Attualità
La Croce Rossa compie 150 anni
“Si celebrano quest’anno, 2018, i 150 anni della fondazione della Croce Rossa ed i 100 anni della fine della Grande Guerra 1915-18,avvenimenti molto vicini perché la CRI è nata in una guerra, la seconda guerra di indipendenza, una delle più cruente della storia dell’uomo”

Si è svolta, nella suggestiva cornice del chiostro comunale del Palazzo dei Domenicani di Casarano, la cerimonia di celebrazione in occasione della ricorrenza della Giornata Internazionale della Croce Rossa. Organizzata dal Comitato di cittadino della Croce Rossa, l’appuntamento ha rivestito particolare significato anche perché coincidenza ha voluto che, in questo particolare anno, ricadano le ricorrenze dei 155 anni dalla fondazione stessa della Croce Rossa Internazionale ed i 100 anni dalla fine del 1° conflitto mondiale. Presenti alla cerimonia, oltre al Sindaco Gianni Stefàno ed alle autorità civili e militari del territorio, anche la Presidentessa Regionale della CRI, Ilaria Decimo che, nel suo intervento ha ricordato la missione ed i compiti di questo importantissimo organismo internazionale ma si è anche complimentata per come, sul territorio di Casarano, sia ben radicato ed attivo uno fra i più longevi Comitati Locali che, con i propri volontari, assicura assistenza in tutte le ore di tutti i giorni dell’anno collaborando attivamente con il servizio 118 ma anche facendo azioni di prevenzione di presidio di pronto soccorso. Particolarmente interessante e ricco di spunti il discorso del Presidente del Comitato di Casarano, Giacinto Pettinati (discorso integralmente pubblicato in allegato) che ha ricordato i fatti salienti della storia della Croce Rossa e Mezza Luna Rossa Internazionale. La cerimonia si è poi conclusa con il corteo per le strade cittadine e la deposizione, sulle note del silenzio presso il monumento dei caduti, di una corona di alloro.
Si riporta il discorso integrale tenuto dal presidente Giaginto Pettinati:
“Si celebrano quest’anno,2018, i 150 anni della fondazione della Croce Rossa ed i 100 anni della fine della Grande Guerra 1915-18,avvenimenti molto vicini perché la CRI è nata in una guerra,la seconda guerra di indipendenza,nella battaglia di Solferino e San Martino il 21 giugno 1859,una delle più cruente della storia dell’uomo,più della battaglia di Waterloo,con 30.000 morti,dei quali 16000 italiani e francesi e 14000 austriaci.E’ importante sapere che fino a quel momento nelle battaglie di tutti i secoli precedenti,da Maratona nel 490 a.C. ,da Canne e Zama al tempo dei Romani,da Hattin con le crociate,dalle battaglie della guerra dei cent’anni fra inglesi e francesi e della guerra dei trent’anni fra protestanti e cattolici,alle battaglie napoleoniche di Austerliz e Waterloo i feriti non erano mai soccorsi da alcuno.Venivano lasciati morire sul campo senza pietà e spiravano dopo poche ore dissanguatio dopo pochi giorni di sete e di inedia o dopo qualche settimana per infezione ,gangrena e setticemia.Napoleone Bonaparte faceva fucilare i soldati che aiutavano i commilitoni feriti perché ,così facendo, si sarebbero allontanati dalla linea di fuoco.Nel 1848 ,Ferdinando Palasciano ,generale medico del regno borbonico di Napoli, durante la rivoluzione di Messina,soccorse anche i feriti nemici e fu condannato a morte per alto tradimento,pena poi commutata in un anno di carcere dal re.Palasciano disse “ il mio dovere di medico viene prima del mio dovere di ufficiale”.Fu in realtà l’antesign
ano della Croce Rossa. A Solferino era presente uno svizzero,Henry Dunant,un uomo d’affari che doveva incontrare Napoleone III per vicende bancarie,il quale assistette,suo malgrado, alla carneficina di quel combattimento e ne fu impressionato terribilmente.Corse a chiedere aiuto nel paese per soccorrere i disgraziati soldati feriti.Chiamo’ a raccolta medici ,cittadini ,casalinghe,contadine del luogo, che accorsero in massa a soccorrere i soldati feriti.Le donne di Solferino,San martino,Castiglione delle Stiviere, furono viste strapparsi l’orlo delle gonne per farne bende sulle ferite,le chiese,le strade, le case di quei paesi diventarono corsie di ospedale.Henry Dunant,colpito da quello spettacolo tragico e pietoso,scrisse poi un libro,”Ricordo di Solferino”,che fu letto avidamente in tutta l’Europa.Poi raccolse qltri quattro amici svizzeri,il Comitato dei Cinque,che stilarono un protocollo per soccorrere i feriti in battaglia,inviato a tutti i governi dell’epoca,i quali accettarono di buon grado l’idea.Furono quindi stilati norme e regolamenti nei vari Stati,raccolti nella Convenzione di Ginevra,secondo la quale tutti gli eserciti si impegnarono a rispettare l’insegna della Croce Rossa per soccorrere i soldati feriti.Il primo apparire delle insegne della Croce Rossa si ebbe durante la guerra franco-prussiana, nella battaglia di Sedan nel 1870.Per la fondazione della Croce Rossa,che non è un simbolo religioso, ma solo il contrario della bandiera svizzera,Henry Dunant fu insignito del premio Nobel per la Pace nel 1901 e morì povero,come,forse, si conviene ad un uomo già tanto ricco di generosità.Il primo apparire della Croce Rossa Italiana fu nella querra di Libia 1911-15 per soccorrere i soldati italiani nel deserto e per trasferirli in Italia con le navi ospedali.Ma fu nella prima guerra mondiale 15-18 che la CRI raggiunse l’apice della sua opera umanitaria,una guerra sanguinosa ove sui vari fronti de
l Carso,del Pasubio,del Piave ci furono 647.000 morti,due milioni di feriti,600.000 prigionieri,una strage immane.La CRI partecipò con 10.000 infermiere volontarie ,le crocerossine;40 di esse morirono sul posto di lavoro ,altrettante furono prese prigioniere dagli austriaci durante la ritirata di Caporetto perché non avevano voluto abbandonare i soldati italiani ferit
i..La loro Comandante,Elena d’Aosta,moglie del generale Emanuele Filiberto di Savoia,cugino del re,scrisse una accorata lettera al comandante nemico,generale von Below,chiedendogli di rispettare la convenzione di Ginevra e di liberare le crocerossine,cosa che fu fatta in brevissimo tempo.Le crocerossine erano tutte volontarie e compivano la loro missione senza alcun compenso,nelle tende degli ospedali da campo,dietro la linea del fronte,dove i medici prestavano il primo soccorso ai feriti,amputando gambe,braccia ,suturando ferite,fermando emorraggie,in ambienti scomodi e freddi.Ricordo il gesto della contessa Maria Visconti di Modrone che in una di quelle tende fra le urla ed il gemito dei feriti,con la sua divisa di infermiera sporca di sangue ,pose lo sguardo su un’altra infermiera che le sembrava un volto conosciuto.Era la sua lavandaia,si corsero incontro,si abbracciarono piangendo e si chiamarono sorella.Non c’era più la contessa ,non c’era piu l’umile lavandaia ,c’erano due italiane che aiutavano altri italiani.Le crocerossine ,infatti, si chiamarono sorelle e sorella è l’appellativo con cui attualmente ci si rivolge loro.Ricordo in particolare una crocerossina,Maria Boni-Brighenti,moglie di un maggiore di fanteria ,che non volle abbandonare i soldati feriti che accudiva, circondati dal nemico e morì con loro.Le fu concessa la medaglia d’oro al valor militare ,l’unica alta decorazione conferita ad una donna nel 1915.In un ospedale della Croce Rossa ,a Bergamo,prestava servizio con tanta passione un ser
gente di sanità,Angelo Roncalli ,che diventerà papa oltre 40 anni dopo col nome di Giovanni XXIII,il papa buono.In un ospedale della Croce Rossa Italiana fu ricoverato, un giorno, un caporal maggiore dei bersaglieri,che si chiamava Benito Mussolini,il futuro capo del fascismo.Fra gli autisti delle ambulanze della CRI ,che trasportavano negli ospedali della CRI, i soldati feriti dal fronte,fra le strade scoscese dei monti, si distinse un soldato coraggioso che si chiamava Palmiro Togliatti,il futuro capo dei comunisti italiani.La Croce Rossa e l’amor di patria fecero incontrare un papa e due acerrimi nemici,che avevano in comune l’italianità.La Croce Rossa ,oltre le crocerossine ,aveva altre donne volontarie al proprio servizio,le donne dell’Associazione delle Donne Italiane della Croce Rossa,una associazione istituita nel 1889 dalla regina Margherita di Savoia.Queste donne ,chiamate poi Comitato femminile della CRI, avevano il compito di procurare fondi,denaro,donazioni per i bisogni della CRI e durante la guerra s’impegnarono ad aiutare i profughi,le vedove ,gli orfani di guerra ,lasciati nell’indigenza ,ad accudire i soldati che tornavano dal fronte,nelle stazioni ferroviarie,nei luoghi speciali di raccolta,a lenire le sofferenze morali di cittadini disperati.Furono chiamate le patronesse e si impegnarono anche nel fabbricare divise , lenzuola,biancheria ,bende per gli ospedali ,di cui c’era tanto bisogno.La duchessa Cia Giusti del Giardino,la proprietaria di Villa Giusti,dove fu firmato l’armistizio fra italia ed Austria,aveva trasformato le sue case in fabbriche ove si confezionavano quei tessuti,indispensabili agli ospedali da campo.Massimo D’Azeglio disse dopo l’unità d’Italia ”abbiamo fatto l’Italia,adesso bisogna fare gli Italiani”.Ebbene la prima guerra mondiale 15-18 fece gli italiani,con i fanti contadini che da tutte le zone della Nazione accorsero sui fronti di guerra,,,,il monte Grappa,l’isonzo,il Piave.Cittadini italiani che parlavano tanti dialetti e non si comprendevano fra loro,gli ufficiali facevano da traduttori.Si sono trovati italiani di ogni regione,fianco a fianco,uniti nella guerra,che molti non avevano voluto.La Brigata Aosta ,fatta da valdostani e piemontesi ,n un certo periodo fu costituita in maggioranza da siciliani delle Madonie e da calabresi dell’Apromonte,perché moltissimi valdostani erano morti in battaglia.I napoletani,i pugliesi,i marchigiani vivevano sinsieme ai milanesi ed ai bergamaschi nelle stesse trincee,nel fango,nella neve ,fra i topi ed i pidocchi.I Sardi erano considerati stranieri perché parlavano una lingua incomprensibile e soprattutto perché i contadini del Sud non li avevano mai sentito nominare.Invece la Brigata Sassari,fatta tutta di cittadini sardi,si coprì di gloria durante la ritirata di Caporetto,quando quei soldati nella retroguardia furono gli ultimi ad attraversare il Piave,permettendo agli altri soldati italiani di mettersi in salvo ordinatamente.Poichè nel caos della ritirata gli ultimi soldati italiani erano frammisti ai tedeschi che avanzavano,i soldati sardi per distiguere il nemico,nel buio della notte, non intimavano il “chi va là” ma lo dicevano in sardo “se sese italianu fuidda sardu”,se sei italiano parla sardo e se non rispondevano in sardo sparavano ad ogni ombra.Gli italiani si unirono anche nel cibo.I fanti meridionali non conoscevano il riso e la polenta ed i soldati settentrionali non conoscevano le frise con il pomodoro e l’olio di oliva e se le scambiavano..Curioso fu la scoperta delle tavole di cioccolata,che era distribuita in gran copia nelle trincee perchè era calorica e pratica da mangiare ma molti soldati del sud non la conoscevano,per cui le mandavano alle loro famiglie lontane,che non l’avevano mai gustata.Più curioso ancora l’attuale detto “non rompete le scatole”,che proviene da un ordine secco che gli ufficiali impartivano prima dell’attacco.I proiettili dei fucili erano contenuti in durissime scatole di cartone che i soldati conservavano nel tascapane.L’ordine perentorio “Rompete le scatole “ era dato nelle trincee , prima dell’assalto affinchè i soldati tenessero pronte le munizioni ed aveva il triste significato di andare all’assalto contro i reticolati e le mitragliatrici nemiche,un orrendo presagio di morte imminente.Ecco perché la frase di oggi “non rompete le scatole” è una frase che invita alla quiete,alla serenità e quindi vuol dire “lasciami in pace”.Nelle trincee,fredde e fangose si aggirava un cappellano che dava conforto ai soldati,diceva messa,dava la comunione prima della battaglia,scriveva le lettere per i soldati analfabeti,consolava i feriti.Si chiamava Giovanni Forgione ed era stato renitente alla leva militare.Quasi novanta anni dopo diventò santo col nome d Padre Pio.Amare la patria ed aiutare i propri connazionali non era peccato.Sulle montagne del Carso ai confini della Slovenia ,lungo il corso dell’Isonzo si distinse per coraggio un sottotenente di fanteria tanto da ricevere la medaglia d’argento al valor militare e si chiamava Sandro Pertini,il nostro Presidente della Repubblica degli anni 80,che accorse fra i primi negli ospedali della CRI durante il terremoto della Lucania durante il disastroso terremoto del 1980.In quella grande guerra parteciparono anche poeti soldati,anche premi Nobel per la poesia,come Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti,che riuscivano a trovare ispirazione anche tra le rocce nude del Carso.Ungaretti,dopo una notte trascorsa in trincea fra il rombo dei cannoni,la pioggia ,il freddo,i lamenti,in un momento di tregua si assopisce e poi si sveglia con un cielo azzurro e un silenzio di pace,in un tripudio di sole abbagliante e scrive il famoso “ m’illumino d’immenso”. Felice Martini ,durante un assalto all’arma bianca,superato i reticolati nemici, si getta in una trincea e si trova di fronte un giovane soldato austriaco,rannicchiato dietro il suo fucile ,con gli occhi sbarrati per il terrore;sta per infilzarlo ma si ferma.Scrisse una commovente poesia “ perché non ti uccisi”:”non per tema non t’uccisi ma per non morire in,te,mio gemello ,apparso in gemina trincea”. D’Annunzio poi fece della guerra la sua diva ispiratrice. Sironi ,uno dei maggiori pittori del novecento rappresentava le figure umane con grandi piedi e grandi mani ,come Modigliani rappresentava le donne dai lunghi colli,perché non riusciva a dimenticare i piedi e le mani congelate dei suoi fanti.Anche famosi scrittori e poeti stranieri parteciparono alla grande guerra sul fronte italiano con la Croce Rossa,gli americani Johnn Dos Passos ed Ernest Hemingwai,che scrisse “Addio alle armi”,Kipling,il famoso autore di “Capitani coraggiosi,”il libro della Jungla” e “ Kim”,che tutti i ragazzi hanno letto.Gli alpini,i bersaglieri,gli arditi furono soldati di grande valore,ma si distinsero anche i carabinieri,che,come polizia militare, proteggevano nelle retrovie gli ospedali,i ricoverati,prendevano in consegna i nemici feriti,mettevano ordine tra i soldati fuggitivi e sbandati durante la ritirata di Caporetto. Parteciparono con grande coraggio anche agli assalti in prima linea,come nella battaglia del Podgora ,sul Carso,quando un reggimento di 1600 uomini ebbe l’ordine insano di attaccare alla baionetta la cima della montagna munita di cemento e mitragliatrici austriache.Obbedirono e morirono quasi tutti ,fedeli al loro motto “usi obbedir tacendo e tacendo morir”.Come non ricordare i marinai italiani che dopo la disfatta di Caporetto furono inviati sul Piave,ultima difesa, trasferiti dalle navi per combattere sulla terraferma al fianco di alpini e dei fanti ,perché c’era bisogno di ogni soldato utile per fermare il nemico.Degna di ogni ammirazione fu l’abnegazione dei ragazzi del ‘99,appena diciottenni,che da tutta Italia furono inviati al fronte di guerra perché ormai la Nazione si era dissanguata per la perdita di morti ,feriti e prigionieri.Si coprirono di gloria nella battaglia di Zenson e di Fogarè ,due paesini sul Piave,dove alcuni reggimenti boemi erano riusciti a sfondare ed avanzare .Se fossero riusciti a proseguire avrebbero invaso la pianura italiana e sarebbero giunti a Venezia ,Milano Ferrara e noi ora parleremmo tedesco.Due reggimenti di ragazzi del 99,insieme ai bersaglieri,riuscirono a fermare il nemico combattendo anche alla baionetta.Erano scesi dai treni ,che li aveva trasportati al fronte, tre giorni prima,con i fucili più alti di loro e le divise nuove.Quei treni provenivano in gran parte da Bari,Napoli e Palermo.Quando le crocerossine videro arrivare quei ragazzi feriti, pulendo i loro giovani visi sporchi di terra e di sangue mormorarono in dialetto veneto “ma son putejj”,ma sono bambini”.A Redipuglia fu costruito un grande monumento ai caduti,ove sono sepolti 100.000 soldati,la metà di loro non hanno un nome,perché irriconoscibili per le ferite.A Roma fu costruito l’Altare della Patria ,un monumento al milite ignoto.Una mamma ,che aveva perso il figlio in guerra senza averne mai più rivistone il corpo,Maria Bergamas,fu individuata per scegliere una fra undici bare da trasportare a Roma come puro simbolo,per ricordo perenne.Quella bara fu trasportata da Trieste a Roma su un treno speciale,che si fermò in 122 paesi e città a raccogliere fiori ,ricordi e preghiere di centinaia di migliaia italiani che si inginocchiavano al suo passaggio,in un silenzio di luttuosa riverenza.Rammento ai giovani che passano per Roma,anche da turisti , di rivolgere un pensiero a quell’ ignoto soldato.Papa Francesco ,due anni fa è stato al Sacrario di Redipuglia a rendere omaggio ai soldati caduti ed al nonno che era morto combattendo su quelle montagne.Rivolgo un appello ai ragazzi presenti ,affinchè ricordino sempre l’opera dei nonni dei loro nonni che, con il loro sacrificio, ci consentono ora di vivere in una nazione libera,indipendente e democratica.Indro Montanelli,grande scrittore e giornalista ha detto”Il popolo che non ricorda il proprio passato non potrà mai avere un futuro”.
Attualità
Donate 10 sedie a rotelle alla Reception del DEA di Lecce
L’iniziativa dell’Associazione “Cuore e mani aperte” per accompagnare con attenzione, gentilezza e un sorriso sul cuore, tutti coloro che arrivano in Ospedale per cercare risposte che restituiscano la speranza di una vita serena

Cerimonia di consegna per la donazione di 10 sedie a rotelle per la Reception del nuovo Dipartimento Emergenze e Accettazione del Presidio Ospedaliero Vito Fazzi di Lecce.
Le sedie in dotazione al punto accoglienza, infatti, talvolta non risultavano sufficienti a soddisfare le richieste dell’utenza e l’Associazione Cuore e mani aperte OdV, presieduta dal cappellano del nosocomio, don Gianni Mattia, da sempre particolarmente sensibile all’umanizzazione delle cure e degli ambienti ospedalieri, ha provveduto con la donazione odierna.
Alla cerimonia erano presenti la direzione sanitaria del Presidio, dottoressa Patrizia Barone, la direzione amministrativa, dottoressa Sonia Cioffi, il Direttivo e i volontari dell’Associazione.
Tutti i presenti hanno riconosciuto che le 10 sedie a rotelle donate favoriranno l’accessibilità e il comfort dei pazienti in difficoltà motoria temporanea, consentendo loro di raggiungere gli ambulatori/reparti senza sforzi eccessivi e in sicurezza.
“Quando ci si reca in ospedale per una visita, un’emergenza o un ricovero, lo si fa sempre con una tempesta nel cuore. Si vive la speranza di poter star meglio e la paura di perdere la propria quotidianità e autonomia. Noi vorremmo che le emozioni vissute diventassero belle come un fiore che supera l’inverno. Quando la vita ci mette alla prova testando la nostra fede, il nostro coraggio e la nostra forza, può accadere di sentirsi fragili e smarriti. In queste occasioni abbiamo bisogno che qualcuno, prendendoci per mano, ci faccia sentire di non essere soli”, inizia così la dichiarazione di don Gianni Mattia.
“La primavera è alle porte”, prosegue, “il freddo è meno rigido e le strade iniziano a colorarsi con i fiori di campo che rallegrano il nostro sguardo mentre la vita scorre. La primavera risveglia le nostre emozioni e i poeti l’hanno resa poesia. Nel suo rappresentare il risveglio e la rinascita, l’amore, attraverso la sua bellezza, si riveste di essa diventando un gesto d’amore. La vita ci ha condotti su questa strada fatta di sofferenza, ma anche di una delicata forza che ci insegna a tramutarla in speranza, fiducia, sorrisi e amore. In questo poter essere al fianco dei più fragili vi è l’amore incondizionato di tutti coloro che, nel silenzio e nell’umiltà del proprio cuore, donano il proprio 5 per mille, regali di matrimonio, compleanno o ricorrenze varie o semplicemente per rendersi dono in ricordo di un amore che non si può più abbracciare ma condivide ogni nostro respiro. Costoro, eroi silenziosi rendono tutto ciò possibile. A loro va il nostro grazie più sincero”.
L’Associazione Cuore e mani aperte OdV è un ente del Terzo Settore, fondata nel 2001, che opera all’interno del nosocomio leccese da più di venti anni, grazie al sogno e vocazione del cappellano, don Gianni Mattia, che – oltre ad esserne fondatore e presidente – riveste di poesia anche la sofferenza.
Negli ultimi anni si è soffermata con attenzione ad esplorare il concetto della cura che passa anche attraverso l’umanizzazione delle cure e degli spazi ospedalieri.
In questo ambito si inseriscono numerose iniziative: dalla Bimbulanza allo Spazio Benessere, da una Casa di Accoglienza per i parenti dei degenti a diverse umanizzazioni pittoriche di risonanze magnetiche, tac e intere unità operative pediatriche.
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Alessano
OLC e Istituto “Salvemini”, insieme per la sostenibilità
Collaborazione tra aziende e scuola di Alessano per trasformare una vetturetta diesel in un veicolo ecologicamente più sostenibile

Nasce una nuova collaborazione tra i ragazzi dell’Istituto “Gaetano Salvemini” di Alessano e la OLC di Specchia.
Un progetto per trasformare una vetturetta diesel in un veicolo ecologicamente più sostenibile.
Una collaborazione tra aziende e scuola, per fare rete e mettere insieme esperienze e competenze, che genera confronto e discussione per nuove idee e stimoli che guardano al futuro con passione e grinta.
Le aziende partner coinvolte nel progetto oltre alla OLC SRL (con l’ingegnere Antonio Bramato) sono: Pedone veicoli group di Matteo Pedone; Pizza Ricambi di Lucugnano (Tricase); e l’azienda D’Alessandris.
All’iniziativa, sostenuta dalla dirigente scolastica Chiara Vantaggiato, parteciperanno gli insegnanti del dipartimento di meccanica e meccatronica del “Salvemini”, (Matteo Scarcella, Francesco De Giorgi, Carlo Carrozzi, Massimo Chiarello e Roberto Romano) che accompagneranno nel progetto i loro studenti della classe 4DMM del corso.
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Attualità
Solidarietà… femminile alla sindaca di Specchia
Freschi di celebrazioni sulla Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne riceviamo e pubblichiamo un intervento di Francesca Sodero, già consigliera comunale a Tricase, a sostegno della prima cittadina Anna Laura Remigi «il cui operato diventa bersaglio del becero maschilismo che ancora striscia nel sottobosco delle nostre comunità».

Dopo la sentenza del TAR di Lecce che ha chiuso l’annosa vicenda di un’agenzia funebre, Specchia è teatro dell’ennesima polemica tra post della prima cittadina e taluni commenti non propriamente urbani.
Anzi a detta di chi ci scrive «schizzi di fango che la società è in grado di lavare via velocemente».
Di seguito lo scritto di Francesca Sodero.
«Ci risiamo, non appena una donna dimostra valore, tenacia e coraggio, puntualmente il suo operato diventa bersaglio del becero maschilismo che ancora striscia nel sottobosco delle nostre comunità.
Sono solo i colpi di coda di una mentalità in declino e non devono destare molta preoccupazione; tuttavia, è nostro dovere alzare la voce per farli apparire per quello che sono: schizzi di fango che la società è in grado di lavare via velocemente.
Alla sindaca di Specchia Anna Laura Remigi, la cui vivace azione politica nel segno del cambiamento e della legalità ha scatenato sin dall’insediamento i commenti più volgari sulla sua persona e sulla sua vita privata, esprimo per prima cosa la mia piena solidarietà come donna.
Soprattutto, però, vorrei manifestarle la mia incontenibile gioia nel ritrovarla sempre più combattiva e determinata, ogniqualvolta le aggressioni sessiste tentano di sminuirne i risultati amministrativi e politici, come accaduto negli ultimi giorni.
Sono certa che dover fare i conti con queste manifestazioni di un’umanità che ancora stenta ad elevarsi le procurino intima sofferenza, non fosse altro perché oscurano i risultati e i sacrifici, mettendo il carico sulla fatica, che una donna già sostiene in misura doppia rispetto ai colleghi uomini.
Coloro che ci sono passate lo sanno bene che trasformare questa intima sofferenza in testimonianza, reazione e istanza politica, è uno sforzo non banale che può facilmente intaccare la propria solidità interiore.
Allora è compito di tutti noi sostenere questa solidità e questo coraggio alzando ancora una volta la nostra voce di ferma condanna contro chi ancora oggi insulta le donne per nascondere la propria incapacità di fronteggiarle alla pari sul piano politico, amministrativo e lavorativo.
Grazie Anna Laura, avanti sempre a testa alta!»
Francesca Sodero
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