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Grappoli di reminiscenze, senza tempo né confini

 A Marittima: qualche giorno fa, transitando per la piazza del paese in sella al mio scooter color sabbia, ho visto, seduto su una panchina pubblica provvidenzialmente ombreggiata ed esposta a un benefico venticello, un “vecchio” marittimese

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In una recente e differente narrazione, traendo spunto dal casuale incontro con due turisti/ospiti provenienti da S. Francisco, USA, mi soffermavo diffusamente su Marittima e più esattamente sul Rione dell’Ariacorte, dove sono nato e, fra l’altro, annotavo: «Attualmente, con il mio paesello, e specialmente con i residenti, non intrattengo più i rapporti d’intimità e consuetudine viscerale a trecentosessanta gradi, che hanno, invece, caratterizzato le stagioni della mia fanciullezza, adolescenza e prima giovinezza».

Non v’è, invero, contraddizione fra l’anzidetta puntualizzazione e quanto sto per raccontare qui. Semmai, la cronaca freschissima che segue, può considerarsi un’eccezione rispetto al ricordato e consolidato stato d’interazione, in termini complessivi, fra me e la località natia.


Qualche giorno fa, transitando per la piazza del paese in sella al mio scooter color sabbia, ho visto, seduto su una panchina pubblica provvidenzialmente ombreggiata ed esposta a un benefico venticello, un “vecchio” marittimese, Costantino C., il quale vanta e si porta appresso, con disinvoltura, ben novantotto primavere già valicate, per di più guidando ancora, quando occorre, o un’autovettura o un motofurgone “Ape”.


Conosco la citata persona, è proprio il caso di dirlo, da quando sono nato e, lui, giovanottino, abitava, insieme con la sorella Maria, presso la nonna Costantina – i loro genitori erano mancati prematuramente – nell’Ariacorte, a cinquanta metri di distanza da casa mia.


Insomma, a Costantino C., mi lega un’intensa familiarità, sono edotto di tutte le vicende della sua esistenza, da alcuni lustri, in particolare, ho modo di incontrarlo sovente, giacché possiede un giardino, con annesso fabbricato (da poco, l’ha donato ad alcuni nipoti che vi stanno eseguendo importanti opere di ristrutturazione), situato proprio dirimpetto alla mia villetta della “Pasturizza”.


Arrestata d’istinto la marcia del ciclomotore, mi sono avvicinato e seduto accanto, chiedendogli, come approccio, notizie circa lo stato dei lavori edili.

Pochi minuti dopo, si è accostato a noi un altro compaesano, Santo C., appena più giovane di Costantino, e i due, all’unisono, come del resto mi aspettavo, sono immediatamente passati a rievocare un episodio assai lontano, sia come datazione, sia come luogo di svolgimento, evidentemente, però, rimasto indicativo e impresso nella mente, fatto in cui, insieme con loro, io stesso mi ero, in certo qual modo, trovato coinvolto.

Sarà stato il 1963 o il 1964 e lavoravo in banca, a Taranto, da tre anni circa, svolgendo le mansioni di segretario, oggi si dice assistente, di un vicedirettore settorista, il quale, per chiarire, gestiva un determinato portafoglio di clienti.


Insieme con il citato funzionario, compivo spesso visite agli utenti, sia per mera cortesia, sia e soprattutto per ricognizioni dirette sulle loro aziende e le loro attività.

Un giorno c’eravamo portati a domicilio di un operatore agricolo (grosso proprietario di terreni e produttore di vino e olio) di Francavilla Fontana, da molto tempo cliente affidato, vuoi con linee di credito a carattere ordinario e continuativo, vuoi sotto forma di anticipazioni su giacenze di vino e olio, nelle more della loro vendita.


Guarda caso, io non ne ero minimamente a conoscenza, nell’azienda dell’operatore in discorso, da parecchi anni, prestavano attività, sia pure stagionalmente, Costantino e Santo, unitamente ad altri due marittimesi, Peppino e Vitale.


Tutti i già menzionati, quindi, persone di massima fiducia dell’imprenditore francavillese, di casa, alla stregua di famigliari.


Orbene, il mio superiore si era determinato a recarsi nell’azienda di tale cliente, diciamo così, per accertarsi che esistessero effettivamente le giacenze di prodotto su cui era stato da poco concesso un finanziamento e, quindi, si era premurato di dare anche una sommaria occhiata alle relative cisterne.


Sennonché, giusto lì, come ebbero a confidarmi in seguito i miei concittadini, aggiungendo qualche abbozzo d’ilarità, si nascondeva un trucchetto, alquanto rudimentale e, tuttavia, valido a far apparire qualcosa che, in realtà, non esisteva.


E, però, anch’io, dall’altra parte, cioè dall’interno della banca, avevo avuto modo di accorgermi che gli amici marittimesi, o, meglio, le loro firme, erano talora “utilizzati” dal datore di lavoro, per agevolare alcune sue operazioni di finanziamento da parte della banca.

Certo, stagioni non solo antiche ma, specialmente, dai contenuti totalmente diversi, allora la fiducia e la parola erano una cosa seria, nel lecito e anche ai limiti della norma o borderline per stare al linguaggio presente: così abbiamo, l’altro giorno, commentato concordemente, sulla panchina della piazza di Marittima, Costantino, Santo ed io.


Di lì a poco, è arrivato ad aggregarsi alla comitiva un ennesimo “ariacortese”, Costantino N. e, quasi contemporaneamente, Uccio N., geometra in pensione e, fuor d’ogni dubbio, compaesano d.o.c., non essendosi mai allontanato, durante i suoi ottantun anni, dalla natia Marittima. A questo punto, a beneficio di quanti non fossero a conoscenza, mi soffermo su un breve inciso: fra i nomi maggiormente diffusi nella località, ricorrono quelli di Vitale e Costantino o Costantina, a motivo che, collegando i comuni mortali ai santi, S. Vitale, cavaliere nell’esercito romano ai tempi di Nerone, nato a Milano e martirizzato a Ravenna, è il protettore di Marittima, mentre, a compatrona, è stata da vecchia data proclamata la Vergine Maria Santissima di Costantinopoli o Madonna Odegitria.


Costantino, come ho avuto modo di accennare anche in precedenza, faceva parte, penultimo nato, di una famiglia numerosa, ma soprattutto antesignana e allargata, per vicende naturali, in senso laterale o di discendenza.

Difatti, la padrona di casa, in altre parole sua madre, Rosaria, proveniente da Andrano, reduce dal primo matrimonio nel corso del quale le erano nati due figli, Andrea e Giuseppa (Pippina), rimasta vedova ancora giovane, aveva sposato in seconde nozze il marittimese Ciseppe (Giuseppe), reduce, anche lui, da una precedente unione, già padre di tre figli e, parimenti, rimasto vedovo anzitempo.


Rosaria e Giuseppe, novella coppia, procrearono ulteriori quattro figli, Pompilio, Vitale, Costantino e Concetta.


Sì che, a un certo momento, venne a formarsi un nucleo o f0c0lare di undici persone, fra i due coniugi e i nove discendenti arrivati dall’accoppiata di letti.


Molti i ricordi e le annotazioni snocciolati, approfittando della presenza di Costantino, riguardo ai membri della famiglia di Rosaria e Giuseppe ‘u fusu.


Alla fine degli anni Trenta o agli inizi del decennio successivo, la scomparsa di Giuseppe, a causa di una rovinosa caduta mentre era intento a fissare, a un gancio del soffitto, un chiuppu (una sorta di grosso casco, facendo riferimento alle banane) di tabacco già essiccato.

Nel 1945, il matrimonio di Pippina nel canonico abito bianco, di cui, lo scrivente, serba perfettamente il ricordo.


Nel 1947, esattamente il 22 gennaio, le nozze di Andrea (con Valeria), in un giorno in cui, Marittima, registrò il particolarissimo fenomeno di un’abbondante nevicata.


Nel 1951, un’improvvisa e brutta traversia, fortunatamente finita bene, in capo a Vitale, sotto forma di un’infezione da tetano a un piede (precisa, adesso, Costantino, che, all’epoca, lui era assente da Marittima per il servizio militare in Marina, imbarcato su un dragamine di stanza alla Spezia). Dopo, infine, seri problemi agli occhi per l’altro figlio, Pompilio, invero mai risolti.


A un dato momento, Costantino, seduto nel gruppo e rivolgendo lo sguardo a Uccio N. che gli stava accanto, ha ritenuto di richiamare i legami di parentela fra lo stesso Uccio e me (le rispettive mamme, Nina e Immacolata, erano cugine di primo grado, figlie di due sorelle, Cristina e Lucia).  Aggiungendo, inoltre, che lui medesimo, a seguito del matrimonio, si era apparentato con l’ex geometra, posto che il suocero Giuseppe P. (in vita, operatore ecologico, attacchino e necroforo del Comune di Diso), era, a sua volta, primo cugino del padre di Uccio, Pippi ‘u scanteddra o mesciu Pippi ‘u barbieri, la cui madre, Pasqualina M. detta Nina, era sorella della genitrice di Giuseppe P., Maria Donata M.


I conti degli accostamenti fra parentele o famigliarità quadrano perfettamente, a prova di dati anagrafici e/o di battesimo.


Uccio N., il quale, al momento di aggregarsi, aveva domandato, sorridendo, se, in quella circostanza, fossi io a tenere banco nel gruppo, non ha, poi, rinunciato a intervenire, dicendo la sua a proposito di una sfaccettatura straordinaria insita nel desco domestico del suo nonno paterno, Vitale N. ‘u fiore.


Intorno a quel tavolo da pranzo (parolone esagerate), occupavano posto, ha raccontato Uccio, suo nonno e sua nonna, insieme con un paio di ascendenti e i loro sei figli (cinque maschi e una femmina) e, già così, si arrivava a dieci persone. Inoltre, quasi tutti i giorni, specialmente la sera, si aggiungevano sette nipoti di Pasqualina M., detta Nina, figli di due sue sorelle passate prematuramente a miglior vita e, quindi, rimasti orfani.


Diciassette “avventori”, dunque, alla fine, a intingere il cucchiaio nell’unico piatto posto al centro del tavolo, che doveva servire per l’insieme di commensali, con conseguenti difficoltà, per ciascuno, a far arrivare il cucchiaio alla minestra.


Dire che, l’appetito era tanto e non esistevano altre cose da mangiare, tranne, al caso, un tozzo di frisella o una piccola manciata di fichi secchi.


Eppure, sembra assolutamente inverosimile, si sopravviveva e, mette conto di porre l’accento, negli stati d’animo della gente, albergava ben più serenità di adesso.


Rocco Boccadamo


 


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Come eravamo: il Carnevale a Tricase negli anni ’30

I ricordi delle masciate di un tempo, raccontati da chi le ha vissute in prima persona

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di Ercole Morciano

L’ultima domenica di Carnevale quest’anno è stata domenica 2 marzo.

L’ultimo giorno sarà invece martedì prossimo: “martedia rassu”, Martedì Grasso: lo dicevano i nostri antenati e lo si dice ancora oggi parlando il dialetto tricasino.

Le prime notizie certe sul Carnevale Tricasino del passato ce le ha tramandate Giuseppe Pisanelli nel suo libro “Notizie su uomini, cose e immagini di Tricase” pubblicato nel 1990 con le edizioni del Grifo di Lecce.

Apprendiamo così che a Carnevale “un’antica tradizione voleva che gruppi di appassionati della recitazione, per lo più artigiani, organizzassero lavoretti teatrali che seralmente andavano a recitare nelle famiglie. In quell’occasione chi disponeva di una stanza più grande delle altre invitava parenti, amici e compari per gustare lo spettacolo”.

Alla fine delle recite e del canto dei vari stornelli composti per l’occasione, il padrone di casa offriva almeno un bicchiere di vino; altrimenti, se di famiglia agiata, oltre al vino, “si offrivano frittelle di vario tipo, rosolio, ecc. Così i nostri maggiori vivevano il carnevale. Tali usanze rimasero in vita fino agli anni Trenta” e oltre.

Un formidabile organizzatore fu Antonio Scarascia, “mesciu ‘Ntunucciu Russu”.

Egli “si cimentò nelle manifestazioni carnevalesche pubbliche e, grazie ad esse, il Carnevale Tricasino era noto in tutta la provincia. Non si trattò di mute sfilate in costume o di carri allegorici inanimati. Si trattò di rievocazione di eventi nazionali importanti come La guerra Italo-Turca, La trasvolata atlantica di Italo Balbo, Il carro di Tespi e tante altre“.

In particolare, Giuseppe Pisanelli descrive nei dettagli la parodia della “Guerra Italo-Turca”, combattuta dall’Italia negli anni 1911-1912 per sottrarre la Libia all’Impero Ottomano.

Ricorda in particolare lo sparo dei fucili grazie alla collaborazione della ditta “Rosati”, ovvero “Mesciu Lia”, conduttore della fabbrica di fuochi pirotecnici.

L’altra descrizione riguarda “La trasvolata” per la quale furono fabbricati gli aerei in legno e cartone “installandoli su biciclette.

Il trimotore a due posti del Comandante, ovviamente ‘Ntunucciu Russu, era fissato su una moto guidata da Toto Galati”, scherzoso autista di autobus.

Dopo il giro per le vie del paese, la squadriglia giungeva in una gremitissima piazza Vittorio Emanuele (ora Pisanelli, vedi foto in alto) per la lettura del discorso d’occasione da parte di mesciu ‘Ntunucciu.

Il Carnevale finiva poi la domenica successiva al martedì delle ceneri, detta della “Pentolaccia”.

E qui Giuseppe Pisanelli ricorda due indimenticabili pentolacce organizzate da mesciu Antunucciu negli anni ‘30.

Il Carnevale Tricasino non aveva dunque una maschera propria come “Titoru” (Gallipoli), “Paulinu” (Lecce e paesi della provincia), “Sciacuddrhuzzi” (Aradeo), “Mielina” (Melendugno), ecc.

La sua specificità era rappresentata dalle “squadre di masci”.

Rimasero in voga fino agli anni ’60 e io, avendoli visti sin da ragazzino, ricordo che ogni squadra era composta da 10-15 “masci”, tutti uomini ma alcuni vestiti e pesantemente truccati da donne, che passavano per le vie di Tricase suonando strumenti veri e strumenti di fortuna e che ogni tanto entravano nelle case per recitare, suonare e cantare stornelli inventati da loro e spesso legati alle canzoni più popolari di quel tempo o a personaggi locali.

Ricordo in particolare una strofa, completa di motivo musicale:

Pisanelli, Pisanelli

Cucinati cu’lla paja

Unu zzumpa, l’otru balla

Nn’otru sona la chitarra

L’otru sona lu mandulinu

Nu ‘nne sciamu de ‘qquai

Se nu ‘nne dati ‘nnu bicchieri de vinu.

Ricordo che ogni squadra (ora chiamata ‘masciata’ con un neologismo dialettale) prendeva il nome dal suo capo, ovvero dal suo organizzatore.

C’era la squadra “de mesciu Alfredu Russu” (Alfredo Scarascia, figlio di maestro Antonuccio), “du Ciccillu” (Francesco Ippati), “du Roccu Surge” (Rocco Di Domenico) e, come mi suggerisce l’ultranovantenne Rocco Musio, c’era anche la squadra di Gino Merico, il figlio del direttore didattico.

Per la squadra cui apparteneva il giovanissimo Donato Valli (futuro professore universitario di Letteratura Italiana e poi Rettore) era lui che scriveva i testi e gli stornelli da musicare; peccato che siano andati persi.

Allora la strada che si riempiva di maschere, a gruppi o singole, era soprattutto la via Stella d’Italia, dove lo strato di coriandoli si alzava da terra per vari centimetri.

Tale prassi durò per gli anni ’60 poi andò scemando.

Gerardo Forte ricorda che intorno agli anni ’70, la Pro Loco di Tricase, con a capo Michelino Morciano e Cosimo De Benedetto, si fece promotrice di un bando per il Carnevale Tricasino.

Parteciparono parecchi gruppi formati da numerosi ragazzi.

Il nostro gruppo“, continua Gerardo, “era capeggiato da Donato Bonalana (sarto), oggi quasi novantenne. Oltre al nostro parteciparono anche altri gruppi: uno di S. Eufemia (Gino Cazzato, Donato Elia, Franco Baglivo ed altri), “mesciu Alfredu Russu” e altri gruppi di cui non ricordo il nome. Dopo un paio d’anni, svanì tutto“.

Un vero e proprio revival del Carnevale Tricasino si ebbe nei primi anni ‘80-’90 dello scorso secolo.

Durante il periodo carnevalesco si esibiva nelle case, secondo l’antica tradizione, il gruppo “Maielana Band”. Animatore principale era Andrea De Carlo; tra i componenti vi erano la moglie Lilo, i fratelli Stefano, Marcello e Carlo, ai quali si aggiungevano altri parenti ed amici.

Le rappresentazioni erano il frutto di un intenso lavoro di squadra per le ideazioni dei testi e per le parti musicali.

Le recite riuscivano ad appagare e divertire un pubblico variegato, ma sempre attento a cogliere l’armonia tra testi, musica e fatti legati ironicamente agli eventi amministrativi di quegli anni in cui i partiti tradizionali andavano tramontando e il nuovo faticava ad affermarsi.

I testi, ispirati ai classici, erano molto curati e avevano titoli come “La Divina Commedia” (1988), “Giulio Cesare” (1989), “Ulisse” (1994).

Non ricordo se le commedie in dialetto dirette in quegli anni da Angelo De Carlo e recitate da attori e attrici in gamba, fossero inserite, oppure no, nel carnevale tricasino, ma questa è un’altra nostra e interessante storia che merita un ricordo a parte.

Nella foto in alto: piazza Vittorio Emanuele (ora Pisanelli), “Trasvolata Atlantica 1932” di Antonuccio Scarascia (Foto di G. Pisanelli).
Nelle foto in basso: via Stella d’Italia, ingresso villa “Barbara ora Vitalone”, “Mascherata carnevalesca 1953” (Foto Fam. Michelino Dell’Abate).
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Masci: Lu Titoru, anche quest’anno, si soffoca con una polpetta

Anche Gallipoli, Casarano, Racale e Ugento si preparano a far festa…

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GALLIPOLI

È una delle feste più attese dell’anno in tutto il Salento: il Carnevale di Gallipoli, uno degli eventi più suggestivi, capace di unire tradizione, divertimento e cultura popolare.

I giorni stabiliti per le sfilate di quest’anno sono domenica 23 febbraio e domenica 2 marzo, quando lungo Corso Roma sfileranno i caratteristici carri allegorici in cartapesta, tra i quali alcuni rappresentano scene tipiche della cultura e della storia della città, e gruppi mascherati, attirando visitatori da tutta la Puglia.

Il gran finale si terrà martedì 4 marzo nel centro storico, con la rappresentazione della celebre maschera di Lu Titoru, simbolo del carnevale gallipolino.

La leggenda narra che Teodoro fosse un giovane militare gallipolino, che, al ritorno dalla leva, chiese alla madre un piatto di polpette, il suo cibo preferito, prima di entrare nel digiuno quaresimale.

Ma nella fretta di mangiarle, Teodoro si soffocò con una polpetta.

Nel corteo mascherato, viene rappresentato il giovane morto, la madre e un gruppo di “comari”, chiamate chiangimorti, che piangono.

La madre di Teodoro, la Caremma, è la figura che rappresenta la Quaresima e accompagna il giovane in questa macabra ma anche folkloristica tradizione.

La maschera di Lu Titoru ha un viso bicolore, giallo e rosso, proprio come la bandiera della città di Gallipoli, che è il simbolo della festa.

RACALE

Tutto pronto per il Carnevale Racalino 2025.

Sabato 1° marzo maschere, gruppi e carri sfileranno con le loro allegria e simpatia.

Partenza sfilata alle 15 da viale dello Stadio e arrivo stimato per le 16,30 in piazza Beltrano Giardini del Sole.

Qui si accenderà la festa: dalle 17 esibizione dei carri allegorici, gruppi mascherati e maschere singole. Intrattenimento con Andrea Scorrano Dj.

Verranno consegnati i premi: al carro più originale; alla maschera effetto wow; al carro più stravagante; il premio speciale Fidas Racale.

Le iscrizioni sono aperte fino a lunedì 24 febbraio, presso il comune di Racale: tutte le mattine, presso l’ufficio InfoPoint; possibile iscriversi anche il martedì e il venerdì pomeriggio, dalle 17 alle 19, presso la sede FIDAS in via Vespucci n. 3.

Per informazioni, contattare il numero 0833 902324.

CASARANO

Il Carnevale Casaranese quest’anno si consumerà il 1° marzo.

In fase di organizzazione la Pro Loco ha tenuto conto della eventuale difficoltà ad attraversare la città e raggiungere molte piazze del centro, causa cantieri aperti e lavori in corso.

Così ha optato per un maxi-raduno in piazza Indipendenza che culminerà con il live show Kawabonga.

Quindi, sabato 1° marzo tutti in piazza: giovani e meno giovani, di Casarano e dei paesi vicini, si ritroveranno dalle 17 per una grande festa in maschera.

Dalle 19,30 il clou della festa con lo spettacolo esplosivo e travolgente di Kawabonga (ingresso gratuito) con musica e sorprese.

UGENTO

Sono due gli appuntamenti da segnare in rosso sul calendario per il Carnevale Ugentino.

Il primo domenica 2 marzo, presso l’Associazione culturale “Mare Blu” in viale don Tonino Bello, si svolgerà il “Ballo in maschera” (quinta edizione). A partire dalle 15,30 balli di gruppo, baby dance, tiro alla fune, corsa con i sacchi e tante altre attività per il divertimento di bambini, ragazzi e famiglie.

È prevista anche la premiazione della maschera più bella. La sfilata, organizzata dalla ProLoco Ugento e Marine, è in programma lunedì 3 marzo: “Il Carnevale arriva ad Ugento!” alle ore 16.

Il corteo chiassoso e colorato attraverserà Ugento partendo da Largo Pretura (via F.lli Mille), fino ad arrivare in piazza San Vincenzo dove fare festa tra musica e divertimento.

Una giuria decreterà il gruppo e la maschera più belli.

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Come fare acquisti su eBay risparmiando e proteggendosi

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Acquisti Sicuri

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Tra i rischi più comuni per chi acquista su eBay figurano gli annunci ingannevoli o i pacchi mai consegnati.

Il feedback dei venditori rappresenta un’ottima bussola per evitare questi pericoli: valutare il numero di recensioni presenti e i commenti degli acquirenti aiuta a riconoscere i profili più affidabili. In caso di valutazioni negative, infatti, conviene sempre verificare la natura dei reclami, che potrebbero riguardare tempi di spedizione elevati o articoli non conformi.

Un segnale d’allarme emerge quando il venditore chiede di completare la transazione al di fuori di eBay, per esempio via e-mail o con metodi di pagamento non consentiti dalle regole ufficiali.

Concludere un acquisto esternamente significa rinunciare alle tutele e alle garanzie di rimborso previste dalla piattaforma, esponendosi a potenziali truffe. Per lo stesso motivo, bisogna evitare di condividere dati sensibili con contatti sconosciuti, restando sempre nei canali ufficiali del sito.

Un’ulteriore forma di inganno consiste nel fornire un codice di tracciamento falso o incompleto, lasciando l’acquirente senza possibilità di monitorare la spedizione. Se non si riceve l’oggetto entro i tempi previsti, si consiglia di consultare la pagina dell’ordine e inviare un messaggio al venditore.

Se non si ottiene una risposta soddisfacente, eBay offre un sistema di protezione che prevede la richiesta di assistenza per ordini non ricevuti. Analogamente, è disponibile una procedura per effettuare il reso o chiedere il rimborso nel caso in cui l’articolo arrivi danneggiato o non corrisponda alla descrizione.

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