Attualità
Capirizze, Capirizzi e Fiori
Gli appellativi sono, nell’ordine, in collegamento niente più che con un nucleo famigliare, contraddistinto da capigliatura spiccatamente riccia e un altro nucleo, proprietario di un piccolo fondo agricolo a Marittima di Diso, denominato “Fiore”, che si raggiunge percorrendo Via Murtole in direzione della contermine località di Andrano

Dal titolo delle presenti note, fanno capolino, non casualmente bensì in funzione dei contenuti e, specialmente, delle figure che, man mano, trovano anima e sviluppo, due singolari esemplificazioni di nomignoli o soprannomi, caduti e attaccatisi, secondo il lessico paesano, su determinate famiglie e/o persone.
Invero, da queste parti, siffatto genere di processo identificativo è più frequentemente veicolato da una coppia di precipue lettere minuscole dell’alfabeto precedute dal segno d’apostrofo, ‘u e ‘a, a seconda che ne segua un’accezione maschile o femminile, che si avvalorano e sostanziano in un caso, alla buona, indicante appartenenza o provenienza.
Qui, come dianzi accennato, la circostanza è però inconsueta, giacché gli appellativi menzionati sono, nell’ordine, in collegamento niente più che con un nucleo famigliare, contraddistinto da capigliatura spiccatamente riccia e un altro nucleo, proprietario di un piccolo fondo agricolo a Marittima di Diso, denominato “Fiore”, che si raggiunge percorrendo Via Murtole in direzione della contermine località di Andrano.
Compiuta questa necessaria premessa e procedendo in un certo ordine logico, la rievocazione narrativa prende l’abbrivo da un’immagine a me particolarmente vicina e cara, ossia a dire quella dell’indimenticabile e dolce nonna materna, Lucia Frassanito, la cui famiglia d’origine e appartenenza era conosciuta e indicata, appunto, con la designazione di Capirizzi e Capirizze.
La predetta mia ascendente, insieme a nonno Giacomo, mise al mondo sei figli, fra maschi e femmine, con mia madre Immacolata primogenita, ma non è su di lei che intendo qui riferire, salvo che per il piacere di ricordarla in veste d’ideatrice, promotrice e protagonista di una minuscola joint venture, operante nell’ormai distantissima stagione della mia fanciullezza.
Nella sua famiglia era sempre allevata una capretta, dalla cui mungitura, è chiaro, si ricavava, quotidianamente, una risicata quantità di latte, assolutamente insufficiente per mettersi a trasformarlo in formaggio.
E, però, la brava donna, rimediava all’esigua produzione propria, mediante un accorgimento concordato con le famiglie del vicinato, anch’esse proprietarie di un capo ovino per ciascuna.
Un determinato giorno, gli allevatori, in pratica consorziatisi sulla parola, erano chiamati a conferire le rispettive produzioni, in blocco, alla famiglia X, il giorno seguente a un’altra e così via.
In tal modo, presso ciascun nucleo, veniva a concentrarsi, ogni volta, un’apprezzabile raccolta di bianco liquido, bastante per ricavarne, attraverso una lenta operazione di bollitura e con l’ausilio del caglio naturale, una piccola forma di formaggio.
Muovendo un passo indietro, nella povera abitazione a piano terra più un camerino sulla terrazza destinato al sonno e al riposo dei figli maschi, in vico Maggiore Galliano, nei pressi della piazza e della Chiesa Matrice di Marittima, nonna Lucia, da giovane, viveva insieme con i genitori Vitale e Grazia, le sorelle Cristina, Peppina e Teresina e i fratelli Michele e Cosimo.
Tutti i Frassanito marittimesi esercitavano indistintamente, per tradizione, il mestiere di muratore; così era, quindi, anche per il mio bisnonno (tataranne) Vitale, il quale, da esperto, aveva realizzato due piccoli monoliti in pietra leccese, con spigoli smussati e arrotondati, sistemandoli sulla terrazza di casa, a guisa di base d’appoggio per la ramificazione e la crescita, aiutate da fili di ferro incrociati, di una pianta di vite che, dal livello stradale, era lentamente salita sino a raggiungere il piano di copertura dell’abitazione.
A distanza di molti decenni, l’immobile in questione ebbe a passare di mano, quanto a titolarità, e a subire radicali modifiche, tuttavia uno di quei preziosi manufatti in pietra leccese è stato recuperato e conservato da una persona intelligente e fa ancora bella mostra di sé all’interno di una moderna dimora marittimese.
CRISTINA CAPIRIZZA
Cristina “capirizza” (per mia madre e per me, zia), a sua volta, si maritò con tale Vitantonio Cerfeda ed ebbe sei figli, un maschio e cinque femmine, nominativamente Immacolata, Adelina, Maria, Annunziata, Agnese e Vitale.
Una famiglia che, evento non frequente, finì con l’integrarsi, se non in toto, in misura preponderante, con i membri di un vicino nucleo o focolare, quello di Vitale e Pasqualina Nuzzo, soprannominati i “fiori” (oppure ‘u fiore) di cui al titolo; anche lì, sei figli, però cinque maschi e una femmina, in altre parole Toto, Pippi, Fiore (addirittura un nome di persona derivato dall’attaccamento del capofamiglia al suo fondo agricolo), Uccio, Tereso e Tetta.
Ciò, giacché le prime quattro “capirizze” dell’elenco divennero mogli dei primi quattro “fiori” e, altro particolare non comune, andarono ad abitare in quattro nuove abitazioni, fabbricate, per precisa scelta, attaccate l’una all’altra, in progressione lungo un comune viale e fronteggiate da distinti eguali orti/giardinetti.
Un tempo, erano strettissimi, si può dire a livello di fratelli e sorelle, i legami intercorrenti tra cugini, perciò mia madre Immacolata era un tutt’uno con la sua omonima cugina, sposatasi con Toto ‘u fiore.
Detta cugina, oltre a governare la casa, si occupava di cucito e, in special modo, del confezionamento di copri letti imbottiti di bambagia, quelli che oggi sono definiti piumoni o trapunte, mentre, allora, si parlava d’imbottite.
In occasione del nostro matrimonio, anche mia moglie ed io ci rivolgemmo a lei per farci realizzare la nostra imbottita, accessorio che conserviamo gelosamente, non tanto per uso concreto, quanto come valore e ricordo affettivo. Ancora, l’ho appreso di recente, mia sorella Teresa ha fatto capo a suo marito, Toto ‘u fiore, per piastrellare la sua grande cucina.
L’intenso legame fra le due Immacolata ha avuto per seguito un bel rapporto fra i rispettivi discendenti, secondi cugini fra loro; così è avvenuto riguardo a me e a Vitantonio, primogenito di Immacolata e Toto. Quasi coetanei, verso la fine degli anni cinquanta, abbozzammo, contemporaneamente, innocenti filarini con due ragazze di Castro, poi entrambi iniziammo a lavorare e mettemmo su famiglia, tuttavia, nonostante risiedessimo in località distanti, il bel sodalizio continuò.
TOTO U FIORE
Vitantonio, chiamato Uccio – come si legge in una narrazione dell’amico e scrittore marittimese Giuseppe Minonne, anche lui cugino di Toto ‘u fiore e, dopo la morte della madre, le seconde nozze del padre e l’arrivo della “mamma nuova” non propriamente gradita e accettata, frequentemente ospite, insieme con due sorelle, nella relativa casa e nel fondo “Fiore” – fece in tempo a lasciar conoscere al vecchio nonno paterno Vitale la sua primogenita Olga, così battezzata in memoria di una sorellina che era morta in tenera età.
Dopo di che, purtroppo, a Uccio restò una breve vita, in quanto, ad appena quarantuno anni, finì i suoi giorni in un paese lontano dove si era temporaneamente trasferito per ragioni di lavoro.
Uccio, un ragazzo e un uomo eccezionalmente a modo, d’oro si può affermare. A breve distanza dalla sua scomparsa, ritornato a Marittima per le ferie, mi recai a casa dei suoi genitori e abbracciai la sua mamma Immacolata, dicendole solamente: “Era il migliore di tutti noi”. Uccio se n’è andato, ma conservo vivo nella mia mente, e tengo a rivederlo ogni tanto nella casa di tutti fra i cipressi, il suo sereno sorriso.
Un’altra sorella di nonna Lucia, Peppina “capirizza”, si maritò con tale Carmine Sergi di Andrano e, dalla loro unione, nacque Rocco. Quest’ultimo, sin da piccolo, più che nei confronti dei famigliari del ramo paterno, ebbe viva predilezione e forte affetto per i nonni, gli zii, le zie, i cugini e le cugine marittimesi, capirizzi e capirizze e pure per i rispettivi discendenti.
Rivedo Rocco, sebbene anche lui manchi da decenni, nell’atto di accogliere me e mia moglie che, ogni anno, compivamo una puntata ad Andrano in occasione della festa patronale della Madonna delle Grazie. Passavamo davanti a casa sua e ci salutavamo con ardore.
Puntuale la mia domanda: “Rocco, tua moglie Pasqualina, dov’è, come sta?”. E lui, a rispondermi sistematicamente, fornendo prova di delicatezza, affetto e rispetto per la consorte: “Rocco, la mia signora (da notare, non diceva mia moglie) è già andata avanti e mi sta aspettando all’esterno della chiesa per la processione della Madonna”.
Altra chicca che mi giunge alla memoria, e mi sembra indicativa, Rocco Sergi ha avuto tre figli, Peppino, Lucia (divenuta suora) e Uccio. Il nome di battesimo dato alla figlia rispecchia, si pensi, quello della seconda moglie del padre Carmine, rimasto vedovo di nonna Peppina Frassanito “capirizza” e convolato in seguito a seconde nozze con una donna di Spongano chiamata Lucia.
Questo dimostra che, anche con una matrigna o con un patrigno, i nati di primo letto possono intrattenere buoni rapporti, sino, addirittura, come avvenuto in questo frangente, a dedicar loro il nome di un figlio.
I CAPIRIZZI
Venendo ora ai “capirizzi” Michele e Cosimo Frassanito, fratelli di nonna Lucia, atteso che, riguardo al primo, ho già avuto modo in passato di intrattenermi, tratteggiandone la figura e la carriera attraverso il racconto “Il mare di Meris” (Meris, sua unica figlia), incluso nella mia raccolta “Quando il gallo cantava la mattina” del 2012, qui mi concentro sul secondo, Cosimo, il quale, oltre che col nomignolo di “capirizzo”, era appellato “Cosimu longu” per la sua elevata statura.
Zio Cosimo, sposato con zia Costantina, agli antipodi rispetto al fratello, era al vertice di una famiglia numerosa, ben otto figli (Antonietta, Elvira, Rita, Maria, Gino, Vitale, Eugenio e Franco), generati in un intervallo abbastanza ampio, al punto che l’ultima della nidiata, Maria (classe 1945), era più giovane del primo figlio avuto dalla sorella Antonietta.
Dimoravano in due abitazioni attigue a piano terra e primo livello, i predetti germani, immobili, ora, di proprietà, rispettivamente, di una coppia marittimese e di un noto personaggio televisivo. Così gemelle e attaccate le case, così diverse e distanti le strade e le vicende esistenziali di Michele e Cosimo.
Il primo, sottufficiale di carriera in Marina, in giro per il mondo sino alla Cina, una lunga permanenza in Istria quando la medesima era territorio italiano, vita oltremodo tranquilla e senza scosse.
Al contrario, il secondo, zio Cosimo, peraltro sempre legatissimo e affezionato ai famigliari e parenti, ebbe invece a trovarsi coinvolto in un episodio di cronaca nera, l’uccisione di un compaesano marittimese, di cui gli fu fatto carico in concorso con il suocero, con lo sbocco anche, di un lungo periodo di detenzione.
La vicenda segnò un colpo devastante, non solo per lo zio Cosimo, ma per la sua intera famiglia, che preferì lasciare Marittima e trasferirsi in una cittadina del Brindisino, avendo lì agio di contare su maggiori possibilità di lavoro.
Alcuni dei “capirizzi” così emigrati non ci sono più e, però, quelli che esistono ancora, abitanti a Mesagne o in altre località (mi è stato riferito che l’ultimogenita Maria vive a Megève, in Francia), sono rimasti molto legati alle loro origini. Un paio d’anni fa, in una rapida puntata da queste parti, hanno insistito con un parente al fine di ottenere una foto dell’insenatura “Acquaviva” così come si presentava negli anni cinquanta.
Un sito a loro carissimo e rimasto nel cuore, giacché, al pari dello zio Michele, il loro genitore possedeva una porzione del Bosco dell’Acquaviva, da dove erano soliti scendere a piedi per sostare e fare i bagni estivi nelle cristalline e fresche acque dell’amenissimo omonimo seno, oggi sito conosciuto e apprezzato non solo in Italia e in Europa ma nel mondo intero.
Rocco Boccadamo
Attualità
Imparare a salvare vite: corso per uso defibrillatore
A Nardò BLSD Retraining,” basic life support and defibrillatore”, con consegna di certificato IRC necessario per l’utilizzo del macchinario

Sabato 17 Maggio alle ore 9 in Via Boito n. 22 Nardò presso la sede operativa dell’ASC Comitato Provinciale Lecce, si svolgerà il corso BLSD Retraining, ” basic life support and defibrillatore “.
Alla fine del corso i partecipanti riceveranno il certificato IRC necessario per l’utilizzo del defibrillatore.
Con Asc, puoi salvare una vita.
Per info e prenotazioni ASC Comitato Provinciale Lecce tel. 3476501102 mail. lecce@ascsport.it
Appuntamenti
Il mondo del lavoro, la cura, le discriminazioni
A scuola con la consigliera di parità della Provincia di Lecce, Antonella Pappadà, per imparare a riconoscere e affrontare le discriminazioni nel mondo del lavoro. Venerdì 11 aprile appuntamento al Liceo scientifico Da Vinci, a Maglie

Il mondo del lavoro, la cura, le discriminazioni sono i temi al centro del nuovo ciclo di incontri formativi organizzati nell’ambito del progetto “Parità di genere nel lavoro: donne, lavoro e inclusione”, ideato e realizzato dalla consigliera di parità della Provincia di Lecce.
Ad affrontarli, tra i banchi di scuola, è la stessa consigliera Antonella Pappadà che, proprio in virtù del suo ruolo di sentinella del territorio, ha scelto di confrontarsi direttamente con le studentesse e gli studenti delle quattro scuole superiori coinvolte, in via sperimentale, nel percorso progettuale: Meucci di Casarano, Olivetti di Lecce, Giannelli di Parabita e Da Vinci di Maglie.
«Credo che la migliore forma di prevenzione venga dalla conoscenza. Ecco perché», spiega Antonella Pappadà, consigliera di parità provinciale, «ho ritenuto necessario affrontare questi temi con le ragazze e i ragazzi che saranno le lavoratrici e i lavoratori di domani. È fondamentale sapere che possono esserci problematiche, come le discriminazioni sul posto lavoro, e quali sono i riferimenti e gli strumenti per affrontarle e rimuoverle. Proprio la consigliera di Parità della Provincia ha, tra gli altri, questo compito e può assistere chi ne è vittima».
Il terzo ciclo di incontri formativi previsto dal progetto è partito il 14 marzo al Meucci di Casarano ed è proseguito il 28 marzo all’Olivetti di Lecce e il 3 aprile al Giannelli di Parabita, dove, insieme alla consigliera Pappadà, è intervenuta come testimonial anche Stefania Monosi, presidente del Consiglio notarile di Lecce.
L’ultimo appuntamento è in programma venerdì 11 aprile, nel Liceo scientifico Da Vinci, a Maglie.
Il Progetto “Parità di genere nel lavoro: donne, lavoro e inclusione” è un percorso triennale di formazione e sensibilizzazione sul tema della parità di genere nel lavoro, strutturato in tre moduli, uno per ciascun anno scolastico, inseriti tra le attività dei PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) delle quattro scuole superiori coinvolte.
Tra gli obiettivi generali: imparare a riconoscere stereotipi e pregiudizi, diffondere l’educazione e la formazione alla parità di genere nel lavoro, favorire la conoscenza e la possibilità sia per le donne che per gli uomini di accedere ad un lavoro dignitoso e, ancora, promuovere una cultura di parità di genere per sradicare le iniquità anche nei confronti delle persone con disabilità.
Il primo modulo intitolato “Oltre gli stereotipi”, rivolto alle classi del terzo anno, è stato avviato a dicembre con il ciclo di incontri “Stereotipi e pregiudizi: che cosa sono e quali sono quelli più diffusi”,affrontato dalle esperte di politiche di genere Michela Di Ciommo ed Elisa Rizzello.
Il secondo ciclo “La scienza ha un genere?” è stato sviluppato da studiose e affermate professioniste, tra cui, Cristina Mangia, ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, Elisabetta De Marco, docente universitaria e ricercatrice nel settore scientifico disciplinare di Pedagogia sperimentale, Maria Antonietta Aiello, pro rettrice di UniSalento e docente ordinario di Tecnica delle Costruzioni, Serena Arima, docente di Statistica presso UniSalento, Fabiana De Santis, manager e ingegnera gestionale specializzata in sviluppo aziendale e gestione dell’innovazione, Carola Esposito Corcione, professore associato in Sistemi, metodi e tecnologia dell’ingegneria chimica e di processo presso UniSalento e socia fondatrice della sturtup Womat.
Il percorso progettuale si concluderà con l’ultimo ciclo di incontri sul tema “Il rispetto e la violenza di genere: quale percezione nelle/negli adolescenti”.
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Attualità
Da giugno niente più treni diretti da Roma alla Puglia!
Tornare in Salento in treno questa estate rischia di diventare un vero incubo per lavoratori, studenti fuori sede e turisti. L’on. Andrea Caroppo vicepresidente della Commissione Trasporti alla Camera, scrive all’Amministratore Delegato di Trenitalia, «per conoscere le ragioni di questa inspiegabile programmazione e, soprattutto, per chiedere l’immediato ripristino dei treni diretti verso la Puglia»

Non c’è niente da fare, vogliono relegarci in un angolo!
Non bastassero l’isolamento fisiologico, che è una questione geografica, e quello strutturale, frutto di anni di scarsa attenzione al sud e poche lucidità e lungimiranza da parte dei nostri politici e rappresentanti istituzionali, arriva anche la notizia che, da metà giugno, il Salento (come del resto tutta la Puglia) non sarà più raggiungibile dalla Capitale con treni diretti.
A lanciare l’allarme il deputato salentino e vicepresidente della Commissione Trasporti alla Camera, Andrea Caroppo: «Raggiungere la Puglia in treno questa estate rischia di diventare un vero incubo per lavoratori, studenti fuori sede e turisti».
Il perché è presto detto: «Dal 10 giugno non è previsto, al momento, nessun treno diretto tra Roma e la Puglia e le uniche offerte disponibili prevedono più cambi e alcune sfiorano addirittura le 12 ore. In pratica, si impiegherà meno tempo per arrivare a Roma da New York o Pechino che da Roma a Lecce».
Per l’on. Caroppo «è una situazione inaccettabile, destinata a creare forti disagi ai pugliesi che vogliono raggiungere la Capitale o rientrare in Puglia e che rischia di mettere in ginocchio la stagione turistica pugliese, scoraggiando i visitatori, soprattutto stranieri, a programmare un viaggio nella nostra regione».
Per questo motivo il vicepresidente della Commissione Trasporti alla Camera ha inviato una richiesta formale di chiarimento all’Amministratore Delegato di Trenitalia, Ing. Gianpiero Strisciuglio, «per conoscere le ragioni di questa inspiegabile programmazione e, soprattutto, per chiedere l’immediato ripristino dei treni diretti che collegano la Puglia a Roma».
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