranno sempre di più che la Chiesa, nonostante le fragilità e i peccati degli uomini e delle donne che la formano, abbia ancora la forza di educare gli uomini a diventare persone vere e libere. Questa forza viene da Dio non dagli uomini. Nel nostro territorio, la Chiesa è considerata ancora un punto di riferimento per le famiglie e i ragazzi, grazie anche ai tanti oratori presenti nelle parrocchie. La fede annunciata dalla Chiesa dà una prospettiva di senso alla vita che è fondamentale per tutti. Vi sono, infatti, famiglie che mantengono viva la loro identità cristiana e genitori che hanno una spiccata sensibilità religiosa e si preoccupano dell’educazione cristiana dei loro figli. La fede continua ad essere per loro un fattore importante nella organizzazione della loro vita familiare. Occorre che le nostre comunità parrocchiali diventino sempre più “famiglia di famiglie”. In un mio documento pastorale ho scritto che «il rapporto tra famiglia e comunità cristiana non può essere di estraneità, di delega o di autosufficienza, ma di circolarità dinamica: la famiglia deve sentirsi strutturalmente legata alla comunità parrocchiale e questa deve necessariamente essere attenta a sviluppare il ministero proprio della famiglia; la parrocchia deve valorizzare la famiglia come l’ambito ecclesiale privilegiato e insostituibile per l’educazione cristiana, la famiglia deve scoprire la sua costitutiva funzione ecclesiale e ministeriale evitando ogni forma di delega e disimpegno» (V. Angiuli, Educare a una forma di vita meravigliosa, 102). È necessario incrementare l’impegno dei sacerdoti e dei fedeli laici nei riguardi delle famiglie attraverso forme di attenzione e di accompagnamento spirituale”.
Giuseppe Cerfeda
Attualità
“Cari giovani, costruiamo libertà: non cediamo alla mafia”
Riceviamo e pubblichiamo una lettera di un nostro giovane lettore, Michele Cojocaru.
“L’impegno contro la mafia, non può concedersi pausa alcuna, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza”. Queste le parole di Paolo Borsellino, che tengo sempre a mente.
Se dovessi scrivere una lettera ai giovani al tempo di oggi, scriverei così:
Cari giovani del mio tempo, sono Michele, ho 20 anni, vengo dalla provincia di Lecce. Nel mio paese, tanti giovani come noi sono caduti nelle mani della malavita. Tanti fumano, molti spacciano, alcuni hanno addirittura pistole con loro.
Vedendo questo scrivo a voi, giovani della mia generazione, non abbiate paura di denunciare questi fatti: la società di oggi conta su di noi.
Vorrei tanto, insieme a tutti voi, richiamare lo Stato italiano, per ricordargli ancora una volta di stare dalla nostra parte.
Cari giovani e care giovani, costruiamo insieme la società la nostra società. Il futuro non deve essere la droga, non devono essere le armi. Ma un futuro di pace, in cui possiamo dire ai
nostri figli: tutto questo lo abbiamo fatto per voi.
La mafia distrugge, la mafia uccide, la mafia vieta di sognare.
Anche nel Salento c’è la mafia.
Anche nella provincia di Lecce c’è la mafia, ma è una mafia silenziosa, che agisce senza fare rumore.
Non diamogliela vinta, costruiamo libertà: coraggio, insieme ce la faremo.
Attualità
Porto Cesareo resta Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo
Confermata la certificazione che la inserisce tra le zone marine e costiere caratterizzate da un elevato grado di biodiversità, habitat di particolare rilevanza naturalistica, specie rare, minacciate o endemiche
L’Area Marina Protetta Porto Cesareo si conferma un’Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo (ASPIM), aggiudicandosi ancora una volta la certificazione che la inserisce tra le zone marine e costiere caratterizzate da un elevato grado di biodiversità, habitat di particolare rilevanza naturalistica, specie rare, minacciate o endemiche.
La conferma della certificazione ASPIM è giunta al termine di una tre giorni di lavori sul campo da parte della commissione internazionale composta da Leonardo Tunesi, rappresentante del Focal Point, Robert Turk e Rais Chedly esperti internazionali, Antonio Terlizzi, esperto nazionale e dal direttore dell’AMP Porto Cesareo Paolo D’Ambrosio.
L’iter per ottenere il riconoscimento come da regolamento è passato dall’attivazione di attività di studio scientifico sistematico e di monitoraggio degli habitat, che consentono di stilare gli elenchi delle specie di flora e fauna necessari per definire il grado di biodiversità del sito.
«Lo status viene mantenuto attraverso il costante monitoraggio e salvaguardia delle specie individuate negli elenchi, ed essere ASPIM aumenta la nostra responsabilità di controllo dell’ambiente, allo scopo di salvaguardare le specie e gli habitat in cui esse vivono e si riproducono», hanno affermato soddisfatti i massimi responsabili di AMP Porto Cesareo.
Il riconoscimento dello status di ASPIM viene rilasciato dal Regional Activity Centre for Specially Protected Area (RAC-SPA), con sede a Tunisi, organismo creato nel 1995 fra i Paesi che hannostipulato nel 1976 la Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo dall’inquinamento.
È questo centro che definisce e mantiene la lista delle ASPIM, vagliando nuove domande e promuovendo le aree protette meritevoli del riconoscimento.
Le aree marine protette italiane che detengono lo status di ASPIM sono attualmente 10.
Quattro in Sardegna tra cui Capo Carbonara, Capo Caccia-Isola Piana, Penisola del Sinis-Isola di Mal di Ventre e Tavolara-Punta Coda Cavallo.
A livello nazionale figurano poi Portofino (prima AMP italiana ad aver ottenuto il riconoscimento, nel 2005), Miramare, Plemmirio, Punta Campanella.
Per il Salento, Porto Cesareo e Torre Guaceto.
Direttore e Presidente dell’AMP esprimono la loro soddisfazione per questo «ulteriore traguardo raggiunto, a conclusione di quest’anno, che conferma le altissime performance dell’AMP Porto Cesareo, la quale si posiziona non solo tra le prime a livello Nazionale, ma anche nell’élite delle Aree Specialmente Protette di Importanza Mediterranea»
Attualità
Fitto vicepresidente Commissione Ue, arriva il via libera
La situazione si è sbloccata ieri sera con il voto favorevole di Popolari, Socialisti, Liberali, Conservatori e Sovranisti. Ma i Verdi non ci stanno e i Socialisti si spaccano. Il presidente della Camera del Commercio di Lecce, Mario Vadrucci: «Sappiamo che l’On. Fitto non dimenticherà le sue origini e aiuterà le espressioni dell’impresa e del lavoro del Salento e della Puglia ad affermarsi in un contesto continentale nel il quale i nostri operatori vogliono recitare da protagonisti»
Alla fine, Raffaele Fitto ce l’ha fatta.
Dopo lunghi giorni di attesa, polemiche a non finire e qualche ironia social, dopo il suo intervento in un inglese non proprio fluente, è arrivato il via libera alla nomina del politico salentino.
I coordinatori delle commissioni Affari regionali dell’Eurocamera, con il quorum dei due terzi, hanno dato l’ok alla nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione con delega alla Coesione.
Allo stesso tempo le commissioni Affari Economici, Industria e Ambiente hanno dato l’ok definitivo alla nomina della spagnola Teresa Ribera.
Il voto finale previsto mercoledì 27 novembre, in seno alla plenaria della Commissione europea.
L’accordo, formalizzato nella serata di ieri, ha sbloccato il voto favorevole di Popolari, Socialisti, Liberali, Conservatori e Sovranisti su Fitto, mentre Ribera ha ricevuto il sostegno anche di Verdi e Sinistra.
Non sono mancate, però, le critiche: i Verdi hanno accusato il PPE di minare la trasparenza e i principi democratici, mentre il gruppo Socialista si è spaccato, con delegazioni di paesi come Germania e Francia contrarie all’intesa.
Per molti la nomina di Fitto è inopportuna perché «rappresenta un partito contro lo Stato di diritto, l’ambiente e l’integrazione europea».
Il presidente della Camera del Commercio di Lecce Mario Vadrucci si compolimenta: «Da Italiani e soprattutto da salentini siamo particolarmente soddisfatti di come si è conclusa la vicenda connessa con il completamento della Commissione Europea, che vede Raffaele Fitto meritatamente nominato nel prestigioso incarico di vicepresidente esecutivo dell’organismo che regge politicamente e concretamente le sorti dell’Unione Europea».
«Le attestazioni di stima che, in questi giorni, da più parti politiche, sono state espresse sulla figura di Raffaele Fitto, èprosegue il presidente della Cammera del Commercio leccese, «ci fanno ben sperare in vista di un lavoro nei settori delicati cui è stato chiamato, quelli delle Riforme e della Coesione, che guardano al futuro ed alla crescita della parte meno sviluppata dei Paesi Europei».
«Sappiamo che l’On. Fitto non dimenticherà le sue origini salentine e, nel suo impegno politico per favorire la coesione europea», conclude Mario Vadrucci, «cercherà di fare gli interessi dell’Italia, aiutando anche le espressioni dell’impresa e del lavoro del Salento e della Puglia ad affermarsi in un contesto continentale nel il quale i nostri operatori vogliono recitare da protagonisti».
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