Approfondimenti
Cyber jihad: la minaccia passa dal Web
Mario Avantini, vicepresidente del Centro Italiano di Strategia e Intelligence: “Ci stanno imponendo il marchio dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso internet e televisione”
L’arresto della cellula italiana dell’Isis impegnata nell’arruolamento di combattenti ha ulteriormente puntato i riflettori dell’attenzione pubblica sulla questione islamica e le minaccie al nostro Paese.
Il Salento, meta di continui sbarchi clandestini è vigilato con attenzione da intelligence e forze dell’ordine nel timore che, insieme ai disperati in fuga dalle guerre e dalla fame, sbarchino anche nuovi arruolatori di martiri o potenziali terroristi. Ecco perché il nuovo Decreto Legge sul terrorismo prevede anche un inasprimento delle pene per gli scafisti che possono essere arrestati in flagranza al pari degli appartenenti a gruppi eversivi che utilizzano il web. Proprio internet pare essere un punto di forza per gli estremisti, molto abili ad utilizzarlo per trovare terreno fertile tra i tanti disadattati che vivono in Occidente anche da più generazioni ma non sono realmente integrati. Consapevoli che la Jihad del Terzo Millennio non si combatte solo sul terreno, o a colpi di attentati, ma anche e soprattutto nella rete virtuale, possiamo considerare quella scatenata dallo stato islamico una vera e propria “Cyber Jihad”. Per questo la nostra Antonella Marchisella ha intervistato Mario Avantini, vicepresidente del Cisint (Centro Italiano di Strategia e Intelligence) studioso e ricercatore di Sicurezza Cibernetica e Cyber Terrorismo ed esperto del fenomeno della Cyber Jihad sul web e sul linguaggio dell’Isis attraverso i social network. Il Cisint è nato, su iniziativa di un gruppo di esperti e ricercatori, dalla necessità di porre in essere un centro capace di approfondire e diffondere la conoscenza degli Studi Strategici e della cultura dell’Intelligence.
Aspiranti jihadisti e i social network
Quanto e importante la comunicazione sul web per l’Isis? “Per i combattenti dell’Isis il web è un vettore fondamentale per trasmettere il terrore nel mondo, la comunicazione digitale è finalizzata alla sensibilizzazione della causa, alla propaganda, e ad aggiornare neofiti e jihadisti sui successi ottenuti. Vengono fornite, attraverso la rete, informazioni su come unirsi a gruppi e come raggiungere lo stato islamico. Ma attenzione non si tratta solo di capacità nell’usare i media ma di avere una strategia organizzata fatta da diversi prodotti multimediali (video, foto, messaggi Twitter, testi su Facebook ecc.) per differenti destinatari (occidentali, orientali e mediorientali) e con tecniche differenti. Viene prestata l’attenzione alla produzione dei video, proprio come avviene in televisione, quando si vuole catturare un determinato tipo pubblico si cerca di capire cosa interessa a quel segmento sociale e a quel punto si crea il prodotto adatto. Domandiamoci un attimo perché proclamano e ci impongono il nome di stato islamico, perche ci inducono a farci sapere che emettono moneta e riscuotono tasse. E’ tutto parte integrante della loro strategia di comunicazione. Ci stanno imponendo un marchio, cioè quello dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso il web e la televisione, che sono veri strumenti di amplificazione globale”.
Chi sono gli aspiranti jihadisti dell’Isis? “In molti casi giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’Isis appartengono a figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che vivono definitivamente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. Poi troviamo, invece, i giovani aspiranti occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno alcun tipo di contatto con la religione islamica e che contestualmente al loro reclutamento si convertono alla fede musulmana. Questi ultimi, ovviamente, hanno necessità da parte dei reclutatori di un intervento di avvicinamento e persuasione più complesso e articolato. I giovani che si votano alla jihad non sono quelli che crescono nell’ignoranza e nella povertà, ma sono tutti istruiti e in buone condizioni economiche. Hanno molta esperienza in internet e portano a termine scelte ideologiche personali, talvolta spinti da condizioni psicologiche disagiate e conflitti famigliari”.
Quali sono i luoghi e le metodologie di reclutamento? “Possiamo dire che il web o più specificatamente i social network sono il luogo centrale di «reclutamento per aspiranti jihadisti», pronti a passare dalla tastiera di un computer ai teatri di guerra siriani e iracheni o a compiere attentati anche in Occidente. Si passa dall’avvicinamento virtuale su Twitter, Facebook o vari blog dove si cerca di capire l’interesse dell’aspirante mediante la diffusione di messaggi culturali “ingannevoli”, con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi destinatari tra giovani “in attesa di qualcosa”, in grado di fornirgli una nuova identità o un ideale nella vita. E’ quella che viene definita “la ragnatela” dove i messaggi allettanti vengono realizzati e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente vulnerabile vi rimanga impigliato. Subito dopo si passa al contatto “face to face” dove troviamo i cosiddetti reclutatori “facilitatori” che operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali pronti a fornire consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere Isis o i luoghi di addestramento e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti”.
Che tipo di sistemi multimediali adottano?
“Lo stato islamico ha una troupe di combat cameraman che seguono i combattenti nelle zone di conflitto, inoltre ogni combattente, con i propri telefonini riprende il video delle azioni per poi postarle sui social network, in modo che ogni affiliato sia aggiornato in tempo reale su quello che sta accadendo: una valanga di informazioni. I sistemi di comunicazione adottati sono: siti web ufficiali dove diffondono la loro visione dell’Islam attraverso videomessaggi; una rivista, Dabiq, in versione cartacea e digitale dove si trovano riferimenti alle conquiste territoriali, eroi morti in battaglia, interpretazione dei tesi sacri, insomma una vera guida al Califfato; “La Islamic New Agency”, che è esattamente come ogni agenzia di stampa multimediale trasmetteva (fino al suo oscuramento), attraverso video e comunicati stampa dei portavoce dei gruppi affiliati allo stato islamico. Le agenzie di stampa sono un nodo strategico di questa guerra cibernetica fatta di informazioni e disinformazioni; la Hayat Media Center casa di Produzione Audiovisivi dove producono veri e propri video ben strutturati degni di film cinematografici. Lo strumento preferito di diffusione dell’informazione dell’Isis è il canale audiovisivo, come YouTube, comprensibile aldilà della lingua parlata, ed emotivamente forte. E poi troviamo i social network come Facebook e Twitter che negli ultimi anni sono stati il mezzo più veloce per diffondere e condividere qualsiasi notizia, azione e avvenimento tra combattenti lontani migliaia di chilometri di distanza, e tutto questo quasi in modo anonimo”.
In che modo vengono veicolati i messaggi tra i jihadisti? “Assistiamo ad un conflitto dove la Rete e il cyberspazio giocano certamente un ruolo determinante in termini di reclutamento, organizzazione e comunicazione. L’anonimato online consente addestramenti teorici e militari senza rischi anche a distanza. L’utilizzo di archivi “bozze”, di comunissimi indirizzi e-mail condivisi con altri membri dell’organizzazione, garantiscono lo scambio di messaggi senza l’invio di una sola e-mail. I soldati, siano essi virtuali o reali, dello stato islamico, hanno account protetti proprio dalla virtualità, perché nessuno sa se esistano e chi siano veramente, e nel caso in cui le autorità li blocchi, lo stesso account rinasce il giorno dopo con una variante nella “user”, ad esempio da @Abu2 si passa ad @Abu3 (dettagliatamente spiegato nel libro di AGC comunication in “Lo stato islamico”). Il compito del jihadista che usa la rete internet, è quello di postare all’interno degli account (Facebook, Twitter), messi a disposizione gratuitamente, i video, le foto, file audio ecc. Dopodiché le case di produzione prelevano da questi “contenitori” i video per lavorarli in tempo reale e successivamente reinserirli su Youtube o su altro canale video gratuito fruibile da tutti i simpatizzanti nel mondo che a loro volta lo posteranno nuovamente e così via per un’interminabile catena”.
Cosa sappiamo delle sigle responsabili dei Cyber attacchi? “Prendendo sempre con prudenza le attribuzioni e perfino le rivendicazioni degli attacchi, sappiamo che le sigle pro-jihad sono gruppi chiamati Fallaga e Cyber Caliphate, responsabile quest’ultimo dell’attacco agli account dei profili Twitter e YouTube del Comando Centrale Usa. Sebbene questa volta si sia trattato di vandalismo e terrorismo psicologico non ci si può permettere di abbassare la guardia. L’Isis sembrerebbe avere a propria disposizione almeno qualche unità con esperienza in ingegneria sociale e hacking. È notizia recente di una sedicente Hacking Division dell’Isis che ha pubblicato su un sito online nomi, foto e indirizzi di 100 militari americani che hanno preso parte alle operazioni in Siria e Iraq, esortando membri e simpatizzanti dell’Isis negli Stati Uniti ad ucciderli. Tutto questo è il prodotto di informazioni rubate da server del Dipartimento della Difesa oppure di un attività meticolosa di raccolta dati sul web e soprattutto sui social media? E’probabile che Al Baghdadi potrebbe far riferimento al modello simile del Syrian Electronic Army, questo gruppo è considerato il primo esercito di hacker comparso in Medio Oriente, che sostiene il governo siriano del presidente Assad, dimostrando di avere competenze e addestramento di tipo militare”.
Quanto e importante la comunicazione sul web per l’Isis? “Per i combattenti dell’Isis il web è un vettore fondamentale per trasmettere il terrore nel mondo, la comunicazione digitale è finalizzata alla sensibilizzazione della causa, alla propaganda, e ad aggiornare neofiti e jihadisti sui successi ottenuti. Vengono fornite, attraverso la rete, informazioni su come unirsi a gruppi e come raggiungere lo stato islamico. Ma attenzione non si tratta solo di capacità nell’usare i media ma di avere una strategia organizzata fatta da diversi prodotti multimediali (video, foto, messaggi Twitter, testi su Facebook ecc.) per differenti destinatari (occidentali, orientali e mediorientali) e con tecniche differenti. Viene prestata l’attenzione alla produzione dei video, proprio come avviene in televisione, quando si vuole catturare un determinato tipo pubblico si cerca di capire cosa interessa a quel segmento sociale e a quel punto si crea il prodotto adatto. Domandiamoci un attimo perché proclamano e ci impongono il nome di stato islamico, perche ci inducono a farci sapere che emettono moneta e riscuotono tasse. E’ tutto parte integrante della loro strategia di comunicazione. Ci stanno imponendo un marchio, cioè quello dello stato islamico, che entra nella nostra vita quotidiana attraverso il web e la televisione, che sono veri strumenti di amplificazione globale”.
Chi sono gli aspiranti jihadisti dell’Isis? “In molti casi giovani che decidono di lasciare l’occidente e di arruolarsi tra le fila dell’esercito dell’Isis appartengono a figli degli immigrati di religione musulmana che sono emigrati in occidente da anni e che vivono definitivamente in varie nazioni europee, in USA e in Australia. Poi troviamo, invece, i giovani aspiranti occidentali non di fede musulmana o tendenzialmente atei che non hanno alcun tipo di contatto con la religione islamica e che contestualmente al loro reclutamento si convertono alla fede musulmana. Questi ultimi, ovviamente, hanno necessità da parte dei reclutatori di un intervento di avvicinamento e persuasione più complesso e articolato. I giovani che si votano alla jihad non sono quelli che crescono nell’ignoranza e nella povertà, ma sono tutti istruiti e in buone condizioni economiche. Hanno molta esperienza in internet e portano a termine scelte ideologiche personali, talvolta spinti da condizioni psicologiche disagiate e conflitti famigliari”.
Quali sono i luoghi e le metodologie di reclutamento? “Possiamo dire che il web o più specificatamente i social network sono il luogo centrale di «reclutamento per aspiranti jihadisti», pronti a passare dalla tastiera di un computer ai teatri di guerra siriani e iracheni o a compiere attentati anche in Occidente. Si passa dall’avvicinamento virtuale su Twitter, Facebook o vari blog dove si cerca di capire l’interesse dell’aspirante mediante la diffusione di messaggi culturali “ingannevoli”, con diffusione casuale e che possa però trovare numerosi destinatari tra giovani “in attesa di qualcosa”, in grado di fornirgli una nuova identità o un ideale nella vita. E’ quella che viene definita “la ragnatela” dove i messaggi allettanti vengono realizzati e diffusi in attesa che qualcuno psicologicamente vulnerabile vi rimanga impigliato. Subito dopo si passa al contatto “face to face” dove troviamo i cosiddetti reclutatori “facilitatori” che operano anche nei luoghi di culto musulmano e nei quartieri periferici delle grandi città occidentali pronti a fornire consigli su come ottenere i visti e su come raggiungere Isis o i luoghi di addestramento e spesso organizzano il viaggio fornendo biglietti aerei, mail e numeri di telefono per contattare i gruppi combattenti”.
Che tipo di sistemi multimediali adottano?
“Lo stato islamico ha una troupe di combat cameraman che seguono i combattenti nelle zone di conflitto, inoltre ogni combattente, con i propri telefonini riprende il video delle azioni per poi postarle sui social network, in modo che ogni affiliato sia aggiornato in tempo reale su quello che sta accadendo: una valanga di informazioni. I sistemi di comunicazione adottati sono: siti web ufficiali dove diffondono la loro visione dell’Islam attraverso videomessaggi; una rivista, Dabiq, in versione cartacea e digitale dove si trovano riferimenti alle conquiste territoriali, eroi morti in battaglia, interpretazione dei tesi sacri, insomma una vera guida al Califfato; “La Islamic New Agency”, che è esattamente come ogni agenzia di stampa multimediale trasmetteva (fino al suo oscuramento), attraverso video e comunicati stampa dei portavoce dei gruppi affiliati allo stato islamico. Le agenzie di stampa sono un nodo strategico di questa guerra cibernetica fatta di informazioni e disinformazioni; la Hayat Media Center casa di Produzione Audiovisivi dove producono veri e propri video ben strutturati degni di film cinematografici. Lo strumento preferito di diffusione dell’informazione dell’Isis è il canale audiovisivo, come YouTube, comprensibile aldilà della lingua parlata, ed emotivamente forte. E poi troviamo i social network come Facebook e Twitter che negli ultimi anni sono stati il mezzo più veloce per diffondere e condividere qualsiasi notizia, azione e avvenimento tra combattenti lontani migliaia di chilometri di distanza, e tutto questo quasi in modo anonimo”.
In che modo vengono veicolati i messaggi tra i jihadisti? “Assistiamo ad un conflitto dove la Rete e il cyberspazio giocano certamente un ruolo determinante in termini di reclutamento, organizzazione e comunicazione. L’anonimato online consente addestramenti teorici e militari senza rischi anche a distanza. L’utilizzo di archivi “bozze”, di comunissimi indirizzi e-mail condivisi con altri membri dell’organizzazione, garantiscono lo scambio di messaggi senza l’invio di una sola e-mail. I soldati, siano essi virtuali o reali, dello stato islamico, hanno account protetti proprio dalla virtualità, perché nessuno sa se esistano e chi siano veramente, e nel caso in cui le autorità li blocchi, lo stesso account rinasce il giorno dopo con una variante nella “user”, ad esempio da @Abu2 si passa ad @Abu3 (dettagliatamente spiegato nel libro di AGC comunication in “Lo stato islamico”). Il compito del jihadista che usa la rete internet, è quello di postare all’interno degli account (Facebook, Twitter), messi a disposizione gratuitamente, i video, le foto, file audio ecc. Dopodiché le case di produzione prelevano da questi “contenitori” i video per lavorarli in tempo reale e successivamente reinserirli su Youtube o su altro canale video gratuito fruibile da tutti i simpatizzanti nel mondo che a loro volta lo posteranno nuovamente e così via per un’interminabile catena”.
Cosa sappiamo delle sigle responsabili dei Cyber attacchi? “Prendendo sempre con prudenza le attribuzioni e perfino le rivendicazioni degli attacchi, sappiamo che le sigle pro-jihad sono gruppi chiamati Fallaga e Cyber Caliphate, responsabile quest’ultimo dell’attacco agli account dei profili Twitter e YouTube del Comando Centrale Usa. Sebbene questa volta si sia trattato di vandalismo e terrorismo psicologico non ci si può permettere di abbassare la guardia. L’Isis sembrerebbe avere a propria disposizione almeno qualche unità con esperienza in ingegneria sociale e hacking. È notizia recente di una sedicente Hacking Division dell’Isis che ha pubblicato su un sito online nomi, foto e indirizzi di 100 militari americani che hanno preso parte alle operazioni in Siria e Iraq, esortando membri e simpatizzanti dell’Isis negli Stati Uniti ad ucciderli. Tutto questo è il prodotto di informazioni rubate da server del Dipartimento della Difesa oppure di un attività meticolosa di raccolta dati sul web e soprattutto sui social media? E’probabile che Al Baghdadi potrebbe far riferimento al modello simile del Syrian Electronic Army, questo gruppo è considerato il primo esercito di hacker comparso in Medio Oriente, che sostiene il governo siriano del presidente Assad, dimostrando di avere competenze e addestramento di tipo militare”.
Quali sono gli obiettivi dell’Isis? “Sul web circolano una varietà di ipotesi tra cui una moltitudine di mappe che mostrano i progetti dell’Isis nell’estendersi in tutto il Medio Oriente, in parte dell’est Europa e in tutta l’Africa centro-settentrionale. Credo che una di queste ipotesi sia di ricreare un califfato islamista con il sicuro intento di rompere i confini degli stati mediorientali decisi con gli accordi “confidenziali” del 1916 in primis da Francia e Inghilterra, con cui si divisero il territorio dopo il collasso dell’impero ottomano. Tuttavia c’è invece chi dichiara che l’offensiva dell’Isis sia importante per i produttori di armamenti, mediante la quale sperano di poter vendere una maggior quantità di armi alle monarchie del Golfo. Comunque in ogni guerra c’è sempre chi ci guadagna!”.
Antonella Marchisella
Approfondimenti
L’affascinante storia delle farmacie di Tricase
I miei sguardi erano attirati da un contenitore di vetro dove, in bella vista, c’erano dei cioccolatini, involti in carta stagnola di tanti colori, che mi facevano venire l’acquolina in bocca. Mia madre, con pazienza, mi doveva ogni volta ricordare che erano dei lassativi…
di Ercole Morciano
Le “storiche” farmacie di Tricase, antenate di quelle odierne, compresa l’ultima istituita in via Olimpica, erano entrambe ubicate nel centro antico del paese.
Molti della mia età le ricordano unitamente ai farmacisti che ne erano i proprietari: quella del dott. Spiridione Barbara, nella ex via Municipio, ora via Toma, dove vi è un’erboristeria e quella del dott. Salvatore Minerva, in piazza Vittorio Emanuele, ora Pisanelli, dove si vendono bevande.
Ai farmacisti si dava, all’antica, il “don” come segno di rispetto: così ci avevano insegnato e noi ragazzini – negli anni ’50 e ’60 – senza pensarci, continuavamo la tradizione.
Don Toto era altissimo – da piccolo lo vedevo così – sempre col camice bianco, col capo un po’ inclinato, il baffo curato e il volto in genere sorridente.
Don Spiridione lo ricordo più basso, anch’egli con la testa un po’ piegata e spesso corrucciato: così mi sembrava; anche la sua voce, la percepivo come stizzosa e – ricordo – mi incuteva un po’ di timore; ma don Spiridione era in fondo una persona buonissima.
Entrando nella sua farmacia, i miei sguardi erano attirati da un contenitore di vetro dove, in bella vista, c’erano dei cioccolatini, involti in carta stagnola di tanti colori, che mi facevano venire l’acquolina in bocca.
Mia madre, con pazienza, mi doveva ogni volta ricordare che erano dei lassativi – ed era vero – e questo metteva le cose a posto perché ti faceva passare la voglia.
NEL NOVECENTO
Erano tempi, per noi ragazzini, molto duri: ogni anno, a fine primavera, toccava a molti un purgante che poteva essere una orribile bevanda pungente ed effervescente, oppure olio di ricino (in entrambi i casi, se non ti chiudevi il naso non potevi ingoiare).
Per chiudere con i ricordi legati alle farmacie della mia fanciullezza, una curiosità: riguardo agli aiutanti dei farmacisti i temperamenti si invertivano. L’aiutante di don Spiridione, Vito Corciulo, indossava un camice nero e lo ricordo gentile, sorridente; a me sembrava timido e un po’ preoccupato; l’aiutante di don Toto, Vito Scorrano, indossava un camice bianco, e lo ricordo molto serio in volto; parlava con un eloquio chiaro e possente che sembrava non ammettere repliche.
Le due farmacie, Barbara e Minerva, esistevano sicuramente nel 1912: risulta che nel mese di dicembre i medicinali ai poveri di Tricase furono dati “dal chimico-farmacista Salvatore Minerva e dall’altro farmacista Spiridione Barbara”.
Originario di Alessano, Barbara si era laureato a Napoli nel 1910 e poco dopo aprì la farmacia a Tricase dove si trasferì e formò la sua famiglia.
Salvatore Minerva era di antica famiglia tricasina: anch’egli si era laureato presso l’Università di Napoli e, annesso alla farmacia, aveva un laboratorio di analisi chimiche, come vi era scritto con eleganti caratteri sul vetro della porta d’ingresso.
I farmacisti Barbara e Minerva si distinsero nei periodi della triste miseria quando si pagarono a prezzo di costo, o dilazionati nel tempo, i farmaci acquistati dalla Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli per i poveri.
Entrambi si impegnarono anche in ambito civile: il dott. Barbara fu eletto sindaco di Tricase più volte e il dott. Minerva fu, per parecchi lustri, ispettore onorario ai monumenti.
NEL CINQUECENTO
Le notizie più antiche riguardanti i farmacisti di Tricase risalgono alla fine del Cinquecento.
Il loro nome ufficiale era “aromatari” e, per legge, non potevano essere anche medici (fisici o cerusici) per evitare conflitti d’interesse; gli aromatari cinquecenteschi erano Domenico Musca e Francesco Mecchi.
Nelle loro botteghe, non solo si preparavano e si vendevano i medicinali ma, specie in quella del Musca, si rogavano atti notarili o si riuniva l’università, il consiglio comunale di allora.
Entrambi appartenevano a note famiglie tricasine: i Mecchi erano una famiglia storica, vi è un altare di loro patronato e col loro blasone nella chiesa di San Domenico, mentre ai Musca apparteneva Domenico, lo scultore che ha firmato il fonte battesimale della chiesa madre, suo capolavoro scolpito nel 1547.
NELL’OTTOCENTO
Dal bilancio del 1866 della Congregazione di Carità di Tricase apprendiamo che vi erano a Tricase due farmacie e i farmacisti erano Antonio Legari e Michele Aprile: “Per i medicinali somministrati ai vari poveri” ebbero rispettivamente £. 102 e £. 68.
NEL SETTECENTO
La notizia più completa ci viene però dalle carte dei Domenicani di Tricase: essi nel 1730 avevano, nei locali del convento, una spezieria o spettiaria (speziale era il farmacista nel ’700) di medicinali che affittarono a Giovanni Andrea Longo di Andrano per l’importo annuo di 20 ducati.
Il contratto prevedeva che fossero date gratis tutte le medicine che i medici avessero prescritto “alli religiosi di famiglia di detto monastero”.
La stessa farmacia, nel triennio precedente, era stata affittata a Giovanni Battista Stendardo e, dall’atto di locazione, apprendiamo che vi erano 246 tipi di medicinali.
Dalla medesima fonte ci è pervenuto anche un parziale, ma interessante elenco di ordigni necessari alla preparazione delle medicine, che riporto integralmente nel linguaggio d’epoca: «2 bilance, due sedazzi (filtri) uno di seta e l’altro di pelo, una grattacaso (grattugia) piccola, fuselli e mezzi fuselli, lancelle, sottocoppe, mortai di diverse grandezze, una ciarla (contenitore) [di cristallo] di Boemia, storte di vetro, lambicchi di vetro e di rame, caraffoni (bottiglie col manico) grandi e piccoli, ecc.»
Approfondimenti
Il presidente Vadrucci della Camera di Commercio fra passato e futuro
Sono stati tre anni faticosi ma esaltanti. E soprattutto sono stati tre anni fatti insieme: io, il Segretario Generale, Francesco De Giorgio, la struttura camerale e, soprattutto, la Giunta e il Consiglio della Camera di Commercio di Lecce. Uscivamo da un periodo di pandemia che aveva provocato molti problemi al mondo produttivo salentino…
INTERVISTA ESCLUSIVA
di Giuseppe Cerfeda
Lei è presidente della Camera di Commercio di Lecce da tre anni. Vuole fare un primo bilancio di questa esperienza?
«Sono stati tre anni faticosi ma esaltanti. E soprattutto sono stati tre anni fatti insieme: io, il Segretario Generale, Francesco De Giorgio, la struttura camerale e, soprattutto, la Giunta e il Consiglio della Camera di Commercio di Lecce. Uscivamo da un periodo di pandemia che aveva provocato molti problemi al mondo produttivo salentino.
Le imprese della nostra provincia hanno avuto in questi tre anni la forza di credere nelle loro idee, di riprendere la produzione, di guardare avanti, cercando di utilizzare l’innovazione tecnologica e le possibilità che la Camera di Commercio, come casa delle imprese, ha messo loro a disposizione.
Insieme alle Associazioni di categoria che compongono gli organi camerali, abbiamo trovato la possibilità di sostenere questa volontà di ripartire. Vorrei ricordare una iniziativa per tutte: abbiamo trovato nelle pieghe del bilancio un milione di euro per aiutare le imprese salentine a far fronte agli aumenti del costo dell’energia, causa delle situazioni penalizzanti per la nostra economia e le nostre aziende.
In questo modo abbiamo aiutato il mondo produttivo salentino a ripartire senza troppi costi aggiuntivi che avrebbero potuto mettere a terra numerose attività».
Qual è lo stato attuale del tessuto economico e sociale della nostra provincia?
«Stiamo ancora lavorando con tutti gli imprenditori per cercare di emergere in un contesto che sconta un lungo momento negativo in campo nazionale e internazionale.
La globalizzazione ha lasciato uno strascico pesante per il nostro tessuto produttivo, perché le attività per le quali una volta eravamo in grande evidenza, tessile e abbigliamento, calzaturiero e manufatturiero di qualità, una volta portate in Paesi a più bassi costi, non sono ancora rientrate nel nostro ambito.
Ci siamo quindi dovuti reinventare le produzioni, puntando sui marchi e sulla qualità.
Per fortuna alcune aziende leader sono riuscite a ripartire con queste nuove direttrici di sviluppo, ma la condizione internazionale non è particolarmente favorevole.
Cominciamo a sentire l’affanno dei costi della transizione verso la sostenibilità, richiesta dalle norme europee.
I costi di guerra, in un Mediterraneo sempre più centrale come scacchiere senza pace, non aiutano lo sviluppo dei commerci e delle transazioni. Contemporaneamente i cambiamenti climatici stanno stressando la nostra agricoltura, che pure continua ad avere prodotti di grande pregio. La Xylella ha lasciato danni dappertutto.
Ma ci sono anche iniziative che guardano all’innovazione tecnologica. I giovani, prima di decidere di scappare in altri paesi, investono energie e voglia di fare, qui, sul territorio salentino.
La Camera di Commercio di Lecce cerca di cogliere ogni occasione per agevolare queste iniziative nuove, aiutando al contempo le aziende tradizionali ad evolversi verso traguardi internazionali, sfruttando le risorse che la Regione e Governo, con ZES Unica e Fondi di coesione e le norme europee del PNRR, mettono a disposizione.
Lavoriamo ogni giorno in questa direzione, contando anche sul favore che il brand “Salento” ha acquisito in campo nazionale e internazionale, supportato dall’appeal turistico e culturale. Siamo a disposizione, insieme alle altre Istituzioni locali, del mondo economico salentino.
Non dobbiamo rallentare e sono fiducioso che riusciremo a far aumentare la velocità all’economia del Salento».
Se dovesse indicare pregi e difetti del mondo economico salentino?
«Pregi e difetti non sono sempre uguali. Non sono tra quelli che dicono che ci sono difetti caratteriali nei nostri imprenditori. Ormai viviamo in un mondo globalizzato e sappiamo quello che possiamo e non possiamo fare.
Un fattore molto penalizzante è il decentramento geografico della nostra terra, rispetto ai mercati europei di riferimento. Scontiamo da sempre – in questo periodo ancora di più – una marginalità nei trasporti che rende più difficoltosa la nostra penetrazione sui mercati internazionali. Le strutture e le infrastrutture dovrebbero aiutarci a cambiare le cose, ma ci vuole anche una nuova politica industriale che faccia del Mediterraneo un punto di riferimento industriale e commerciale diverso, evitando che si “infiammi” in quelle guerre che ne stanno riducendo l’importanza geopolitica e commerciale.
Nel frattempo, la caparbietà, che è uno dei pregi della nostra classe imprenditoriale, deve essere ancora più efficace per resistere e trovare strade alternative per le produzioni del nostro territorio. Le Istituzioni, però, devono eliminare gli ostacoli che ancora si frappongono.
La Camera di Commercio diventa così anello di collegamento e cerniera con le Istituzioni, per mettere in pratica norme e percorsi al servizio dell’imprenditoria locale, riducendo la burocrazia e favorendo la spinta che gli imprenditori più avveduti cercano attraverso l’innovazione tecnologica e le nuove tecniche produttive.
Non è facile, ma ci impegniamo tutti in questa direzione».
Lei è del sud Salento e non ha mai nascosto la sua attenzione verso quella porzione di territorio, sforzandosi perché non venga snobbata com’è accaduto per tanti anni. L’adeguamento della SS. 275 ne è l’esempio lampante…
«Forse siamo arrivati al punto in cui, anche per la 275, non si possono fare più passi indietro. La strada che porta a Santa Maria di Leuca, fondamentale per lo sviluppo del sud Salento, dovrà presto essere una realtà.
E questo grazie all’impegno di tanta parte della comunità di quei territori, anche se abbiamo dovuto piangere troppi morti. Abbiamo aggiunto la nostra opera a quella di tante istituzioni, associazioni e cittadini del basso Salento.
Ma non dobbiamo fermarci perché altre infrastrutture hanno bisogno della nostra attenzione e del nostro impegno per proiettarci nel futuro».
Siamo a Natale. La Confartigianato ha fatto appello per comprare prodotti salentini: vuole aggiungere il suo di appello?
«La Confartigianato – di cui mi onoro di far parte – è sempre stata molto sensibile a questo problema. Impegnarci a privilegiare negli acquisti prodotti e oggetti che vengono dalle nostre aziende, è il modo più intelligente di sostenere la nostra economia e di fare un buon affare.
Anche perché i prodotti del lavoro delle nostre operaie e dei nostri artigiani, le eccellenze delle nostre terre non sono secondi a nessuno.
Lo sanno anche fuori dal Salento, tanto che le nostre aziende più attrezzate stanno rispondendo con l’e-commerce, alle richieste che vengono dagli acquirenti nazionali ed esteri.
Segno che abbiamo conquistato il cuore, la mente e… il palato di tanta gente».
Ancora due anni per terminare questo primo mandato. Pensa che ce ne sarà un secondo, per lei, come Presidente della Camera di Commercio di Lecce?
«Per adesso c’è tanto lavoro da fare per cercare di raccogliere i frutti delle idee e del lavoro che, con la Giunta e il Consiglio camerale, abbiamo introdotto per aiutare la transizione del mondo produttivo salentino.
Ci sono veramente tante idee, che cerchiamo di arricchire di risorse per poterle realizzare.
È questo il nostro primo obiettivo, da raggiungere anche attraverso le relazioni che ho incominciato ad intraprendere con il resto del mondo produttivo italiano, grazie al mio ruolo di vice presidente nazionale di Unioncamere.
Il resto lo decideranno soprattutto i rappresentanti delle varie categorie produttive.
Io sono al servizio, insieme alle strutture camerali, delle imprese del nostro territorio».
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AQP: anche a Natale offre un servizio che fa acqua da tutte le parti
Questa notte anche casa mia è venuto Babbo Natale. A dire il vero non l’ho visto, ma mi ha fatto trovare, nella buca delle lettere, verso le 18, una lettera dell’AQP che non conteneva gli auguri di Natale.
Questa notte anche casa mia è venuto Babbo Natale.
A dire il vero non l’ho visto, ma mi ha fatto trovare, nella buca delle lettere, verso le 18, una lettera dell’AQP che non conteneva gli auguri di Natale.
Tutti noi sappiamo quanto sia importante preservare e non sprecare l’acqua, in questo periodo poi, in cui ce la menano in tutte le salse che “siamo in riserva”, bisognerebbe essere più accorti e attenti. E va bene!
Ebbene, dicevo, Babbo Natale Aqp, che non so se viaggia con le renne, con la scia luminosa o con gli elfi al seguito, è comparso di persona, personalmente, con un corriere privato e personale e mi ha fatto regalo (recapitato) di un plico contenete una fattura in cui mi si intima di pagarla entro il 24 novembre 2024!!!
Ci ho riflettuto un attimo prima di imbarcarmi sulla mia DMC12”, la famosa DeLorean, del film “Ritorno al Futuro”, poi convinto di non poter rivaleggiare con la proverbiale correttezza e precisione dei vertici e affini dell’AQP, ho lottato, insistito, battagliato, sono salito sull’auto, fino a quando non mi sono reso conto che la macchina non partiva: Marty con un ghigno beffardo mi sorrideva e lo scienziato matto mi ripeteva stare tranquillo che il pazzo non ero io.
E’ vero i servizi dell’Aqp, da quando ne ho memoria, non hanno mai brillato, ricordo ancora quando d’estate lamentai lo scarso getto d’acqua che non ci permetteva di fare nulla in casa: si presentarono dei dipendenti AQP, alle 7 del mattino, per verificare che il flusso raggiungesse la portata minima obbligatoria per contratto, e vennero coscienti all’alba quando a quell’ora il mondo intero dormiva e… indovinate un po’? La portata minima era garantita. Geniali.
Oggi mi chiedono, con garbo, la notte di Natale, quando siamo tutti più buoni ed inclini al perdono, di tornare indietro nel tempo, anche solo di un mese per pagare una bolletta sputata fuori da chissà quale pazzo e incontrollato sistema; con creanza, in questa Magica notte, mi postulano, che potrebbero esserci delle correzioni di prezzo, per eccesso, per ritardo nel momento del pagamento; mi mendicano, con grazia, legata alla notte dell’avvento, che “i pagamenti delle bollette precedenti sono regolari, salvo ulteriori verifiche (!)”.
Non so se questa mia raggiungerà mai i vertici o colori i quali vengono da noi profumatamente pagati per fornirci un servizio (chiamiamolo tale) che, a proposito di liquidi, fa acqua da tutte le parti.
Non so se e quando dovremo aspettare per ricevere un minimo di attenzione e quando potremo difenderci adegutamente da queste assurdità che, complice il Natale, spesso vengono perdonate.
Io mi sono portato avanti: poiché ero ancora in tempo, mancavano poche ore al Natale, ho affidato nelle mani sicure del vero Babbo Natale la mia letterina indirizzata ai responsabili dell’acquedotto pugliese, hai visto mai che magari proprio nell’aprire e leggere le letterine nella Santa Notte possano esaudire i miei sogni?
Quali sono? Quelli di ricevere un servizio degno di questo nome e vedere recapitate le fatture almeno qualche giorno prima che scadano! A Natale puoi…
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