Approfondimenti
Cyber jihad: la minaccia passa dal Web
Mario Avantini, vicepresidente del Centro Italiano di Strategia e Intelligence: “Ci stanno imponendo il marchio dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso internet e televisione”
L’arresto della cellula italiana dell’Isis impegnata nell’arruolamento di combattenti ha ulteriormente puntato i riflettori dell’attenzione pubblica sulla questione islamica e le minaccie al nostro Paese.
Il Salento, meta di continui sbarchi clandestini è vigilato con attenzione da intelligence e forze dell’ordine nel timore che, insieme ai disperati in fuga dalle guerre e dalla fame, sbarchino anche nuovi arruolatori di martiri o potenziali terroristi. Ecco perché il nuovo Decreto Legge sul terrorismo prevede anche un inasprimento delle pene per gli scafisti che possono essere arrestati in flagranza al pari degli appartenenti a gruppi eversivi che utilizzano il web. Proprio internet pare essere un punto di forza per gli estremisti, molto abili ad utilizzarlo per trovare terreno fertile tra i tanti disadattati che vivono in Occidente anche da più generazioni ma non sono realmente integrati. Consapevoli che la Jihad del Terzo Millennio non si combatte solo sul terreno, o a colpi di attentati, ma anche e soprattutto nella rete virtuale, possiamo considerare quella scatenata dallo stato islamico una vera e propria “Cyber Jihad”. Per questo la nostra Antonella Marchisella ha intervistato Mario Avantini, vicepresidente del Cisint (Centro Italiano di Strategia e Intelligence) studioso e ricercatore di Sicurezza Cibernetica e Cyber Terrorismo ed esperto del fenomeno della Cyber Jihad sul web e sul linguaggio dell’Isis attraverso i social network. Il Cisint è nato, su iniziativa di un gruppo di esperti e ricercatori, dalla necessità di porre in essere un centro capace di approfondire e diffondere la conoscenza degli Studi Strategici e della cultura dell’Intelligence.
Aspiranti jihadisti e i social network
Quanto e importante la comunicazione sul web per l’Isis? “Per i combattenti dell’Isis il web è un vettore fondamentale per trasmettere il terrore nel mondo, la comunicazione digitale è finalizzata alla sensibilizzazione della causa, alla propaganda, e ad aggiornare neofiti e jihadisti sui successi ottenuti. Vengono fornite, attraverso la rete, informazioni su come unirsi a gruppi e come raggiungere lo stato islamico. Ma attenzione non si tratta solo di capacità nell’usare i media ma di avere una strategia organizzata fatta da diversi prodotti multimediali (video, foto, messaggi Twitter, testi su Facebook ecc.) per differenti destinatari (occidentali, orientali e mediorientali) e con tecniche differenti. Viene prestata l’attenzione alla produzione dei video, proprio come avviene in televisione, quando si vuole catturare un determinato tipo pubblico si cerca di capire cosa interessa a quel segmento sociale e a quel punto si crea il prodotto adatto. Domandiamoci un attimo perché proclamano e ci impongono il nome di stato islamico, perche ci inducono a farci sapere che emettono moneta e riscuotono tasse. E’ tutto parte integrante della loro strategia di comunicazione. Ci stanno imponendo un marchio, cioè quello dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso il web e la televisione, che sono veri strumenti di amplificazione globale”.
Chi sono gli aspiranti jihadisti dell’Isis? “In molti casi giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’Isis appartengono a figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che vivono definitivamente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. Poi troviamo, invece, i giovani aspiranti occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno alcun tipo di contatto con la religione islamica e che contestualmente al loro reclutamento si convertono alla fede musulmana. Questi ultimi, ovviamente, hanno necessità da parte dei reclutatori di un intervento di avvicinamento e persuasione più complesso e articolato. I giovani che si votano alla jihad non sono quelli che crescono nell’ignoranza e nella povertà, ma sono tutti istruiti e in buone condizioni economiche. Hanno molta esperienza in internet e portano a termine scelte ideologiche personali, talvolta spinti da condizioni psicologiche disagiate e conflitti famigliari”.
Quali sono i luoghi e le metodologie di reclutamento? “Possiamo dire che il web o più specificatamente i social network sono il luogo centrale di «reclutamento per aspiranti jihadisti», pronti a passare dalla tastiera di un computer ai teatri di guerra siriani e iracheni o a compiere attentati anche in Occidente. Si passa dall’avvicinamento virtuale su Twitter, Facebook o vari blog dove si cerca di capire l’interesse dell’aspirante mediante la diffusione di messaggi culturali “ingannevoli”, con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi destinatari tra giovani “in attesa di qualcosa”, in grado di fornirgli una nuova identità o un ideale nella vita. E’ quella che viene definita “la ragnatela” dove i messaggi allettanti vengono realizzati e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente vulnerabile vi rimanga impigliato. Subito dopo si passa al contatto “face to face” dove troviamo i cosiddetti reclutatori “facilitatori” che operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali pronti a fornire consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere Isis o i luoghi di addestramento e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti”.
Che tipo di sistemi multimediali adottano?
“Lo stato islamico ha una troupe di combat cameraman che seguono i combattenti nelle zone di conflitto, inoltre ogni combattente, con i propri telefonini riprende il video delle azioni per poi postarle sui social network, in modo che ogni affiliato sia aggiornato in tempo reale su quello che sta accadendo: una valanga di informazioni. I sistemi di comunicazione adottati sono: siti web ufficiali dove diffondono la loro visione dell’Islam attraverso videomessaggi; una rivista, Dabiq, in versione cartacea e digitale dove si trovano riferimenti alle conquiste territoriali, eroi morti in battaglia, interpretazione dei tesi sacri, insomma una vera guida al Califfato; “La Islamic New Agency”, che è esattamente come ogni agenzia di stampa multimediale trasmetteva (fino al suo oscuramento), attraverso video e comunicati stampa dei portavoce dei gruppi affiliati allo stato islamico. Le agenzie di stampa sono un nodo strategico di questa guerra cibernetica fatta di informazioni e disinformazioni; la Hayat Media Center casa di Produzione Audiovisivi dove producono veri e propri video ben strutturati degni di film cinematografici. Lo strumento preferito di diffusione dell’informazione dell’Isis è il canale audiovisivo, come YouTube, comprensibile aldilà della lingua parlata, ed emotivamente forte. E poi troviamo i social network come Facebook e Twitter che negli ultimi anni sono stati il mezzo più veloce per diffondere e condividere qualsiasi notizia, azione e avvenimento tra combattenti lontani migliaia di chilometri di distanza, e tutto questo quasi in modo anonimo”.
In che modo vengono veicolati i messaggi tra i jihadisti? “Assistiamo ad un conflitto dove la Rete e il cyberspazio giocano certamente un ruolo determinante in termini di reclutamento, organizzazione e comunicazione. L’anonimato online consente addestramenti teorici e militari senza rischi anche a distanza. L’utilizzo di archivi “bozze”, di comunissimi indirizzi e-mail condivisi con altri membri dell’organizzazione, garantiscono lo scambio di messaggi senza l’invio di una sola e-mail. I soldati, siano essi virtuali o reali, dello stato islamico, hanno account protetti proprio dalla virtualità, perché nessuno sa se esistano e chi siano veramente, e nel caso in cui le autorità li blocchi, lo stesso account rinasce il giorno dopo con una variante nella “user”, ad esempio da @Abu2 si passa ad @Abu3 (dettagliatamente spiegato nel libro di AGC comunication in “Lo stato islamico”). Il compito del jihadista che usa la rete internet, è quello di postare all’interno degli account (Facebook, Twitter), messi a disposizione gratuitamente, i video, le foto, file audio ecc. Dopodiché le case di produzione prelevano da questi “contenitori” i video per lavorarli in tempo reale e successivamente reinserirli su Youtube o su altro canale video gratuito fruibile da tutti i simpatizzanti nel mondo che a loro volta lo posteranno nuovamente e così via per un’interminabile catena”.
Cosa sappiamo delle sigle responsabili dei Cyber attacchi? “Prendendo sempre con prudenza le attribuzioni e perfino le rivendicazioni degli attacchi, sappiamo che le sigle pro-jihad sono gruppi chiamati Fallaga e Cyber Caliphate, responsabile quest’ultimo dell’attacco agli account dei profili Twitter e YouTube del Comando Centrale Usa. Sebbene questa volta si sia trattato di vandalismo e terrorismo psicologico non ci si può permettere di abbassare la guardia. L’Isis sembrerebbe avere a propria disposizione almeno qualche unità con esperienza in ingegneria sociale e hacking. È notizia recente di una sedicente Hacking Division dell’Isis che ha pubblicato su un sito online nomi, foto e indirizzi di 100 militari americani che hanno preso parte alle operazioni in Siria e Iraq, esortando membri e simpatizzanti dell’Isis negli Stati Uniti ad ucciderli. Tutto questo è il prodotto di informazioni rubate da server del Dipartimento della Difesa oppure di un attività meticolosa di raccolta dati sul web e soprattutto sui social media? E’probabile che Al Baghdadi potrebbe far riferimento al modello simile del Syrian Electronic Army, questo gruppo è considerato il primo esercito di hacker comparso in Medio Oriente, che sostiene il governo siriano del presidente Assad, dimostrando di avere competenze e addestramento di tipo militare”.
Quanto e importante la comunicazione sul web per l’Isis? “Per i combattenti dell’Isis il web è un vettore fondamentale per trasmettere il terrore nel mondo, la comunicazione digitale è finalizzata alla sensibilizzazione della causa, alla propaganda, e ad aggiornare neofiti e jihadisti sui successi ottenuti. Vengono fornite, attraverso la rete, informazioni su come unirsi a gruppi e come raggiungere lo stato islamico. Ma attenzione non si tratta solo di capacità nell’usare i media ma di avere una strategia organizzata fatta da diversi prodotti multimediali (video, foto, messaggi Twitter, testi su Facebook ecc.) per differenti destinatari (occidentali, orientali e mediorientali) e con tecniche differenti. Viene prestata l’attenzione alla produzione dei video, proprio come avviene in televisione, quando si vuole catturare un determinato tipo pubblico si cerca di capire cosa interessa a quel segmento sociale e a quel punto si crea il prodotto adatto. Domandiamoci un attimo perché proclamano e ci impongono il nome di stato islamico, perche ci inducono a farci sapere che emettono moneta e riscuotono tasse. E’ tutto parte integrante della loro strategia di comunicazione. Ci stanno imponendo un marchio, cioè quello dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso il web e la televisione, che sono veri strumenti di amplificazione globale”.
Chi sono gli aspiranti jihadisti dell’Isis? “In molti casi giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’Isis appartengono a figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che vivono definitivamente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. Poi troviamo, invece, i giovani aspiranti occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno alcun tipo di contatto con la religione islamica e che contestualmente al loro reclutamento si convertono alla fede musulmana. Questi ultimi, ovviamente, hanno necessità da parte dei reclutatori di un intervento di avvicinamento e persuasione più complesso e articolato. I giovani che si votano alla jihad non sono quelli che crescono nell’ignoranza e nella povertà, ma sono tutti istruiti e in buone condizioni economiche. Hanno molta esperienza in internet e portano a termine scelte ideologiche personali, talvolta spinti da condizioni psicologiche disagiate e conflitti famigliari”.
Quali sono i luoghi e le metodologie di reclutamento? “Possiamo dire che il web o più specificatamente i social network sono il luogo centrale di «reclutamento per aspiranti jihadisti», pronti a passare dalla tastiera di un computer ai teatri di guerra siriani e iracheni o a compiere attentati anche in Occidente. Si passa dall’avvicinamento virtuale su Twitter, Facebook o vari blog dove si cerca di capire l’interesse dell’aspirante mediante la diffusione di messaggi culturali “ingannevoli”, con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi destinatari tra giovani “in attesa di qualcosa”, in grado di fornirgli una nuova identità o un ideale nella vita. E’ quella che viene definita “la ragnatela” dove i messaggi allettanti vengono realizzati e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente vulnerabile vi rimanga impigliato. Subito dopo si passa al contatto “face to face” dove troviamo i cosiddetti reclutatori “facilitatori” che operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali pronti a fornire consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere Isis o i luoghi di addestramento e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti”.
Che tipo di sistemi multimediali adottano?
“Lo stato islamico ha una troupe di combat cameraman che seguono i combattenti nelle zone di conflitto, inoltre ogni combattente, con i propri telefonini riprende il video delle azioni per poi postarle sui social network, in modo che ogni affiliato sia aggiornato in tempo reale su quello che sta accadendo: una valanga di informazioni. I sistemi di comunicazione adottati sono: siti web ufficiali dove diffondono la loro visione dell’Islam attraverso videomessaggi; una rivista, Dabiq, in versione cartacea e digitale dove si trovano riferimenti alle conquiste territoriali, eroi morti in battaglia, interpretazione dei tesi sacri, insomma una vera guida al Califfato; “La Islamic New Agency”, che è esattamente come ogni agenzia di stampa multimediale trasmetteva (fino al suo oscuramento), attraverso video e comunicati stampa dei portavoce dei gruppi affiliati allo stato islamico. Le agenzie di stampa sono un nodo strategico di questa guerra cibernetica fatta di informazioni e disinformazioni; la Hayat Media Center casa di Produzione Audiovisivi dove producono veri e propri video ben strutturati degni di film cinematografici. Lo strumento preferito di diffusione dell’informazione dell’Isis è il canale audiovisivo, come YouTube, comprensibile aldilà della lingua parlata, ed emotivamente forte. E poi troviamo i social network come Facebook e Twitter che negli ultimi anni sono stati il mezzo più veloce per diffondere e condividere qualsiasi notizia, azione e avvenimento tra combattenti lontani migliaia di chilometri di distanza, e tutto questo quasi in modo anonimo”.
In che modo vengono veicolati i messaggi tra i jihadisti? “Assistiamo ad un conflitto dove la Rete e il cyberspazio giocano certamente un ruolo determinante in termini di reclutamento, organizzazione e comunicazione. L’anonimato online consente addestramenti teorici e militari senza rischi anche a distanza. L’utilizzo di archivi “bozze”, di comunissimi indirizzi e-mail condivisi con altri membri dell’organizzazione, garantiscono lo scambio di messaggi senza l’invio di una sola e-mail. I soldati, siano essi virtuali o reali, dello stato islamico, hanno account protetti proprio dalla virtualità, perché nessuno sa se esistano e chi siano veramente, e nel caso in cui le autorità li blocchi, lo stesso account rinasce il giorno dopo con una variante nella “user”, ad esempio da @Abu2 si passa ad @Abu3 (dettagliatamente spiegato nel libro di AGC comunication in “Lo stato islamico”). Il compito del jihadista che usa la rete internet, è quello di postare all’interno degli account (Facebook, Twitter), messi a disposizione gratuitamente, i video, le foto, file audio ecc. Dopodiché le case di produzione prelevano da questi “contenitori” i video per lavorarli in tempo reale e successivamente reinserirli su Youtube o su altro canale video gratuito fruibile da tutti i simpatizzanti nel mondo che a loro volta lo posteranno nuovamente e così via per un’interminabile catena”.
Cosa sappiamo delle sigle responsabili dei Cyber attacchi? “Prendendo sempre con prudenza le attribuzioni e perfino le rivendicazioni degli attacchi, sappiamo che le sigle pro-jihad sono gruppi chiamati Fallaga e Cyber Caliphate, responsabile quest’ultimo dell’attacco agli account dei profili Twitter e YouTube del Comando Centrale Usa. Sebbene questa volta si sia trattato di vandalismo e terrorismo psicologico non ci si può permettere di abbassare la guardia. L’Isis sembrerebbe avere a propria disposizione almeno qualche unità con esperienza in ingegneria sociale e hacking. È notizia recente di una sedicente Hacking Division dell’Isis che ha pubblicato su un sito online nomi, foto e indirizzi di 100 militari americani che hanno preso parte alle operazioni in Siria e Iraq, esortando membri e simpatizzanti dell’Isis negli Stati Uniti ad ucciderli. Tutto questo è il prodotto di informazioni rubate da server del Dipartimento della Difesa oppure di un attività meticolosa di raccolta dati sul web e soprattutto sui social media? E’probabile che Al Baghdadi potrebbe far riferimento al modello simile del Syrian Electronic Army, questo gruppo è considerato il primo esercito di hacker comparso in Medio Oriente, che sostiene il governo siriano del presidente Assad, dimostrando di avere competenze e addestramento di tipo militare”.
Quali sono gli obiettivi dell’Isis? “Sul web circolano una varietà di ipotesi tra cui una moltitudine di mappe che mostrano i progetti dell’Isis nell’estendersi in tutto il Medio Oriente, in parte dell’est Europa e in tutta l’Africa centro-settentrionale. Credo che una di queste ipotesi sia di ricreare un califfato islamista con il sicuro intento di rompere i confini degli stati mediorientali decisi con gli accordi “confidenziali” del 1916 in primis da Francia e Inghilterra, con cui si divisero il territorio dopo il collasso dell’impero ottomano. Tuttavia c’è invece chi dichiara che l’offensiva dell’Isis sia importante per i produttori di armamenti, mediante la quale sperano di poter vendere una maggior quantità di armi alle monarchie del Golfo. Comunque in ogni guerra c’è sempre chi ci guadagna!”.
Antonella Marchisella
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI
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PER APPROFONDIRE SULLE VOLTE A STELLA CLICCA QUI
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Approfondimenti
Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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Volte a Stella
Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta
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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.
Da quanti anni fa questo mestiere?
«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni. Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».
È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?
«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».
Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?
«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».
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