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Cronaca

Sportello antiracket fasullo: truffa milionaria

Il video del blitz delle fiamme gialle: scoperta frode milionaria a Stato e Comunità europea: 40 gli indagati, quattro arresti tra cui due funzionari del Comune di Lecce. Interdizione dai pubblici uffici per l’assessore leccese Attilio Monosi

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Sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Lecce, che ha chiesto ed ottenuto le misure dal G.I.P. dopo lunghe indagini delegate alla Guardia di Finanza, i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria del capoluogo salentino stanno eseguendo una serie di arresti e sequestri nei confronti di un sodalizio criminoso dedito a reati di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione, concussione, falso.


I finanziamenti, indebitamente percepiti da una locale associazione antiracket, erano destinati a rafforzare le iniziative in materia di contrasto al racket ed all’usura attraverso l’istituzione di tre sportelli nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto aventi il fine di prestare assistenza alle vittime di tali reati con l’ausilio di specifiche figure professionali quali avvocati, commercialisti, esperti del settore bancario.


L’attività di indagine ha disvelato l’esistenza di un sodalizio criminale capeggiato dal presidente di detta associazione, G.M.A., che, avvalendosi dell’apporto di numerosi altri soggetti, per lo più inquadrati all’interno di detta associazione oltre che di pubblici amministratori e privati imprenditori, ha posto in essere plurime condotte delittuose volte al fraudolento accesso a finanziamenti in grave danno del bilancio statale e della Comunità Europea.


La ricostruzione dei fatti ha evidenziato come, al fine di percepire indebitamente i suddetti fondi, la G.M.A., nel maggio 2012, avesse stipulato apposita convenzione con I’Ufficio del Commissario Antiracket istituito presso il Ministero dell’lnterno e con le amministrazioni comunali di Lecce, Brindisi e Taranto per I’istituzione di tre sportelli antiracket presso ciascun capoluogo, aventi il fine di prestare assistenza alle vittime del racket e dell’usura e favorire l’accesso ai finanziamenti previsti dal Fondo di Solidarietà.


L’indagine così condotta ha permesso di accertare come tale Associazione ed i relativi Sportelli fossero di fatto non operativi e costituiti all’unico fine di frodare i finanziamenti pubblici mediante: la fittizia rendicontazione di spese per il personale impiegato; l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti afferenti l’acquisizione di beni e servizi; la rendicontazione di spese per viaggi e trasferte in realtà mai eseguite; la falsa attestazione del raggiungimento degli obiettivi richiesti dal progetto in termini di assistenza ai nuovi utenti e numero di denunce raccolte.


In dettaglio, le risultanze investigative hanno dimostrato come l’associazione, nel perseguire i propri affari illeciti ed accedere ai contributi, avesse stipulato contratti di collaborazione con dipendenti fittizi e compiacenti professionisti, emettendo false buste paga ovvero ricevendo fatturazioni per prestazioni professionali inesistenti.


Le somme indebitamente percepite dai fittizi collaboratori grazie alle false rendicontazioni presentate all’Ufficio del Commissario Antiracket, venivano successivamente restituite in contanti alla stessa presidente dell’Associazione. Un particolare non è sfuggito agli inquirenti: venivano fatte salve le ritenute previdenziali e assistenziali. Nel perseguire il disegno delittuoso, l’organizzazione documentava inoltre l’esistenza di spese fittizie per l’acquisizione di beni e servizi quali inesistenti promozione di campagne pubblicitarie ed interventi di manutenzione presso le tre sedi, predisponendo una serie di  documenti, anche di natura fiscale, idonei a dimostrare il regolare svolgimento delle procedure di selezione delle aziende fornitrici e l’avvenuto pagamento delle prestazioni. Anche in questo caso il meccanismo truffaldino prevedeva che i finanziamenti indebitamente percepiti venissero dapprima bonificati in favore delle ditte esecutrici a pagamento delle forniture e successivamente restituiti in contanti per un importo pari alla differenza tra l’importo fatturato ed una quota del 20%, quale “compenso” alla stessa azienda fornitrice, cui veniva aggiunto il rimborso delle spese effettivamente sostenute per la predisposizione della campionatura da trasmettere al Ministero. Le indagini permettevano hanno permesso anche di accertare l’illecita percezione di finanziamenti destinati alle opere infrastrutturali ed all’acquisto degli arredi presso le sedi di Lecce e Brindisi denotando dirette responsabilità a carico degli amministratori comunali e dei direttori dei lavori coinvolti nel rilascio delle autorizzazioni e nei pagamenti delle relative opere.


In particolare venivano eseguiti dei lavori di ristrutturazione presso la sede di Lecce, in assenza della preventiva approvazione da parte dell’Ufficio del Commissario Antiracket, che venivano pagati con fondi del Comune anziché con i finanziamenti erogati l’Ufficio del Commissario al termine della indicata procedura di approvazione. Tale liquidazione è stata di fatto eseguita attraverso la creazione di un capitolo di spesa sprovvisto di copertura finanziaria, al fine di agevolare l’imprenditore affidatario dei lavori e consentirgli una celere percezione di tali somme. Tali condotte sono risultate riconducibili ai rapporti esistenti tra l’impresa esecutrice dei lavori ed un funzionario pubblico che in cambio riceveva agevolazioni nel pagamento di alcuni lavori eseguiti dalla medesima ditta presso la propria abitazione.


Al fine di sanare la situazione venutasi a creare in seguito ai rilievi mossi dall’Ufficio del Commissario Antiracket sulla irrituale procedura seguita ed ottenere il rimborso delle somme indebitamente anticipate, è stata quindi predisposta documentazione fittizia, in seguito trasmessa al citato Ufficio al fine di dimostrare il rispetto delle procedure previste per l’approvazione dei lavori, in realtà già ultimati e liquidati.


Questi artifici hanno tratto in inganno l’Ufficio del Commissario Antiracket che ha proceduto all’erogazione dei fondi direttamente in favore dell’impresa costruttrice, che in tal maniera si avvantaggiava di un ulteriore pagamento che andava ad aggiungersi a quello già ricevuto dal Comune di Lecce.


Condotte delittuose venivano accertate anche in relazione ai lavori eseguiti presso lo sportello di Brindisi, dove funzionari del quel comune, unitamente all’amministratore della ditta incaricata della esecuzione delle opere, certificavano l’ultimazione e la regolare esecuzione dei lavori, in realtà non ancora completati.


È emerso infine che la presidente dell’associazione, avuta notizia della convocazione presso gli uffici del Nucleo di Polizia Tributaria di alcuni suoi collaboratori per essere sentiti quali persone informate sui fatti, ha istruito i testimoni affinché rendessero dichiarazioni difformi dal vero finalizzate ad occultare le irregolarità poste in essere per l’indebita percezione dei fondi erogati dal Ministero.


Al termine delle indagini, i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria hanno eseguito, su delega della Procura della Repubblica di Lecce, quattro arresti: la presidente dello sportello Maria Antonietta Gualtieri, Giuseppe Naccarelli dell’Ufficio ragioneria e Raffaele Gorgoni dell’Ufficio patrimonio del Comune di Lecce. Ai domiciliari la collaboratrice della presidente Gualtieri, Serena Politi.


Notificata anche l’interdizione dai pubblici uffici a sette persone (tra cui l’attuale assessore leccese al Bilancio Attilio Monosi)  e disposto a carico di 32 indagati il sequestro delle somme indebitamente percepite dal Ministero, per  un importo complessivamente superiore a 2 milioni di euro.


Copertino

Gioco illegale, denuncia e sequestro di beni

Pignorati in beni mobili e immobili fino a 165mila euro quale provento illecito derivante dal volume di giocate irregolari al netto delle vincite effettivamente corrisposte agli ignari avventori. Imprenditore indagato per l’ipotesi di frode informatica

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I finanzieri del Comando Provinciale di Lecce hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo emesso dal Tribunale di Lecce, nei confronti di un imprenditore indagato per l’ipotesi di frode informatica.

Il provvedimento giunge al termine di un’attività d’indagine svolta dalle Fiamme Gialle della Tenenza di Porto Cesareo, alle dipendenze del Gruppo Guardia di Finanza di Lecce, volta al contrasto al gioco illegale.

In tale ambito, già lo scorso 6 dicembre, i militari – unitamente a funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Bari – erano intervenuti presso un circolo privato, sito a Copertino, dove avevano individuato due slot machine manomesse: all’interno erano state irregolarmente installate delle schede gioco”scollegate dall’A.D.M., sulle quali sarebbe stata canalizzata gran parte dei volumi di gioco, così sottraendoli ai controlli ed alla prevista tassazione (Prelievo Unico Erariale).

Le successive investigazioni e gli ulteriori accertamenti tecnici eseguiti sulle schede gioco sottoposte a sequestro, hanno consentito alle Fiamme Gialle di ricostruire i reali volumi d’affari e di quantificare in oltre 500mila euro l’importo delle giocate illecitamente effettuate.

Pertanto, il G.I.P. del Tribunale di Lecce, su proposta della locale Procura delle Repubblica, ha emesso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca di valori, beni immobili e mobili nella disponibilità dell’indagato, fino alla concorrenza del valore di oltre euro 165mila quale provento illecito derivante dal volume di giocate irregolari al netto delle vincite effettivamente corrisposte agli ignari avventori.

Nella fase esecutiva, i finanzieri di Porto Cesareo hanno proceduto al sequestro della somma di 145mila euro in contanti, rinvenuta durante le perquisizioni locali, nonché delle quote di una società e di un autocarro.

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Cronaca

Cinque costruzioni abusive in rive al mare

Contrasto ai reati nelle aree a tutela paesaggistica. Torre Chianca: i carabinieri forestali individuano le costruzioni abusive nelle Paludi di Rauccio, zona vincolata. Denunciati i proprietari. Ulteriori accertamenti sono tuttora in corso in tutta l’area litoranea adriatica, in particolare nei Comuni di Lecce, Vernole, Melendugno e Otranto, con l’ ausilio dell’elicottero

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Nel corso della campagna di controlli nazionale, denominata “Fiume Sicuro”, finalizzata al contrasto degli abusi edilizi nelle aree fluviali, e comunque a tutela del reticolo idrografico e della sua funzionalità, i Carabinieri Forestali del Nucleo di Lecce, all’ esito di capillari accertamenti sull’area umida del Fiume Idume, delle Paludi di Rauccio e zone circostanti, hanno individuato 5 costruzioni abusive, tutte nella nota località balneare di Torre Chianca (Lecce), ricomprese in area vincolata ai sensi del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale.

Si tratta, in un caso, di una struttura prefabbricata in lamiera, utilizzata per abitazione, completa di recinzione in muratura, pavimentazione in massetto di cemento e due tettoie sporgenti.

In un’altra situazione, ancora un prefabbricato metallico, della superficie di circa 50 metri quadri, completo di impianto idrico, elettrico e fognario, con un vano in muratura adiacente della superficie di circa 15 metri quadri, con piazzale in cemento di 250 mq e cancello in ferro.

Da ultimo, un caso di 3 casette adiacenti, all’interno di un’area recintata con cancello di ingresso in comune, tutte composte da un unico vano, di dimensioni da 25 a 50 metri quadri, con verande in legno (una delle tre costruzioni già ammobiliata, un’ altra ancora priva di intonaci ed impianti).

Per i cinque immobili di cui sopra, costruiti senza permesso di costruire e tantomeno autorizzazione paesaggistica, i Carabinieri Forestali hanno deferito alla Procura della Repubblica di Lecce i rispettivi proprietari.

La zona interessata dagli abusi edilizi presenta un particolare pregio floristico e faunistico, oltre che paesaggistico, rientrando in Sito di Interesse Comunitario della Rete “Natura 2000”, nonché nella fascia di rispetto del Parco Regionale “Bosco e Paludi di Rauccio”, sottoposta anche a vincolo idrogeologico.

Ulteriori accertamenti sono tuttora in corso in tutta l’area litoranea adriatica, in particolare nei Comuni di Lecce, Vernole, Melendugno e Otranto, con l’ausilio dell’elicottero AW169 del 6° Nucleo Carabinieri, di stanza a Bari-Palese, quanto mai efficace e prezioso laddove le perlustrazioni al suolo sono più difficoltose per la presenza di fitta vegetazione o di alte recinzioni.

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Cronaca

Offesero in tv la memoria di Noemi, condanne confermate

Un anno per Biagio Marzo e 6 mesi per Rocchetta Rizzelli per diffamazione aggravata e continuata a mezzo stampa.  La mamma di Noemi Durini Imma Rizzo, accompagnata dai suoi avvocati Valentina Presicce e Flavio Santoro: «Giustizia è fatta»

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«Hanno sempre diffamato la memoria di mia figlia per giustificare il fatto criminoso commesso dal figlio», urla Imma Rizzo, la mamma di Noemi Durini, la sedicenne di Specchia assassinata nel settembre 2017 dal suo fidanzato, «anche la Corte di Appello di Lecce mi ha dato ragione confermando la sentenza di primo grado. I genitori di Lucio Marzo, invece di rimanere in silenzio, dopo l’omicidio di mia figlia, hanno cercato in tutti i modi di giustificare il gesto aberrante commesso dal figlio arrivando addirittura a dire che mia figlia volesse ucciderli. Tutto questo è falso e infamante».

«Confermata la condanna per i genitori di Lucio Marzo che si proclamavano orgogliosi del figlio omicida reo confesso», tuona l’avv. Valentina Presicce, «il modo allusivo utilizzato da Biagio Marzo e Rocchetta Rizzelli per raccontare di comportamenti assunti da Noemi, di fatto, mai verificatisi, al solo fine di denigrare l’immagine e la memoria di una ragazza di 16 anni, uccisa dal loro figlio è vergognoso. I genitori di Lucio Marzo non hanno mai dimostrato alcun sentimento di pietà nei confronti di Noemi Durini, e hanno cercato, in tutti i modi, di giustificare il fatto criminoso commesso dal figlio infangando la sua memoria attraverso interviste televisive rilasciate ai principali programmi sulle più note reti nazionali. Viene totalmente smentita la tesi della difesa che tentava di far leva sul processo mediatico e sull’ingerenza dei giornalisti nella vita di Marzo e Rizzelli. Dai video, acquisiti nel processo di primo grado, i genitori di Lucio Marzo aprivano spontaneamente le porte della loro casa alla giornalista Paola Grauso di “Chi l’ha Visto?”, e Biagio Marzo interveniva spontaneamente nella trasmissione “Quarto Grado” senza essere “braccato” dalla giornalista come volevano far credere. Oggi», conclude l’avv. Valentina Presicce, «arriva per loro la giusta giustizia con la conferma della condanna per diffamazione aggravata a mezzo stampa».

COSA DICE LA SENTENZA

Con sentenza N. 1024/21 del 28/06/21, Biagio Marzo e Rocchetta Rizzelli erano stati condannati per diffamazione aggravata e continuata, ai sensi dell’art. 81 e 595, commi 1-3 c.p. perché, “in concorso fra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso offendevano la reputazione della defunta Noemi Durini nel corso di tante trasmissioni televisive”.

Oggi la Corte di Appello di Lecce ha confermato la condanna di primo grado ad un anno per Biagio Marzo e a 6 mesi per Rocchetta Rizzelli.

Sin dai primi giorni della scomparsa di Noemi e anche dopo la confessione del figlio, i genitori di Lucio Marzo, rilasciavano interviste televisive ai principali programmi televisivi, descrivendo la persona di Noemi e la sua famiglia con accezioni di carattere negativo e dispregiativo.

In particolare, nella puntata del programma “Chi l’ha visto” andata in onda in data 20.09.2017 ma registrata in data 13 settembre 2017, Marzo Biagio e Rizzelli Rocchetta iniziavano a parlare di Noemi in termini dispregiativi: “Era una ragazza notturna, altro che solare, si è infilata in casa di notte… A me lo ha detto (parlando di Noemi) chiaramente. Ti devo fare impazzire”… “aveva problemi… era gelosa… si è chiusa nell’armadio e poi è andata  a letto con mio figlio… ma la ragazzina, pur anche di un anno più piccola, aveva un bagaglio di esperienza molto più grande…”.

Biagio Marzo proseguiva: “Era tutt’altro che una brava ragazza, si accompagnava con delinquenti di trenta quarant’anni, una ragazzina di sedici e non voglio andare oltre – lasciando intendere qualcosa di ancora più negativo e continuava: “Addirittura aveva dato i soldi ad un certo tipo per comprare una pistola e per spararci… addirittura incitava mio figlio affinché ci scannasse tutti… era una ragazza cresciuta allo stato brado”. È bene ricordare come le indagini ed il processo di primo e secondo grado nel giudizio nei confronti di Lucio Marzo, abbiano dimostrato come tali dichiarazioni fossero del tutto prive di fondamento.

Nella trasmissione Quarto Grado del 21 aprile 2018, Biagio Marzo definiva “Noemi vittima delle sue amicizie e di chi non l’ha controllata”.

Nella trasmissione Quarto Grado “Delitto Noemi Durini” del 30 maggio 2018, Rizzelli Rocchetta urlava: “Siamo orgogliosi noi siamo vivi” così ribadendo la falsa e infamante accusa  che Noemi volesse ucciderli e questo nonostante alla data del 30 maggio 2018 le indagini fossero ormai pienamente concluse e, dunque, l’intento calunnioso  portato avanti da Lucio e dai suoi genitori ai danni di Noemi fosse stato completamente e totalmente smentito. 

Con sentenza N. 1024/21 del 28/06/21 la condanna per i genitori di Lucio Marzo per diffamazione aggravata e continuata a mezzo stampa.

Il Giudice monocratico dott. Tanisi statuiva che “Alla stregua delle immagini dei programmi televisivi contenute nei files acquisiti al processo, non sia a dubitarsi né del fatto che le espressioni riportate in rubrica siano state effettivamente pronunciate dagli imputati, né del loro carattere altamente diffamatorio (peraltro rimarcato in un passaggio anche dal giornalista Nuzzi, che al Marzo, che per l’ennesima volta aveva lanciato pesanti allusioni sulla ragazza, contesta di aver gratuitamente “infangato” la povera vittima)… Espressioni quali quelle riportate in rubrica (che costituiscono solo una parte di quelle effettivamente profferite dal Marzo e, in parte, dalla Rizzelli) siano altamente offensive della reputazione di Noemi Durini, la cui figura risulta gravemente deturpata da parole talvolta volgari, talaltra allusive, pronunciate in più riprese in svariate trasmissioni televisive, anche dopo che gli imputati avevano avuto contezza che la ragazza – una studentessa di soli 16 anni – era stata massacrata dal proprio figlio. Si tratta, fra l’altro, di espressioni che oltre ad offendere la reputazione della ragazza, suonano come altamente offensive anche nei confronti dei genitori della stessa, accusati senza mezzi termini di non essere stati in grado di dare a Noemi la dovuta educazione e, quasi, di essere causa indiretta della tragedia. Al contrario – sostiene il Marzo in alcune delle interviste – di quanto da lui fatto col proprio figlio, evidentemente dimenticando che proprio suo figlio si è macchiato dell’assassinio della sua giovanissima fidanzatina».

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