Attualità
Sicuro di aver comprato casa, dopo il rogito, si ritrova una misera lavanderia
La crisi generale è diventata sempre più impietosa, il ragazzo perde il lavoro fisso e si arrangia come può; il piccolo negozio non basta per far campare l’intera famiglia. Non c’è altra soluzione: bisogna vender casa
ESCLUSIVA
Oggi vi racconto una storia. Una “normale” storia di cui è piena la quotidianità, una storia che già mentre raccoglievo gli elementi per scriverla, mi ha fatto pensare e soprattutto riflettere amaramente su come si possa dormire la notte se ci si sente, anche solo parzialmente, responsabili di ciò. Vi racconterò di come una coppia di malcapitati (di cui non farò il nome) abbia denunciato alle autorità personaggi noti della quotidianità casaranese (di cui invece posso fare i nomi in quanto scritti negli atti giuridici) e a cui viene lasciata piena facoltà eventualmente di smentire o rettificare quanto sto per raccontarvi. Siamo nell’aprile del 2006 ed una coppia di ragazzi pressoché trentenni, alla vigilia delle nozze, si attiva per cercare una piccola casetta per cominciare la propria vita insieme. Lui ha un discreto lavoro dipendente, lei invece ha aperto da qualche mese un piccolo negozio per cui, senza molti euro, non hanno eccessive speranze di riuscire a trovare un’abitazione da poter acquistare ma, comunque, ci provano.
Si rivolgono a Salvatore Colazzo, sedicente responsabile dell’immobiliare Eurodomus s.r.l. che invece li invita ad esser fiduciosi perché ha sotto mano una soluzione abitativa che fa certamente al caso loro e, detto questo, li accompagna, insieme ad altri loro parenti, a visionarla. La casetta sembra davvero essere quella dei loro sogni: al terzo piano di un bel condominio piccolo e ben fatto, quasi 80 metri quadri, una bella terrazzina ed un box auto per un totale di 80mila euro. I nostri ragazzi però mettono subito in chiaro di non aver alcun capitale da dare come anticipo e che possono solo sperare che la banca conceda loro un mutuo in grado di coprire l’intero importo necessario all’operazione. Nessun problema! Il signor Colazzo non solo tranquillizza sulla buona riuscita dell’operazione ma, in segno di massima stima e fiducia, autorizza i nostri ragazzi ad usufruire dell’abitazione sin da subito assumendosi l’incombenza di assolvere lui a tutti gli impicci burocratici relativi.
Detto, fatto. I ragazzi si sposano il 31 agosto e vanno ad abitare nel loro nido il 1° settembre. Passa qualche tempo e (badate bene) senza che vi siano contatti fra loro e la banca o che qualsiasi tecnico effettuasse il benché minimo sopralluogo, il signor Colazzo comunica ai ragazzi che l’operazione è andata a buon fine e quindi possono farsi trovare il 14 dicembre presso gli uffici della filiale BNL di Casarano dove, in presenza ovviamente del Notaio, avrebbero firmato tutte le scartoffie relative sia all’accensione del mutuo, sia alla compravendita dell’immobile. E ciò accade. Gli sposini, emozionati e con la soggezione tipica del contesto, entrano nell’ovattata sala della filiale BNL e vi trovano il già conosciuto signor Colazzo, il Notaio Andrea Tavassi ed il funzionario delegato della stessa banca, pronti per assolvere a tutte le formalità del caso.
Da ora in poi, però, attenzione a ciò che accade! Il Notaio legge il contratto di mutuo (che nel frattempo era divenuto di 90 mila euro per spese varie), ma stranamente non il contratto di compravendita dell’immobile e, siccome i nostri protagonisti sono in regime di separazione dei beni, comincia per entrambi l’interminabile sequela di firme su fogli di tutti i tipi. Fra tutte queste firme, al solo ragazzo viene fatto però anche firmare un assegno già compilato di 36mila euro. Qualcuno di voi, in quel contesto, assolutamente ignorante in materia, fra professionisti di tale levatura e dopo che uno di essi si è dimostrato così disponibile per realizzare il vostro sogno, avrebbe mai avanzato qualche perplessità? Loro NO.
Passano 7 anni, la crisi generale è diventata sempre più impietosa, il nostro ragazzo perde anche il lavoro fisso e si arrangia come può; il piccolo negozio non basta per far campare l’intera famiglia. Che tristezza, non c’è altra soluzione: bisogna vender casa; si risparmiano le 600€ della rata del mutuo e magari si prende un po’ di liquidità che serve come l’ossigeno. Questa volta i nostri ragazzi, che nel frattempo sono diventati genitori di una bellissima bimba, si rivolgono ad un’altra agenzia immobiliare che, come prima cosa, chiede loro i documenti dell’abitazione che però, stranamente, non erano stati mai acquisiti da quel giorno del rogito nell’ufficio ovattato. Chiedono tali documenti alla banca (contratto di mutuo e soprattutto perizia tecnica di stima) ma senza riuscirci, fino ad esser costretti a chiederli addirittura con una lettera di un avvocato. A questo punto la banca li concede ma, appena consegnati all’immobiliarista, già da una rapida e sommaria lettura delle carte, appare evidente che ci sono delle grosse incongruenze fra mutuo e atto di acquisto dell’immobile. Risulta infatti che in data 27 novembre 2006 (e quindi 17 giorni prima dell’appuntamento in banca) i nostri ragazzi abbiano acquistato, alla presenza dello stesso Notaio Tavassi (oltretutto in un giorno in cui la nostra amica era ricoverata in ospedale per una gravidanza a rischio) un immobile “uso deposito” di 58 mq, pagandolo interamente con un assegno di conto corrente di 36mila euro (proprio quello “stranamente” firmato il 14 dicembre). A questo punto i malcapitati vogliono capirne di più e danno mandato ad un consulente tecnico di accertare cosa diavolo sia in realtà accaduto e soprattutto di appurare le condizioni urbanistiche dell’immobile. Al termine del proprio lavoro di verifica, il perito trova solo una copia di planimetria catastale senza indicazione di protocollo e di data di presentazione e una variazione di destinazione d’uso da deposito ad abitazione che ha data 7 dicembre (quindi 7 giorni prima della firma del rogito e 10 giorni dopo lo pseudo acquisto del deposito). Null’altro! Non c’è alcuna documentazione amministrativa né è mai stata presentata pratica di condono. Ciò che formalmente quindi esiste è solo una misera lavanderia di 25 mq. Avete capito bene: i nostri amici, sono solo proprietari di un box e di una lavanderia di 5m x 5m ed inoltre, al prezzo di 90mila euro, hanno acquistato ed occupano una casa totalmente abusiva che ha quindi un valore di mercato pari a zero. Fin qui i fatti, che come detto sono compresi in una denuncia alla Guardia di Finanza ed in un esposto al tribunale civile di Lecce. Non siamo dei giudici e non spetta a noi stabilire la verità ma abbiamo il diritto di ragionare e di porci delle domande. Perché il nostro amico avrebbe dovuto acquistare un locale uso deposito, pagarlo con 36mila euro, e poi chiedere anche un mutuo di 90mila per lo stesso motivo? Come può l’Ing. Vincenzo Ozza, perito incaricato dalla BNL, dichiarare l’immobile “regolare e conforme sotto il profilo delle prescrizioni normative ed urbanistiche” e valutarlo addirittura 120mila euro? Come può il notaio Tavassi formalizzare la vendita di un deposito da 58mq pagato con il famoso assegno e poi, 17 giorni dopo, formalizzare l’accensione di un mutuo da 90mila euro per acquistare presumibilmente lo stesso immobile?
E inoltre: la banca si difende asserendo che il mutuo concesso è stato acceso dopo l’acquisto del cosiddetto deposito e che quindi nulla ha a che vedere con l’immobile di cui stiamo parlando, anche perché i soldi sono stati versati sul conto corrente e non direttamente all’agenzia immobiliare come invece sarebbe stato giusto fare. Noi tutti sappiamo quante garanzie chiedono le banche prima di prestare anche solo mille euro: dando anche per vero che i nostri ragazzi abbiano deciso di comprare un deposito invece di una casa e di averlo quindi pagato con quell’assegno, quante banche, secondo voi, sarebbero disposte a concedere un mutuo fondiario di 90mila euro senza, a questo punto, alcuna garanzia? Come detto non sta a noi stabilire la verità e ripetiamo che qualora chiunque dei nominati volesse, potrà replicare e dire la propria sulla vicenda; chi scrive penso solo a quei ragazzi che hanno ora una bella famiglia ma che, ogni volta che entrano dentro casa, vivono quella bruttissima sensazione di aver fatto sacrifici per essere proprietari di nulla (perché una casa abusiva vale nulla) e soprattutto con l’angoscia che un giorno la giustizia possa fare il proprio inesorabile corso solo nei loro confronti ed abbattere quella loro casetta che, a tutti gli effetti, è abusiva.
Antonio Memmi
Attualità
Nonna Rosa spegne 100 candeline
Emozione e festa alla Residenza per anziani “Don Tonino Bello 3” di Miggiano per la centenaria tricasina Rosa Coluccia
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Una festa tra sorrisi, abbracci e commozione ha segnato ieri il 100° compleanno di Rosa Coluccia (nata il 7 novembre 1924), di Tricase, ospite della Residenza per anziani “Don Tonino Bello 3” di Miggiano.
In un’atmosfera calorosa, con palloncini, torta e decorazioni a festeggiare questo traguardo straordinario, Rosa ha vissuto il suo giorno speciale circondata dall’affetto dei familiari, degli altri ospiti e del personale della struttura.
«Abbiamo la fortuna di condividere la quotidianità con persone come lei, che ci insegnano il valore di ogni momento e l’importanza degli affetti», ha sottolineato il dott. Marcello Falco, responsabile sanitario della residenza, «Rosa è la seconda centenaria che festeggiamo qui alla “Don Tonino Bello 3”, e celebrare insieme a lei questo traguardo ci riempie di gioia. È una conferma dell’impegno della struttura nell’offrire non solo assistenza, ma anche un ambiente in cui ogni ospite possa sentirsi accolto e apprezzato».
Attualità
Dipendenza da smartphone, cosa fare
Una serie di professionisti in prima linea coi club Rotary Tricase – Capo di Leuca, Nardò e Galatina, Maglie e Terre d’Otranto per supportare la protezione della salute dei più giovani
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Riunire le competenze per sensibilizzare su un tema delicato e di grande attualità.
Il Rotary Club Tricase – Capo di Leuca, con i Club Nardò Galatina, Maglie e Terre d’Otranto, insieme per informare, famiglie e neogenitori, sulla dipendenza da smartphone, e fornire strumenti utili per proteggere la salute dei propri figli.
Un progetto realizzato in collaborazione con ASL Lecce e SIMPE, e che ha visto la partecipazione di diversi professionisti: Luigia Morciano (pediatra e genetista – responsabile Malattie Rare), Maria Rosaria Filograna (presidente SIMPE Puglia e pediatra Asl Lecce), Maria Rita De Donno (insegnante di scuola primaria), Domenico Fabio Cuzzola (direttore ff UOC SerD Asl Lecce), Salvatore Della Bona (direttore Dipartimento Dipendenze Patologiche Asl Lecce) ed Angelo Massagli (neuropsichiatra infantile).
Si parte da un interrogativo: quello schermo dello smartphone che dovrebbe connetterci maggiormente al mondo esterno, talvolta, ci distacca da esso, cosa succede allora quando questa connessione diventa una dipendenza? Quando il bisogno di scrollare, swipeare e digitare diventa più forte del desiderio di godere del presente?
CONSAPEVOLEZZA
Si parte dall’educare alla consapevolezza e all’autodisciplina per spezzare il circolo vizioso che ci induce a controllare compulsivamente il nostro dispositivo, ma anche per acquisire le competenze per riconoscere nei nostri ragazzi i primi segni di dipendenza: nervosismo per mancato controllo delle notifiche, necessità di tenere lo smartphone sempre vicino, trascorrere molte ore al giorno davanti allo schermo.
Al tempo stesso la dipendenza da smartphone può nascondere disturbi d’ansia o depressione.
L’educazione digitale è l’obiettivo del progetto che si rivolge attraverso gli adulti ai bambini, i quali devono ancora strutturare la propria individualità e la propria personalità, per cui possono andare incontro a fenomeni sempre più frequenti: dispercezione di sé, isolamento sociale, cambiamenti comportamentali (ansia – irritabilità – aggressività – propensione a mentire), disinteresse per lo studio, dipendenza dal gioco online.
PLASTICITÀ CEREBRALE
L’infanzia e l’adolescenza sono momenti particolarmente delicati, perché sono periodi di crescita del cervello, epoche in cui esso è molto modificabile per via della cosiddetta plasticità cerebrale.
L’esposizione in questa fase di crescita a fattori traumatici e tossici può quindi alterarne lo sviluppo cognitivo.
Uno studio pilota ha evidenziato che: il 26% dei genitori permette ai figli di utilizzare i device in autonomia tra 0 e 2 anni, il 62% per la fascia 3-5 anni, 1’82% nella fascia 6-10 anni, il 95% tra gli 11-15 anni.
Una recente puntualizzazione del Bambino Gesù di Roma sottolinea che la sovraesposizione alla tecnologia al di sotto dei 12 anni può causare gravi conseguenze per lo sviluppo del bambino.
I rischi diminuiscono significativamente al di sopra dei 12 anni.
SOCIAL E RISCHI
Attenzione però, questo non significa che giunti a quell’età non si debbano temere pericoli e si possa smettere di riporre attenzione nell’utilizzo dei dispositivi.
Gli strumenti elettronici sono anche un mezzo per accedere ai social, il che comporta per il bambino e l’adolescente dei pericoli che vanno dal cyberbullismo all’emulazione di comportamenti pericolosi per la vita.
Vi sono inoltre dei siti accessibili, senza controllo, a bambini e adolescenti che incitano ai cosiddetti challenge.
Si tratta di sfide pericolose, lanciate e rese virali dal sito, in cui la persona che vi aderisce è chiamata ad agire in modo estremo, mettendo anche a repentaglio la propria vita il tutto registrato da un video, non tanto per sfidare i propri limiti, quanto per ottenere like, consensi e followers.
Tornando invece ai disturbi, che possono interessare trasversalmente per età e provenire dall’eccessivo utilizzo dello smart phone, vi sono anche: disturbi visivi; cefalea e disturbi muscolo-scheletrici; disturbi dermatologici; sedentarietà; aumento della pressione sanguigna e del ritmo cardiaco alla separazione dallo smartphone; potenziali danni alla corteccia cerebrale; rischi (al momento ancora in fase di studio) di correlazione con tumori a cervello, orecchi e ghiandole salivari; danni alla fertilità.
COME COMPORTARSI
L’uso di questi dispositivi va regolato in base all’età e accompagnato da adulti di riferimento, per le scelte dei contenuti e il tempo di esposizione agli schermi.
Vigilanza attiva e attenta da parte dei genitori sull’utilizzo che i figli fanno dei social, mediante un dialogo costruttivo che li metta al corrente dei rischi, facendo un uso improprio di questi mezzi e senza il rispetto della privacy.
Si possono mettere in atto strumenti come Parental control, account privato, gestione contenuti, controllo orario.
Soprattutto offrire loro valide alternative per trascorrere del tempo in maniera costrutti
va ed in contatto con la realtà: gioco interattivo, sport, frequentazioni di persona e non virtuali, musica ecc. Fondamentale è non privare i nostri ragazzi delle interazioni dirette, a partire da quelle con i genitori per arrivare a quelle coi coetanei.
Importantissimo, ancora, è invitarli a parlare se c’è un problema, con i genitori, gli insegnanti, i pediatri, gli amici o, se occorre, rivolgersi alle forze dell’ordine.
IL BUON ESEMPIO PAGA SEMPRE
Come affermava lo scrittore James Baldwin, “i bambini non sono mai stati molto bravi nell’ascoltare gli adulti, ma non hanno mai mancato di imitarli”.
Attualità
Industria: Tavolo Permanente Interconfederale
Costituito da Confindustria Lecce e CGIL, CISL e UIL Lecce presso la Provincia di Lecce. Gli ambiti di intervento: sviluppo industriale, politiche del lavoro, superamento crisi settoriali, salute e sicurezza luoghi di lavoro, promozione parità di genere, formazione continua e valorizzazione giovani talenti
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Confindustria Lecce e le sigle sindacali CGIL, CISL e UIL di Lecce hanno firmato un protocollo d’intesa per la costituzione del Tavolo Permanente Interconfederale per il settore Industria, che avrà sede presso la Provincia di Lecce.
L’obiettivo è quello di promuovere la collaborazione attiva tra le parti sociali, con lo scopo di affrontare le principali sfide economiche e industriali del territorio, in linea con i principi dell’Accordo nazionale del 28 febbraio 2018 che mira all’ammodernamento delle relazioni industriali, con un focus sui processi di trasformazione e digitalizzazione del sistema produttivo, promuovendo, contestualmente, lo sviluppo economico e sociale.
Il Tavolo Permanente si concentrerà su diversi ambiti di intervento, tra cui lo sviluppo industriale, le politiche del lavoro, il superamento delle crisi settoriali, la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la promozione della parità di genere, la formazione continua e la valorizzazione dei giovani talenti.
Il Protocollo prevede un impegno congiunto delle parti per la creazione di politiche innovative e sostenibili che possano garantire la crescita economica della provincia e il benessere dei lavoratori e delle imprese.
Il presidente della Provincia Stefano Minerva in apertura ha sottolineato come la Provincia di Lecce sia «convintamente accanto alle organizzazioni sindacali e a Confindustria Lecce, che siglano oggi questo importante Protocollo d’intesa. Ci assumiamo la responsabilità di sostenere le parti in questa sfida e ci sentiamo impegnati e pienamente ingaggiati nell’appoggiarle attivamente. A partire dal fatto che il Tavolo permanente interconfederale avrà sede proprio presso l’Amministrazione provinciale. Questa scelta è significativa, perché va a sottolineare il valore dell’iniziativa: viviamo in un territorio che ha visto i nostri nonni e le nostre nonne combattere nei campi e nelle fabbriche per ottenere i diritti, oggi siamo orgogliosi di sostenere le parti sociali e Confindustria che, per la prima volta, si mettono insieme per rilanciare e per vincere le sfide più stimolanti e urgenti dei nostri giorni. Per la prima volta non solo ci si occupa di governare insieme le crisi, ma anche di rilanciare il confronto e l’azione sui temi più attuali: il lavoro inclusivo e sostenibile, il contrasto alla violenza di genere e la promozione della parità, lo sviluppo industriale, la sicurezza sul lavoro. Ed ancora di sostenere azioni che vadano nella direzione di una formazione che sposa le esigenze del mercato del lavoro, del welfare, del sostegno e dell’investimento sui giovani talenti e sul contrasto alla fuga dei cervelli, per evitare che i nostri ragazzi vivano soddisfazioni lontani dalla loro terra».
Nel suo intervento, Valentino Nicolì, presidente di Confindustria Lecce, ha affermato che «il Protocollo rappresenta un passo fondamentale per la crescita e lo sviluppo del territorio: la collaborazione tra Confindustria Lecce e i sindacati mira, infatti, a rafforzare il tessuto economico e produttivo, attraverso azioni sinergiche presenti e future volte sia ad incrementare l’attrattività degli investimenti nella provincia di Lecce sia ad accrescere la competitività delle imprese. Solo attraverso un sistema integrato e collaborativo, difatti, è possibile alimentare un ecosistema proattivo e competitivo che dia sempre più forza al nostro territorio e alle sue aziende. Siamo fermamente convinti, come recita il denominatore comune delle nostre attività “Insieme per fare l’impresa’, che solo unendo le energie sarà possibile affrontare le sfide della trasformazione digitale e industriale in modo efficace e sostenibile, alla luce soprattutto delle attuali dinamiche economiche e sociali. Il Tavolo Permanente che abbiamo istituito presso la Provincia di Lecce sarà lo strumento attraverso cui promuovere soluzioni condivise e concrete».
Anche i rappresentanti sindacali hanno espresso la loro soddisfazione per l’accordo, evidenziando l’importanza della cooperazione per il miglioramento delle condizioni lavorative e per il rilancio del sistema industriale locale.
«Il mondo del lavoro sta affrontando, anche in provincia di Lecce, una profonda trasformazione generata principalmente dalle transizioni energetica e digitale, i cui effetti stanno incidendo anche sul sistema produttivo», hanno sottolineato Tommaso Moscara (Segretario generale della Cgil Lecce), Ada Chirizzi (Segretaria generale della Cisl Lecce) e Mauro Fioretti (Coordinatore provinciale della Uil Lecce), «in un territorio come quello salentino, sempre più caratterizzato da un inverno demografico, da una sempre più diffusa povertà, che non risparmia l’universo del lavoro, da bassi salari derivanti anche dal ricorso ai deleteri contratti pirata, un maggiore raccordo tra lavoro e produzione può fare la differenza. Il protocollo fissa nel metodo e nei contenuti le priorità da perseguire congiuntamente al fine di salvaguardare il lavoro che c’è e generarne di nuovo. Leve strategiche per il perseguimento di tali obiettivi sono la contrattazione di secondo livello e le politiche attive del lavoro, a partire da una formazione qualificata e funzionale al raggiungimento anche di quelle soft skills utili ad affrontare un mercato del lavoro in costante evoluzione. Un universo oggi dominato dall’algoritmica che deve, invece, essere positivamente indirizzata dai principi dell’algoretica. Il tavolo permanente interconfederale garantisce inoltre un’adeguata rappresentanza degli interessi di imprenditori e lavoratori, valorizzandone il protagonismo in merito allo sviluppo del territorio e dei processi produttivi e riconfermando il valore dei Contratti Collettivi Nazionali sottoscritti da CGIL, GIL CISL UIL e relative tutele salariali e accessorie».
Il Tavolo Permanente Interconfederale sarà convocato periodicamente e avrà il compito di monitorare l’attuazione del Protocollo, analizzare eventuali criticità e promuovere politiche di sviluppo che possano valorizzare le risorse umane e industriali, in un’ottica di inclusione e sostenibilità e della competitività territoriale.
L’accordo avrà una durata di quattro anni, con possibilità di rinnovo al termine del periodo.
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