Attualità
La Tricase poco conosciuta, gli Scolopi e il mito di Ganimede
Nel centro antico una scultura che raffigura la scena mitologica nel convento-scuola che i padri Scolopi tennero a Tricase in età moderna

Chi entra nel ristorante “Chiostro degli Scolopi”, allogato nella storica costruzione nel centro antico di Tricase, in via Mons. Ingletti – già strada “Fornomascio” ovvero Forno maggiore – può osservare nell’atrio d’ingresso, sul muro di fronte, affiancato ad un fregio barocco logorato dal tempo, un altorilievo in pietra, ingrossato ma protetto dalla calcina, che rappresenta una scena mitologica, molto conosciuta ai miei tempi già nella scuola media, studiando l’Iliade di Omero (V, 265-267; XX, 231- 235): il rapimento di Ganimede.
Nella mitologia greca Ganimede è un principe dei Troiani: Omero lo descrive come il giovanetto più bello del suo tempo; altri autori antichi ne narrano il mito: Ibico, Teognide, Pindaro e Ovidio. Secondo il racconto mitologico, Zeus colpito dalla bellezza di Ganimede, assume le sembianze di un’aquila, rapisce il bellissimo principe, lo conduce sull’Olimpo, lo rende immortale e gli affida il compito di coppiere degli dei, nei cui calici avrebbe versato l’ambrosia, la divina bevanda.
Il mito di Ganimede divenne ben presto molto popolare in Grecia e poi a Roma. Eratostene (276-194 a. C. circa), nei Catasterismi, collocò già anticamente Ganimede tra le stelle, identificandolo con la costellazione dell’acquario, che è posizionata proprio vicino a quella dell’aquila che lo rapì.
A testimonianza della diffusione del mito, sono tante le sculture greche e romane che raffigurano Ganimede e l’aquila.
Celebre era il perduto gruppo bronzeo di Leocare, scultore ateniese attivo tra il 370 e il 320 a. C., nel quale Ganimede, ghermito dall’aquila, era raffigurato con i piedi già sollevati da terra, e di cui esiste una copia nei Musei Vaticani.
Numerosissimi sono i riferimenti al mito di Ganimede in letteratura.
Uno per tutti quello del sommo poeta Dante che nella Divina Commedia (Purgatorio, IX, 19-24) così descrive una visione sognata:
in sogno mi parea veder sospesa
un’aguglia nel ciel con penne d’oro,
con l’ali aperte e a calare intesa;
ed esser mi parea la dove fuoro
abbandonati i suoi da Ganimede,
quando fu ratto al sommo consistoro
Dante pertanto utilizza il mitico racconto del ratto di Ganimede come una metafora per spiegare un processo di elevazione spirituale. A tale pensiero si collega l’interpretazione del mito data dal Neoplatonismo, così comune nel Rinascimento italiano, in cui l’amore per Ganimede rappresenterebbe “la salita alla condizione di perfezione spirituale”; tale concetto giustificherebbe la presenza della scultura che raffigura la scena mitologica nel convento-scuola che i padri Scolopi tennero a Tricase in età moderna.
I padri Scolopi, la cui congregazione fu fondata nel 1617 ad opera di san Giuseppe Calasanzio, ha come fine l’istruzione dei fanciulli e dei giovani; essi erano giunti a Tricase nel 1752, per volontà testamentaria dell’abate Arcangelo Gallone, cadetto della famiglia feudataria di Tricase, morto nel 1746, che volle qui la loro scuola a beneficio dei ragazzi di Tricase.
Il convento degli Scolopi di Tricase, in quanto funzionante come scuola, non subì, agli inizi dell’Ottocento, come quello dei Domenicani, l’esproprio a causa delle leggi eversive dei sovrani napoleonidi. Nel 1820, nel convento, vi erano solo due padri e 17 discenti per cui, nel 1821, il complesso fu chiuso “per la piccolezza del luogo e la mancanza di alunni”.
Una parte a piano terra, restaurata, è ora adibita a ristorante e vi sono conservati l’altorilievo di Ganimede nell’atrio e la grande cappella con gli stucchi decorativi settecenteschi, adibita a sala pranzo.
Un’atra traccia importante della permanenza dei Padri Scolopi a Tricase è la Platea del Convento, una sorta di inventario dei beni posseduti dall’Ordine che dovevano servire a sostenere le attività di educazione dei fanciulli svolte dai Padri. La Platea degli Scolopi di Tricase si trova presso l’Archivio Storico Diocesano di Ugento.
Ercole Morciano
Nella foto in alto: Tricase, Via Mons. Ingletti. Ex Convento – Scuola dei PP. Scolopi. Atrio. A dx, Zeus-Giove, nelle sembianze di un’aquila, rapisce Ganimede, particolare. (Foto E. Morciano)
Attualità
A Taviano, Pellegrino contro Stefanelli: i 32 nomi delle due liste

A Taviano sarà sfida a due il prossimo 25 e 26 maggio in occasione delle amministrative che decideranno chi prenderà il posto dell’ex Giuseppe Tanisi, la cui esperienza si è conclusa prematuramente ad inizio 2025.
“Radici e Futuro Taviano” candida a sindaco Francesco Pellegrino, già vicesindaco in occasione del primo mandato da primo cittadino di Tanisi (lo sostengono gli ex gruppi consiliari di Per la Città, Taviano Futura e Taviano Libera).
Candidati con lui al consiglio:
Sabrina Burlizzi,
Vito D’Argento,
Omar Del Rosario,
Gianni Fonseca,
Emanuela Garofalo,
Erika Leone,
Antonino Manni,
Daniela Meneleo,
Alessandra Mercutello,
Giorgia Montunato,
Silvia Palamà,
Stefano Piccinno,
Carlo Deodato Portaccio,
Paola Ria,
Germano Santacroce,
Marco Stefano.
È stata vicesindaca dell’ultimo mandato di Giuseppe Tanisi invece la candidata sindaca della lista “Taviano Guarda Avanti”, Serena Stefanelli.
Con lei:
Giuseppe Tanisi,
Antonella Previtero,
Paola Cornacchia,
Francesco Lezzi,
Salvatore Rainò,
Alessio Inguscio,
Massimo Mosticchio,
Chiara Minerva,
Lucy D’Ingiullo,
Martina Mauramati,
Mariassunta Garzia,
Simona Armida,
Marco Carluccio,
Elisa Ferocino,
Silvio Spiri,
Lucia Chetta.
Attualità
Tossico e invasivo: nell’Adriatico spunta il pesce palla argenteo
È pericoloso: ecco come comportarsi. Punto 1: non imitare i giapponesi, che praticano una sorta di ‘roulette russa’ alimentare

Il pesce palla argenteo invade l’Adriatico: allarme per la salute e l’ecosistema
Il pesce palla argenteo (Lagocephalus sceleratus), una specie marina altamente tossica e invasiva, è stato recentemente avvistato nel Mar Adriatico, segnando la sua presenza più settentrionale mai registrata nel Mediterraneo.
La cattura di un esemplare lungo oltre mezzo metro nella baia di Medulin, in Istria, ha destato preoccupazione tra pescatori e biologi marini.
Caratteristiche e pericolosità
Originario delle acque tropicali dell’Oceano Indiano e del Mar Rosso, il pesce palla argenteo è entrato nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, un fenomeno noto come migrazione lessepsiana. Questa specie è nota per la presenza di tetrodotossina, una neurotossina estremamente potente contenuta in organi come fegato, gonadi, pelle e intestino. Anche una piccola quantità può causare gravi intossicazioni e, in alcuni casi, la morte. La tossina resiste alle alte temperature, rendendo il consumo del pesce pericoloso anche dopo la cottura.
Oltre alla sua tossicità, il pesce palla argenteo possiede una bocca dotata di denti robusti, capaci di esercitare una forza impressionante. È anche una specie piuttosto territoriale, pronta a difendere i suoi spazi dagli invasori. In altre zone del Mediterraneo sono stati segnalati episodi di morsi ai bagnanti, con conseguenze mediche rilevanti.
Impatto sull’ecosistema
La presenza del pesce palla argenteo rappresenta una minaccia significativa per l’ecosistema marino. Si nutre di una vasta gamma di organismi, tra cui molluschi e crostacei, alterando l’equilibrio della catena alimentare. Inoltre, è noto per danneggiare le reti da pesca, aggravando le difficoltà della pesca artigianale.
Raccomandazioni per pescatori e bagnanti
Non consumare: evitare assolutamente di mangiare il pesce palla argenteo, anche se cotto. Manipolazione: in caso di cattura accidentale, maneggiare con estrema cautela e utilizzare guanti protettivi. Segnalazione: riportare immediatamente l’avvistamento alle autorità marittime o agli enti di ricerca locali.
Informazione: diffondere la conoscenza di questa specie tra comunità di pescatori e bagnanti per prevenire incidenti.
La diffusione del pesce palla argenteo nel Mar Adriatico è un segnale d’allarme che richiede attenzione e collaborazione tra cittadini, pescatori e istituzioni per proteggere la salute pubblica e preservare l’equilibrio degli ecosistemi marini.
La ‘roulette russa’ alimentare giapponese
In Giappone ci preparano il fugu, una delicatezza da brivido. Una “roulette russa alimentare” che va preparata da chef che hanno studiato 1 anno solo per servire questo piatto. Il segreto è lasciare quel tanto di veleno sufficiente a dare un po’ di euforia, ma niente piu’.
Se mangi questo pesce palla, mangi la tetrodotossina, un veleno micidiale, derivato dai batteri che vivono nelle alghe che lui mangia. A quel punto non hai scampo.
Attualità
Le scarpe con cui il Papa è stato sepolto vengono da Miggiano
Francesco ha voluto che fossero quelle che indossava tutti i giorni: al suo funerale, gli occhi del mondo su quel prodotto dell’artigianalità salentina

Miggiano e tutto il Salento entrano nella storia di Papa Francesco, in uno dei momenti più solenni e commoventi della Chiesa cattolica.
Oggi, in occasione dei funerali del Santo Padre, il mondo intero ha posato lo sguardo su un dettaglio carico di significato: le scarpe con cui Papa Francesco ha scelto di essere sepolto.
Il Pontefice infatti ha espresso il desidero di portare con sé nell’aldilà le sue umili scarpe di tutti i giorni. Ecco infatti che nelle foto che hanno fatto il giro del mondo si scorge quel paio di scarpe nere, consumate dall’utilizzo.

Un dettaglio che per il Salento ha un valore enorme, perché quelle scarpe sono nate a Miggiano.
Ne dà notizia il Comune in una nota in cui spiega che sono state realizzate nell’aprile 2024 dal Laboratorio Ortopedico Bello srl. Opera dei fratelli Vittorio e Giuseppe Bello (che negli anni hanno sempre recapitato di persona al Santo Padre il loro prodotto), le calzature ortopediche sono testimonianza di dedizione e di mani esperte che, nel silenzio dei laboratori, hanno creato qualcosa di infinitamente prezioso.
Il Comune di Miggiano ha espresso con orgoglio questo sentimento in una nota ufficiale:
“Papa Francesco porta con sé un pezzo di Miggiano e così ci sentiamo a lui ancor più vicini. La Comunità di Miggiano è onorata di aver offerto al Pontefice il pregio del proprio artigianato locale.”
Non si tratta solo di un onore per Miggiano, ma di un vero tributo all’intero Salento, terra di saperi antichi, di mani sapienti, di tradizione artigiana che riesce ancora a parlare al mondo con la lingua della qualità e della cura.
In un’epoca di globalizzazione e produzione industriale di massa, il fatto che il Papa abbia scelto — per il momento più intimo e sacro della sua esistenza terrena — delle scarpe fatte a mano in un piccolo comune salentino, ha un significato immenso. È la consacrazione di un modo di lavorare autentico, umano, profondamente radicato nella nostra identità.
Oggi le immagini del Santo Padre, vestito con la semplicità che l’ha sempre contraddistinto, e calzato con quelle scarpe di Miggiano, hanno fatto il giro del mondo.
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