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Diso

Marittima: un bel manifesto funebre

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La scelta può sembrare stravagante e un tantino macabra, nondimeno ho creduto giusto titolare così queste brevi righe. Giorni fa, a Marittima, è passato a miglior vita un mio compaesano. Orbene, sui manifesti murali annuncianti il triste evento, sotto il nome e il cognome del defunto, ho colto e mi ha stupito la dizione “Vedovo…” (in chiaro, il cognome della moglie deceduta da qualche anno).


Sono rimasto sorpreso, in quanto, come si sa, nella quotidianità, è costume diffuso, con l’intento di fornire un più completo e puntuale riferimento, aggiungere, talvolta, ricorrere all’espressione “Tizia vedova di Caio”, e però giammai si fa la medesima cosa a soggetti invertiti, vale a dire “Caio vedovo di Tizia”. Nella specifica fattispecie, io ho creduto di poter interpretare la puntualizzazione, pubblicata per espressa volontà del defunto oppure su iniziativa degli eredi, alla stregua di piccolo, ma assai indicativo gesto di delicatezza ed affetto, all’indirizzo di una evidentemente non dimenticata compagna di vita.


Il richiamo risulta ulteriormente apprezzabile ove si consideri che, fra coloro che partecipano la morte del mio compaesano, prima dei figli, figlie, nuore, generi eccetera, figura “la compagna T…”. Insomma, almeno nella celebrazione di una dipartita dalla terrena esistenza, un tripudio di armonia, unità e affetto, pur in presenza di abbinamenti ed incroci di nuclei familiari, laddove, sovente, capita di assistere a contrasti, divisioni, liti e contenziosi, specialmente di natura economica, patrimoniale e finanziaria.

Rocco Boccadamo


Attualità

Salento che cambia: cresime, padrini e madrine, doni e regali

All’uscita dalla chiesa, “lu nunnu”, con un rapido gesto discreto ma in certo qual modo anche solenne, passò a consegnarmi il suo regalo, una banconota da cinquecento lire, dicendo testualmente: “Tieni, così potrai comprarti un paio di pantaloni”…

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di Rocco Boccadamo

 Domenica scorsa, durante la Santa Messa al paesello, l’Ordinario diocesano, nell’occasione celebrante, ha anche amministrato il sacramento della Cresima a diciassette ragazzi e ragazze, frequentanti in prevalenza la prima media.

Fra le immagini colte nel corso della cerimonia, ha colpito, innanzitutto, il particolare che alcuni dei “confermandi” sovrastavano, quanto a statura fisica, ai rispettivi padrini e madrine, e ciò a riprova della progressivamente crescente altezza media fra una generazione e l’altra. Seconda inquadratura indicativa e un po’ spettacolare, a metà Messa, il corteo del gruppo di adolescenti, i quali, in coppia, hanno recato verso l’altare, a titolo di dono o omaggio al vescovo, grandi cesti, chiusi da cellophane e nastrini, contenenti, è proprio il caso di dirlo, ogni ben di Dio.

E, ancora, al termine della cerimonia, con i neo “soldati di Cristo” tutti insieme intorno al vescovo e al parroco, gli scambi di confidenze fra i protagonisti circa i regali ricevuti: sono risuonati, tra gli altri, i nomi di telefonini, smartphone, iPad, personal computer, orologi, biciclette da corsa, motorini, roba, insomma, di un certo, se non addirittura consistente, valore. Una breve litania di evidenti segni caratteristici sul mutamento dei tempi e delle abitudini.

Il ragazzo di ieri che scrive ha vissuto la sua cresima nel lontanissimo 1948, quando aveva appena sette anni, ma conserva ancora viva nella memoria la figura del vescovo dell’epoca, francescano cappuccino con il volto incorniciato da una folta barba, tale Monsignor Cornelio Sebastiano Cuccarollo, Arcivescovo Metropolita di Otranto e Primate del Salento (nella foto in alto).

Nel ruolo di padrino, un compaesano contadino classe 1928, compare Uccio, coetaneo e stretto amico di un mio zio paterno.

All’uscita dalla chiesa, l’anzidetto “nunnu”, in gergo dialettale, con un rapido gesto discreto ma in certo qual modo anche solenne, passò a consegnarmi il suo regalo, una banconota da cinquecento lire, dicendo testualmente: “Tieni, così potrai comprarti un paio di pantaloni” (sarebbero stati ovviamente pantaloni corti, gli unici indossati, all’epoca, dai ragazzini.

Per avere un’idea del valore della carta moneta di quel taglio, si consideri che lo stipendio mensile di un operaio andava da venti a venticinque mila lire, il costo del giornale era pari a venti lire, una tazzina di caffè si pagava trenta lire, il pane cento – centodieci lire al chilogrammo, la pasta centotrenta lire, la carne bovina ottocento lire.

V’è però da rimarcare che, nelle passate stagioni, a prescindere dell’entità del regalo dal padrino al figlioccio, fra i due e fra i rispettivi nuclei famigliari, si creava un legame fortissimo, intenso, quasi si trattasse di vera e propria parentela.

Al riguardo, ricordo che, una volta, il mio compare Uccio, ormai ultrasessantenne, incrociandomi casualmente mentre si trovava in compagnia della figlia, dopo i saluti, disse alla giovane donna: “Tieni presente che, se e quando ti servirà un consiglio o un’informazione o un suggerimento, non dovrai esitare a rivolgerti al mio figlioccio (“sciuscetto”, in dialetto) che, sono sicuro, non mancherà di aiutarti e assisterti”.

Sempre a proposito di cresima, un’altra paesana, l’amica Anita, classe 1930, mi ha confidato di aver avuto per madrina, nel suo caso correva l’anno 1940 o il 1941, mia zia Maria, sorella di mia madre, la quale le diede in dono un libricino di preghiera con copertina bianca in finta madreperla.

 

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Attualità

Uva e noci per i Santi Medici

C’erano, a Marittima, due coniugi, zi’ Franciscu e Pietrice, senza figli, già anziani o quasi vecchi all’epoca della mia infanzia, persone buone e pie, miti, generose, quasi una coppia di santi sulla terra….

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di Rocco Boccadamo

Intorno al ventisei – ventisette settembre, anche a Marittima di Diso, mio paese di nascita, vige la secolare tradizione e devozione di festeggiare i Santi Medici Cosma e Damiano: celebrazioni, sia di carattere civile (luminarie, addobbi, fuochi d’artificio, complessi bandistici), sia di impronta meramente religiosa (novena, processione del simulacro dei Santi per le vie cittadine, Messa solenne, panegirico).

Ovviamente, sull’insieme di riti, hanno man mano inciso l’evoluzione dei tempi e la modifica dei costumi, pur tuttavia, in seno alla sensibilità collettiva, la ricorrenza resiste ancora.

A proposito dei venerati fratelli “dottori” e martiri della fede, mi piace tratteggiare, con brevi e semplici accenni, come e con quanta intensità, nelle stagioni passate, fossero vivi il trasporto e l’autentico e convinto credo nei loro confronti, e ciò, indistintamente, in ogni famiglia.

L’occhio di riferimento e i pensieri di invocazione alla loro aureola e forza di santità rappresentavano, in pratica, una costante quotidiana, specie alla presenza di problemi o di timori inerenti alla salute e al benessere fisico, ma anche al di là di questi specifici, importanti aspetti esistenziali.

Inoltre, frequenti erano i racconti e le testimonianze su apparizioni in sonno delle figure dei Santi in discorso al capezzale del bisogno o dell’incertezza o del dubbio.

Sì, in ciò non mancava, verosimilmente, l’influsso della suggestione religiosa, ma, comunque, c’era la prova di un legame forte che si instaurava naturalmente in ciascuno sin dall’infanzia, senza mai cedere o venir meno in processo di tempo.

Soprattutto, non occorrevano miracoli o prodigi clamorosi, si era spontaneamente convinti di avere in Cosma e Damiano una sorta di ala protettrice.

In relazione e in concomitanza con la festa dei Santi Medici, mi sovviene un piccolo ma particolare ricordo.

C’erano, al paese, due coniugi, zi’ Franciscu (zio Francesco) e Pietrice (Beatrice), senza figli, già anziani o quasi vecchi all’epoca della mia infanzia, persone buone e pie, miti, generose, quasi una coppia di santi sulla terra. Abitavano in una piccola e modesta casetta terranea dietro la Chiesa Matrice, con adiacente giardino in cui campeggiavano due preule (pergole), antiche come i padroni, con altrettante varietà di grappoli, ovvero uva “minnivacca” (o “mennavacca”), per la vaga somiglianza degli acini alle mammelle delle mucche, e uva “brunesta” (prunesta) dallo smagliante e luminoso colore blu scuro.

Ebbene, il 27 settembre, insieme con la celebrazione della festa dei Santi Medici, si compiva puntualmente e immancabilmente un’altra cerimonia, sempre identica: zi’ Franciscu e Pietrice donavano alla mia famiglia un “panareddru” (piccolo paniere), contenente un discreto quantitativo degli anzidetti grappoli, nonché una manciata di noci appena abbacchiate e sgusciate, pure di loro produzione.

Un gesto di gentilezza, delicatezza, un atto disinteressato che non chiedeva nulla in cambio, cui i due anziani tenevano con la stessa intensità riferita ai festeggiamenti e alla devozione ai Santi e che, in fondo, era atteso e gradito molto anche dalla mia famiglia.

Per svariati anni, è toccato a me recarmi a casa di zi’ Franciscu e Pietrice per ritirare il mitico paniere di uva e noci.

 

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Andrano

Copia e incolla: come ogni anno, prima pioggia e primi (grandi) disagi

In quasi tutto il Salento centri allagati, difficoltà nei pressi delle scuole (pressocchè isolate) e degli ospedali. Viabilità al limite anche sulle strada a lunga percorrenza

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Potremmo prendere quanto scritto l’anno scorso, quello prima o quello prima ancora e fare copia e incolla.

Tanto nulla è cambiato.

È bastato il primo acquazzone, consistente per carità, e tanti dei nostri centri sono praticamente in ginocchio.

Per la conta dei danni bisognerà attendere qualche ora per il momento è il caso di avere la massima prudenza in strada perché ci si imbatte in autentici torrenti d’acqua.

Anche su strade esterne, come a Tricase, dove la tangenziale, la cosiddetta Cosimina, in alcuni tratti pare il letto di un fiume.

Non è migliore la situazione se si entra in paese.

Vicino la scuola Giovanni Pascoli, l’acqua è arrivata quasi a metà cancello; la via dell’ospedale è quasi intransitabile come tante altre della città.

A Lucugnano chiusa per allagamento la cappella di San Rocco.

Eppure, che prima o poi piovesse (anzi in tanti se lo auguravano) si sapeva. Certo, magari si sperava non così tanto ed in così poco tempo, ma lo si poteva e doveva prevedere. Ed anche le precipitazioni copiose, quelle dal nome odioso ma esplicativo di “bombe d’acqua”, con il cambiamento climatico, sono un evento al quale dobbiamo abituarci.

Segnalazioni di allagamenti e disagi son già arrivate da Ruffano, Taurisano, Casarano, Melissano (scuole chiuse con ordinanza del sindaco), Andrano, Diso, Poggiardo, Corsano ed altri centri del Capo di Leuca; man mano che passerà il tempo ne arriveranno altre.

In particolare ad Andrano Marina è venuto giù parte del basolato e del muretto sul Lungomare delle Agavi.

Aspettando il sereno e incrociando le dita prima fare la conta dei danni, che speriamo ovviamente lievi, è triste ogni qualvolta ripetere “piove governo ladro”, ma fa davvero rabbia vedere i nostri paesi ridotti in queste condizioni ogni volta che Giove pluvio la manda giù.

Ed è così ogni anno. Copia e incolla…

Crollato parte del basolato e del muretto sul Lungomare delle Agavi ad Andrano Marina

 

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