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Attualità

Da Marittima, figure senza tempo

Storie che resistono allo scorrere di almanacchi e lustri, si confermano alla stregua di fonte inesauribile di piccole storie di vita e di costume – compresi i relativi personaggi – intrecciatesi e succedutesi, in tempi lontani, entro i confini del nostro paesello

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di Rocco Boccadamo 


La mia amica marittimese A., la quale, già in passato, mi ha gentilmente fatto dono dello spunto ispiratore per una narrazione, dedicatale e poi raccolta in un volume che ne ha ripreso il titolo, dimostrando in certo qual modo di resistere allo scorrere di almanacchi e lustri, si conferma alla stregua di fonte inesauribile di piccole storie di vita e di costume – compresi i relativi personaggi – intrecciatesi e succedutesi, in tempi lontani, entro i confini del nostro paesello.


Vicende e azioni comportamentali che non sono scivolate, progressivamente, lungo i solchi dell’oblio e dell’indifferenza, ma hanno, al contrario, lasciato tracce e segni.


A., sin da ragazzina e da giovinetta, si distingueva e, comunque, non passava inosservata, in seno alla comunità paesana; ciò, per un insieme di ragioni, vale a dire la sommatoria fra la sua prestanza fisica e il suo carattere estroverso, gioviale e allegro.


Di carnagione color bruno intenso, alta, formosa, grandi occhi scuri e lunghi capelli neri, intorno ai diciassette anni ebbe il suo primo fidanzato (zitu, in dialetto), un giovanotto di Spongano.


Per il genetliaco, questi pensò di regalare, alla sua amata, un vestito, da intendersi non come abito già pronto da indossare, bensì come spezzone, taglio, di un tessuto adatto.


Al che, A., particolarmente su di giri per l’inaspettato e gradito dono, non volle perdere tempo e si recò, lesta, nella vicina abitazione di alcune sue amiche. Le medesime facevano parte di un nucleo famigliare considerevole, anche se non eccezionale per gli anni trenta/quaranta, comprendente, oltre ai genitori, ben otto figli, di cui sei femmine e due maschi.


Particolare degno di rilievo è che le ragazze – Ass., S., Ann., M., Ant. e T., i loro nomi di battesimo -, per lo meno le più grandi, avevano imparato un mestiere: una era sarta, un’altra magliaia e un’altra parrucchiera. A quell’indirizzo, quindi, A. avrebbe potuto farsi sia consigliare, sia materialmente cucire l’abito ricevuto dal fidanzato.


Sennonché, le anzidette amiche, dopo aver discusso del progetto sartoriale, strinsero in mezzo, circondandola letteralmente, la povera A. e, con la motivazione che la bellezza del suo, confezionando, vestito ne sarebbe uscita ulteriormente valorizzata, la convinsero a sottoporsi a un trattamento speciale dei capelli, la permanente, un’assoluta novità nel paese.


Detto fatto, pinze metalliche manovrate dalle abili mani di S. addentarono diffusamente la lunga, liscia e ondulata chioma di A., dopo di che seguì una sosta prolungata con il capo sotto un coperchio tondeggiante (casco) mai visto prima e, l’operazione, si compì.


Da un rapido sguardo nello specchio, l’acconciatura venuta fuori, pur stravolta in una foresta d’inediti ricci, non dovette dispiacere ad A., che, accommiatatasi dalle amiche, fece ritorno a casa.


Lì, purtroppo, accolta di botto da un accorato: «Figlia mia, come diavolo ti sei conciata?», per voce della madre e, ancora peggio, una volta questi rientrato, da una severa reprimenda, non solo verbale, per opera del padre, capo assoluto vecchio stampo, se non addirittura padrone, della famiglia, dal carattere impulsivo e irruento, che esigeva che tutti i membri del nucleo chiedessero il suo preventivo assenso avanti di compiere qualsiasi azione o passo.


L’uomo ebbe a prorompere, urlando, in una serie di: «Disgraziata, che hai fatto, ti sei ridotta a nu pecuru rizzu» (un agnellino con la sua lanuggine arricciata).


Ebbe paura, A., di fronte a quella violenta reazione, tanto che, nelle more che le acque si calmassero, preferì scappare fuori e andare a chiedere momentanea accoglienza e rifugio a una vicina di casa, la quale, per fortuna, la trattenne di buon grado e amorevolmente presso di sé, anche per dormire.


Tuttavia, A., a parte l’iniziale sgomento per lo sbotto del severo padre, non si ricredette riguardo alla nuova foggia dei suoi capelli, se li tenne così, ricci, convinta di star bene nel cambiamento, in ogni caso senza aver posto in atto niente di sconveniente. In breve, trovò l’occasione, riservatamente, per un ritratto dal fotografo, che consegnò al fidanzato per ricambiare il suo regalo del vestito; inoltre, nel volgere di poco tempo, riuscì a prendersi la rivincita nei confronti dello stesso genitore, il quale, non soltanto finì col perdonare e accettare il cambiamento a “pecuru rizzu” cui A. si era sottoposta, ma si prestò, finanche, ad accompagnare, con la sua bicicletta, la figlia, sistemata alla meglio sulla canna o sul sedile porta oggetti posteriore del velocipede, a Poggiardo, per periodici passaggi dal parrucchiere e la ripresa della permanente.

In seguito, invero, maturarono nuove situazioni, apparentemente e pure sostanzialmente del tutto normali, in cui la cara A. si trovò a incappare sotto pesanti rilievi e/o secche inibizioni e diffide, provenienti, sistematicamente, dal padre.


Ad esempio, si scatenò il putiferio quella volta in cui la giovane, poco meno che ventenne, trovandosi temporaneamente emigrata insieme con la famiglia a Nova Siri, nel Materano, per la coltivazione del tabacco e altre attività agricole, in una giornata di grande calura e sudore, costretta, a un certo punto, a cambiarsi la veste che si attaccava sul corpo, decise d’indossare una sottana di color rosa, confezionatale dalla madre, a giro maniche, fresca, adatta proprio all’estate. Scorgendo la figlia mentre si dirigeva a riunirsi ai compagni di lavoro in tale tenuta (da notare che, all’epoca, le donne contadine, specialmente le giovani, non mettevano il reggiseno), il padre la bloccò in malo modo, dicendogliene di tutti colori, e ancora di più.


***


Vi era un’altra famiglia, a Marittima, pure in questo caso formata da sei o sette figlie di sesso femminile e da due maschi. La minore delle donne, di nome M., fisicamente di bella presenza, incline a mettersi in mostra, da essere considerata amica un po’ di tutti i compaesani, a un certo punto, si era messa a frequentare un “signorino” del posto, a voler dire uno scapolo di ceto abbiente, dal nome di battesimo R., preceduto, ovviamente, da tanto di “don”.


La circostanza era gradualmente divenuta di dominio pubblico in seno alla minuscola comunità. Sulla scia di tale relazione, M. venne a trovarsi in dolce attesa e diede alla luce una creatura. Di primo acchito, ci fu in giro qualche moto di scompiglio, ma poi, l’evento, anche se non insignificante, andò a evolversi per suo conto, semmai in clima di riservatezza e con qualche mistero circa l’epilogo.


Il fatto di cronaca, se si vuole sul fronte del costume, non sfuggì, però, alla vulgata spicciola da parte dei paesani, trasformandosi in estro per le strofette di una canzoncina che le donne, specialmente, si mettevano a intonare durante la raccolta, in gruppo, delle olive: “M. e don R. “hannu fattu na criatureddra (hanno generato una creatura). “M., poi, l’ha misa ‘ntra na spurteddra (M., poi, l’ha sistemata in una piccola sporta) “e l’ha ‘infilata a l’ucculeddra (e l’ha infilata alla maniglia – sottinteso, del portone di don R.).


***


Altra storia di vita, intorno alla metà del secolo scorso, due giovani ziti (fidanzati) marittimesi, V. e Ch., fecero notizia, per modo di dire, tenendo anche conto della mentalità dell’epoca, non per un caso di fuitina pro matrimonio (ogni tanto, ne capitavano), ma per la circostanza dell’intervenuta gravidanza della donna prima delle nozze. Niente di particolare, in fondo, solo un’accelerazione dei tempi rispetto al passo ufficiale, volto a mettere su famiglia, che la coppia era comunque intenzionata a compiere, come poi celermente avvenuto.


Nacque, dunque, il primogenito L., nome di battesimo rigorosamente basato su quello del padre dello sposo e, dopo, anche una figlia, M.


Giunto, a sua volta, in età adulta, il predetto L. si sposò ed ebbe un figlio, chiamato come il nonno paterno, in altre parole V. Corso delle cose che si ripete e si rinnova, sia L., sia l’ultimo V., per avere un lavoro stabile e duraturo, contrariamente alla loro volontà, hanno entrambi dovuto lasciare il paese natio e trasferirsi nel Nord dell’Italia.


Ciò, rimanendo molto legati a Marittima, ai luoghi, ai parenti, agli amici, in particolar modo V. Il suo ultimo ritorno è avvenuto agli inizi della corrente estate; oltre a prendere i bagni e a intrattenersi in sana allegria con gli amici, egli non saltava un giorno per passare da casa dei nonni, fermandosi a parlare specie col suo ascendente omonimo.


Ho appreso, fra l’altro, che tenendosi informato sullo stato delle proprie piccole proprietà agricole ed essendo intenzionato a dare una mano, nel corso delle recenti vacanze ha anche imbracciato una grossa scopa di saggina e dedicato non poco tempo a ripulire le aie (zone di terra rossa) sottostanti agli alberi di ulivo, nell’imminenza del prossimo raccolto dei preziosi frutti.


Purtroppo, una settimana fa, V., non ancora trentenne, è rimasto vittima di un tragico incidente sul lavoro, nella fabbrica piemontese in cui era riuscito a entrare. Ovviamente, le sue spoglie sono state riportate nella nostra Marittima ed io, come accade in tutte le circostanze del genere che riguardano i compaesani, sono andato a stringere la mano, e a manifestare la mia vicinanza, ai genitori dello sfortunato e, con spirito particolare, ai nonni V., ultra novantenne, e Ch., rievocando, dentro di me, il loro lietissimo evento di coppia, antico di circa sessantacinque anni.


 


Attualità

Porto Cesareo resta Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo

Confermata la certificazione che la inserisce tra le zone marine e costiere caratterizzate da un elevato grado di biodiversità, habitat di particolare rilevanza naturalistica, specie rare, minacciate o endemiche

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L’Area Marina Protetta Porto Cesareo si conferma un’Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo (ASPIM), aggiudicandosi ancora una volta la certificazione che la inserisce tra le zone marine e costiere caratterizzate da un elevato grado di biodiversità, habitat di particolare rilevanza naturalistica, specie rare, minacciate o endemiche.

La conferma della certificazione ASPIM è giunta al termine di una tre giorni di lavori sul campo da parte della commissione internazionale composta da Leonardo Tunesi, rappresentante del Focal Point, Robert Turk e Rais Chedly esperti internazionali, Antonio Terlizzi, esperto nazionale e dal direttore dell’AMP Porto Cesareo Paolo D’Ambrosio.

L’iter per ottenere il riconoscimento come da regolamento è passato dall’attivazione di attività di studio scientifico sistematico e di monitoraggio degli habitat, che consentono di stilare gli elenchi delle specie di flora e fauna necessari per definire il grado di biodiversità del sito.

«Lo status viene mantenuto attraverso il costante monitoraggio e salvaguardia delle specie individuate negli elenchi, ed essere ASPIM aumenta la nostra responsabilità di controllo dell’ambiente, allo scopo di salvaguardare le specie e gli habitat in cui esse vivono e si riproducono», hanno affermato soddisfatti i massimi responsabili di AMP Porto Cesareo.

Il riconoscimento dello status di ASPIM viene rilasciato dal Regional Activity Centre for  Specially Protected Area (RAC-SPA), con sede a Tunisi, organismo creato nel 1995 fra i Paesi che hannostipulato nel 1976 la Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo dall’inquinamento.

È questo centro che definisce e mantiene la lista delle ASPIM, vagliando nuove domande e promuovendo le aree protette meritevoli del riconoscimento.

Le aree marine protette italiane che detengono lo status di ASPIM sono attualmente 10.

Quattro in Sardegna tra cui Capo Carbonara, Capo Caccia-Isola Piana, Penisola del Sinis-Isola di Mal di Ventre e Tavolara-Punta Coda Cavallo.

A livello nazionale figurano poi Portofino (prima AMP italiana ad aver ottenuto il riconoscimento, nel 2005), Miramare, Plemmirio, Punta Campanella.

Per il Salento, Porto Cesareo e Torre Guaceto.

Direttore e Presidente dell’AMP esprimono la loro soddisfazione per questo «ulteriore traguardo raggiunto, a conclusione di quest’anno, che conferma le altissime performance dell’AMP Porto Cesareo, la quale si posiziona non solo tra le prime a livello Nazionale, ma anche nell’élite delle Aree Specialmente Protette di Importanza Mediterranea»

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Fitto vicepresidente Commissione Ue, arriva il via libera

La situazione si è sbloccata ieri sera con il voto favorevole di Popolari, Socialisti, Liberali, Conservatori e Sovranisti. Ma i Verdi non ci stanno e i Socialisti si spaccano. Il presidente della Camera del Commercio di Lecce, Mario Vadrucci: «Sappiamo che l’On. Fitto non dimenticherà le sue origini e aiuterà le espressioni dell’impresa e del lavoro del Salento e della Puglia ad affermarsi in un contesto continentale nel il quale i nostri operatori vogliono recitare da protagonisti»

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Alla fine, Raffaele Fitto ce l’ha fatta.

Dopo lunghi giorni di attesa, polemiche a non finire e qualche ironia social, dopo il suo intervento in un inglese non proprio fluente, è arrivato il via libera alla nomina del politico salentino.

I coordinatori delle commissioni Affari regionali dell’Eurocamera, con il quorum dei due terzi, hanno dato l’ok alla nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione con delega alla Coesione.

Allo stesso tempo le commissioni Affari Economici, Industria e Ambiente hanno dato l’ok definitivo alla nomina della spagnola Teresa Ribera.

Il voto finale previsto mercoledì 27 novembre, in seno alla plenaria della Commissione europea.

L’accordo, formalizzato nella serata di ieri, ha sbloccato il voto favorevole di Popolari, Socialisti, Liberali, Conservatori e Sovranisti su Fitto, mentre Ribera ha ricevuto il sostegno anche di Verdi e Sinistra.

Non sono mancate, però, le critiche: i Verdi hanno accusato il PPE di minare la trasparenza e i principi democratici, mentre il gruppo Socialista si è spaccato, con delegazioni di paesi come Germania e Francia contrarie all’intesa.

Per molti la nomina di Fitto è inopportuna perché «rappresenta un partito contro lo Stato di diritto, l’ambiente e l’integrazione europea».

Il presidente della Camera del Commercio di Lecce Mario Vadrucci si compolimenta: «Da Italiani e soprattutto da salentini siamo particolarmente soddisfatti di come si è conclusa la vicenda connessa con il completamento della Commissione Europea, che vede Raffaele Fitto meritatamente nominato nel prestigioso incarico di vicepresidente esecutivo dell’organismo che regge politicamente e concretamente le sorti dell’Unione Europea».

«Le attestazioni di stima che, in questi giorni, da più parti politiche, sono state espresse sulla figura di Raffaele Fitto, èprosegue il presidente della Cammera del Commercio leccese, «ci fanno ben sperare in vista di un lavoro nei settori delicati cui è stato chiamato, quelli delle Riforme e della Coesione, che guardano al futuro ed alla crescita della parte meno sviluppata dei Paesi Europei».

«Sappiamo che l’On. Fitto non dimenticherà le sue origini salentine e, nel suo impegno politico per favorire la coesione europea», conclude Mario Vadrucci, «cercherà di fare gli interessi dell’Italia, aiutando anche le espressioni dell’impresa e del lavoro del Salento e della Puglia ad affermarsi in un contesto continentale nel il quale i nostri operatori vogliono recitare da protagonisti».

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Attualità

Ospedale di Casarano, «eterna emergenza»

Carenza di personale al “Ferrari”: «Sette reparti in affanno. Difficoltà a programmare i turni, rischio burnout e incapacità di gestire il paziente». Fp Cgil chiede «Subito una Commissione Sanità ad hoc»

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«Rischio burnout, disservizi, paralisi della struttura: subito una riunione monotematica della Commissione Regionale sulle sofferenze dell’ospedale di Casarano».

Sono giorni complicati in molti reparti del “Ferrari”, che vive una delle più gravi carenze di personale della sua storia.

La Fp Cgil Lecce ha scritto alla Regione (al presidente della terza Commissione e al responsabile del Dipartimento Salute) ed ai dirigenti di Asl e presidio per denunciare tutti i disagi vissuti da pazienti e lavoratori: «Il fabbisogno è talmente alto da non riuscire a garantire, in molti casi, neppure la normale turnazione».

«Dopo un’attenta ricognizione», il sindacato segnala «ben sette unità operative in sofferenza e ai limiti della capacità di gestire la salute del malato, oltre alla vicenda delle squadre antincendio».

REPARTO PER REPARTO

«In Medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza per coprire i turni si ricorre alle attività aggiuntive.

Nel reparto di Anestesia e rianimazione e nel Blocco Operatorio mancano anestesisti, infermieri e operatori sociosanitari (Oss).

L’unità operativa di Patologia clinica non dispone di un numero sufficiente di biologi e tecnici di laboratorio. 

Particolarmente grave la situazione in Radiologia, dove i tecnici sono costretti a saltare il giorno di riposo e la programmazione dei turni mensili è diventata un’impresa impossibile da realizzare.

A Neurologia mancano infermieri ed Oss: qui addirittura di recente è stato richiesto al personale smontante di garantire anche il turno successivo di notte.

Nel reparto di Geriatria il turno è composto un Oss e due infermieri, ma è evidente che un solo Oss non può riuscire a soddisfare l’assistenza diretta al paziente.

Infine, nell’unità di Cardiologia mancano medici, infermieri e Oss».

 SANITASERVICE E ANTINCENDIO

«Ci sono appena quattro persone nell’organico della squadra antincendio e tra queste, una si trova in aspettativa lunga. Per garantire la copertura dei turni, si attinge al personale di Sanitaservice, che però in caso di necessità può garantire l’intervento solo al mattino. Una situazione che costringe le 3 persone in organico a lavorare costantemente di pomeriggio, di notte e nei festivi. Solo l’abnegazione e la dedizione del personale, davvero innamorato della propria professione e fedele al dovere nei confronti del paziente, garantisce l’attività in un ospedale importante come quello di Casarano», dicono Floriano Polimeno, segretario generale della Fp Cgil Lecce, e Cosimo Malorgio, coordinatore provinciale per la Fp Cgil.

«Proseguire oltre», aggiungono, «non è possibile. Il rischio burnout, ossia dello stress da lavoro-correlato, è concreto. Continuando così, poi, si va dritti verso la paralisi dell’ospedale, incapace di erogare prestazioni sanitarie. Spiace constatare che nonostante gli interventi politici e le audizioni alla Commissione regionale Sanità, nulla sta cambiando».

 

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