Attualità
Don Tonino Bello “scrive” una lettera ai ragazzi che iniziano l’anno scolastico
Il vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli, ha preso per la seconda volta carta e penna e “ha fatto scrivere” ai ragazzi nientemeno che il compianto vescovo Don Tonino Bello

Ugento, 11 settembre 2013 – In questi giorni i ragazzi italiani ritornano sui banchi per iniziare un nuovo anno scolastico. E come ogni anno in questi giorni si rincorrono le cifre sul caro scuola, sulle difficoltà a coprire le cattedre, insomma l’attenzione prevalente va alle questioni economiche, con qualche scivolamento sulla cronaca nera… Eppure su quei banchi scolastici ci sono persone, ragazzi che cercano di dare un senso alla loro vita, alla loro affettività.
Per questo il vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca mons. Vito Angiuli, ha preso per la seconda volta carta e penna e “ha fatto scrivere” ai ragazzi nientemeno che il compianto vescovo Don Tonino Bello, le cui spoglie riposa da 20 anni nella cittadina di Alessano, ma che continua ad essere una energia della vita capace di fare innamorare di Cristo giovani e adulti. Il titolo della “lettera di don Tonino” (scritta da Angiuli) è molto forte: “Tutto passa… solo l’amore resta”. E si struttura in due parti: “I grandi amori di don Tonino Bello” (la vita, la terra, i poveri, Gesù) e “come vivere la vita con una forte passione”. Angiuli/don Tonino vuole appunto sollecitare i ragazzi – ma dà anche una scossa anche agli adulti, genitori ed educatori – a prendere in mano, come ha fatto don Tonino, la loro vita, senza lasciarsi andare al non senso; e l’unico modo per essere protagonisti, non passivi, dello loro vita è quello di centrarla sull’amore, che non è una ideologia, che non è una filosofia, ma una relazione concreta con Dio e con i fratelli. Secondo Angiuli/don Tonino occorre aiutare i ragazzi a credere nell’amore, non solo nelle proprie capacità intellettuali o tecniche. Amare, e vivere il rapporto con la terra, con i poveri, con Gesù ha come esito quello di vivere la vita in pienezza, con una grande passione. E anche i dubbi e le incertezze dell’adolescenza – che anche don Tonino, come ogni adulto, ha avuto – non sono un handicap, non sono un “tunnel oscuro” senza via di uscita, ma semplicemente la fatica della crescita per diventare persone adulte. Insomma, il vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, con questa lettera inviata a tutti i ragazzi che stanno iniziando l’anno scolastico 2013-2014 vuole spingere tutti nella direzione della consapevolezza che i ragazzi sono una grande risorsa e non solo un problema economico, pedagogico, piscologico o politico. La fede cristiana può dire molto a loro, per condurli nella direzione della vera felicità, che non è assenza di sofferenza, ma capacità di vivere la vita in pienezza. Come ha fatto don Tonino Bello, “innamorato di Gesù”.
Tutto passa… solo l’Amore resta!
Cari giovani,
sono don Tonino Bello, nato ad Alessano nel 1935 e divenuto Vescovo di Molfetta, Giovinazzo, Ruvo e Terlizzi nel 1982. Ora riposo serenamente nel cimitero del mio paese. Forse vi domanderete: «Come mai, a vent’anni dalla morte, don Tonino ci invia questa lettera?». La risposta è molto semplice. La morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di una nuova vita. Niente è perduto per chi ama perché «forte come la morte è l’amore» (Cantico dei Cantici 8,6). L’amore annulla la distanza e rende possibile il dialogo anche oltre la vita terrena. Facendo mie la parole di un poeta, posso dire che «sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto».
Se dopo vent’anni dalla mia morte vi invio questa lettera è solo per testimoniarvi il segreto della mia vita. Esso si può riassumere in un solo verbo: amare! L’amore dona gioia e mantiene desta la passione per il bene.
I MIEI QUATTRO AMORI
Tutto passa… solo l’Amore resta!
Questa frase contiene un meraviglioso messaggio e una forte provocazione. Alla fine della vita, infatti, giungerà puntuale e implacabile la domanda: hai amato? Per spronarvi a fare dell’amore la legge della vostra esistenza vi racconto i quattro amori della mia vita.
Ho amato la vita!
Non la bella vita, ma la vita bella!a bella!
La bella vita è:
• sinonimo di disimpegno e di ricerca di soddisfazioni immediate e passeggere;
• desiderio di provare le sensazioni e le emozioni che si presentano ogni giorno;
• voglia di “cogliere l’attimo fuggente” senza preoccuparsi del domani;
• smania di vivere “alla giornata” scrollandosi di dosso ogni responsabilità.
La vita bella, invece, è:
• desiderio di un sapere che spinge alla conoscenza approfondita delle cose;
• bisogno di coltivare rapporti sinceri, intensi e duraturi con gli altri;
• capacità di affrontare con coraggio i sacrifici necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati;
• attitudine a coltivare il desiderio di percorrere sentieri impervi e inesplorati;
• aspirazione a nutrire grandi sogni, a non sprecare le proprie energie fisiche, intellettuali e spirituali, a vivere con saggezza la propria libertà.
La vita bella è il frutto dell’amore!
L’amore rinnova ogni cosa e dona la forza per affrontare con coraggio la sofferenza e il dolore. A questo proposito potrei raccontarvi la mia esperienza e dirvi quello che ho provato quando ho scoperto di avere un cancro. Vi rinvio invece alla testimonianza di un giovane come voi, Fabio Salvatore, che potrete trovare anche in internet.
Fabio, un attore avviato a una promettente carriera, a 21 anni, scopre un tumore che non perdona. Il referto del medico è inequivocabile: cancro alla tiroide. Fino a quel momento aveva creduto che la vita fosse ai suoi piedi e che la forza fosse l’arma vincente per affrontare la vita e ottenere successo, donne e molti soldi.
Bisogna intervenire in fretta. Ma egli continua a recitare in teatro, nascondendo tutto ai familiari, finché afono e privo di forze è costretto a soccombere allo “scara-faggio”. Operato d’urgenza, supera l’intervento e fa la sua prima radioterapia. Perde lavoro, amici e popolarità, ma in quel baratro inizia finalmente a guardarsi dentro. Passano i mesi, e dopo un anno parte per il Portogallo. Il viaggio lo porta a Fatima. Si affida completamente alla Madonna, chiede aiuto fra le lacrime e da quel giorno il suo deserto fiorisce e si riempie di colori. Anche la tragica morte del padre, in un incidente stradale, non lo abbatte. Oggi, dopo 14 anni di malattia e di cure, Fabio sa di essere un uomo fragile, reso forte dalla fede che ha illuminato i suoi passi e ha colorato d’azzurro la sua sofferenza.
Ho amato la mia terra!
Come vi ho già accennato, sono nato ad Alessano e ho vissuto gran parte della mia vita a Ugento e a Tricase. La terra salentina mi è entrata prepotentemente nel cuore. Certo, essa sembra una terra senza risorse. Bella nella patina ferrigna delle sue rocce. Splendida nel biancore dei suoi paesi. Malinconica nel contorcimento degli ulivi secolari. Struggente nella purezza del mare e nel fulgore del suo biblico sole. Ma arida di piogge e di speranza. Geograficamente emarginata, fatta fuori dalle grandi linee di comunicazione e di trasporto. Con tutti i problemi che si accompagnano alla povertà provocata dallo strapotere degli altri. In questa terra così bella per la sua asprezza e la sua luminosità vive una gente abituata al sacrificio e alla durezza della vita. Una gente povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel portamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino, ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore. Una gente “naturaliter religiosa”, che trova simboli del suo affidarsi alla Provvidenza in due moduli dialettali molto frequenti: “fazza Diu” per l’accoglimento delle disavventure, e “se vole Diu” per la consegna delle speranze. Ho amato questa terra. E tutte le volte che mi è stato possibile sono ritornato a rivedere i luoghi e gli amici conosciuti fin da piccolo. Prima di partire per Molfetta, sul molo del porto di Tricase, avevo promesso che non avrei mai dimenticato questi posti incantevoli ai quali più volte ho fatto riferimento nei miei scritti. Ho suggellato il patto di amore con la mia terra chiedendo di essere seppellito accanto a mia madre. E così è stato.
Ho amato i poveri!
I poveri sono la grande risorsa della Chiesa. Per questo ho scelto come motto episcopale le parole del salmo: «Ascoltino gli umili e si rallegrino» (Sal 33,3). Mi ha sempre molto colpito il brano del Vangelo di Matteo che riassume tutto il cristianesimo nelle opere di misericordia: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,35-40). Quando ho capito la bellezza di questo amore senza limiti e senza riserve per i poveri mi si è spalancato un grande orizzonte, un nuovo mondo, un affascinante stile di vita. Vi prego, cari giovani, anche voi fate lo stesso. Non distogliete lo sguardo da coloro che soffrono, ma come il buon Samaritano accostatevi a loro, fasciate le loro ferite, aiutateli a riprendere con gioia il loro cammino.
Ho amato Gesù!
Sì, ve lo confesso senza reticenze: mi sono innamorato di Gesù! Anche voi, cari giovani, innamoratevi di Lui! Quando parlo di innamoramento di Gesù Cristo voglio dire questo: un investimento totale della vita. Il Signore non è una fascia, una frangia, un merletto, sia pure notevole, che si aggiunge al panneggio della nostra esistenza. L’amore per Cristo, se non ha il marchio della totalità, è ambiguo. Il part-time, il servizio a ore, magari col compenso maggiorato per lo straordinario, con Cristo non è ammissibile, un servizio a ore saprebbe di mercificazione. Innamorarsi di Gesù Cristo vuol dire: conoscenza profonda di lui, dimestichezza con lui, frequenza diurna nella sua casa, assimilazione del suo pensiero, accoglimento senza sconti delle esigenze più radicali del Vangelo.
VIVETE LA VITA CON UNA FORTE PASSIONE
Cari giovani, vivete anche voi appassionatamente questi quattro amori: la vita, la terra, i poveri, Gesù. Lo so. Non è facile! Era difficile ai miei tempi. È diventato più difficile, oggi. Se vado indietro nel tempo mi vengono in mente i miei anni del ginnasio: un mare di dubbi. Dubitavo perfino della mia capacità di affrontare la vita. Che età difficile! Hai paura di non essere accettato dagli altri, dubiti del tuo charme, della tua capacità d’impatto con gli altri e non ti fai avanti. E poi problemi di crescita, problemi di cuore… Ma voi non abbiate paura, non preoccupatevi! Se lo volete, se avrete un briciolo di speranza e una grande passione per gli anni che avete… cambierete il mondo e non lo lascerete cambiare agli altri. Vivete la vita con una forte passione. Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci di aprirsi agli altri. Appassionatevi alla vita perché è dolcissima. Mordete la vita! Non accantonate i vostri giorni, le vostre ore, le vostre tristezze con quegli affidi malinconici ai diari. Non coltivate pensieri di afflizione, di chiusura, di precauzioni. Mandate indietro la tentazione di sentirvi incompresi. Non chiudetevi in voi stessi, ma sprizzate gioia da tutti i pori. Bruciate… perché quando sarete grandi potrete scaldarvi ai carboni divampati nella vostra giovinezza. Incendiate… non immalinconitevi. Perché se voi non avete fiducia, gli adulti che vi vedono saranno più infelici di voi. Coltivate le amicizie, incontrate la gente. Coltivate gli interessi della pace, della giustizia, della solidarietà, della salvaguardia dell’ambiente. Il mondo ha bisogno di giovani critici… Diventate voi la coscienza critica del mondo. Diventate sovversivi…. Il cristiano autentico è sempre un sovversivo; uno che va contro corrente non per posa ma perché sa che il Vangelo non è omologabile alla mentalità corrente… Non so se li ricordate, se li avete letti in qualche vostra antologia quei versi di Neruda in cui egli si chiede cosa sia la vita:
«Tunnel oscuro, – dice – tra due vaghe chiarità
o nastro d’argento su due abissi d’oscurità?»
Quando ero parroco li citai durante una messa con i giovani. Poi chiesi: perché la vita non può essere un nastro d’argento tra due vaghe chiarità, tra due splendori? Non potrebbe essere così la vostra vita? Vi auguro, davvero, che possiate interpretare la vita in questo modo bellissimo.
Vi saluto con affetto! Buon anno scolastico!
Attualità
Xylella, mezzo milione al GAL Capo di Leuca
Il GAL finanzierà interventi mirati alla riqualificazione del paesaggio attraverso la realizzazione di nuovi impianti di olivo o di altre specie arboree resistenti alla xylella

Il presidente del GAL Capo di Leuca Antonio Ciriolo ha firmato la convenzione integrativa tra Regione Puglia e GAL per l’attuazione del progetto “Sistema integrato per il rilancio paesaggistico ed economico dei territori colpiti da Xylella fastidiosa”.
Il progetto vede coinvolti diversi GAL della Puglia (capofila il Gal Terra d’Arneo) ed è finanziato ai sensi dell’art. 17 del Decreto Interministeriale 06/03/2020 n. 2484 “Piano straordinario per la Rigenerazione Olivicola della Puglia”.
La dotazione finanziaria assegnata al Gal Capo Di Leuca è pari a 500mila euro.
Il GAL finanzierà interventi mirati alla riqualificazione del paesaggio attraverso la realizzazione di nuovi impianti di olivo o di altre specie arboree resistenti alla Xylella.
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Attualità
Il segno della partecipazione civica degli studenti del “Don Tonino Bello” di Tricase nel porto di Leuca
Asoc Awards 2025: al Team “Leucasia”, con il progetto Porta d’Oriente, il secondo posto assoluto a livello nazionale e il premio ASOC – Insight Senato della Repubblica. La dirigente scolastica Anna Lena Manca: «Una grande lezione di educazione civica»

Agli studenti dell’indirizzo artistico dell’IISS Don Tonino Bello di Tricase, classificatisi secondi a livello nazionale con il loro “Porta d’Oriente”, è stato conferito il prestigioso premio ASOC – Insight Senato della Repubblica grazie al monitoraggio civico del progetto sul ripristino delle strutture portuali di Leuca.
Alla dodicesima edizione di A Scuola di OpenCoesione, hanno partecipato 94 team da tutta Italia.
Quest’anno gli Asoc Awards si svolgeranno il 9 maggio a Napoli, presso il Campus Universitario di San Giovanni a Teduccio.
Tra i premiati anche gli studenti dell’Istituto Don Tonino Bello di Tricase che hanno progettato il design di una pietra d’inciampo da inserire nella pavimentazione per lasciare memoria del loro passaggio e per contribuire all’abbellimento del porto.
I ragazzi del “Don Tonino Bello”, riuniti nel team Leucasia (foto in alto), hanno deciso di accendere i riflettori realizzando con “A Scuola di OpenCoesione”, il monitoraggio civico di un progetto cruciale per il territorio: il ripristino delle strutture portuali di Marina di Leuca (Castrignano del Capo), finanziato con oltre 8 milioni di euro della politica di coesione.
Gli studenti, nel corso dell’anno scolastico 2022-2023, hanno analizzato l’impatto degli interventi di ricostruzione e potenziamento del porto, gravemente danneggiato da una violenta mareggiata nell’inverno del 2008.
Un monitoraggio che ha assunto un particolare valore in un luogo tanto affascinante quanto vulnerabile, esposto a tempeste di forte intensità a causa della sua particolare esposizione a due mari, l’Adriatico e lo Ionio.
La scelta del nome non è stata casuale per il team: «Abbiamo pensato molto al nome, volevamo che rappresentasse il territorio “de finibus terrae” del progetto scelto per il monitoraggio».
L’idea è stata di una delle studentesse del gruppo, Elena Fersurella, che conosce bene la leggenda della sirena Leucàsia, dal cui nome deriva quello della città di Leuca: «La sirena protegge ancora la città e il suo porto, una sua scultura è situata infatti su un promontorio, rivolta verso il faro. Il fascino di questa storia ci ha coinvolto, non potevamo non assumere il nome della sirena».
Gli studenti non si sono limitati a raccontare e analizzare l’andamento dei lavori, ma hanno voluto lasciare un segno concreto del loro impegno, un simbolo che potesse rimanere nel tempo, proprio come la leggenda della sirena.
«Durante la visita di monitoraggio», racconta lo studente Paolo Carluccio, «i referenti del progetto ci hanno anticipato che un ulteriore finanziamento sarebbe stato destinato a migliorare l’estetica del porto di Leuca. Tra i lavori è stata prevista anche la pavimentazione delle zone calpestabili; abbiamo allora pensato di mettere a disposizione le nostre abilità artistiche progettando, con l’aiuto dei docenti di grafica, una pietra d’inciampo da inserire nella pavimentazione che lasciasse memoria del nostro passaggio e contribuisse all’abbellimento del porto».
Come la sirena vegliava sul mare, il team ha scelto di vegliare sulle sorti del porto, simbolo identitario del territorio e snodo strategico per il traffico marittimo.
Gli studenti hanno analizzato il progetto come veri reporter, raccogliendo dati e informazioni sul luogo dei lavori e intervistando i soggetti responsabili, puntando l’attenzione non solo sulla verifica della tempistica di erogazione dei fondi e il rispetto delle scadenze, ma anche sull’impatto ambientale e l’aumento del potenziale attrattivo di Santa Maria di Leuca.
«Siamo stati coinvolti in maniera sempre crescente», racconta una delle studentesse del team, Rebecca Gravante, «eravamo all’inizio molto scettici rispetto alla nostra capacità di portare avanti il monitoraggio, poi siamo diventati sempre più curiosi di capire cosa si nasconda dietro ai cambiamenti del nostro territorio, di cui spesso siamo spettatori passivi. Siamo così diventati soggetti attivi e abbiamo fatto chiarezza non solo sulle procedure di finanziamento dei progetti pubblici, ma anche sulle politiche cittadine mirate a proteggere e a rafforzare le potenzialità del nostro territorio».
I risultati del loro monitoraggio rivelano che i lavori hanno ricostruito quanto distrutto dalle mareggiate e potenziato la resistenza del porto.
Il team Leucasia ha avanzato anche proposte innovative per il futuro dell’infrastruttura.
Una delle idee più significative riguarda il riutilizzo di tre imbarcazioni sequestrate agli scafisti che oggi giacciono in stato di abbandono.
Gli studenti hanno proposto di restaurarle e metterle a disposizione di associazioni no-profit o circoli nautici, coinvolgendo anche altri istituti scolastici locali in progetti di alternanza scuola-lavoro.
Grazie a questa esperienza, i ragazzi dell’IISS Don Tonino Bello hanno dimostrato che il monitoraggio civico non è solo un esercizio didattico di osservazione e raccolta dati, ma un modo concreto per prendersi cura del proprio territorio, che potrà lasciare un segno indelebile del loro impegno per il futuro di Santa Maria di Leuca.
«GRANDE OPPORTUNITÀ PER I RAGAZZI»
«Siamo molto felici per ilrisultato raggiunto dai nostri ragazzi che si sono occupati anche quest’anno di ASOS monitorare civicamente i fondi che sono arrivati dalla nostra grande Europa», trattiene a stento l’orgoglio, la dirigente scolastica Anna Lena Manca, «è una grande opportunità per i ragazzi perché sentano l’Europa sempre come una grande madre, vicina alle necessità dei ragazzi e di chi studia dei territori. Una grande lezione di educazione civica».
«Saremo a Napoli il 9 maggio per la cerimonia di premiazione», conclude Anna Lena Manca, «e vi racconteremo compreso la visita al Senato della Repubblica»
IL TEAM VINCENTE
Il Team Leucasia è composto da: Ilia Bello di Otranto, Gioele Conte di Poggiardo, Emma Leone di Sanarica, Sara Monteduro di San Cassiano, Sofia Rizzo di Minervino (1A-Art); Anna Ferrarese di Marittima, Giorgia Domenica Maglie di Montesano, Emanuele Eliseo Manco di Depressa, Chiara Zaffarano di Marittima (1B-Art); Francesca Barbieri e Artemisia Mastria di Castiglione d’Otranto, Aurora Coladomenico di Botrugno, Antonio Luigi D’Amico e Sofia Rita D’Amico di Tricase, Teresa Morciano – Tiggiano (2A-Art);
Elena De Siena di Specchia, Amina Gonzalez di Montesano Salentino, Miriam Panico di Castiglione d’Otranto (2B-Art); Bruno Casarano di Poggiardo, Noemi Ianni di Depressa; Clelia Rizzo di Otranto, Micol Stelluti di Ruffano, Edoardo Urso di Poggiardo (3AA-3AG).
Il progetto è stato curato interamente dalle classi del liceo artistico coordinate dalla professoresse Giovanna Stifanelli e Lucia Lanciano.
I ragazzi della 3APA che hanno collaborato al montaggio del video con il prof. B. Micolano sono: Giulia Calabrese, Lorenzo Orlando e Federica Sammali.
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Attualità
La storia del Teatro di Nardò nei ricordi di un ultracentenario
«Una lira per il loggione, la manovella di Aurelio, Chabernot, il veglione». In una lettera il quasi 103enne Arturo Presta ripercorre la vita del “comunale”

«Tanti saluti dai miei 103 anni. Arturo».
Uno dei neretini più longevi e conosciuti, fisicamente lontano dalla sua città natale, ma ad essa legato in eterno, scrive su una vecchia macchina da scrivere una lettera sul Teatro comunale e sulla sua storia e la rende pubblica per il tramite dell’amico di famiglia Enrico Ciarfera.
Arturo Presta, 102 anni (compirà 103 ad agosto), milanese d’adozione, firma di fatto una dichiarazione d’amore al suo luogo del cuore, attraverso righe colme di ricordi e di nostalgia, che inevitabilmente scuoteranno la memoria dei più anziani.
La scintilla è il volume 150 anni di storia del Teatro a Nardò, scritto da Marcello Gaballo e Andrea Barone, che raccontano il lungo cammino del Teatro comunale e dell’attività di questo luogo, il cui punto di partenza è individuato dagli autori nel giorno 3 febbraio 1872, quando il sindaco Giovan Battista De Michele propose per primo la costruzione di un teatro (che in realtà vedrà la luce qualche anno più tardi e fu inaugurato nel 1909).
«In verità», esordisce Arturo Presta, «la notizia è di quelle che meritano tanto di… “cappello”. Il nostro Teatro Comunale compie 150 anni. Per noi neritini è motivo di legittimo orgoglio festeggiare la nobile costruzione concepita e realizzata (mi pare) dall’architetto Quintino Tarantino. Personalmente, la notizia ha suscitato in me, repentinamente, un’ondata di ricordi, di fierezza, di gratitudine, di affetto, per questo “palazzone” che un tempo mi vide ragazzino in sandali tutto teso in curiosità cinematografiche. Con una lira si “saliva” in loggione. Ma, a volte, i risicati 70 centesimi di cui si disponeva non bastavano. Ecco, quindi, entrava in scena il buon Giordano Buja (bigliettaio serale) che, con la rituale “scòppula”, faceva entrare ugualmente. Un giorno mi bloccò e mi disse: “Senti un po’…mi hanno detto che tu sei bravo a disegnare, ce la faresti a usare un pennello per dipingere, alla buona, su fogli di carta le “facce” di Charlot, Stanlio e Ollio, Ridolini etc…, ne dovremmo fare manifesti da affiggere nelle vie cittadine. Accettai subito. Mi promise, come compenso, l’accesso “gratis” al cinema in qualsiasi serata. Quella volta me la cavai bene».
Dai ricordi più personali a quelli collettivi, relativi alle rappresentazioni che il Teatro ospitò nel secolo scorso.
«Mio padre, spesso, accennava a una lodevole attività del Teatro Comunale, che non era stata soltanto “cinematografica” ma anche teatrale. Il suo palcoscenico aveva ospitato delle Compagnie di “Varietà”, di Operette, come il “Paese dei Campanelli”, “Cin-ci-là”, “Madama di Tebe”, “la vedova allegra”, molto gradite dalla popolazione. Ricordo la Compagnia “ZA-BUM” e le mirabolanti performances del noto illusionista Chabernot, che si esibì per varie settimane di seguito. Imperversarono anche i film di Cow Boys con Tom Mix e soci. Andavamo in delirio quando, verso il finale, scoppiava il famoso “Arrivano i nostri!».
Poi, ancora, qualche episodio della sua vita, che inevitabilmente si intreccia con la vita del Teatro.
«Nel 1940, a 18 anni, la Regia Marina mi arruolò assegnandomi compiti infermieristici, che svolsi con umana dedizione. Il congedo (1946) mi restituì alla mia amata Nardò, ai miei familiari. Ritrovai con commozione una certa atmosfera a me cara. Le strette vie, gli odori, i “pittàci”, le comari vicine di casa. Riabbracciai, con lo sguardo, l’imponente “palazzo” del Teatro Comunale. Mi ricordai del solerte Aurelio, quello che ogni sera, “proiettava” a “manovella” le pellicole (come chiamavano le bobine dei film). Nel Febbraio del 1947, una circostanza mi consentì di “riallacciare” il mio rapporto col Teatro Comunale. Un incaricato del Comune mi contattò, proponendomi la realizzazione di un “addobbo” artistico-carnevalesco del Teatro, per l’organizzando “Veglione”. Operazione scaramantica per dimenticare la recente dolorosa parentesi bellica. Fui lieto di accettare dando uno “scrollone” alla mia fantasia. Comprai grandi fogli di carta da imballaggio, colori in polvere (non erano ancora in tubetto), colla di pesce, barattoli vari … e iniziai ad abbozzare un qualcosa di orientale, di esotico, un paesaggio cinese su carta a fondo giallo. Da quell’insieme di segni, di pennellate, ne venne fuori tutto un luminoso mondo di fiori di pesco, di uccelli e zampilli di fontane. Quella decorazione in carta ebbe, la sera del Veglione, un notevole successo. D’allora sono trascorsi 78 anni (anno 1947) e oggi siamo qui, per augurare affettuosamente lunga vita al Teatro Comunale di Nardò, che tocca la meta dei 150 anni. Congratulazioni e un sincero elogio all’Amministrazione cittadina che, nel tempo, ha tenuto il Teatro Comunale in dignitose condizioni, sotto ogni aspetto, ogni funzione. Tanti saluti dai miei 103 anni. Arturo».
Arturo Presta, lucidissimo e prodigo di citazioni di fatti e persone, regala dunque a Nardò e ai neretini un piccolo ed emozionante diario sulla vita del Teatro comunale, uno dei luoghi più belli e amati da generazioni di concittadini.
Artuto nasce a Nardò nel 1922 in una famiglia di artigiani, studia solfeggio e clarinetto e sin da giovanissimo manifesta una certa inclinazione per il disegno e l’arte figurativa.
A diciotto anni si arruola nella Marina come infermiere e viene spedito al fronte per la Seconda guerra mondiale.
Al ritorno a Nardò fa il dattilografo, ma nel 1948 entra nella Pubblica Sicurezza prestando servizio in Questura a Milano (qui, tra le altre cose, redige identikit nella scientifica). Dopo 24 anni, si congeda dalla Polizia e viene assunto nell’ufficio “propaganda” di un’azienda farmaceutica.
Nel frattempo, consegue il diploma di “Disegnatore di figurini di moda”.
Va in pensione nel 1985, dedicandosi alla musica, alla poesia, alle letture e anche a… matite e pennarelli.
Qualche anno fa ha raccolto in un volume i suoi disegni che riproducono alcuni storici personaggi di Nardò.
Pur avendo a lungo vissuto a Milano, trascorre tutte le estati a Santa Maria al Bagno.
Ad agosto 2022 ha compiuto 100 anni e l’amministrazione comunale gli ha donato una targa ricordo consegnata dalla vicesindaco Maria Grazia Sodero (foto in alto).
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- Una vecchia foto di Arturo Presta
- La prima parte dell lettera di Arturo Presta
- La seconda parte della lettera con i ricordi dell’ultracentenario neretino
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