Castrignano del Capo
Leuca, avvistato veliero: sbarco nella notte
Intercettati 75 profughi su imbarcazione proveniente dalla Libia: tra loro 19 donne e 12 bambini
Quarto natante in meno di quindici giorni che tenta di approdare sulle coste pugliesi per far sbarcare profughi.
Nella serata di ieri, alle 23 circa, un elicottero romeno impiegato nell’ambito della missione “Triton” 2016 dell’Agenzia Frontex, ha intercettato a circa 20 miglia al largo di Santa Maria di Leuca un veliero bialbero, diretto verso le coste salentine.
La segnalazione è stata comunicata ad un guardacoste del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Bari e ad un pattugliatore del Gruppo Aeronavale della Guardia di Finanza di Taranto, che coordina le operazioni Frontex nell’Adriatico e nell’alto Ionio, già in pattugliamento nella stessa zona.
I finanzieri si sono insospettiti per gli strani cambi di rotta e l’insolito carico che evidenziava lo scafo del veliero.
Nonostante il mezzo intercettato proseguisse la navigazione senza badare all’alt dei mezzi del Corpo, i militari delle Fiamme Gialle sonr riusciti a saltare a bordo e accertare la presenza di numerosissimi migranti (video a fine articolo).
Fornita subito la prima assistenza, immediatamente alle donne ed i bambini, la barca a vela, in buone condizioni di navigabilità, è stata scortata nel porto di Otranto dove, in banchina, erano già pronti i dispositivi di accoglienza e assistenza sanitaria predisposti dalla Prefettura di Lecce.
Il gruppo di profughi conta 75 cittadini extracomunitari di presunta nazionalità siriana, pakistana, iraniana e afgana (44 uomini, 19 donne e 12 bambini) di cui 19 condotti presso la masseria Germi di Surbo, 52 accolti presso il centro di prima accoglienza Don Tonino Bello e 4 ricoverati presso l’ospedale di Scorrano per ipotermia.
Avrebbero pagato, per il viaggio durato almeno 5 giorni, che si può considerare certamente più “comodo” e sicuro dei barconi che partono dalla Libia, dai 5 ai 6mila dollari a persona.
L’imbarcazione, presumibilmente partita dalla Turchia, lunga 16 metri, di un certo pregio, denominata “Elisabeth I”, battente bandiera americana, è sotto sequestro. Il “pool antimmigrazione interforze” della Procura della Repubblica di Lecce è all’opera per individuare gli scafisti, i quali sembra che avrebbero abbandonato il mezzo, con il battello di bordo, prima dell’intervento delle unità della Guardia di Finanza, lasciando il veliero con la marcia avanti inserita.
Il descritto modus operandi del traffico di migranti con imbarcazioni da diporto, a vela o a motore, è un fenomeno che, nel Salento si è notevolmente intensificato nell’ultimo mese.
Dal mese di maggio 2016, sono 8 gli eventi della specie registrati solo in Puglia, in occasione dei quali la Guardia di Finanza, anche in collaborazione con le altre Forze di Polizia, ha arrestato 18 scafisti originari di Paesi dell’ex Unione Sovietica.
Gli elementi raccolti durante l’operazione serviranno agli inquirenti per risalire al sodalizio criminale che sta lucrando sulla disperazione di persone che fuggono da Paesi in guerra.
Prosegue senza sosta l’attività di pattugliamento delle unità navali e aeree della Guardia di Finanza, in stretta sinergia con gli assetti Frontex schierati in Puglia, per garantire, già in mare, la tempestiva assistenza e soccorso ai migranti irregolari. Infatti, il momento dell’approdo su un tratto di costa roccioso e per di più in tempo di notte, può costituire un serio pericolo per l’incolumità di persone, la maggior parte delle quali spesso non è in grado ne in condizioni di nuotare.
Attualità
Cento candeline per nonna Cosima
Festa grande a Castrignano del Capo per nonna Cosima.
Cosima Donnicola ha raggiunto il traguardo delle cento candeline. Un secolo di vita, da festeggiare con i 5 figli Franco, Aldo, Michele, Giovanni e Antonio Schirinzi e con i 10 nipoti e 5 pronipoti.
Nata nel 1924, Cosima, prima che madre, nonna e bisnonna, è stata contadina.
Oggi tutta la nostra Redazione le augura un gioioso e lungo futuro.
Attualità
Ovunque vai, Martinucci
Una famiglia che conta 300 collaboratori, 28 store e 74 anni di storia. Qualità e tradizione grazie alle due linee di produzione dell’azienda salentina, portavoce dell’abilità dolciaria nostrana ad ogni latitudine
📍 Segui il GalloLive News su WhatsApp 👉 clicca qui
Martinucci è un’azienda riconosciuta nel mondo, portavoce della tradizione dolciaria ad ogni latitudine, con tanti punti vendita in Salento ed in diversi Paesi del globo.
Una famiglia che conta 300 collaboratori, 28 store e 74 anni di storia.
Con Fabio Martinucci facciamo il punto su come si possano raggiungere obiettivi così grandi, continuando il proprio percorso di crescita, mantenendo alti gli standardi qualità.
Eccellere su piccola e grande scala. Qual è il segreto?
«Senz’altro la nostra produzione, che oggi viaggia su due linee: una artigianale ed una industriale, mantenendo sempre altissimi standard di qualità. I prodotti della linea artigianale sono quelli che realizziamo nel nostro laboratorio di Acquarica del Capo. Da qui partono i prodotti freschi che lavoriamo giornalmente e che servono tutte le nostre pasticcerie presenti in Salento. I prodotti che vendiamo nelle pasticcerie Martinucci nel mondo, invece, sono realizzati dalla nostra linea industriale. Una linea che conserva tutte le caratteristiche del prodotto artigianale e tutte quelle preziose conoscenze artigiane tramandate nel tempo, lungo la decennale esperienza di Martinucci nel settore. La nostra azienda oggi è un po’ una fotografia del settore dolciario, in cui produzione artigianale ed industriale viaggiano sempre l’una accanto all’altra».
In che modo due metodi di lavoro, all’apparenza lontani, si avvicinano?
«Nel mondo della pasticceria, la produzione artigianale oggi si regge in gran parte sul lavoro industriale. Questo non ci deve spaventare o insospettire. Al contrario, è un percorso che ormai avanza in simbiosi e che permette di accrescere la qualità dei prodotti. Basti pensare che tutta la pasticceria oggi è improntata sull’utilizzo di semilavorati, compresa quella di pasticcieri e gelatai che si definiscono artigiani. Nel settore, tutti utilizziamo i prodotti semilavorati, talvolta anche provenienti dalle grandi multinazionali, senza che questo rappresenti un peggioramento nella qualità del prodotto. Anche grandi aziende storiche come la Pernigotti forniscono ingredienti, per fare un esempio come la nocciola di Piemonte DOC, che vengono impiegati dai mastri artigiani. Questo ci dice, nella realtà dei fatti, che produzione artigiana ed industriale non devono essere considerate antitetiche, come molte campagne di marketing vogliono farci credere, ma sono molto più prossime di quanto possiamo immaginare. Non a caso Martinucci oggi, con la sua linea industriale, è sia produttore che distributore sul mercato di semilavorati, che vengono acquistati ed impiegati giornalmente anche da molte piccole realtà del nostro territorio».
Esiste ancora l’antica figura del pasticciere che gestisce la produzione dalla A alla Z?
«Sono davvero rarissimi i pasticcieri che continuano a gestire artigianalmente l’intero processo di produzione e vendita in autonomia. È difficile pensare che al giorno d’oggi un pasticciere prepari ogni mattina tutta la produzione per la singola giornata. La prassi vuole che anche i dolci dei laboratori artigianali vengano realizzati in gran numero per coprire più giornate, poi conservati e cotti di volta in volta, giorno per giorno, secondo vendite e necessità».
Pesano ancora i falsi miti sulla produzione industriale nelle scelte dei consumatori?
«Purtroppo, si. Diverse credenze spingono il consumatore a pensare che un prodotto, se non realizzato e consumato al momento, abbia un gusto differente oppure possa nascondere delle sorprese. Ma non è così. Uno dei falsi miti più radicati è quello relativo alla conservazione. I prodotti della linea industriale, anche ma non solo per poter essere gustati in luoghi diversi da quelli di produzione, sono sottoposti a congelamento. E questo può generare scetticismo nel consumatore. In realtà, il processo di conservazione non altera le proprietà organolettiche. Ed inoltre rappresenta anche un presidio di sicurezza per il consumatore, dal punto di vista batteriologico. L’abbattimento che effettuiamo a livello industriale (oggi richiesto in molti ambiti anche dalle Asl), portando il prodotto a -18° in venti minuti, rende la proliferazione batterica innocua per il consumatore. È un po’, per fare un parallelismo, come quando in ambito domestico congeliamo la classica lasagna della nonna per mangiarla l’indomani. In questo caso, nei laboratori, con strumentazioni e procedure professionali, che permettono il cosiddetto abbattimento, abbiamo ulteriori garanzie circa la sicurezza del prodotto che viene somministrato al cliente. È proprio come nei ristoranti dove, per intenderci, non consumeremmo mai un tonno o delle cozze se prima non passate in abbattitore».
Processo industriale ed artigianale: la qualità è nel punto d’incontro?
«Mi sento di dire che senza la grande industria oggi non ci sarebbero i grandi artigiani. Se un prodotto è scadente questo non dipenderà dall’utilizzo dei semilavorati, ma dalla qualità di quei semilavorati che si sceglie di utilizzare. Un consiglio? Assaggiare per credere!».
Approfondimenti
Costruire salentino, come eravamo
Giuseppe Maria Costantini, Conservatore-Restauratore di Beni Culturali: dalle coperture ai soffitti interni, dagli intonaci ai pavimenti interni ed esterni, dalla “suppinna” alla “loggia”: i caratteri tradizionali tipizzanti dell’edilizia salentina
📍 Segui il GalloLive News su WhatsApp 👉 clicca qui
di Giuseppe Maria Costantini
(Conservatore-Restauratore di Beni Culturali)
Mi si chiede: «Se qualcuno volesse costruire un’abitazione secondo i canoni della tradizione salentina cosa dovrebbe fare? Quali sono gli aspetti più caratteristici e tipizzanti?».
Le abitazioni del Salento sono sempre state alquanto eterogenee in relazione alla condizione socio-economica e culturale dei loro abitanti, così caratterizzando i vari paesi e quartieri urbani, anche vicinissimi tra loro, inoltre, sono molto cambiate nel corso dei secoli, anche in breve tempo quando ce ne fosse un’importante condizionamento esterno.
Basti considerare che nel Salento, almeno fino al sedicesimo secolo, tutte le coperture degli edifici erano costituite da tetti spioventi e tegole in terracotta, come nel resto d’Italia.
Tra l’altro, la copertura esterna a spioventi corrispondeva largamente a soffitti interni in legno, sia lasciati a vista sia nascosti da incannucciate ricoperte da intonaci a stucco, come nel resto d’Italia.
Tale lunghissima “stagione dei tetti” vedeva anche pavimenti interni che, dove non fossero un umile battuto di terra, erano frequentemente in legno, nudo o variamente rifinito, oppure in terracotta, nuda o financo maiolicata; l’impiantito in pietra era destinato in prevalenza agli spazi esterni, o aperti, nonché a rimesse e opifici.
Tornando alla questione posta: come e più del resto d’Italia, nel Salento il consumo del suolo, dal secondo dopoguerra del Novecento a oggi, è stato enormemente maggiore che dalla preistoria allo stesso secondo dopoguerra; pertanto, non si dovrebbe più consumare neppure un metro-quadrato di terreno agricolo o naturale per costruire checchessia.
Ciò detto, innumerevoli edifici dell’ultimo secolo, privi di particolari valenze storiche o artistiche, necessiterebbero di importanti interventi “di costruzione”.
Si tratta di edifici variamente inefficaci in fatto di materiali di cui sono costituiti, di caratteri strutturali-statici, oppure affatto indecenti in termini di funzionalità, e/o di forma e di aspetto.
In altre parole, le tante costruzioni inadeguate e brutte che ci circondano dovrebbero essere radicalmente demolite e, ove necessario, ricostruite in termini idonei, o, se possibile e opportuno, parzialmente manomesse, recuperandone quanto già idoneo e sostituendone quanto inidoneo.
Che siano totali o parziali, è essenziale che tali auspicabili rigenerazioni tengano nella massima considerazione i caratteri tradizionali e tipizzanti del Salento, anzi, in particolare, che siano armoniche al centro abitato, o alla località di campagna, cui appartengono.
Il nostro grande intellettuale e poeta Vittorio Bodini, in Foglie di tabacco (1945-47), tipizza fantasticamente un carattere cardinale delle abitazioni pugliesi e salentine: «… le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia di un dado».
Tuttavia, neppure l’imbiancatura in bianco vale per ogni località: molti centri abitati, costieri e no, erano caratterizzati da prevalenti imbiancature di calce addizionata a pigmento, fino a ottenerne colori pastello, rosa, ocra gialla, azzurro, turchese, verde, ne era un esempio emblematico Gallipoli.
Perchè spellare le case?
Ne parlo al passato perché negli ultimi decenni è invalsa la deleteria moda di spellare le nostre abitazioni, fino a mostrarne l’orditura muraria in pietra, come si trattasse di un edificio non terminato.
Infatti, restando ai caratteri tradizionali tipizzanti: le abitazioni salentine, dalla più umile al palazzo nobiliare, quando edificate fino a conclusione, all’esterno e all’interno, erano immancabilmente intonacate o, comunque, rifinite con uno strato superficiale, quale rivestimento tradizionale del materiale lapideo costruttivo, con valenze funzionali ed estetiche, e ciò riguardava persino cantine e stalle.
Oltre alle coperture esterne a terrazza, destinate a convogliare le acque piovane nelle cisterne, un altro carattere tipizzante delle nostre abitazioni era la presenza di spazi interni aperti: ortali, giardini, cortili al piano terreno; al piano superiore: terrazze complanari, terrazze soprastanti, spesso dotate di suppinna o attico, nonché verande, balconi e balconcini.
In particolare, le facciate, anche quando di dimensioni contenute, tendevano ad avere uno spazio aperto protetto: portico, loggia, o loggetta a serliana.
Il colore degli infissi
Similmente alle murature, che dovrebbero mostrarsi sempre vestite, anche gli infissi, secondo tradizione, non mostrano mai il loro legno a vista, neppure quando pregiato.
Il colore degli infissi, come quello delle imbiancature tradizionali, era largamente condizionato dalla tradizione della località.
Certamente per le porte e i portoni, o le persiane, il colore più tipizzante era il verde (in infinite tonalità locali, più o meno scure), o, soprattutto per le località costiere, l’azzurro; seguono le tonalità del bruno-grigio.
A ogni modo, lontano dall’avere svolto questo interessante e poliedrico tema, spero di avere stimolato la vostra attenzione e rispetto per la conservazione e il recupero delle nostre tradizioni costruttive e del nostro bel paesaggio.
GIUSEPPE MARIA COSTANTINI
Conservatore-Restauratore di Beni Culturali.
Possiede numerose specializzazioni, tra cui superfici dell’architettura.
Lungamente ricercatore e docente di Restauro per l’Università di Bologna, oltreché per altri prestigiosi enti nazionali.
Su diretto invito del dirigente Arch. Piero Cavalcoli (Urbanista), ha partecipato all’elaborazione del DRAG della Regione Puglia (Schema di Documento Regionale di Assetto Generale).
*Nella foto in alto, Specchia da “I Borghi più belli d’Italia”
PER APPROFONDIRE SU COCCIO PESTO E CEMENTINE CLICCA QUI
PER APPROFONDIRE SULLE VOLTE A STELLA CLICCA QUI
PER APPROFONDIRE SU MURETTI A SECCO E PAJARE CLICCA QUI
PER MESCIU PIPPI, CUSTODE DELL’ARTE EDILIZIA CLICCA QUI
-
Cronaca3 settimane fa
Appuntamento-trappola: 12enne violentata e rapinata
-
Cronaca4 giorni fa
Incidente a Surano sulla SS275: un decesso
-
Cronaca2 settimane fa
Influencer a Lucugnano fomenta la rabbia contro un indagato: allontanato
-
Cronaca1 settimana fa
Folgorato in casa, muore 37enne a Gagliano del Capo
-
Cronaca3 settimane fa
Violento incidente a Miggiano: grave una donna
-
Attualità4 giorni fa
Surano: “grattati” 500mila euro!
-
Cronaca3 settimane fa
Incidente in bici a Milano: grave 35enne di Lucugnano
-
Alessano1 giorno fa
Motorsport Scorrano: piccoli talenti crescono e…vincono