Appuntamenti
Giulio Cesare Vanini, 400 anni dopo
Un convegno internazionale a Lecce e Taurisano per celebrare il filosofo salentino
In occasione del 400esimo anniversario della morte di Giulio Cesare Vanini (9 febbraio 1619-9 febbraio 2019), da giovedì 7 a sabato 9 febbraio si svolgerà, tra Lecce e Taurisano, il convegno internazionale di studi “Giulio Cesare Vanini: filosofia della libertà e libertà del filosofare”, promosso e organizzato, con il patrocinio dell’Università di Tolosa, dal Centro Internazionale di Studi Vaniniani (CISV) insieme con la Città di Taurisano e l’Università del Salento.
Ad avvicendarsi nel corso delle tre giornate in cui si articolerà il convegno saranno alcuni dei più importanti studiosi vaniniani italiani e stranieri.
L’inaugurazione del convegno è fissata per giovedì 7 febbraio, alle ore 9, presso il Rettorato dell’Università del Salento. Dopo i saluti delle autorità, nel corso della giornata sono previste le relazioni dei docenti e dei ricercatori dell’Università del Salento. L’apertura è affidata al Prorettore Vicario Domenico Fazio (“Sessant’anni di studi su Giulio Cesare Vanini all’Università del Salento”, 9,45-10,30), dopodiché sarà la volta di Adele Spedicati (“Il fenomeno teratologico nel pensiero di Giulio Cesare Vanini”, 11-11.30), Gabriella Sava (“Il sonno e i sogni nell’opera di Giulio Cesare Vanini”,11.30-12), Ennio De Bellis (“La riflessione di Vanini sulla trattazione aristotelica del Primo Motore”, 15-15.30), Marcella Leopizzi (“Il potere taumaturgico dei Re di Francia: Giulio Cessare Vanini e la ricerca della verità”,15.30-16) e Simona Apollonio (“Vanini e il teatro elisabettiano. La messa in scena dell’Amphitheatrum aeternae providentiae”,16-16.30).
Venerdì 8 febbraio il convegno si sposterà a Taurisano, dove Giulio Cesare Vanini nacque nel 1585. Nel pomeriggio si susseguiranno gli interventi del Presidente del CISV Francesco Paolo Raimondi (“Giulio Cesare Vanini: filosofia della libertà e libertà del filosofare”,17-17.45), di Jean-Pierre Cavaillé dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi (“Vanini e le libertà dei libertini”, 17.45-18.30) e di Didier Foucault dell’Università di Tolosa (“Vanini e l’influsso degli astri”,18.30-19.15).
I lavori del convegno si chiuderanno sabato 9 febbraio, il giorno esatto del 400esimo anniversario della morte di Vanini, con le relazioni pomeridiane di Lorenzo Bianchi dell’Università Orientale di Napoli (“Note sulla fortuna di Vanini nel Settecento francese: Voltaire e Naigeon”, 17-17.45), di Miguel Benitez dell’Università di Siviglia (“Vanini tra gli increduli: il Traité sur la religion dei fratelli Lévesque”, 17.45-18.30) e del Vicepresidente del CISV Mario Carparelli (“Vanini e la tradizione ermetica”, 18.30-19). Prima però, alle ore 10 dello stesso giorno, nel corso di una cerimonia solenne, sarà deposta una corona di alloro ai piedi del monumento a Vanini realizzato dall’artista Paolo Prevedini e collocato in Piazzetta del Palazzo Vecchio.
Dopo Lecce e Taurisano, le celebrazioni per il 400esimo anniversario della morte di Vanini si sposteranno a Tolosa. Dal 17 al 19 aprile, infatti, la città dove il filosofo fu bruciato a soli 34 anni, ospiterà il convegno “L’esprit de liberté à Toulouse au temps du Parlement (1443-1790)” organizzato dall’Università di Tolosa e gemellato con quello salentino.
Così Francesco Paolo Raimondi ha sintetizzato la vita e il pensiero di Vanini.
GIULIO CESARE VANINI: LA VITA
Giulio Cesare Vanini è nato a Taurisano, verosimilmente il 20 gennaio 1585, da Giovanni Battista, intendente prima dei Gattinara e poi dei De Castro, e da Beatrice Lopez de Noguera. Tra il 1601 e il 1606 studiò a Napoli diritto e si laureò il 1° giugno 1606 davanti al Collegio dei Dottori (cfr. Vanini Iliesi, doc. XLIII) in utroque iure. Nel 1603 entrò nell’Ordine carmelitano (forse nel chiostro del Carmine Maggiore) col nome di fra’ Gabriele. Restò a Napoli fino al 1610: nel febbraio dello stesso anno, infatti, conseguì, previo esame, la licentia praedicandi. Presumibilmente nell’ottobre 1610 si trasferì a Padova, con l’intento di proseguire lo studio della teologia. Nel 1611 predicò in una chiesa veneziana “with good reputation”. Il 28 gennaio 1612 fu colpito insieme ad altri confratelli da un provvedimento disciplinare che mirava a relegarlo in uno dei conventi meridionali. Il provvedimento fu assunto dal Generale dell’Ordine, Enrico Silvio, nei confronti di un gruppo di Carmelitani che contestarono l’eccessivo rigore della sua riforma e gli abusi con cui, per restare al vertice della religione carmelitana, tentò di sopraffare le costituzioni del Caffardi. Per non restare vittima delle severe decisioni di Silvio, Vanini si recò nella vicina Venezia, ove si fermò non più di una ventina di giorni, per prendere contatto con l’Ambasciatore inglese, Sir Dudley Carleton. Questi preparò a lui e al suo confratello Giovanni Maria Ginocchio, la fuga verso l’Inghilterra, interessando della vicenda l’amico John Chamberlain e il Primate d’Inghilterra, l’arcivescovo di Canterbury George Abbot. I due frati giunsero sul suolo britannico il 20 giugno 1612 e l’8 luglio successivo pronunciarono l’abiura al cattolicesimo nella Mercers Chapel, alla presenza di un personaggio illustre come Francis Bacon. L’Abbot ospitò il Vanini nella sua splendida dimora di Lambeth.
Purtroppo però L’Inghilterra non si rivelò la terra promessa, in cui il Vanini aveva riposto tutte le sue speranze di successo come polemista anticattolico e filo-giacobita. Ben presto il rigorismo etico e l’intransigenza del Primate inglese fece rimpiangere al Vanini il mondo cattolico. Nel gennaio del 1613 i due transfughi lamentano di essere stati ridotti in miseria. Essi tentano pertanto di riprendere i contatti con le gerarchie cattoliche per il tramite dell’ambasciatore spagnolo a Londra. Nel mese di marzo dello stesso anno fanno pervenire a Roma un memoriale in cui chiedono al pontefice l’assoluzione in foro fori (vale a dire sul piano meramente giuridico) e non in foro conscientiae (ovvero sotto il profilo della fede), la liberazione dai voti della religione del Carmelo e la concessione di vivere in abito secolare. La congregazione del Santo Uffizio si pronuncia il 22 agosto 1613: il papa Paolo V ingiunge ai due frati di comparire spontaneamente davanti al Santo Uffizio e di fare abiura dell’anglicanesimo, abbracciato l’8 luglio dell’anno precedente. Nel frattempo l’arcivescovo Abbot, scoperto il loro tentativo di rientrare in Italia, li fa arrestare (il 2 febbraio 1614) e li sottopone al giudizio della High Commission (15 febbraio 1614). Ginocchio riesce a fuggire prima della sentenza da una delle finestre di Palazzo Lambeth. Nel dubbio che il Vanini potesse fare altrettanto, Abbot lo fa trasferire nel carcere pubblico, ovvero nella Gatehouse sita sul confine occidentale della Westminster Abbey. Il filosofo rimane in prigione per 49 giorni e nella disperazione giunge fino a meditare il martirio. La soluzione viene fortunatamente dall’abile manovra dell’ambasciatore spagnolo, Diego Sarmiento de Acuña, che, incaricato da Roma di recuperare i due transfughi, riesce a guadagnare l’appoggio del sovrano Giacomo I e a far fuggire Vanini la domenica delle palme, il 23 aprile del 1614.
Ai primi di aprile dello stesso anno i due frati sono già in salvo a Bruxelles, accolti prima dall’ambasciatore spagnolo Don Felipe Cardona, machese di Guadaleste, e poi dal Nunzio Apostolico delle Fiandre, Guido Bentivoglio. Ma qui riemergono le incomprensioni con gli apparati cattolici. Per non andare incontro ad un pericoloso processo in foro conscientiae i due frati si rifiutano di abiurare l’anglicanesimo, affermando di non aver mai tradito nella intimità della coscienza la fede cattolica. Il Nunzio apostolico, dal canto suo, ordina loro di raggiungere Roma. Ginocchio obbedisce rientrando nella nativa Chiavari, presso Genova. Ma il 19 gennaio 1615 viene arrestato per ordine dell’inquisitore genovese. Incarcerato per ben tre anni, egli viene sottoposto all’abiura de vehementi. Vanini invece si reca a Parigi, ove chiede a Roberto Ubaldini, Nunzio Apostolico di Francia, il permesso di pubblicare l’Apologia pro Concilio Tridentino (opera perduta) con licenza della santa Congregazione dell’Indice. Ma il Nunzio gli suggerisce di raggiungere Roma. Vanini si guarda bene di rientrare a Roma e preferisce fermarsi a Genova, ove impartisce lezioni private al giovane Giacomo Doria, rampollo di una delle più nobili famiglie della città. Il 19 gennaio 1615, alla notizia dell’arresto di Ginocchio, lascia l’Italia e si reca a Lione, ove dà alle stampe (nel giugno 1615) la prima delle due opere pervenuteci, l’Amphitheatrum aeternae providentiae. Con il testo ritorna dall’Ubaldini nell’intento di scoprire se il Santo Uffizio ha avviato nei suoi confronti un procedimento. La risposta evasiva del Nunzio gli conferma il sospetto di essere nel mirino dei vertici ecclesiastici. Si libera definitivamente da ogni legame con la chiesa cattolica e torna a Parigi ove frequenta il gruppo dei poeti libertini che ruotano intorno alla figura di Théophile de Viau. Entra in rapporto con personaggi di primo piano sotto il profilo politico- culturale, come il Duca di Montmorency Henri II, Adrien de Montluc, Conte di Cramail, e François de Bassompierre, potente Maresciallo di Francia.
Respirando l’aria di una libertà mai prima goduta, egli dà alle stampe (il 1° settembre 1616) la sua seconda opera, il De admirandis, in cui abbassa il livello di prudenza e di cautela auto-protettiva con cui aveva scritto l’Amphitheatrum. Ad appena un mese di distanza dalla pubblicazione interviene la Facoltà di Teologia della Sorbona che condanna l’opera con la formula del donec corrigatur. Nel frattempo a Parigi la situazione politica diventa incandescente e pericolosa. Si chiude l’epoca della grande influenza dell’italianismo nella corte francese. Il lungo periodo della Reggenza di Maria de’ Medici si avvia ad una tragica conclusione. Luigi XIII esce dallo stato di minorità e rivendica il potere, scatenando una guerra civile contro la madre e contro il potere dei cattolici ultramontanisti. Il Concini e la consorte Leonara Galigai vengono assassinati. I protettori del Vanini sono in stato di allarme: per non essere compromessi, preferiscono farlo trasferire nella cattolicissima Tolosa sotto le ali protettive del Conte di Cramail. A Tolosa Vanini si cela sotto le vesti dell’oscuro Pomponio Usciglio, già nel novembre, o tutt’al più nel dicembre, 1616. Ma il 2 agosto 1618 egli viene arrestato dai Capitouls, Paul Virazel e Jean Olivier, all’età di poco più di 33 anni e mezzo. Il lungo processo si protrasse per più di sei mesi e si concluse nella giornata del 9 febbraio 1619. La sentenza fu pronunciata di primo mattino a camere riunite (la Grand’Chambre e la Tournelle), da un collegio di 19 giudici, incardinati nella Cour de Parlement di Tolosa (uno dei più prestigiosi dei tredici Parlamenti francesi).
Il testo della sentenza recita:
Sabato, 9 febbraio 1619, nella Grand’Chambre, unita alla Chambre criminelle, presenti i signori: le [Gilles Le] Mazuyer, primo presidente, de [Jean de] Bertier et [Guillaume de] Segla, anche presidenti; [Bertrand d’] Assezat, [George] Caulet, [Guillaume] Catel, [Guillaume de] Melet, [Pierre de] Barthélemy [de Gramond], [Antoine] de Pins, [Jacques] Maussac, [Jean d’] Olivier, [Jean-François] de Hautpoul, [François de] Bertrand, [Michel de] Prohenques, [Jean] de Nos, [Hérard de] Chastanet, [Charles de] Vézian, [Nicolas de] Rabaudy, [Anne de] Cadilhac.
Visto dalla Cour, le due camere riunite insieme, il processo fatto d’autorità da quelle su richiesta del procuratore generale del Re [François Saint-Félix d’Aussargues], a Pompon Ucilio, di nazione napoletano, prigioniero nella conciergerie; sentite le accuse a suo carico e le informazioni addotte contro di lui, le audizioni, i confronti, le obiezioni da lui proposte contro i testimoni ammessi a suo confronto, ed altre documentazioni sul caso, arringhe e conclusioni del procuratore generale del Re contro il suddetto Ucilio, ascoltato nella Grand’ Chambre.
S’è deciso che il suddetto processo è in condizione di essere giudicato definitivamente senza ulteriori informazioni circa la verità delle obiezioni e, ciò facendo, la Corte ha dichiarato e dichiara il detto Ucilio colpevole e convinto dei crimini di ateismo, bestemmia, empietà ed altri eccessi risultanti dal processo.
Per punizione e riparazione dei quali ha condannato e condanna il suddetto Ucilio a essere consegnato nelle mani dell’esecutore dell’alta giustizia, il quale lo condurrà su di un carro, in camicia, avendo una corda al collo e un cartello sulle spalle, recante queste parole: ‘ateista e bestemmiatore del nome di Dio’; e lo condurrà davanti alla porta della Chiesa metropolitana di Santo Stefano, ove, stando in ginocchio, con la testa e i piedi nudi, tenendo in mano una torcia ardente, domanderà perdono a Dio, al Re e alla Giustizia per le suddette bestemmie e successivamente lo porterà nella Place du Salin, e lo legherà a un palo che vi sarà piantato, gli taglierà la lingua e lo strangolerà, e dopo il suo corpo sarà bruciato sul rogo che ivi sarà apprestato e le ceneri gettate al vento; la Corte ha altresì confiscato e confisca tutti i suoi beni, che, tolti i costi della giustizia e riservate le tasse, andranno a profitto di chi ha subito spese. Gilles Le Masuyer. Guillaume de Catel.
La sentenza fu eseguita lo stesso giorno prima dell’imbrunire. Condotto davanti alla Grande Porte della cattedrale di Saint Etienne, Vanini per ben tre volte rifiutò di fare ammenda onorevole al Re, a Dio e alla giustizia. Giunto nella Place du Salin, il boia gli strappò la lingua con le tenaglie; quindi grondante di sangue il condannato, alla presenza di un migliaio di persone, fu appeso al palo e strangolato; poi il suo corpo fu gettato sulle fiamme e infine le sue ceneri furono sparse al vento, affinché di lui non restasse più alcuna traccia. L’indomani, nella stessa piazza, ripresero tra sfarzosi carrousels i festeggiamenti per le nozze della sorella del Re. Tra i nobili che danzarono le pompose quadriglie c’erano alcuni dei protettori del Vanini, i quali nei loro motti ne esaltarono la figura. In quello stesso giorno cominciava a prendere corpo la fortuna del filosofo taurisanese.
GIULIO CESARE VANINI: IL PENSIERO
La filosofia vaniniana è probabilmente l’espressione più estrema del radicalismo della seconda decade del Seicento. Il Vanini rappresenta in qualche modo la coscienza filosofica in cui tutti gli elementi di crisi e di rottura culturale vengono alla luce. Ciò si evince anche solo attraverso una enucleazione schematica degli apporti più significativi del suo pensiero. Il primo dato indicativo è il rapporto che egli ebbe con la Rinascenza e con il tardo Rinascimento. Taluni studiosi hanno voluto relegarlo entro gli angusti limiti del pensiero tardorinascimentale fino a farne un epigono privo di originalità o un vuoto ed insignificante ripetitore di tematiche ormai superate e provenienti dai testi lemniani, fracastoriani, cardaniani, scaligeriani, pomponazziani e ferneliani. Ma è questa una lettura che si ferma alla superficie dei materiali da lui utilizzati e che, per ciò stesso, si lascia sfuggire la sua originalità e la peculiarità del suo rapporto di rottura e insieme di continuità con la Rinascenza. Da una parte egli mette in crisi l’eredità umanistico-rinascimentale: demolisce il mito dell’antropocentrismo, scardina i principî del platonismo cristianizzato, fa scricchiolare i pilastri dell’aristotelismo concordistico, smantella la costruzione di un universo compatto, finito, armonizzato, avente al suo vertice Dio e la schiera delle Intelligenze angeliche, stronca ogni forma di teleologismo, sfata il mito del primato dell’uomo nella scala degli esseri viventi, manda in frantumi i più consolidati principî dell’etica cristiana, smaschera le illusioni della magia e dell’astrologia. Dall’altra egli sviluppa, fino a radicalizzarli, i temi del naturalismo, dell’erudizione e del ritorno al mondo antico. Il naturalismo rinascimentale o tardorinascimentale, che non sconfina quasi mai in forme di miscredenza e di irreligiosità, assume, invece, nei testi vaniniani toni di forte radicalità perché prende le mosse da un concetto di natura ormai del tutto svincolato da contaminazioni di ordine metafisico. Vanini teorizza una natura che è pienamente autonoma nella sua composizione materiale e nei suoi principî costitutivi di moto e di quiete. Il rapporto con Dio è reciso alla radice, poiché viene negato non solo l’atto creativo, ma anche l’attività assistenziale, provvidenzialistica e finalistica, di una intelligenza sopraceleste. Pertanto il cosmo nella sua autonomia è eterno, non ha né inizio né fine, ma è, secondo il celebre paradosso empedocleo, perfetto e perfettibile proprio in forza della sua imperfezione. Gli sbocchi materialistici sono inevitabili: tutto si riduce a materia vivente e vivificatrice, senza gerarchizzazioni e gradi di realtà, poiché unica è la materia di cui sono composti i corpi celesti e quelli terreni fino ai più umili come lo scarabeo. La vita è l’effetto casuale della generazione spontanea. L’uomo non fa eccezione: rigorosamente radicato nel regno animale, è anch’esso una produzione casuale e spontanea della materia: il suo passato è a quattro zampe e nella sua anima non v’è traccia di una impronta divina.
L’altro aspetto fondamentale del pensiero vaniniano è dato dal particolare modo di rapportarsi al mondo antico. Qui l’elemento innovativo è dato dall’erudizione, identificata con l’audacia: non si tratta cioè di imitare – come fanno gli umanisti – gli antichi, lasciando pressoché intatte le coordinate intellettuali e culturali della tradizione cristiana. Per Vanini il ritorno all’antico è il ritorno ad una intuizione precristiana del mondo, è lo strumento per la costruzione dell’ateismo moderno. Nella sua biblioteca, come in quella dei libertins che a lui si ispireranno, vi sono gli atei greci e latini, come Plinio, Diagora, Cicerone, Diodoro Siculo, Epicuro, Lucrezio, Luciano, Protagora, Anassagora, Empedocle, Democrito. Persino Platone ed Aristotele sono letti in chiave ateistica. L’ateismo antico diventa un modello per l’ateismo moderno. Ciascun pensatore è assunto come un prototipo culturale: Lucrezio lo è per l’idea della natura come machina mundi, governata da una necessità ineludibile, in cui il miracoloso è ricondotto – o meglio ridotto – al naturale; Diodoro Siculo lo è per la generazione casuale e spontanea delle forme viventi; la lezione di Diagora e di Epicuro è funzionale alla demolizione della divina provvidenza; quella di Plinio, di Democrito e di Aristotele alla costruzione di una dottrina della mortalità dell’anima; Cicerone, Luciano e Protagora sono modelli per la critica razionalistica delle religioni e gli stoici per l’idea di una saggezza umana, interamente fondata sulla natura.
Date queste premesse, va da sé che il pensiero vaniniano ha una forte carica antiteologica: lo smantellamento delle categorie del pensiero religioso è senza precedenti. Le tradizionali prove dell’esistenza di Dio, da quelle cosmologico-a posteriori a quelle ontologico-a priori, vengono meticolosamente demolite. Qualsiasi nesso tra Dio e il mondo viene rescisso, negato come impossibile. Nessuna causalità divina può garantire dall’esterno il moto dell’universo; nessun volere libero può coniugarsi con l’ordine indefettibile della natura e per converso qualsiasi mutamento fisico dell’universo è incompatibile con la rigida necessità dell’essenza divina. Inadeguata a ristabilire un qualsivoglia legame con il mondo è la scientia Dei la quale o non ha accesso alla infinita varietà delle cose naturali o è gravemente compromessa nella sua natura di sapere avente per oggetto essenze eterne. Le Intelligenze celesti o motrici sono dichiarate superflue e da ultimo sono smascherate come insussistenti. Le sostanze separate non hanno miglior sorte. Ai demoni non è riconosciuta alcuna forma di realtà. L’oltremondo, dagli inferi al paradiso celeste, cade nella sfera del fabuloso e in quella delle superstizioni senili. Allo stesso dominio appartengono i miracoli, le profezie, le divinazioni, gli oracoli, le apparizioni angeliche e divine: tutte sono falsità, finzioni, menzogne che tocca al filosofo smascherare. E perciò tutto è deriso, smitizzato, desacralizzato. Non si salva neppure il testo biblico, equiparato alle favole di Esopo; anzi, si fa notare, non senza un malizioso compiacimento, che non se ne è mai trovato l’originale. I versetti salomonici, lungi dall’essere rivelativi di una sapienza divina, sono lascivi, ineleganti, privi di qualsiasi valore razionale e zeppi solo di proverbiucoli popolari. Il racconto mosaico della creazione del mondo è degno di spugna e di carbone; il Dio del vecchio testamento è un Dio vendicatore e geloso delle altre divinità; le resurrezioni bibliche sono storielle abbellite fuco sanctitatis oppure sono riconducibili a fenomeni di morte apparente. I miracoli operati da Mosè davanti al faraone sono sospettati di essere opera di magia. L’attraversamento del Mar Rosso fu possibile a causa della bassa marea. L’attacco alla religione si traduce, in un’ottica di forte radicalizzazione del realismo machiavelliano, in critica dei fondamenti del potere politico, fino ad anticipare alcuni dei temi delle Considerations politiques sur les coups d’Etat del Naudé.
Appuntamenti
Montesano Salentino in Tv
Domani in diretta su Tv2000 nel corso della trasmissione “Siamo Noi”, dalle 15,15 alle 16
Il piccolo centro del Capo di Leuca protagonista sul piccolo schermo.
Domani, venerdì 22 novembre, sarà in diretta su Tv2000 nel corso della trasmissione “Siamo Noi“, l’appuntamento quotidiano in onda ogni pomeriggio dalle 15,15 alle 16.
Le telecamere di Tv2000 si collegheranno MOntesano per una puntata amarcord in cui si racconterà il fascino delle lettere scritte, delle cartoline inviate ai propri cari.
Un’Italia sempre più lontana in cui il portalettere era una figura di riferimento per la comunità.
I ricordi collegati a quel mestiere, da chi ne è stato protagonista negli anni della crescita e dell’evoluzione della comunicazione, uniti ai ricordi della gente del luogo che attendeva spesso il postino per avere notizie dai propri familiari distanti.
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Appuntamenti
Giornata vittime della Strada, la polizia stradale tra i giovani
Iniziative in programma a Tricase, Maglie, Scorrano e Matino. Saranno coinvolti 350 studenti degli istituti secondari di secondo grado
In occasione della “Giornata mondiale in memoria delle vittime della strada” gli uomini e le donne della Sezione Polizia Stradale di Lecce si sono resi protagonisti di varie iniziative, finalizzate al ricordo delle vittime della strada ed alla promozione di una cultura della sicurezza stradale.
Tali iniziative, che si protrarranno per tutta la seconda e la terza decade del mese di novembre, interesseranno istituzioni e società civile del territorio salentino coinvolgendo, fra l’altro, circa 350 studenti degli istituti secondari di secondo grado.
Le classi IV e V del Liceo Scientifico “G. Comi” di Tricase e del Liceo Scientifico “L. Da Vinci” di Maglie saranno coinvolte sui comportamenti virtuosi alla guida, con particolare attenzione alla guida sotto l’alterazione psicofisica dovuta all’abuso di sostanza alcolica e all’uso di sostanza stupefacente e/o psicotropa.
Nell’ambito del Patto Educativo di Comunità “Facciamo un patto…attiviamoci per Scorrano!”, previsto per sabato 16 e domenica 17 novembre, presso la Sala “Mario Camboa” di Scorrano, l’intervento è stato finalizzato a sensibilizzare i giovani bikers, partecipanti al corso di guida sicura per i motoveicoli, all’utilizzo dei sistemi di ritenuta.
Infine, nell’ambito della manifestazione per la sicurezza stradale e commemorazione delle “vittime della strada”, l’amministrazione comunale di Matino ha richiesto la presenza di questa Specialità alla benedizione di un monumento dedicato alle vittime della strada ubicato all’interno del Cimitero comunale, cui farà seguito un intervento presso il Teatro Comunale “G. Peschiulli”, dove verrà ospitata, fra gli altri ospiti, la comunità scolastica locale.
*foto da Asaps.it Il Portale della Sicurezza Stradale
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Assaggi di gusto a Melpignano
Tra forni medievali e frantoi ipogei. Passeggiata con archeologa, degustazione narrata e laboratorio con la sommelier dell’olio. Sabato 23 dalle 15,30 alle 18,30
Profuma di olio nuovo e legumi in pignata il percorso esperienziale “Assaggi di Gusto a Melpignano” ideato dal comune della Grecìa Salentina nell’ambito del progetto “Melpignano promuove cultura”, che propone in ogni stagione percorsi turistici per viaggiatori attenti ai temi del cibo e delle tradizioni, realizzati con l’Associazione di Promozione Sociale pugliese Vivarch e varie realtà.
In compagnia dell’archeologa Eda Kulja, sabato 23 novembre, dalle 15,30 alle 18,30, si potrà passeggare lungo le vie del paese che ospitavano un tempo i forni dove si produceva il pane della comunità e, tra aneddoti e attrezzi della civiltà contadina, si incontrerà Uccio Treglia, proprietario dell’ultimo forno ancora visitabile, il più antico del paese, probabilmente risalente al 1200 e che si è spento nel 1967, con la sua ultima cotta, di cui Uccio conserva la cenere.
Pochi passi e si raggiungerà uno dei sette frantoi ipogei presenti a Melpignano, quello di via Fazzi, acquisito dal comune e aperto al pubblico, preziosa testimonianza della produzione dell’oro verde pugliese che ha rappresentato fino all’Ottocento una delle attività più redditizie; mentre il frantoio di via Roma interamente scavato nella pietra nel XVII secolo, non è ancora visitabile, ma si può vedere nel nuovo portale discovermelpignano.it.
La passeggiata proseguirà nel vicino Palazzo Marchesale, ex castello feudale dotato di torri merlate, cinta muraria, fossato e camminamenti di ronda, trasformato in una raffinata residenza nel Seicento con giardino storico, cella carceraria e preziosi affreschi negli ambienti a piano terra, con motivi vegetali, episodi mitologici e scorci bucolici. Nella sala a botte del Palazzo si terrà il percorso del gusto con un mini laboratorio sull’extravergine, con l’assaggio di tre varietà di olio condotto dall’architetta Silvana Inguscio, sommelier dell’olio e produttrice di òliolocale, che guiderà i partecipanti alla scoperta delle caratteristiche di due monocultivar, delle loro componenti sensoriali, dell’abbinamento consigliato cibo-olio, con assaggi preparati da Mariagrazia Antifora, Lady Chef Puglia, come i legumi coltivati da produttori locali (Marco Garrapa e Danilo Palma di Melpignano, Gli Orti di Peppe di Tricase, PiediGrandi di Spongano e Terre Paduli di Nardò) e le friselline del forno Fior di Pane di Melpignano condite con rucola e pomodori dell’Azienda Agricola Manfio’s di Marco Reho di Ruffano o in versione dolce con marmellate di agrumi.
Infine, si vedrà La Pietra del Gusto, l’installazione dell’architetta Inguscio realizzata in collaborazione con Bianco Cave, come inno all’identità e biodiversità del Salento.
Questa tavola botanica, che celebra l’ulivo, anima e simbolo della Puglia, richiamando la sacralità del lavoro e la ciclicità della vita, sarà visitabile fino al 6 gennaio all’interno del palazzo Marchesale.
Non in legno, ma in pietra calcarenite: è solida, intrisa di storia, plasmata con precisione tecnologica in forme che evocano gocce d’olio e foglie d’ulivo.
Questi incavi accolgono cibi di stagione – frise, pane, arance, legumi, ampolle d’olio – trasformando l’installazione in una tavola che celebra la condivisione e il legame con la terra. La scelta di Melpignano non è casuale. Questo piccolo comune è un faro di sostenibilità e tradizione, grazie a iniziative come il Mercato del Giusto (piccolo mercato di bio agricoltura arricchito da eventi culturali, quali talk e dibattiti sulle tematiche legate al food, alla sostenibilità, al sociale) e il Master in Gastronomie Territoriali Sostenibili e Food Policies: il cibo non è solo nutrimento, ma un atto d’amore per il territorio e un manifesto per il futuro.
Info & Prenotazione: Info Point Melpignano, via Roma 16, Melpignano, tel. 3277128024.
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