Attualità
Fuck You Cancer
Nella stanza arancione: “Ho imparato che nella sofferenza, nel buio, nell’aridità che il cancro porta inevitabilmente con se, non è poi così difficile trovare il sorriso sincero di una persona che ti dona un pezzetto del suo amore”

Certe diagnosi ti fanno crollare il mondo addosso, e quando arrivano e toccano te e i tuoi cari, puoi fare due scelte: o lottare contro la paura che, inevitabilmente, prende il sopravvento, oppure abbandonarsi alla triste ineluttabilità degli eventi e vivere, o meglio sopravvivere, claudicando e annaspando, giorno dopo giorno, nel buio. Quando la diagnosi suona come una sentenza: “Dobbiamo fare la chemioterapia”, la tua mente inizia a perdersi in viaggi assurdi e, paradossalmente, cominci ad aver paura più di quella ”famosa” terapia farmacologica, che di tutto il resto.
Poi col tempo impari che non sempre la chemioterapia fa perdere i capelli, che non necessariamente si deve stare male da morire, che non per forza una flebo debba durare ore su ore. Capisci che il vero “nemico”non è lei. Non è lei che deve farti paura. Così inizia a diventare tutto un po’ più sopportabile. In qualcuno di quegli stupidi viaggi mentali, t’immagini di entrare in reparti grigi e tristi, immersi nell’angoscia, pensi che assisterai a scene terribili, che il clima sarà pesante e insostenibile; poi, invece, ci entri davvero e ti rendi conto che non è affatto così. E ancora una volta, tutto diventa più sopportabile. La mia prima volta nel reparto di chemioterapia presso l’Ospedale C.Panico di Tricase è stata così: una sorta di rivelazione, una piacevole epifania capace di aprirmi gli occhi su una realtà totalmente diversa, di farmi toccare con mano ciò che avevo solo male immaginato o ciò che avevo da sempre, erroneamente, saputo. Nonostante il luogo, di per sé, non sia affatto allegro e gioioso, ti meravigli di trovarci di volta in volta qualcosa che non ti saresti mai aspettato ci potesse essere: il sorriso. Chi resta fuori non lo potrà mai sapere, ma in quella stanza dove ognuno combatte contro i suoi “demoni”, in quell’ambiente arredato da tende e poltrone di un vivace arancione, dove coloro che, come me, accompagnano chi un padre, chi un marito, chi un fratello, cercano in tutti i modi di lenire la stanchezza dei propri cari, causata dal tempo che là dentro sembra non passare mai, si crea una sorta di “microcosmo” in cui ci si conosce un po’ tutti, dove è semplice socializzare, iniziare a chiacchierare, raccontare di se; là dentro si crea un minuscolo mondo fatto di storie, di vite, di sorrisi regalati con semplicità e naturalezza, una realtà dove tutti sono uguali e non fa alcuna differenza se sei giovane o anziano, se sei un avvocato piuttosto che un impiegato, se tuo figlio ha quattro anni oppure se è sposato e ti ha reso già nonno; non importa tu chi sia o che cosa faccia, perché là, tu sei esattamente come tutti gli altri; qui la sofferenza degli altri diventa un po’ anche la tua. Ma sopra ogni cosa, è un “mondo” rallegrato da angeli vestiti da infermiere, Mary, Angela e Teresa, sempre pazienti e amorevoli che, con una dolcezza infinita, cercano d’allietare tutto il tempo che ci passi assieme. E questo, è il mio modo per dire loro grazie. Seduta in quella “stanza arancione”, mentre aspetti, pensi a quanta gente si trova nella tua stessa condizione. Troppa. E ogni volta speri di trovare sempre meno poltrone occupate, ti auguri di non vedere più le persone della volta precedente, perché allora vorrebbe dire che non hanno più bisogno di essere curate. Vivendo per qualche ora questa “vita parallela” incontri persone che non avresti mai immaginato esistessero, persone che non lesinano d’infonderti il coraggio di non abbatterti, anche se sono loro stesse ad avere una flebo attaccata al braccio. Là dentro ti rendi veramente conto di quanta gente bella esista, di quanta gente ti accoglie nella sua vita come se ti conoscesse da sempre, e lascia che tu inizi a farne un po’ parte.
La nostra amica Anna è una di quelle, e anche se è sempre un piacere incontrarla, io spero di non rivederla più perchè significherebbe che lei, la sua battaglia, l’ha vinta una volta per tutte. Col passare dei mesi, la “stanza arancione” diventa sempre più familiare, ne assorbi le abitudini, gli odori, ti abitui ai suoi spazi, ma nonostante ormai conosca quasi a memoria quelle mura, il mio sguardo non manca mai di soffermarsi su una foto attaccata alla parete dell’ingresso; ritrae un uomo, in tenuta ginnica, che corre la maratona di New York, indossando una maglietta con su scritto: “Fuck You Cancer”. Lui la sua maratona l’ha vinta, e anche se non ho idea di chi sia, sono molto felice per lui. Non nascondo nemmeno, però, che mi capita di osservare quell’immagine con una punta di sana e bonaria invidia perchè spero che, anche per me e la mia famiglia, un giorno, possa arrivare la stessa, esaltante vittoria. Pur cosciente di tutta la mia situazione, in me la speranza non riesce a morire, ma prolifera forte e rigogliosa, inarrestabile. A modo mio, anche io, ho già vinto. Lo so. Ho vinto perchè il cancro forse ti potrà togliere il sonno, la fame, ti farà paura, forse a tratti puro terrore, ti farà sentire perso e disarmato, impotente, inutile, a volte ti toglierà il fiato; ma, dopo tutto, ho imparato che nella sofferenza, nel buio, nell’aridità che esso porta inevitabilmente con se, non è poi così difficile trovare il sorriso sincero di una persona che ti dona un pezzetto del suo amore, del suo tempo; ho capito che si può sempre intravedere una luce, seppur minuscola e flebile, in fondo alla paura; ho visto che, sorprendentemente, in quest’arido deserto di malattia c’è, invece, uno spazio per qualche bellissimo e profumatissimo fiore. Fuck You Cancer!
Attualità
Papa Leone XIV
Il nuovo Pontefice è Robert Prevost, primo americano a salire sul Soglio di Pietro

Il nuovo Papa è l’americano Robert Prevost, si chiamerà Leone XIV.
Nato il 14 settembre 1955 a Chicago, Prevost era considerato come un papabile “di compromesso”, tra quelli che potrebbero riuscire nel difficile compito di unire le diverse e spesso contrastanti anime di una Chiesa cattolica che sta attraversando grandi cambiamenti.
La sua carriera inizia ufficialmente nel 1977, quando è entrato nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino, nella provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio, nella città di Saint Louis (Missouri).
I voti solenni arrivano il 29 agosto 1981.
Studente presso la Catholic Theological Union di Chicago, si è diplomato in Teologia.
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Alle 18,08, le campane di tutte le chiese suonano a festa: è arrivata la fumata bianca!
Il Conclave al secondo giorno e alla quarta votazione ha scelto il nuovo Papa.
Piazza San Pietro è in festa mentre cresce l’attesa per l’annuncio del nome del Pontefice.
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Attualità
Sentenza pro OLC, il sindaco di Tricase: «Non faremo ricorso»
«Chiederemo un incontro agli imprenditori e ragioneremo sulla fattibilità dell’intervento. Insieme, vedremo il da farsi»

Dopo la pubblicazione della sentenza del Tribunale amministrativo che ha bocciato il parere negativo del Comune di Tricase rispetto la riconversione dell’ex complesso industriale Adelchi ad opera della OLC, abbiamo rintracciato telefonicamente il sindaco Antonio De Donno.
Il primo cittadino a specifica domanda risponde: «Non faremo ricorso».
E aggiunge: «Chiederemo un incontro agli imprenditori e ragioneremo sulla fattibilità dell’intervento. Insieme, vedremo il da farsi».
Il primo cittadino infine precisa: «La sentenza non autorizza in automatico tutte le richieste dell’azienda, ha comunque rimandato il pallino al Comune di Tricase che, ovviamente, stando alla decisione dei giudici, non potrà negare l’autorizzazione per i motivi che hanno portato al ricorso Tar».
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