Approfondimenti
Gli imprenditori: “Le banche non ci sostengono più”
“Puntano solo al loro profitto”; “Non conoscono più il cliente”; “Ci penalizzano con troppe regole”; “Non guardano a idee e progetti”; “I direttori stan diventando dei passacarte”
Com’è cambiato il ruolo tra imprese e banche negli ultimi anni? Lo abbiamo chiesto agli imprenditori salentini.
SERGIO COSTANTINI, “VERGALLO MACCHINE”
Secondo Sergio Costantini della Vergallo Macchine di Corigliano d’Otranto, “per rispondere a questa domanda, bisogna guardare indietro, a quando le banche facevano solamente le banche. Cioè, quando raccoglievano il risparmio per metterlo al servizio dell’impresa affinché si sviluppasse e con lei il mercato economico. Oggi invece, sono diventate vere e proprie agenzie commerciali, che “vendono”, un’infinità di servizi finanziari e di investimento, con un’unica visione, quella di aumentare il loro profitto, spesso offrendo servizi non sempre vantaggiosi per l’impresa. Elementi necessari che occorrono oggi più che mai, nel rapporto impresa-banca sono correttezza e trasparenza che diventano sempre più una reale necessità operativa. Molto spesso le imprese non riescono a comprendere cosa vogliano le banche e queste, a loro volta non ottengono tutte le informazioni necessarie al fine di una corretta valutazione e conseguente decisione, in merito alla specifica richiesta di affidamento. Occorre, oggi ancor più che in passato, rimuovere tutte le reciproche difficoltà di comunicazione al fine di migliorare l’accesso al credito dell’impresa e la sua conoscenza da parte della banca, in quanto quest’ultime, svolgono anche un ruolo fondamentale di carattere economico-sociale per l’intero sistema, al pari di una qualsiasi impresa pubblica e/o privata, in quanto promotrici di investimenti e quindi di nuova ricchezza”.
Per Costantini “sono dunque importantissimi gli accorgimenti per aiutare sia l’impresa nel sviluppare meglio il suo mercato, sia la banca nel comprendere pienamente il business dell’impresa da finanziare. Per fare ciò”, conclude, “credo sia fondamentale aumentare il rapporto e il contatto personale, perché dietro ogni organizzazione sia essa piccola, media o grande, ci sono delle persone che la compongono e la animano”.
TOTO’ PICCINNI, “MAGAZZINI TOTO’ PICCINNI
Per Totò Piccinni degli omonimi Magazzini (Depressa di Tricase e Surano): “La politica di ristrettezze adottata dalle banche sta creando qualche problema e in taluni casi accentuando la situazione di stallo economico. Non c’è da farne una colpa a direttori e impiegati bancari del territorio perché loro hanno le mani legate. Non è più come una volta quando il direttore della banca alla quale ci si rivolgeva conosceva uno per uno i suoi clienti e sapeva quando un imprenditore era affidabile o meno. Oggi ci si basa sul famoso rating di Basilea 2 e le decisioni vengono prese altrove da persone che non conoscono neanche il nome del titolare della pratica che discutono”. Allo stesso modo Totò Piccinni sottolinea come anche “la stretta anche sul piccolo credito contribuisca ad ingessare l’economia”.
PAOLO VANTAGGIATO, “CARROZZERIA VANTAGGIATO”
Paolo Vantaggiato, dell’omonima carrozzeria di Tricase non ha dubbi: “Siamo tutti succubi di soprusi e vittime di prepotenze. Alla fine lavoriamo quasi esclusivamente per non andare sotto con la banca. Ed è anche colpa nostra perché spesso, quando ci concedono qualcosa, non siamo attenti a leggere clausole e codicilli che ci fanno firmare. C’è anche da dire però che se uno fa il carrozziere, l’edile o il macellaio, non può essere certo laureato in alta finanza… Cosa fare? Mbah… non saprei, anche perché oggi tutte le nostre energie sono assorbite dalla necessità di sopravvivere”.
ROCCO TOMA, “TOMA CARBURANTI”
Per Rocco Toma, della Toma Carburanti di Ruffano, la situazione è “irrimediabilmente peggiorata con l’introduzione dell’accordo di Basilea e l’introduzione del rating con cui viene valutata l’affidabilità delle imprese. Troppe regole che spesso e volentieri penalizzano imprenditori che hanno sempre tenuto fede ai loro impegni mai venendo meno all’estinzione dei debiti. Una volta era il direttore della banca locale a farsi in qualche modo garante dell’imprenditore che aveva di fronte perché ne conosceva pregi e difetti oggi invece si decide secondo regole prestabilite e di solito lo si fa lontano dal luogo in cui opera l’imprenditore senza tenere conto di alcunché. Personalmente non ho ancora incontrato problemi simili, ma molti colleghi affidabilissimi mi hanno raccontato di essere stati in grande difficoltà per affidamenti ridotti, perentorie richieste di rientrare immediatamente dal debito e chiusura pressoché totale dei cordoni. E questo, dopo che per anni avevano sempre fatto le cose per bene. Basilea o no, non sarebbe male si ristabilisse un rapporto di fiducia tra banche e imprese che operano sullo stesso territorio”.
DAVIDE GAETANI, “SISA”
Davide Gaetani del Gruppo Sisa di Racale (con punti vendita anche a Gallipoli, Mancaversa, Felline, Taurisano, Taviano e di prossima apertura a Maglie) individua il problema nel fatto che “le banche non guardano i progetti, le idee ma solo il bilancio e il rating. In pratica finanziano solo quelle aziende di cui sono certe al 100% del rientro”. Per Gaetani “all’estero non fanno così, è un problema tutto italiano ed è un errore non premiare l’idea, così si ferma lo sviluppo e si ingabbia l’economia”. L’imprenditore racalino individua poi un’altra anomalia nelle differenze dei rating tra banca e banca. In pratica “se cambi istituto cambia anche il tuo livello di affidabilità… possibile mai? Con i rating voluti da Basilea 2 in pratica fanno come gli pare”. Infine Gaetani torna sulla necessità di una stretta connessione tra e imprese e banche che scommettano su di loro: “Un po’ come accaduto per il mio gruppo che si sta espandendo anche grazie alla cooperazione con due istituti come Banca Intesa e Monte dei Paschi di Siena che hanno compreso l’importanza di spalleggiare gli imprenditori e sostenerne le idee”.
ANTONIO GIANNUZZI, “CHATEAU D’AX”
Antonio Giannuzzi di Chateau d’Ax di Maglie, sottolinea come “le banche si nascondono dietro i famosi rating e anche i tassi non sono più quelli di una volta, sempre se e quando concedono qualcosa”. Per Giannuzzi “non solo la stretta alle imprese ma anche e soprattutto quella del credito immobiliaree ha rallentato l’economia. Anche se, pare, le cose stiano cambiando perché le banche avrebbero eccesso di liquidità da far girare. Concedono credito solo a chi da garanzie assolute di restituzione ma almeno girano un po’ di euro…”. Altro punto dolente secondo l’imprenditore magliese è che “i direttori di banca rischiano di passare per dei passacarte perché tutto viene deciso nei consigli direttivi che sono lontani anni luce dal territorio e dalle sue esigenze”.
FERDINANDO CATINO, “FEPA INFISSI”
Ferdinando Catino della Fepa Infissi di Ugento spiega di essere “correntista da più di trent’anni e di non aver mai avuto particolari problemi con le banche. Anzi ho sempre trovato disponibilità e quando ce n’è stato bisogno sono anche stato consigliato nel modo giusto. È vero però che le cose oggi sono un po’ cambiate. Mi è capitato per esempio che alcuni clienti anche con le giuste garanzie si sono visti rifiutare crediti anche di appena 2-3mila euro e questo ovviamente blocca l’economia”. Un atteggiamento maggiormente votato alla ristrettezza, secondo Catino “è anche comprensibile visto il momento particolare che stiamo vivendo. Penso però che sia anche conseguenza del comportamento poco limpido di alcuni imprenditori che ci hanno marciato. Se da una parte, quindi, le banche dovrebbero essere meno rigide, dall’altra taluni imprenditori dovrebbero essere più corretti”.
Approfondimenti
Gli anni passano, le tradizioni cambiano, in meglio o in peggio?
Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti..
di Hervé Cavallera
Con le Festività di inizio novembre si è entrati nell’ampio periodo delle feste di fine anno con tutte le celebrazioni rituali che esse implicano. Ora, già da un remoto passato l’essere umano ha avvertito con perplessità la fine della bella stagione, l’allungarsi del buio nelle giornate e l’appressarsi del freddo.
Ed ha collegato la fine della stagione calda e luminosa con la fine di un ciclo, che non è soltanto quello solare, ma soprattutto quello della stessa vita. Ha colto cioè il senso del trapasso con tutte le incognite ad esso legate, sì da elaborare nel corso dei millenni dei riti di passaggio tra questa e l’altra vita oltremondana. Al tempo stesso, si è pensato di illustrare il cammino del tempo secondo calendari legati al ciclo solare e a quello lunare.
Così per diverse popolazioni dell’antichità, tra cui i Celti che risiedevano principalmente nel centro Europa, il transito tra un anno e l’altro era previsto con l’attuale 1° novembre e in quel giorno, essendo poco netta la transizione tra la luce e le tenebre, il mondo dei vivi si mescolava con quello dei morti e questi ultimi potevano riapparire.
Non a caso il 2 novembre, che seguiva Ognissanti, fu scelto come il giorno della commemorazione dei defunti ed è triste constatare come oggi tanti cimiteri monumentali siano praticamente abbandonati.
Ora, il primo calendario che unificò il mondo mediterraneo fu quello giuliano, ideato dall’astronomo greco Sosigene e divenuto operativo nel 46 avanti Cristo con Giulio Cesare.
Tale calendario rimase in vigore sostanzialmente sino al 24 febbraio 1582 quando papa Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissimas, lo sostituì con vari ritocchi con il calendario tuttora esistente detto appunto gregoriano.
Il mondo cristiano ha poi inserito varie ricorrenze a tutti note, fissando le feste di precetto, ossia quelle in cui i fedeli sono particolarmente tenuti alla partecipazione della messa.
Per i cattolici sono: tutte le domeniche; Capodanno (1° gennaio); Epifania (6 gennaio); Assunzione di Maria Vergine (15 agosto); Tutti i Santi (1° novembre); Immacolata Concezione (8 dicembre); Natale (25 dicembre).
Accanto alle feste religiose ogni Stato ha aggiunto per suo conto le feste civili, tra le quali in Italia ricordiamo almeno il 1° maggio (festa dei Lavoratori) e il 2 giugno (festa della Repubblica).
È evidente che se la divisione del tempo in anni, mesi, settimane, giorni, corrisponde ad una esigenza di dare ordine in una realtà ciclica (il rinnovarsi delle stagioni), il concetto di festa si collega, per l’aspetto civile, ad un evento di cui si è particolarmente orgogliosi, e, per quello religioso, è volto ad onorare la Divinità e i Santi.
Sotto tale profilo la festa sia religiosa sia civile non è da intendersi come una vacanza, ma come una celebrazione. Certo nei giorni festivi non si lavora, ma essi non si dovrebbero intendere come meramente vacanzieri.
Festa o vacanza?
Al contrario, dovrebbero servire a raccogliere i componenti di una comunità, quotidianamente intenti ad attività differenti, in uno spirito celebrativo comune.
Una comunanza soprattutto spirituale che può naturalmente trovare un momento gioioso particolarmente nei pasti che una volta erano frugali per i più e ai quali si riusciva a fare qualche eccezione nei giorni di festa.
Così a Natale si poteva arricchire la tavola con il panettone o il pandoro, come nel cenone di Capodanno si mangiavano lenticchie (ritenute ben auguranti) e cotechino.
Sono solo pochi esempi di cibi per così dire “nazionali”, mentre ogni regione aveva (e in gran parte ha) i suoi piatti tipici. Per tale aspetto, nelle feste (e soprattutto in quelle religiose) il sacro si mescola col profano, la speranza del premio ultraterreno con il buon piatto, il senso della fratellanza spirituale con quello della buona compagnia. In ogni caso si percepisce o si dovrebbe percepire il riconoscimento del sacro confermato dalla grazia di star bene.
È così ancora oggi? Non proprio. Nella nostra società si è imposto e si va imponendo un modo di essere sempre più materialistico e consumistico. L’esempio più vistoso è Halloween, la notte di Tutti i Santi, che alla luce di evidenti influenze anglosassoni, è divenuta la festa del macabro e del soprannaturale in una atmosfera neopagana e consumistica. Che dire poi di prodotti come il panettone o la colomba che si cominciano a vendere mesi prima di Natale o di Pasqua?
Le due stesse massime festività della Cristianità (la nascita di Cristo e la Sua resurrezione) passano quasi in second’ordine nella loro specificità di fronte alle spese, ai doni e a quant’altro di godereccio possa esistere. Anche in questo caso occorre precisare che non vi è nulla di male nel mangiare il panettone e la colomba, che è bene brindare purché non si ecceda, che qualche bambino può ben dire Trick or Treat (Dolcetto o Scherzetto).
Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti (si pensi alle processioni, ai piatti particolari e così via), ora tutto si va modificando e si impone solo la dimensione del consumo e dello spettacolo.
Certo, il mondo da sempre va cambiando ed è così, ma il mutamento positivo è quello che sa conservare i valori e mettere da parte l’inutile; in tal modo una civiltà cresce e si sviluppa e le persone maturano. Che le cosiddette tradizioni rimangano solo per attrarre turisti o per generare consumi certamente non è positivo e rischia di ridurre tutta la realtà al semplice godimento – non sempre corretto né di tutti – dell’immediato.
Quello che veramente oggi dovrebbe contare, in una società dove soffiano pericolosi venti di guerra e l’Occidente è pervaso da un edonismo individualistico, è il recupero della dimensione spirituale che accomuna gli animi e li rende aperti al dialogo e agli affetti disinteressati.
E da tempo immemorabile tale è stato il compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, istituzioni che attraversano un momento non facile, ma nel rilancio della loro funzione risiede la salvezza di un Occidente che va spegnendosi nelle luci artificiali dei consumi.
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
PER MESCIU PIPPI, CUSTODE DELL’ARTE EDILIZIA CLICCA QUI
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