Attualità
”Attenti il WI-FI è pericoloso!”. “Non è vero, non ci sono rischi”
Secondo un studio l’esposizione alle radiazioni di microonde a basso livello (Wi-Fi) sarebbe causa conclamata di irreversibili danni. Per l’epidemiologo Carlo La Vecchia, invece, non è così…
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Secondo gli studi del Professor John Goldsmith, consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Epidemiologia e Scienze della Comunicazione, l’esposizione alle radiazioni di microonde Wi-Fi è diventata ormai la prima causa di aborti spontanei: addirittura nel 47,7% dei casi di esposizione a queste radiazioni, i casi di aborto spontaneo si verificano entro la settima settimana di gravidanza.
E il livello di irraggiamento incidente sulle donne in esame partiva da cinque microwatt per centimetro quadrato. Un tale livello potrebbe sembrare privo di senso per un non scienziato, ma diventa però più significativo se diciamo che è al di sotto di quello che la maggior parte delle studentesse riceve in un’aula dotata di trasmettitori Wi-Fi, a partire dall’età di circa cinque anni in su. Il dato ancora più allarmante è che nei bambini l’assorbimento di microonde può essere dieci volte superiore rispetto agli adulti, semplicemente perché il tessuto celebrale e il midollo osseo di un bambino hanno proprietà di conducibilità elettrica diverse da quelle degli adulti a causa del maggiore contenuto di acqua. L’esposizione a microonde a basso livello permanente può indurre ‘stress’ cronico ossidativo e nitrosativo e quindi danneggiare i mitocondri cellulari (mitocondriopatia). Questo ‘stress’ può causare danni irreversibili al DNA mitocondriale (esso è dieci volte più sensibile allo stress ossidativo e nitrosativo del DNA nel nucleo della cellula). Il DNA mitocondriale non è riparabile a causa del suo basso contenuto di proteine istoniche, pertanto eventuali danni (genetici o altro) si possono trasmettere a tutte le generazioni successive attraverso la linea materna.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato questi rischi in un documento di 350 pagine noto come “International Symposium Research Agreement No. 05-609-04” (“Effetti biologici e danni alla salute dalle radiazioni a microonde – Effetti biologici, la salute e la mortalità in eccesso da irradiazione artificiale di microonde a radio frequenza”). La sezione 28 tratta in modo specifico i problemi riguardanti la funzione riproduttiva.
dionidream.com riprende un ottimo articolo di Barrie Trower pubblicato dall’edizione italiana della rivista Nexus, dal qaukle si apprende quali siano i rischi principali per i bambini esposti all’uso di cellulari e a tecnonologie Wi-Fi: “L’irradiazione di microonde a bassi livelli influenza i processi biologici che danneggiano la crescita fetale. Non solo: gli stessi processi biologici è coinvolta la Barriera Ematoencefalica che si forma in 18 mesi e protegge il cervello dalle tossine. Si sa che viene alterata. Così come la Guaina Mielinica: ci vogliono 22 anni perché si formino i 122 strati di cui è composta. È responsabile di tutti i processi cerebrali, organici e muscolari. Coinvolti anche il Cervello e il Sistema Immunitario. Il midollo osseo e la densità ossea sono notoriamente influenzati dalle microonde a bassi livelli come pure i globuli bianchi del sistema immunitario. Danni anche alle Ossa: il grande contenuto di acqua nei bambini rende sia le”ossa molli” che il midollo particolarmente attraenti per l’irradiazione con microonde. Il midollo osseo produce le cellule del sangue”.
Sempre secondo dionidream.com “quelli che decidono per noi stanno sottovalutando una pandemia di malattie infantili finora sconosciuta nelle nostre 40.000 generazioni di civiltà, che può coinvolgere più di una metà delle mamme/bambini irraggiati al mondo”.
Alla luce di questi dati allarmanti e delle previsioni di molti scienziati secondo i quali, se proseguirà con questo ritmo la diffusione incontrollata dei sistemi Wi-Fi, entro il 2020 il cancro e le mutazioni genetiche saranno diffusi in tutto il mondo a livello pandemico, molti paesi stanno fortunatamente correndo ai ripari, varando leggi che limitano per i bambini l’uso dei cellulari e rimuovendo dalle aule scolastiche i dispositivi wireless.
Il Comitato Nazionale Russo per la Protezione dalle Radiazioni NON-Ionizzanti, in un proprio documento di ricerca intitolato “Effetti sulla salute dei bambini e adolescenti” ha evidenziato nei bambini esposti a queste radiazioni:
1) 85% di aumento delle malattie del Sistema Nervoso Centrale; 2) 36% di aumento dell’epilessia; 3) 11% di aumento di ritardo mentale; 4) 82% di aumento di malattie immunitarie e rischio per il feto.
E nel 2002, 36.000 medici e scienziati di tutto il mondo hanno firmato l’ “Appello di Friburgo”. Dopo dieci anni, l’Appello è stato rilanciato e mette in guardia in particolare contro l’uso del Wi-Fi e l’irradiazione di bambini, adolescenti e donne incinte. Quello di Friburgo è un appello di autorevoli medici internazionali che in Italia ha purtroppo trovato scarso ascolto.
E allora che fare? Come proteggere noi stessi, e soprattutto i nostri bambini, da questa letale minaccia invisibile?
Il sito Tuttogreen ha pubblicato dieci consigli pratici:
1) Non fare usare i telefoni cellulari ai bambini, se non in caso di emergenza. Tollerati gli SMS, ma è meglio ridurre anche quelli. In Francia, non a caso è stata vietata la pubblicità dei telefoni cellulari rivolta ai minori di 14 anni;
2) Utilizzare sempre gli auricolari con cavo (non quelli wireless). Anche l’uso del vivavoce è consigliabile;
3) In caso di presenza di poca rete o di mancanza di campo, non effettuare chiamate. In questi casi sarà necessaria più potenza radiante, con conseguenti maggiori radiazioni;
4) Usare il cellulare meno possibile in movimento, come ad esempio in treno e in automobile. Il rischio costante di diminuzione del segnale aumenta in questi casi l’emissione di radiazioni;
5) Non tenete il cellulare vicino all’orecchio o vicino alla testa in fase di chiamata, quando le radiazioni sono più forti. Fatelo semmai dopo aver atteso la risposta;
6) Non tenete il cellulare in tasca dei pantaloni, nel taschino della camicia o nella giacca che indossate;
7) Cambiate spesso orecchio durante la conversazione e, soprattutto, riducete la durata delle chiamate;
8) Utilizzate il più possibile, quando potete farlo, la linea fissa non wireless, oppure strumenti di instant messaging come Skype o similari;
9) Non addormentatevi mai con il cellulare vicino alla testa, ad esempio usandolo come sveglia;
10) Scegliete sempre modelli che abbiano un basso valore di SAR (tasso di assorbimento specifico delle radiazioni).
Un undicesimo consiglio lo aggiungo io: se proprio dovete utilizzare un cellulare per comunicare con il mondo che vi circonda, usate gli auricolari e preferite un cellulare di vecchia generazione!
” Potenza bassa, nessun rischio”
Carlo La Vecchia, direttore del reparto di Epidemiologia all’Istituto Mario Negri di Milano riconosce che “non esistano studi attendibili sulla questione” ma fa notare come “Quando negli anni ’70 si diffusero in America, le microonde furono studiate senza che emergessero evidenze dell’insorgenza di patologie, né di sintomi quali il mal di testa. Ci sono più dati sui telefonini, certo, e i primi avevano effettivamente un’energia elevata, che portava al surriscaldamento dell’area dell’orecchio. Ma il wi-fi si serve di una frequenza molto alta e di conseguenza di potenza estremamente bassa, perciò non c’è alcun rischio di cancro. E poi”, aggiunge, “se davvero le onde wi-fi facessero male, allora dovremmo smettere di usare anche radiosveglia e televisore. Entrambi ricevono onde radio più potenti, perché le emittenti sono molto lontane e quindi è necessaria una forza estremamente maggiore”. Il professor Negri si dice convinto che non ci siano rischi: “il wi-fi copre al massimo due-tre locali e la potenza delle onde è davvero bassa, altrimenti si sovrapporrebbero alle altre. Inoltre, le onde radio umane sono in giro da più di un secolo e non sono mai state accostate a rischi biologici”.
Attualità
Incandidabilità sindaci: nota ANCI a Giorgia Meloni
L’Associazione dei Comuni pugliesi chiede l’intervento del Governo: proposta di ricorso e richiesta di sospensione degli effetti della norma
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ANCI Puglia sollecita un intervento del Governo per impugnare l’art. 219 della Legge n. 42/2024, ritenuto incompatibile con i principi costituzionali e lesivo del diritto all’elettorato passivo.
In una nota (firmata dalla presidente Fiorenza Pascazio, dal vicepresidente vicario Michele Sperti e dai vicepresidenti Giovanna Bruno, Silvana Errico, Luciana Laera, Onofrio Di Cillo, Noè Andreano) inviata al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Ministero dell’Interno, ANCI Puglia ha chiesto un intervento per la dichiarazione di incostituzionalità della norma introdotta dall’art. 219 della Legge n. 42/2024 in materia di incandidabilità dei sindaci.
L’Associazione dei Comuni pugliesi ha accolto con soddisfazione la posizione espressa dal Ministero dell’Interno, che ha evidenziato il profilo di incostituzionalità dell’emendamento in questione, approvato nell’ambito della legge di bilancio 2025 dal Consiglio regionale della Puglia.
In particolare, il Viminale ha sottolineato le criticità dell’articolo 219, ritenendolo incompatibile con i principi sanciti dalla legge n. 165/2014 e definendone l’evidente “irragionevolezza“.
Fin dall’approvazione dell’emendamento, ANCI Puglia ha espresso preoccupazioni sulla sua legittimità, ribadendo la necessità di garantire ai sindaci pari opportunità di accesso alle cariche elettive, senza discriminazioni.
A giudizio dell’Associazione, questa disposizione rappresenta un ostacolo ingiustificato alla partecipazione democratica, privo di fondamento giuridico, che impedisce ai sindaci di concludere il proprio mandato amministrativo e di concorrere alle elezioni regionali.
Nonostante i ripetuti appelli e il sostegno trasversale alla richiesta di revisione della norma, il Consiglio regionale della Puglia non ha ancora adottato alcuna misura correttiva.
Nel frattempo, numerose iniziative, comprese azioni legali promosse da sindaci di diverse appartenenze politiche, hanno cercato di contrastare questa norma.
In tale contesto, ANCI Puglia ritiene necessario un intervento risolutivo da parte delle autorità competenti, per garantire il rispetto del principio costituzionale di eguaglianza e il diritto all’elettorato passivo di ogni cittadino pugliese.
L’Associazione dei Comuni pugliesi sollecita un intervento urgente per risolvere le criticità giuridiche e applicative derivanti dall’introduzione della norma regionale, anche in considerazione dell’incertezza sulla data delle elezioni regionali.
Per questo motivo, ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri di proporre ricorso in via diretta ai sensi dell’art. 31, commi 2, 3 e 4, della legge n. 87/1953, per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 2/2005, come modificato dall’art. 219 della legge n. 42/2024, pubblicata sul BURP della Regione Puglia il 31 dicembre 2024.
Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla pubblicazione, richiedendo anche la sospensione degli effetti della norma, come previsto dalla legge.
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Attualità
Tiggiano festeggia i cento anni di Tetti
Maria Concetta Negro ha spento con la propria famiglia le sue prime cento candeline
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Cifra tonda per Maria Concetta Negro.
Nata il 26 febbraio 1925, a Tiggiano, Tetti ha spento con la propria famiglia le sue prime cento candeline.
Per l’occasione la visita del sindaco di Tiggiano, Giacomo Cazzato.
In occasione del suo speciale compleanno, il racconto della vita della centenaria attraverso le parole del nipote Mario Negro, che pone l’accento sulle difficili vicende che hanno caratterizzato la vita della donna, vissuta nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.
LA VITA DI TETTI
“Immersa nella preghiera. Un rosario stretto tra le mani. Diffidente, sospettosa. La sua vita è segnata da una vicenda straziante che sconvolse la sua famiglia.
Appena diciottenne, nell’estate del ’43, in pieno conflitto mondiale, fu colta per diversi giorni da una febbre acuta che dovette curarsi con delle iniezioni.
Una di queste punture non venne eseguita correttamente tanto da procurarle un ascesso al gluteo e forti dolori all’anca. Non riusciva più a camminare e reggersi in piedi.
Le terapie dell’epoca seguite in casa non destarono miglioramenti. Si decise allora di ricoverarla all’ospedale di Gallipoli dove stette qualche giorno e, malgrado due interventi di incisione chirurgica alla cute, non volse ad un risanamento.
È proprio in quel periodo di degenza che a molti pazienti di quel nosocomio fu imposto un ordine di sfollamento teso a scongiurare severe perdite umane da eventuali bombardamenti della città, com’erano avvenuti in altre località salentine ritenute potenzialmente strategiche dalle forze militari in campo.
Quei degenti dovevano essere trasferiti altrove e, al padre di Tetti, Biagio, fu proposto di spostare la propria figliola a Napoli oppure a Porto Potenza Picena, sedi più idonee alla piena guarigione di quell’infermità e più sicure dall’avanzare delle truppe alleate ormai sbarcate in Sicilia.
Biagio escluse la città partenopea e diede il consenso ad accompagnare Tetti nelle Marche. Così, dopo i preparativi ed un interminabile viaggio in treno, i due giunsero nella nuova struttura sul litorale adriatico.
Consegnarono i documenti in accettazione ed attesero nell’atrio finché un’infermiera si prese cura di Tetti assegnandole un letto d’un grande stanzone gremito di malati.
Il babbo stette alcune ore al suo fianco e, quando la vide ben accudita, la salutò con un abbraccio, esortandola a scrivere una lettera appena sarebbe stata dimessa, in modo da poterla raggiungere in tempo e riaccompagnarla nel viaggio di ritorno.
Tetti cominciò a conoscere altri malati, tra cui molti militari provenienti d’ogni parte, insieme a volontari, suore e personale sanitario.
Ricevette le cure necessarie alla sua malattia e volgeva via via verso la guarigione.
Dopo qualche settimana, desiderava darne notizia ai familiari; si procurò una penna ed un foglietto intenta a scrivere di sé.
Presto, però, apprese che ciò che stava per fare sarebbe stato vano: quella lettera non poteva essere spedita in seguito ai devastanti eventi bellici che continuavano a minacciare l’intero Paese.
La posta e altri servizi pubblici erano stati bloccati.
Trascorsero così altri giorni di attesa, poi mesi e mesi sempre più difficili che non permisero comunicazioni.
La fine dell’alleanza dell’Italia con la Germania nazista dall’armistizio dell’8 settembre aveva scatenato molta confusione e ulteriori stragi, bombardamenti e rappresaglie.
Quel territorio era ancora controllato dai tedeschi. Eseguivano frequenti ispezioni all’interno dell’ospedale nella ricerca di ebrei, partigiani e disertori.
Tetti, ormai del tutto ristabilita al pieno delle sue forze, continuava a soggiornare nel nosocomio non avendo altra dimora che potesse ospitarla.
Le avevano riservato un posticino in un attiguo capannone da cui, nel vivo delle belligeranze, poteva uscire qualche minuto al mattino per le vie del centro; assistette così al cannoneggiamento da parte dei tedeschi che, in ritirata verso la linea gotica, danneggiarono la torre e la piazza del paese.
Era giugno del ’44 e, pur volendo tornare a casa nel Salento, Tetti non poteva avventurarsi ad affrontare un viaggio pieno di insidie: vi erano tratti ferroviari interrotti e l’accesso ai treni era stato limitato e militarizzato.
A Tiggiano il papà Biagio si recava ogni giorno alla posta sperando di ricevere notizie di sua figlia.
Giungeva a testa bassa sotto la coppola. Posava lentamente la bicicletta davanti all’uscio dell’ufficio, sempre allo stesso punto, in un rituale che auspicava fiducia e speranza.
Entrando, salutava fugacemente i presenti; l’impiegato era pronto a ripetergli: “Non c’è niente”.
Ogni mattina restituiva a casa una nuova delusione che, tuttavia, non faceva vacillare la ferma convinzione che una lettera sarebbe presto arrivata.
Mamma Peppi si dilaniava dal dolore mentre, in costante inquietudine, si occupava della crescita di altri sei figli.
Era passato più di un anno che di Tetti non si sapeva alcunché.
Il papà voleva tornare a tutti i costi in quell’ospedale per verificare la situazione della figlia. In questo incognito viaggio fu vivamente sconsigliato. Lasciare il Salento sarebbe stato rischioso.
Oltreché all’assenza di treni disponibili, il suo nome avrebbe destato sospetto nel fermento generale degli schieramenti per aver gestito un ufficio di collocamento del regime e, qualora fermato ai controlli, poteva essere interrogato con inimmaginabili sorti.
A Porto Potenza Picena erano in molti a conoscere Tetti: la ragazza salentina che non riusciva a tornare nella sua terra.
La sua permanenza in paese era diventata estenuante e rientrava nei tanti ineluttabili drammi della guerra.
Un mattino, in astanteria, le si avvicinò un ufficiale delle truppe alleate che aveva partecipato alla liberazione dall’occupazione nazi-fascista della città.
Era un sottotenente polacco che girava con una Jeep Willys e, udito il racconto della sua vicenda, le propose un salvacondotto o di salire su d’un convoglio che s’apprestava a dirigersi a Brindisi.
Tetti non accettò, confidando: “Verrà mio padre a prendermi”.
Giorni dopo, altri pugliesi la invitarono ad unirsi in un incerto viaggio di ritorno verso casa. La risposta di Tetti era sempre la stessa, preferiva starsene lì, circospetta, pronta a nascondersi ed a ripararsi durante gli attacchi ed i rastrellamenti, certa che, un giorno, suo padre l’avrebbe raggiunta.
Al mattino saliva al quinto piano dell’edificio. Il mare che osservava dalle grandi finestre le echeggiava i felici momenti trascorsi insieme ai suoi familiari a raccogliere cicorie selvatiche, mirti e critimi sulla scogliera di Torre Nasparo.
Intanto, mamma Peppi a Tiggiano continuava a tormentarsi dai tristi pensieri.
L’ansia di saper qualcosa le procurava tanta trepidazione e, inopinatamente, nel sogno di una notte, le apparve sant’Ippazio che le diede un messaggio premonitore: “Non affliggerti. Tua figlia sta bene! Presto riceverai sue notizie.”
Era già la primavera del ’45.
Gli eventi storici spingevano verso la fine delle ostilità e, con l’aiuto di una suora, Tetti riuscì ad affrancare e spedire una cartolina per la sua famiglia, con la quale comunicava di star bene e di essere pronta ad aspettare il papà alla stazione ferroviaria di Potenza Picena-Montelupone.
Un paio di settimane e la missiva giunse alla posta di Tiggiano.
Quel mattino il papà Biagio, sorpreso d’immensa gioia, ritirò il messaggio e lo portò immediatamente a casa.
Mamma Peppi intravide il marito radioso che sventolava il cartoncino. Colse la notizia come un miracolo, suscitandole enorme meraviglia.
S’inginocchiò per qualche istante, poi, come per adempiere fedelmente ad un indubbio riconoscimento, si diede una ravvivata ai capelli, li strinse al fermaglio sulla nuca, sistemò la lunga gonna nera (cd. vistiano), ritoccò leggermente la spilla della Vergine fissata sul corpetto di lino (cd. sciuppareddhu) ed uscì di casa; iniziò a trascinarsi in ginocchio fino a giungere in chiesa e ringraziare il santo patrono.
La strada era battuta di pietrisco (cd. fricciu) che dopo pochi metri sfilacciò la sua veste e le sbucciò le ginocchia fino a farle sanguinare. Lei, come presa d’estasi, non avvertì alcun dolore e non se ne curò; continuava imperterrita il suo cammino penitenziale recitando lodi di gloria per tutto il percorso.
Il suo passaggio lasciava la gente sgomenta anche se, in paese, non erano insolite simili vedute di devoti; in molti assistevano a tali rituali con sentimenti di incoraggiamento e partecipazione.
I preparativi di Biagio per affrontare il lungo viaggio erano pronti. Nei sacchetti a tracolla (cd. pasazze) aveva sistemato un pezzo di pane, del formaggio e della frutta.
Attese il rientro della moglie, poi si diresse alla stazione. Salì sul primo treno per Lecce.
Il viaggio proseguì su d’un treno merci che giunto a Bari restò fermo l’intera giornata. La città era avvolta da una fitta nube nera. Nel porto c’era stata un’immensa esplosione (cfr. nave Henderson) che aveva provocato centinaia di morti e feriti.
Poi, a notte fonda, si diede il via alla ripartenza del treno e Biagio poté proseguire il suo viaggio sino a raggiungere Potenza Picena al mattino.
Quel giorno di aprile del ’45 il sole splendeva alto nel cielo. Tetti sedeva sulla panchina della stazione. Il papà la notò già dal finestrino e, appena sceso dal vagone, corse velocemente a riabbracciarla. Entrambi furono invasi da enorme commozione.
Biagio si guardò intorno, poi sedette anch’egli. Vide la figlia un po’ cresciutella. Dialogarono intensamente, ancor più guardandosi negli occhi senza proferir parole.
Tetti lo accompagnò alla fontana per dissetarsi e rinfrescarsi dal lungo viaggio compiuto. Era finito un incubo. Si poteva finalmente rientrare a casa. C’era un treno dopo qualche ora.
Tetti volle quindi salutare gli amici dell’ospedale unitamente al babbo; così fece con suor Antonia, suor Francesca e don Simone e tanti altri con cui spesso s’intratteneva, si confidava e si aiutava a vicenda.
S’abbracciarono con reciproca gioia per la terribile guerra ormai terminata e la fine di quel distacco dai propri cari che Tetti dovette affrontare per quasi due anni.
Tetti tornò a Tiggiano.
Il suo babbo le era stato accanto per tutto il viaggio. Arrivarono a casa. Ci fu una grande festa in famiglia.
Da quel giorno non si discostò più dalla madre finché Peppi non morì nell’84.
Non si unì con nessun uomo, nonostante avesse maturato un aspetto disinvolto da quell’esperienza vissuta e non le mancassero proposte di matrimonio alle quali, delle volte, rispondeva di non essere pronta, ma in cuor suo, seriamente, non le piacque alcun corteggiatore.
Restò nubile, sempre accanto ai genitori, legata a quella presenza fisica da cui dovette starne lontana per il lungo periodo della sua disavventura e per cui desiderava non separarsene più.
A Tiggiano non conoscevano la sua vicenda.
Quel periodo di assenza dal paese lasciava presumere che fosse stata ai lavori stagionali al magazzino del tabacco o nelle campagne brindisine o tarantine.
A lei, invece, piaceva raccontarsi per ricordare personaggi, luoghi, date storiche e misfatti della guerra.
Pensava fosse noto a tutti quanto accaduto, cercava dialoghi, conferme.
Alcuni l’ascoltavano un po’ increduli, qui non vi era traccia di quei lontani eventi e cominciarono a dubitare alle sue parole.
Altri non esitarono a farla passare per matta per cui non poteva che rattristarsene e chiudersi in casa.
A volte insisteva a narrare quanto aveva conosciuto della guerra ed a spiegare certi fatti a chi li ignorava.
Tranne casi sporadici non c’era alcun interlocutore. La gente trascurava quei discorsi e si mostrava insensibile a mantenere vivi quei ricordi.
La memoria di Tetti era destinata a perdersi.
E, man mano, si rese conto che quelle cose non interessavano a nessuno, non restava che meditarne con sé stessa, senza esternare il suo pensiero né toccare simili argomenti davanti agli altri.
Molti anni dopo, ormai ultrasessantenne, espresse il desiderio di tornare a Porto Potenza Picena per rivedere quei luoghi in cui aveva vissuto, immaginandoli cambiati in qualche aspetto, ma nella sua mente i ricordi del mare, della stazione e dell’ospedale erano nitidamente localizzati e custoditi in un angolo remoto dei suoi pensieri.
Non voleva tornarci da sola e, tantomeno, vi era qualcuno disposto ad accompagnarla per esaudire questa sua volontà.
Dopo la morte dei genitori continuò a vivere da sola per lunghi anni. Il pomeriggio faceva veloci passeggiate per incontrare fratelli, sorelle e nipoti.
Aveva 75 anni quando cadde vicino casa fratturandosi il femore e dopo un periodo di degenza in ospedale si ricoverò in una casa di riposo a Montesardo.
A 92 anni si fratturò l’altro femore che la obbligò dapprima su una carrozzina e poi quasi costantemente a letto.
È sempre lieta di parlare con chi va a visitarla. Pronta a ricordare tutto, chiede assiduamente come stanno parenti e conoscenti senza tralasciarne alcuno.
Piena di gioia di vivere, dice spesso: “Non voglio morire adesso!”.
Il suo esile corpo conserva un sano equilibrio interiore e, nel suo nascondimento, ha bisogno ancora di pregare su questa terra.
Quell’esperienza vissuta le ha definito la fragilità umana e come essa esprime le sue contraddizioni.
Quante anime nutre ancora quel rosario!”.
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Attualità
Cittadella della Giustizia a Lecce: «Risposta ministro evasiva”
Nordio risponde all’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle. Leonardo Donno e Iunio Valerio Romano: «Pare avere scaricato ogni responsabilità, in ordine al cambio di rotta, sui rappresentanti degli uffici giudiziari e del foro locali, ovvero proprio su coloro che hanno richiesto un polo logistico unitario e funzionale»
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Cittadella della Giustizia a Lecce, è arrivata la risposta del ministro Carlo Nordio all’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle, presentata dopo la diffusione delle notizie in merito agli stanziamenti finanziari e in ordine alla reale volontà di portare a compimento un serio e definitivo progetto strutturale, piuttosto che limitarsi a tamponare le urgenze, legate ad una situazione logistica precaria e poco dignitosa, attraverso meri interventi di manutenzione, peraltro obbligati dalle più elementari esigenze di messa in sicurezza.
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Leonardo Donno, primo firmatario dell’interrogazione parlamentare al ministro Nordio sulla Cittadella della Giustizia a Lecce
La risposta di Nordio, evidentemente, non ha soddisfatto i pentastellati salentini che per bocca di Leonardo Donno, deputato e primo firmatario dell’interrogazione, e Iunio Valerio Romano, già senatore, rispettivamente Coordinatori M5S per la Puglia e per la Provincia di Lecce, l’hanno definita «evasiva e priva di valore».
«Non solo dal Ministro non sono state fornite risposte sulla destinazione delle risorse finanziarie, che sembrerebbero dirottate in massima parte sul Distretto di Corte d’Appello di Bari», si legge in una loro nota, «in merito alla volontà di dare vita alla Cittadella della giustizia su terreni confiscati alla criminalità alle porte del capoluogo salentino, Nordio pare avere scaricato ogni responsabilità, in ordine al cambio di rotta, sui rappresentanti degli uffici giudiziari e del foro locali, ovvero proprio su coloro che hanno richiesto un polo logistico unitario e funzionale».
Oltre il danno, dunque, la beffa: «Resta da capire come si può pensare di rispondere alle esigenze di ammodernamento ed efficientamento dell’edilizia giudiziaria mantenendo di fatto lo status quo, con stanziamenti finanziari irrisori e non meglio precisati progetti alternativi adeguati all’obiettivo di dare alla città di Lecce, sede di Distretto di Corte d’Appello, un polo giudiziario unitario, moderno e rispondente alle esigenze degli operatori di giustizia e dell’utenza».
LA RISPOSTA DEL MINISTRO CARLO NORDIO ALL’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DEI 5 STELLE
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