Approfondimenti
Leuca: quel pugno nell’occhio!
Colonia Scarciglia, un rudere di lamiere incastonato nel Tacco. Il sindaco Rosafio: “Provincia e Demanio decidano in fretta”
Appena sopra la grotta Cazzafri, che si apre sulla punta Meliso, sopra il promontorio: bagni chimici, travi arrugginite, cemento a vista e uno stabile… non molto stabile. Adocchiandola in lontananza, Colonia Scarciglia è uno sfregio ai piedi del faro leucano, ma a vederla da vicino diventa una ferita ancora sanguinante.
Un rudere abbandonato da anni, un pugno in un occhio alla bellezza del tacco italico. La storia racconta che è “sorta il 5 gennaio 1922, inizialmente aveva lo scopo di aiutare le persone colpite dalla tubercolosi (malattia che mieteva numerose vittime), accudite dalle Suore Salentine dei Sacri Cuori”.
Il sindaco di Castrignano del Capo, Anna Maria Rosafio, ricorda “che tra il ‘43 e il ‘46 fu destinata all’accoglienza dei profughi che venivano dai campi di concentramento e sostavano lì anche per uno due anni prima di essere rimandati nei loro Paesi d’origine. Queste persone che rimanevano a Leuca intrattenevano relazioni con i paesani e, proprio in questo periodo, si è manifestata maggiormente la vocazione all’accoglienza da parte dei leucani. Si raccontano degli episodi, delle storie molto belle, anzi si stanno facendo degli studi per recuperare e pubblicare questi racconti. In questi ultimi anni c’è stato un ritorno di molte delle persone accolte in quel periodo, che provengono da Israele e vengono qui, nel Comune di Castrignano, a cercare il loro certificato di nascita, a cercare le loro origini”.
Successivamente, negli anni c’è stata una gara d’appalto per cercare di costruire un albergo di lusso, gara poi fallita; il posto ora non è altro che un rudere in decomposizione. Cosa pensate di fare voi e che cosa chiedete che venga fatto? “Se si dovesse ricostruire ora o fare ex novo una struttura del genere su quel promontorio, nessuno mai darebbe il permesso perché è una zona vincolata sotto ogni punto di vista. È comunque una struttura che già esiste e noi che apparteniamo a questo territorio abbiamo convissuto con essa, per cui non disturba, non dispiace; anzi, sarebbe più innaturale vedere il promontorio vuoto. Vorremmo, però, che questa costruzione prendesse vita, fosse compatibilmente sempre col territorio, ricostruita in qualche modo, perché così com’è è un pugno in un occhio. Chi viene da fuori è immediatamente scosso dal contrasto stridente tra la bellezza del posto e tutta quella ruggine. Da quando mi sono insediata, con la Giunta, abbiamo cercato in tutti i modi di risolvere la questione, parlando soprattutto con la Provincia, perché c’era, e c’è ancora, un contenzioso sulla proprietà tra Provincia e Demanio. Nel ’99 la Provincia aveva acquistato l’immobile per metà del prezzo stabilito dall’Ufficio Tecnico Erariale; bandì una gara per assegnare il restauro e la gestione dell’immobile stesso. La gara fu vinta da Apuliae Spa, società partecipata da Roberto Colaninno, che intendeva trasformare la colonia Scarciglia in un albergo di lusso”.
Il sindaco Rosafio non è contrario a questa soluzione; infatti dice: “Nel 2012, con una delibera del Consiglio comunale abbiamo espresso l’interesse a trasformare la colonia in un luogo di attività ricettiva, destinata al turismo e quant’altro. Ma, purtroppo, fu proprio questa questione che, in qualche modo, complicò le cose: i ricorrenti (per questo la gara non ebbe buon fine) motivarono il ricorso dicendo che la colonia era stata acquistata per essere destinata ad attività nautiche. La cosa fu un po’ complicata. Alla fine la proprietà è stata trasferita al Demanio, ma sembra che la “faccenda” sia in dirittura d’arrivo: la Provincia e il Demanio si sono attivati per risolvere la questione, però la prima deve dare ancora 400mila euro al secondo per entrare in possesso del bene… Dall’inizio della consiliatura ho continuato ad insistere con il Presidente della Provincia perché si concludesse questa storia, proprio perché vogliamo si risolva nel modo migliore e nel più breve tempo possibile”.
Paola Tarantino
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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Approfondimenti
Volte a Stella
Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta
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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.
Da quanti anni fa questo mestiere?
«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni. Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».
È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?
«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».
Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?
«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».
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