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Approfondimenti

Salento oggi, il dibattito continua

Gli interventi di: Gaia Barletta, leccese, attivista queer e operaia culturale (presidente di 73100 Gaya, organizzazione che si occupa di diversity, equity ed inclusion); Mariella Piscopo di Taurisano, giornalista di viaggi, firma di reportage e guide, esperta di comunicazione food & travel; Paolo Insalata di Felloniche (Castrignano del Capo), presidente dell’associazione Lampus e organizzatore di concerti jazz; Mario Carparelli di Ugento, Docente di Storia della filosofia moderna dell’Università del Salento

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GAIA BARLETTA


Di Lecce. Attivista queer e operaia culturale. Presidente di 73100 Gaya, organizzazione che si occupa di diversity, equity ed inclusion


«Cambiamo prospettiva, diamoci identità mediterranea»


Gaia Barletta (foto © Alessia Rollo)


«Sono una di quelle salentine che ha deciso di restare e di provare a contribuire al cambiamento: sono attivista per i diritti delle persone lgbtqia+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans*, queer, intersex, asessuali +) e quest’attitudine nel tempo sta diventando il mio lavoro – intendo l’attivismo, non l’essere persona queer, quello fa parte della mia natura, così come l’essere salentina.


Essere salentina per me oggi significa rendermi conto di poter cambiare la prospettiva sulle cose, allargare l’orizzonte, connettermi con un’identità più ampia che è quella mediterranea. Non so ancora esattamente cosa significhi perché ha a che fare con la storia, anzi con tante storie, che sono quelle di tutte le persone e le popolazioni che nel tempo hanno attraversato -nel bene e nel male- il territorio nel quale siamo noi oggi e che hanno contribuito a formare la nostra identità, quella che rivendichiamo con orgoglio.


Quello che so è che ha a che fare con accoglienza, diversità, rispetto, che sono i valori fondamentali che mi muovono e che provo a diffondere nella mia sfera personale e in quella sociale e lavorativa, cercando di agire in modo da costruire ponti, non da alzare muri perché di certo non abbiamo bisogno di ulteriori conflitti.


Siamo in un momento storico cruciale, nel mezzo di trasformazioni importanti sotto tanti aspetti, primo fra tutti il clima e il Salento è al centro del Mediterraneo che cambia.


Forse è proprio questo il motivo per il quale credo valga la pena esplorare l’identità mediterranea: perché ha che fare con il mare e la sua profondità ma anche per provare a dare una prospettiva nuova alle persone più giovani e alle generazioni future».


Gaia Barletta


MARIELLA PISCOPO


Di Taurisano. Giornalista di viaggi, firma di infiniti reportage e guide, esperta di comunicazione food & travel


«Il Salento è un viaggio interiore, il nostro luogo dell’anima»


Mariella Piscopo


«Non è solo la nostra terra di nascita, il Salento è il nostro luogo dell’anima, un viaggio interiore alla scoperta del sé più autentico.


A partire dalle radici profondissime, come quelle degli ulivi millenari, che ci riportano a casa, anche dopo un lungo periodo, come è accaduto a me, dopo 15 anni di lontananza in giro per l’Italia e il mondo.


A partire dalla spiritualità legata ad antichi valori, che si ripete e rinsalda in ogni festa patronale, nelle processioni pasquali, nei rituali di ringraziamento delle tavole di San Giuseppe, nei canti di passione in griko.


A partire dal calore umano e da quel senso di comunità genuino, che ci fa aprire le porte di casa e aggiungere un posto a tavola per chiunque o a far salire in macchina il turista che ci chiede indicazioni per accompagnarlo direttamente a destinazione.


A partire dallo spirito del nostro territorio che è magico e misterioso, tra megaliti, torri, resti messapici, castelli medievali, cattedrali barocche, masserie fortificate, grotte preistoriche e cripte suggestive.


Un posto unico, dove due mari si incontrano e la luce è così avvolgente da lasciare senza parole.


A partire dalla campagna e dalla ricchezza dei suoi ortaggi, dalle tavole imbandite che meglio non si può, dai prodotti poveri sublimati in ricette di deliziosa semplicità, come le frise condite con olio, pomodorini e origano, che ogni salentino porta con sé

ovunque vada.


E il pesce, i crostacei, i molluschi con un sapore, che è difficile trovare altrove.


A partire dalla lentezza, dalla semplicità, dal silenzio della controra nei paesini che sembrano deserti, dal miraggio di fuga a portata di mano, come quando si percorre la litoranea Otranto-Leuca e tra il blu del cielo e il cristallo del mare si ammira l’azzurro in tutte le sue sfumature.


Senza parole, con gli occhi incantati e il volto pieno di stupore».


Mariella Piscopo


PAOLO INSALATA


Di Felloniche (Castrignano del Capo). Presidente Associazione Culturale Lampus e organizzatore di concerti jazz


«Uniti nelle disuguaglianze. Confidiamo nelle nuove generazioni»


Paolo Insalata


«Che hanno in comune un leucano con un foggiano?


Beh, salvo l’appartenenza alla stessa regione, direi ben poco, considerando il fatto che le due località sono distanti quanto lo sono Roma e Parma: mondi completamente diversi!


Tutto cambia lungo quei 400 km di distanza: paesaggi, tradizioni, cultura, cucina e financo i dialetti.


Se non fosse per l’avvento della lingua italiana, un andriese e un gallipolino, non si capirebbero mai!


Restringendo il confronto nella sola provincia di Lecce, con i suoi circa 300 paesi (tra comuni e frazioni), le differenze tra gli abitanti si assottigliano ma non si annullano, rimanendo spesso molto evidenti.


E allora, cosa accomuna i “salentini”?

Al primo posto vedo l’attaccamento alla propria terra e il vanto di sbandierare con fierezza la propria appartenenza al Salento.


Avendo vissuto per oltre trent’anni da Roma in su, ho conosciuto poche persone orgogliose della propria terra quanto i salentini.


Cercando altri elementi che ci accomunano, penso alla fede calcistica “pe lu Lecce”, alla passione per “piatti forti” della cucina locale (dal pasticciotto a ciciri e tria, sagne torte, fave e cicorie, ecc…), all’orgoglio di vivere in un paesaggio illuminato da una luce straordinaria che fa brillare una costa meravigliosa, al privilegio di vivere circondati dal barocco.


Un’altra nota caratteristica dei salentini è la loro capacità di inserirsi nel tessuto sociale dei luoghi lontani dal Salento in cui si trasferiscono per lavoro, non sentendosi mai pesci fuor d’acqua ma suscitando spesso espressioni di amicizia e simpatia nei locali.


La società è molto cambiata dal dopoguerra ad oggi e sono cambiati anche i “salentini” che con l’emigrazione per lavoro o studio, l’avvento della televisione e dei nuovi media, hanno perso i tratti tipici di una cultura prevalentemente contadina fatta di famiglie numerose, lavoro e dinamiche solidaristiche proprie delle piccole comunità.


Ogni famiglia salentina ha parenti più o meno vicini che hanno lasciato il Salento e che, quando ci tornano (se tornano), dopo l’università, o a fine carriera lavorativa o per le vacanze, non sono più i salentini che erano prima di allontanarsi dalla loro terra.


Non solo: spesso, essendo stati permeati da nuove esperienze che ne hanno modificato la personalità, non ci si ritrovano più!


Alla luce di queste considerazioni, si può ancora parlare di “identità salentina”?


Forse si, ma a mio parere si tratta di un’identità non basata sulle affinità ma sui contrasti e sulle disuguaglianze!


Questo crea un grosso problema: le differenze spesso dividono, suscitano sospetto e diffidenza e sono un freno enorme allo sviluppo e alla crescita di una comunità ingessata in un presente un po’ miope e statico, oggi poco propenso al cambiamento.


Oggi è, di massima, così, ma la mia sensazione è che le nuove generazioni daranno a breve una spallata alla mentalità arroccata nella difesa del proprio campanile rompendo il muro della diffidenza e aprendosi con coraggio al confronto e alla collaborazione, apprezzando il valore delle differenze, riconoscendone le potenzialità e non i limiti.


Con un pizzico di fiducia e grazie all’insediamento sempre crescente dei “nuovi salentini” provenienti dalle più disparate latitudini, prontissimi ad apportare linfa nuova al Salento, il futuro che intravedo per il Salento è decisamente più che florido e creativo!».


Paolo Insalata


MARIO CARPARELLI


Di Ugento. Docente di Storia della filosofia moderna all’Università del Salento. È il più giovane esponente della tradizione storiografica salentina su Giulio Cesare Vanini


«Scommettere sul Salento è stato il mio modo di amarlo»


Mario Carparelli (foto Adnkronos)


«Potrà sembrare banale, ma per me essere salentini, oggi, dovrebbe significare, prima di tutto, non essere provinciali.


Purtroppo, nelle opposte fazioni – quella degli esaltatori e quella dei denigratori “a prescindere” del Salento – c’è un fondo di provincialismo. E, aggiungerei, anche di “riduzionismo”.


Intendo dire che sia gli uni che gli altri, tanto gli “apocalittici” quanto gli “integrati”, riducono il Salento a pochi elementi distintivi e identificativi, se non a vere e proprie caricature.


Al contrario e per fortuna, il Salento è una terra ricca e dalle molteplici anime, che custodisce tante storie straordinarie, piccole e grandi, antiche e moderne.


Io sono stato battezzato da don Tonino Bello e sono uno studioso di Giulio Cesare Vanini. Quanti territori possono permettersi il lusso di vantare tra le proprie radici due simili giganti?


Eppure, quanti salentini possono affermare di conoscere veramente e profondamente queste due straordinarie figure?


Ecco, l’orgoglio e l’amore per il Salento devono poggiare sulla cultura e sulla consapevolezza, non sulla semplice appartenenza. Oggi più che mai.


Da questo punto di vista, ritengo che i turisti e i sempre più numerosi “salentini d’adozione” ci abbiano molto aiutato: ci hanno aperto gli occhi, ci hanno insegnato a vedere ciò che non riuscivamo più a vedere, a sorprenderci e a meravigliarci nuovamente di ciò che davamo ormai per scontato.


È così che, anche grazie a loro, abbiamo riscoperto il Salento. Ho studiato filosofia a Firenze e, durante gli anni dell’università,

ho vissuto anche a Milano.


Non ho mai, però, nutrito dubbi sul fatto che sarei tornato. Che la mia casa e il mio futuro fossero qui. Scommettere sul Salento è stato il mio modo di amare il Salento.


E lo è ancora oggi.


Ai tanti ragazzi che, per professione, ho il privilegio di incontrare sul mio cammino, quando mi chiedono un consiglio su cosa fare “da grandi” non smetto mai di ripetere: non abbiate paura di scommettere sulla vostra terra.


Lo credo fermamente.


Ci sono tanti settori con margini di crescita e miglioramento enormi, a partire dalla sostenibilità e dalla cultura.


A patto di uscire alla logica degli “oceani rossi”, provando invece a immaginare e creare “oceani blu” come il nostro mare, tanto per citare il capolavoro di W. Chan Kim e Renée Mauborgne».


Mario Carparelli


Per leggere gli interventi precedenti clicca qui e qui


Alessano

Maglie – Leuca, zoom sul secondo lotto

Una passeggiata immaginaria lungo il secondo lotto del tratto sud della nuova Maglie -Leuca, pensato per uscire dai centri abitati di Montesano , Lucugnano, Alessano, Montesardo e Gagliano

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di Lorenzo Zito

Corridoio plurimodale adriatico.

Tecnicamente, viene chiamata così la nuova Strada Statale 275 che, come abbiamo avuto modo di raccontarvi sugli scorsi numeri, sta iniziando a snodarsi, da nord verso sud, con il primo lotto (da Maglie a Montesano) che è già a tutti gli effetti un cantiere aperto.

Oggi faremo uno zoom sul secondo lotto, quello tra Andrano/Montesano e Santa Maria di Leuca.

L’ultimo passaggio burocratico di dominio pubblico a riguardo, poche settimane fa, ha visto i sindaci di Alessano, Corsano, Gagliano del Capo, Miggiano, Montesano Salentino, Specchia, Tiggiano e Tricase (i centri che saranno interessati dai lavori del secondo lotto) incontrarsi, assieme ad alcuni tecnici Anas, presso Palazzo Adorno a Lecce.

Un tavolo promosso dal presidente della Provincia, Stefano Minerva, per fare il punto sulle delibere di approvazione del progetto di fattibilità tecnico economica da parte dei singoli consigli comunali, in attesa di passare dalla progettazione esecutiva dell’opera al bando per l’assegnazione dei lavori.

L’idea, quindi, è quella di accompagnarvi in una passeggiata immaginaria lungo il nuovo tragitto lungo circa 19km che, secondo le previsioni, dal giorno in cui verrà cantierizzato (non prima di un anno e mezzo/due), richiederà circa 1350 giorni per essere portato a termine (poco più di 3 anni e mezzo).

Per una spesa, riferita ai soli lavori, di 140 milioni di euro.

CIÒ CHE NON È STATO

Brevemente ricordiamo che, dopo l’annullamento in autotutela da parte di Anas (nel 2016) della precedente gara (indetta nel 2009), furono prese in considerazione tre possibili alternative.

Scartate le prime due (dette Alternativa Est e Alternativa Ovest, con riferimento al lato da cui circumnavigare Tricase), fu scelta la cosiddetta Alternativa 3, che è quella che andiamo qui a illustrare, descritta dagli studi come quella con performance migliori dal punto di vista ambientale e funzionale, nonché per la sostenibilità dell’opera.

Va ricordato, inoltre, come il progetto inizialmente proposto da Anas prevedesse una statale a due corsie per senso di marcia (quindi quattro corsie) da Maglie sino a Leuca.

Soluzione che è stata conservata per il solo lotto nord e scartata per quello a sud, non solo per ridurne l’impatto ambientale ma anche per rispondere adeguatamente alla vera priorità dell’opera in questo tratto: portare il traffico verso il Capo di Leuca fuori dai centri abitati di Montesano, Lucugnano, Alessano, Montesardo e Gagliano, tutt’oggi tagliati in due dalla SS275.

Ultimo (ma non ultimo) l’elemento rifiuti: il nuovo progetto toglie Anas dall’imbarazzo delle discariche abusive emerse lungo il vecchio percorso tra Alessano e Tricase.

La scelta di allontanarsi da quelle aree ha un duplice effetto: da un lato scongiura il rischio di un sequestro dell’opera da parte della magistratura, dall’altro ha del tutto distolto i riflettori dal tema bonifica.

CIÒ CHE SARÀ

Eccoci allora al tracciato stradale che partirà, in direzione sud, dallo svincolo di Montesano-Andrano (nella mappa in basso in rosso).

Una lingua di asfalto con una carreggiata a due corsie, una per senso di marcia, costituita per il 71% circa da tratti in rilevato, per il 24,5% da tratti in trincea e per la restante parte, da opere in sottopasso (3.5%) e in sovrappasso con viadotti e ponti (0.4%).

22 curve, 28 rettifili, 9 intersezioni e 6 immissioni/diversioni per un percorso tecnicamente suddiviso in cinque tratti (che, come sta accadendo col primo lotto, non saranno realizzati all’unisono, ma con cantierizzazioni indipendenti, uno dopo l’altro).

Un dato interessante per gli amanti dei numeri, e non solo, ci arriva dallo studio dei volumi di traffico effettuato in fase di progettazione su alcuni punti nevralgici per la viabilità locale.

Eclatante il tratto di 275 tra Botrugno e San Cassiano, che in un totale di due ore (la somma dell’ora di punta mattutina e di quella serale) conta il transito di ben 2.300 mezzi. Interessante anche il rilievo della tangenziale di Tricase (“Cosimina”) dove nei 120 minuti più intensi passano più di 1.200 veicoli.

DA DOVE PASSA

Il rischio di appesantimento dei flussi sulla “Cosimina” è uno degli elementi che fecero cadere l’ipotesi dell’Alternativa Est (che avrebbe utilizzato proprio questa strada per il passaggio della nuova statale).

Ad oggi tuttavia, pur non inglobando il nuovo tracciato, è previsto che la tangenziale di Tricase venga raggiunta dalla Maglie-Leuca.

Va detto che la nuova opera smetterà, innanzitutto, di correre lungo quattro corsie già nel tratto finale del primo lotto.

A nord di Montesano, in prossimità di DFV, la strada si staccherà dal tracciato esistente, si ridurrà ad una corsia per senso di marcia ed eviterà l’abitato montesanese passandovi ad est, tra le campagne di Castiglione d’Otranto (vicino al campo sportivo) per arrivare ad un bivio.

Da un lato si continuerà a viaggiare per Leuca (lungo il secondo lotto), dall’altro partirà un braccio, anch’esso del tutto nuovo, destinata al traffico per e da Tricase.

Questa lingua di strada condurrà nella zona industriale tricasina, lasciandoci in località Serrafica, proprio alle porte della tangenziale Cosimina.

L’ultimo lembo del primo lotto, insomma, che porterà anche all’abitato di Montesano, sarà a lingua di serpente.

Ma questa è un’altra storia, chiamata “Lotto 1”.

SVINCOLO 1: LA ROTATORIA DI LUCUGNANO TORNA UTILE

Il secondo lotto conta 9 svincoli (numerati sulla mappa in alto) ed inizia ad est della stazione di Montesano-Miggiano-Specchia.

Si riallaccia subito al vecchio percorso, ricalcandolo fino alla mega rotatoria di Lucugnano.

Qui lo svincolo 1 (pianta in basso) sarà in adeguamento alle uscite esistenti: permetterà di entrare a Miggiano da via Padre Pio (A) e di raccordarsi alla viabilità della zona industriale tramite la famigerata (per dimensioni) rotatoria (B).

Da Montesano Salentino a Lucugnano di Tricase

SVINCOLO 2: TRA LUCUGNANO E SPECCHIA

A questo punto il nuovo tracciato si discosta dal precedente: la 275 non prosegue più in direzione dell’area artigianale lucugnanese, ma si addentra nelle campagne.

La circumnavigazione della frazione avviene dal lato ovest, avvicinandosi ai capannoni calzaturieri della famiglia Sergio, in strada comunale Rivola, ed incrociando la Specchia-Tricase.

Proprio qui, in prossimità de “La Caiaffa”, sorge il secondo svincolo: “Lucugnano ovest”.

SVINCOLO 3: TRA L’AUDITORIUM E FILOGRANA

Lasciatasi alle spalle la terra di Girolamo Comi, la nuova 275 torna a calcare il vecchio tracciato prima di arrivare sul suolo di Alessano.

La statale si ricongiunge con la strada esistente, a poco più di cento metri dall’Auditorium Benedetto XVI, scavalca la strada vicinale Santa Caterina e ci conduce allo svincolo 3: sul già esistente incrocio con la SP 184, la strada del Gonfalone, lungo la quale si incontra anche il nuovo stabilimento calzaturiero di Antonio Sergio Filograna.

SVINCOLO 4: TRA LE CAVE IN DIREZIONE TIGGIANO

La nuova 275 cambia di nuovo rotta.

Stavolta, rispetto al vecchio tracciato, si spinge ad est, addentrandosi in zona Matine per non entrare più negli abitati di Alessano e Montesardo.

Lo svincolo 4 è quello di Tiggiano.

Sorgerà in zona Tagliate, lungo l’arco che la statale andrà a comporre con una carreggiata del tutto nuova.

L’uscita si collocherà a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla stazione ferroviaria tiggianese.

SVINCOLO 5: ALESSANO – CORSANO E LA FERROVIA

Tra il quarto ed il quinto svincolo si snoda una trama stradale alquanto articolata, che conta anche la presenza dei binari ferroviari. Torna utile un ulteriore zoom sulla zona: pubblichiamo (in basso) il progetto dello svincolo 5, cui si arriva uscendo dal territorio di Tiggiano.

Qui la statale incrocerà la provinciale 80 Alessano-Corsano (C).

Per scongiurare l’intersezione coi binari verrà realizzato un sottopasso (D).

Per le uscite, quindi, sorgerà una viabilità ai lati della carreggiata.

Come mostra la mappa (la prima in alto), ci saranno due nuove rotatorie sulla Alessano-Corsano.

Quella ad est dell’attuale dosso convoglierà il traffico anche lungo la provinciale 188, la strada con cui il Capo di Leuca ha preso confidenza nel periodo del senso unico di marcia lungo via Regina Elena a Corsano.

Alla rotatoria ad ovest invece, lato Alessano, si aggancerà anche una nuova bretella (E), una lingua di asfalto che la metterà in comunicazione con il precedente svincolo, quello di Tiggiano.

Svincolo Alessano – Corsano

SVINCOLO 6: CI PORTA DA DON TONINO

Rotolando verso sud, tangendo ma non toccando l’abitato corsanese, la nuova Maglie-Leuca entra in contatto con la provinciale 210.

È la strada che gli alessanesi percorrono per raggiungere la splendida Marina di Novaglie.

Lo svincolo 6, da cui inizia il quarto tratto di questo stralcio, si collocherà in aperta campagna ma molto vicino al cimitero di Alessano (quindi alla tomba di Don Tonino Bello, meta di considerevole turismo religioso); in prossimità della strada che si arrampica su Montesardo ed a pochi metri dall’incrocio con la Corsano-Gagliano, che sarà servito da una nuova e più sicura rotatoria.

SVINCOLO 7: TRA LA SUD SALENTO E LA STAZIONE DI GAGLIANO

Il percorso continua sinuoso attorno ai centri abitati, evitando San Dana (frazione di Gagliano) ed andando a ricalcare un pezzo del già esistente tracciato della sp81 tra Corsano e Gagliano.

In prossimità del curvone prima del distributore Apron, la provinciale diventerà per alcune centinaia di metri la nuova 275.

Salvo poi dividersi nuovamente con una virata ad ovest prima di Gagliano: la nuova carreggiata incrocerà ancora i binari, sfiorerà il calzaturificio Sud Salento e, avvicinandosi alla stazione di Gagliano, taglierà la vecchia 275.

Proprio da questo incrocio tra vecchio e nuovo prenderà vita lo svincolo 7 “Gagliano del Capo nord”.

SVINCOLO 8: CASTRIGNANO DEL CAPO (E PATÙ)

A questo punto la strada correrà tra l’abitato gaglianese e quello di castrignanese.

Sarà permesso uscire allo svincolo 8 “Castrignano del Capo”. Ci troveremo, in pratica, sulla sp 351: da un lato ci dirigeremo a Castrignano del Capo (o a Patù), dall’altro entreremo a Gagliano da sud (cimitero e nuovo Eurospin).

SVINCOLO 9: DE FINIBUS TERRAE

Non è finita: c’è il quinto ed ultimo tratto che, costeggiando Salignano con un’opera del tutto nuova e viaggiando a sinistra (ad ovest) del vecchio tracciato, ci condurrà all’ultimo svincolo, il numero 9: “Gagliano del Capo – sud”.

Siamo alle porte di Santa Maria di Leuca, il punto in cui già oggi la 275 si passa il testimone con un’altra statale, la 274 Gallipoli-Leuca.

È qui, con un adeguamento dell’intersezione esistente, ai confini della terra, che è attesa una delle opere più discusse della storia del Salento.

È qui che, si spera presto, termineremo di fantasticare su questo tracciato che immaginiamo da oltre 30 anni.

 

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Approfondimenti

Ulivi e vigneti: secoli di storia che non devono finire con la xylella

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di Hervé Cavallera

Chi nel corso della storia visitava il Salento rimaneva colpito dalla distesa di olivi e dalla qualità dell’olio, su cui nel Settecento ben si intratteneva il gallipolino Giovanni Presta (1720-1797), del quale nel 1988 e nel 1989 ho ripubblicato le opere.

Accanto all’olio ecco aggiungersi la produzione del vino, tra cui di particolare pregio è il “primitivo”, il cui nome risale a don Francesco Filippo Indellicati (1767-1831) di Gioia del Colle, il quale ritenne che un particolare vigneto della sua terra si potesse già vendemmiare ad agosto.

La distesa degli oliveti e dei vigneti è stata da sempre un grande spettacolo di bellezza, spettacolo che, al tempo stesso, veniva a simboleggiare due elementi fondamentali nella nostra vita: l’olivo, rappresentando il rinnovamento e la forza vitale; la vite, il benessere e l’abbondanza.

L’olivo, inoltre, è stato sempre inteso come simbolo di pace.

Da tempo la distesa di olivi non è più tale. A partire dal 2013 la Xylella ha distrutto migliaia e migliaia di alberi d’olivo e l’infezione, che ha in primo luogo investito il Salento, si è col tempo estesa sino alla Terra barese.

Così chi percorre le nostre campagne non può che constatare la tristezza degli oliveti in rovina e moltissimi alberi sono stati sradicati. Si è avuto pertanto un eccezionale danno sia ambientale e socio-economico sia storico-paesaggistico.

Alberi plurisecolari sono stati distrutti e la produzione di olio ne ha pagato le conseguenze, non solo con l’aumento del prezzo per quello esistente, ma anche con l’importazione di olio proveniente da altre parti del mondo.

Non è questa la sede per soffermarsi sulla provenienza del batterio e sul modo su cui l’epidemia è stata affrontata, sicuramente sottovalutandola e intendendola come un fenomeno locale, con devastanti conseguenze soprattutto per il Salento ma anche – di conseguenza – per la Puglia in generale.

E la questione non è del tutto chiusa, nonostante qualche studioso sostenga che il peggio è passato e che si può andare incontro alla graduale ripresa, che comunque comporterà non poco tempo data la qualità e quantità del disastro.

E non è finita. Mentre ancora non si riesce a uscire dal malanno, ecco che si annunzia un altro. Un ceppo della Xylella fastidiosa tende a colpire non solo alberi come le querce, i mandorli e gli oleandri, ma anche le viti e pare che nel Barese alcuni vigneti di uva da tavola siano risultati infettati dal batterio, aprendo un altro drammatico scenario.

Sembra di assistere allo sfasciarsi di una tradizione millenaria: la forza vitale (l’olivo) viene meno e dilegua il benessere (i vitigni).

È la realtà di un presente frantumato che non riesce a far fronte con lucidità alle novità che irrompono e devastano e rendono incerta quella che era una garanzia plurisecolare.

La pace come gli olivi viene meno e si estende la violenza sotto forme diverse, mentre si è incapaci di ogni saggio controllo. Tale potrebbe essere una metafora del nostro tempo, una trasposizione simbolica di immagini che rappresentano la situazione dell’esistente.

NON E’  TEMPO DI CONTRAPPOSIZIONI

Al di là di questa considerazione sul mondo che viviamo, resta, prosaicamente si potrebbe forse dire, il problema dell’immediato, che è quello di un’epidemia che ha colpito gli olivi e che rischia di estendersi con altrettanta pericolosità sui vitigni.

E l’affrontare la battaglia spetta ai politici, agli studiosi, agli esperti. E tutti devono agire in una comune simbiosi, ben sapendo che in gioco sono più cose: la bellezza delle campagne, la qualità (dei prodotti), l’economia (il guadagno che si ricava dall’olio e dal vino).

Ma sono anche in gioco l’avvedutezza di coloro che gestiscono la cosa pubblica e le conoscenze tecniche e scientifiche di tanti specialisti.

E devono venir meno le contrapposizioni, soprattutto quelle che impediscono dei piani organici aperti però a continua verifica. Non si deve dimenticare che nel passato non lontano si è considerata la diffusione della Xylella fastidiosa un mero fenomeno locale, trascurando peraltro il fatto che, se anche così fosse stato, il danno non sarebbe stato comunque insignificante.

Come accade che ci siano tuttora pareri diversi intorno all’abbattimento delle piante. Per questo bisogna non solo studiare come arginare e bloccare la diffusione del batterio, ma occorre valutare continuamente gli interventi e modificarli secondo la bisogna.

E non sono sufficienti, per quanto necessarie, unità operative provinciali e regionali. È opportuno che la questione sia portata a livello più alto e superi le barriere di ogni tipo che possono sorgere allorché si manifestano interventi pubblici. Occorre effettivamente un coinvolgimento generale, che al tempo stesso sappia articolarsi secondo le diverse competenze e con opportune strategie oculatamente dirette.

Nell’operare insieme, politici, tecnici, studiosi, proprietari terrieri e così via, si riscopre inoltre il senso di una comunità, il ricompattarsi della stessa.

Con un’espressione latina (ed ecco il rinvio a un mondo – quello dell’antica Roma – che non deve svanire in quanto ne siamo figli) Iam proximus ardet Ucalegon (già brucia il vicino palazzo di Ucalegonte) e le parole di Virgilio (Eneide, libro II, versi 311/312) spiegano molto bene che il danno non riguarda solo gli altri, ma anche noi stessi in quanto, come le fiamme del palazzo attiguo investono il nostro, la rovina della terra in cui viviamo, pur senza esserne proprietari, ci investe tutti.

E il bene pubblico va oltre ogni divisione paesana, territoriale, politica.

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Approfondimenti

La cappella e la cavalla devota che scoprì la tela della Madonna

Nel rione di Caprarica. Con i fondi dell’8 per mille recuperata la chiesa nella sua interezza: ogni elemento originario (mensa, tabernacolo, tele) è stato oggetto di attente operazioni di restauro…

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di Luigi Zito

Era il 1651, in una uggiosa giornata di novembre, i frantoi di Tricase giravano a tempo pieno, si dovevano molire le olive, spremerle e produrre quello che per secoli è stato l’oro del Salento: l’olio.

Una stanca cavalla, legata e bardata di tutto punto, faceva girare le macine che servivano alla spremitura delle olive.

Alcuni contadini, che vegliavano il logorio dell’animale, si resero conto che, ogni qualvolta percorreva un determinato tratto del frantoio ipogeo, la cavalla aveva un sussulto, come zoppa si inchinava davanti a qualcosa.

Intrigati da quel fenomeno, i nachiri, decisero di scavare in quel punto indicato dall’animale e, come per miracolo, rinvennero una tela della Madonna di Cassiobe.

Fu così che si decise di costruire in quel luogo preciso una cappella dedicata alla venerazione della Madonna. Oggi, dopo 4 secoli, possiamo asserire che in parte quella leggenda rispecchiava la realtà.

Infatti, durante i recenti lavori di rifacimento della pavimentazione interna della cappella, è stata rinvenuta l’imboccatura di un frantoio (in parte crollato) collocato proprio sotto la chiesa.

La Chiesa dell’Immacolata e del SS. Sacramento, oggi sede della Congregazione dell’Immacolata Concezione (priore Claudio Ruberto, oggi conta 130 iscritti), è sita nel rione di Caprarica di Tricase, persa tra le viuzze del centro storico, inglobata nel tessuto edilizio circostante.

È una chiesa a unica navata, edificata presumibilmente attorno alla metà del XVII secolo, come attesta il libro dei defunti della parrocchia, che fa risalire la prima inumazione al 4 aprile 1654.

LA CAPPELLA NEGLI ANNI

È frutto di due interventi edilizi di ampliamento: il primo nel 1922 quando venne costruita una sagrestia; il secondo nel 1967 vide la demolizione e ricostruzione della stessa, una sala riunioni e un campanile a torre (completato nel 1973).

Fino al 1967, nella chiesa era presente un unico altare a muro con il tabernacolo e al di sopra, posti in successione, la tela della Madonna di Cassiobe e quella della Vergine Immacolata con i quattro Santi protettori della Confraternita.

Tra il 1967-1970, con i lavori di ampliamento, si attuò lo smembramento di tutto l’apparato dell’altare a muro, dislocando gli elementi costitutivi (mensa, tabernacolo e tele) in posizioni differenti all’interno della chiesa.

L’ultima funzione religiosa fu celebrata il 24 marzo 2013, da don Eugenio Licchetta. Successivamente, gravi problemi strutturali portarono a interdire il culto e a chiudere la chiesa.

Il parroco di allora, don William Del Vecchio, in accordo con la Confraternita dell’Immacolata, nel 2015 intraprese l’iter per il recupero e il restauro della chiesa e affidarono i lavori agli architetti Agnese Piscopiello e Francesco Pala.

La Conferenza Episcopale Italiana, con i fondi dell’8 per mille, finanziò il progetto e si procedette a recuperare la chiesa nella sua interezza.
Il 22 maggio 2020 iniziarono i lavori di restauro, portati a compimento anche grazie alla generosità dei fedeli.

Nell’avvicendarsi di parroci nella parrocchia di Sant’Andrea, è doveroso citare anche l’impegno dapprima di don Luigi Stendardo che diede il via ai lavori, e poi quello di don Salvatore Chiarello, l’attuale parroco, che ha seguito e partecipato alle varie fasi di realizzazione delle opere fino alla loro conclusione.

Durante la fase di rimozione della pavimentazione, sono venute alla luce strutture di antica origine, in particolare: un antico pavimento in cocciopesto, nelle prime due campate della chiesa; la presenza di un ossario murato con lastre di pietra; la fondazione in pietrame della muratura di fondo della chiesa (prima che venisse eseguito l’ampliamento del 1922); la presenza di un frantoio ipogeo scavato nella roccia che si sviluppa al di sotto della chiesa, la cui imboccatura è stata segnalata mediante la realizzazione di una botola nell’attuale pavimentazione.

Ogni elemento originario (mensa, tabernacolo, tele) è stato oggetto di attente operazioni di restauro a cura dei restauratori Ludovico Accogli e Alessandra Muci, che hanno riportato alla luce le decorazioni e le cromie originarie ricoperte e dimenticate.

Il 5 dicembre 2024, alla presenza del vescovo mons. Vito Angiuli, del sindaco Antonio De Donno e di tutta la comunità, la chiesa è stata riaperta al culto.

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