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Ciolo: disposta perizia sulla roccia pericolante

Il sindaco di Gagliano non si sbilancia, resta il mistero su tempi e modalità di riapertura della litoranea

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Col sole che torna a scaldare le nostre coste, torna anche a bruciare, cocente, la ferita della litoranea di Gagliano interdetta al traffico dal dicembre 2014.


ciolo smottamento falesia caduta massiCon l’arrivo dell’estate finalmente qualcosa si è mosso. Non di certo quel blocco di pietra in località Ciolo, per cui ben 7 km di provinciale sono stati chiusi per rischio “smottamento falesia”. Si muove, forse, la macchina burocratica su cui ricadono le responsabilità dell’impasse degli scorsi 18 mesi. Forse, perché al netto di quanto avvenuto finora, è più che lecito riservarsi il beneficio del dubbio.


In tutto questo arco di tempo, in cui in più occasioni ci siamo occupati della questione (l’ultima all’ombra dell’Epifania nel primo numero del 2016), non è stata presa alcuna decisione a riguardo. Nemmeno quella di ripristinare i segnali di divieto per chi proviene da nord, divelti da ignoti lo scorso settembre (ben 300 giorni fa), per dare quantomeno un senso a quelli che ancora campeggiano a sud, seppur da molti ignorati.


La roccia pericolante

La roccia pericolante


La situazione ad oggi è paradossale: l’accesso è negato solo da un lato mentre dall’altro, quello più vicino alla zona a rischio, è aperto e privo di qualsivoglia segnalazione di pericolo.


Accantonando la più volte sottolineata figuraccia agli occhi delle migliaia di turisti che, per dirne una, passano accanto a quelle transenne per raggiungere il Santuario di Leuca, non ci si chiede più se è lecito o non è lecito passare, ma se il pericolo c’è o non c’è. Lo stabiliranno, finalmente, nei prossimi giorni, dei tecnici esperti in materia. È quanto deciso nelle due ore di riunione dello scorso venerdì 17 dal Tavolo cui si sono seduti Autorità di bacino, Regione Puglia, Protezione Civile, Comandi provinciali di carabinieri, guardia di finanza, capitaneria di porto, Prefetto e sindaco di Gagliano. Proprio al primo cittadino, Carlo Nesca, ci siamo rivolti per ulteriori chiarimenti


Il sindaco non si sbilancia: “Attendiamo la perizia


È stata presa una decisione condivisa, o non si rema tutti nella stessa direzione?


Abbiamo deciso in maniera unanime, con tutte le parti al Tavolo, di dare incarico ad una ditta specializzata per un tempestivo monitoraggio tecnico su tutta la parete rocciosa, sul quale basare poi ogni decisione futura sul da farsi.


Un’altra estate è iniziata, molti turisti son arrivati e ripartiti: quando verrà effettuato il monitoraggio?


Il sindaco Carlo Nesca

Il sindaco Carlo Nesca


Nei tempi più ristretti possibile. Siamo finalmente all’epilogo di un lungo e faticoso percorso iniziato informalmente già dall’agosto scorso, poi continuato con diversi incontri col Prefetto, molto sensibile a queste tematiche e aperto al dialogo. È chiaro che l’interesse condiviso di tutte le parti coinvolte è ovviamente quello di sbloccare la situazione garantendo una fruibilità controllata e monitorata della zona, con un idoneo piano di protezione civile e prevedendo tutti i possibili risvolti che ci possono essere.


Se la perizia non dovesse dare garanzie sulla stabilità della roccia, cosa accadrebbe?

Al momento non è possibile prevederlo perché sarebbe poi necessario discutere con le autorità e le funzioni tecniche preposte i risultati stessi della perizia stessa e agire di conseguenza”.


Si è quantomeno d’accordo su una riapertura immediata della litoranea nel caso di indicazioni confortanti dagli esperti?


In un modo o nell’altro i dati che ci verranno forniti provocheranno una azione dello stesso Tavolo già riunitosi nei giorni scorsi. In primis della Provincia che fatte le sue valutazioni, immagino,  non avrebbe problemi a riaprire il tratto di strada se il rischio dovesse esser definito nullo. Quale che sia il responso dei tecnici è comunque ovvio che verranno intraprese le più idonee contromisure, anche qualora il quadro dovesse essere preoccupante. Mi preme però sottolineare ancora l’assoluta convergenza di tutte le parti responsabili ed il comune impegno a trovare una valida soluzione e via d’uscita: non può assolutamente rimanere tutto così”.


 


Meglio tardi che mai?


I divieti divelti a nord, in foto di un anno fa

I divieti divelti a nord, in foto di un anno fa


Il modus operandi scelto in questi giorni, tanto scontato quanto tardivo, poteva senz’altro essere anticipato. Tra le altre cose, era stato proposto più volte in passato, seppur in forma meno tecnica, dagli “Operatori del Capo di Leuca” che, osservando gli scalatori che arrivano da tutta Italia per arrampicarsi sulle rocce del Ciolo senza paura di vederle franare, avevano presentato alle autorità competenti la possibilità di chiedere un parere a chi, appunto, di falesia se ne intende.


Va da sé che, come non lo è stata la coscienza popolare, che da generazioni ricorda quel masso fermo nella stessa posizione, allo stesso modo non può esser garante un parere profano, come già il sindaco di Gagliano, un anno fa (a pochi giorni dal suo insediamento) ci aveva spiegato: “Voglio certezze dagli esperti prima di procedere. L’Ufficio Tecnico sta lavorando a pieno regime”.


Affermazioni in proposito di un progetto per la messa in sicurezza di quella roccia che, effettivamente, c’era ed era stato finanziato con mezzo milione di euro. L’attuale amministrazione l’aveva però ereditato da quella precedente, già finita in brutte acque per un ulteriore progetto milionario sulla zona, bloccato a lavori in corso dalla Procura, per deturpamento di bellezze naturali. Ecco allora che ciò che ne è seguito sono stati mesi di impasse in cui si è andati avanti con piedi fin troppo di piombo.


Anche il presidente della Provincia, tra l’altro, non si era discostato di tanto dalle dichiarazioni del sindaco Nesca, al quale però aveva detto no ad una proposta di viabilità alternativa per ammortizzare il problema. Sulle nostre colonne, Antonio Gabellone, la scorsa estate aveva ricordato di aver “ricevuto una segnalazione di pericolo dalla Protezione Civile, da cui è scaturita la decisione di chiudere la strada”. Aggiungendoci un monitorio: “Cosa avreste detto se non lo avessimo fatto e fosse successa una disgrazia?”.


Tutte dichiarazioni sacrosante e inappuntabili, ma solo al netto delle centinaia di giorni trascorsi sterilmente. Se a gennaio infatti avevamo sperato di condividere la nostra definizione di “breve termine” con quella delle autorità competenti sulla zona, oggi, nell’attesa di ulteriori sviluppi, non possiamo che esser sfiduciati. A metà tra la voglia di credere che qualcosa “pur si muove” ed un più disilluso pragmatismo.


Lorenzo Zito


Approfondimenti

Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte

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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.

I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.

Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.

La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.

Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».

Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».

PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI

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Muretti a Secco e Pajare

Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre

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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)

Dario ha fatto della sua passione un lavoro.

Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».

Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».

Qual è in particolare il tuo lavoro?

«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».

In particolare, a cosa ti riferisci?

«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».

Il cemento non lo utilizzi affatto?

«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».

Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?

«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».

E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?

«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».

Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»

Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:

«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».

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Volte a Stella

Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta

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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.

Da quanti anni fa questo mestiere?

«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni.  Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».

È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?

«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».

Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?

«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».

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