Approfondimenti
Abbiamo mai imparato qualcosa?
Lo scrittore di Castrignano del Capo Vittorio Buccarello in vista della Giornata della Memoria: «La Storia si ripete, come se si volesse rifugiare in qualcosa che non si può evitare. Ma io non condivido questo pensiero di comodo o di rassegnazione; sarebbe come voler far credere che le opere dell’uomo siano delle calamità naturali»
di Vittorio Buccarello
PER NON DIMENTICARE
Ho un appuntamento anche quest’anno:
vado dove trovo dolore e disperazione,
dove sono numeri le persone,
come fossero spazzatura da incenerire.
Vado dove l’umanità sprofonda
nel buco più profondo dell’inferno,
dove la terra subisce l’onta
della pazzia dell’odio e del tiranno.
Lasciate ogni speranza voi che entrate
su questo treno che vi porta nei tormenti,
come la peste sarete bruciate,
fumo a perdere tra il triste coro dei lamenti.
Ora io vi ricordo per non dimenticare,
ma questo non mi dà consolazione
perché continuo ancora ad osservare
quanta altra gente fa la stessa fine.
La Storia si ripete come sempre,
cambia la moda ma non la sostanza,
tutto è manovrato dal prepotente,
che in base ai tempi cambia l’usanza.
Essi sono i lupi che cambiano il pelo
per farsi credere di essere migliori,
ma il loro cuore rimane sempre vile
anche oggi come quello di ieri.
OLOCAUSTI IN GENERE
Si effettuano ogni anno nei giorni della memoria, manifestazioni mirate a sensibilizzare la mente della gente, nel ricordare le crudeltà degli orribili genocidi compiuti, in particolare nell’Olocausto di Auschwitz, le fosse Ardeatine e delle Foibe Istriane
Ma ognuna con le proprie dimostrazioni che sembrano rimpallarsi come fossero in gara, tra la peggiore o la meno peggio.
Manifestazioni che però possono anche essere interpretate un modo partigiano, orientate sull’opportunismo politico, dove ogni partito cerca di far valere la sua convenevole ragione sulla fetta dei propri elettori, affinché avessero la mente continuamente orientata e distinta da altri genocidi in competizione. Dimostrazioni di analoghe atrocità ma figuranti parte, bandite separatamente ognuna per la sua fazione e per questo possono sembrare demagoghe.
Quanto sarebbe giusto se almeno questi tragici ricordi fossero rappresentati e giudicati con manifestazioni unitarie e senza accaparramenti politici.
Ricordare tutti fatti del passato, sarà certamente importante, ma la sola commemorazione in questo modo, non basta per reprimere tali atrocità nel futuro, non credo sia questo il modo più utile o sufficiente per prevenirle inseguito. E come nei fatti, costatiamo che succedono ancora oggi, anche se in modi diversi o meno simili, ma sempre genocidi sono e verso ogni genere di gente inerme.
Meglio fosse manifestare globalmente tale drammaticità succeduta, senza schieramenti, se si volesse veramente frenare qualunque comportamento segregazionistico che spoglia la cultura della civiltà, e che desse l’importanza ad ogni riflessione a distinguere ciò che separa o unisce, affinché almeno su questi fatti, le opinioni si orientassero sulla linea del giudizio comune, ripudiando tali atrocità vecchie e nuove e da qualunque parte queste provengono. E tale condotta dovrebbe essere operata nelle scuole, già dai primi insegnamenti, affinché l’educazione civica, saggezza e altruismo possano camminare insieme da soli in modo spontaneo, senza il bisogno che fossero imposte, o da leggi che mettano divieti, ma che spesso creano delle reazioni opposte.
Sarebbe bene che soprattutto nella scuola, fosse questo, il primo elemento di studio, per educare le nuove generazioni, sugli indirizzi virtuosi, verso i valori necessari per una civiltà degna di essere chiamata tale. Solo una educazione responsabile, produce una società altrettanto responsabile. Se questo non avviene, il difetto sta anche nella parte didattica che si è lasciata trascinare in quel prato dove cresce e fa crescere qualsiasi tipo di erba, con la conseguenza che sarà sempre l’erbaccia ad avere il sopravvento. Appunto servirebbe dare più peso a una cultura civile accompagnata con insegnamenti ed esempi che valorizzano il comportamento responsabile di ognuno e soprattutto di chi occupa posti di potere.
Per stimolare le menti a diventare congrue del proprio essere e come conviene essere, per sé e per gli altri. Servono principalmente esempi positivi orientati alla consapevolezza, che ciò che si fa, torna sempre indietro, sia nel bene che nel male e che Impediscono il rischio di far prevalere la prepotenza e il bullismo.
Spesso si sente dire la solita frase: la Storia si ripete, come se si volesse rifugiare in qualcosa che non si può evitare. Ma io non condivido questo pensiero di comodo o di rassegnazione; sarebbe come voler far credere che le opere dell’uomo siano delle calamità naturali.
Ricordare ogni anno tali genocidi con l’intento di condannarli, creano a sua volta, emozioni e turbamento nella gente e possono anche provocare esempi da copiare, perché intanto che si condannano si pubblicizzano, esponendoli a tutti, che nello stesso tempo possono incidere nelle menti faziose, la stessa rabbia di quei carnefici che non possono più colpire, ma possono essere di esempio per i malintenzionati. Esempi che penetrano come fossero un copia e incolla nella società, usati spesso a causa dell’inerzia soprattutto in quei giovani che cercano di soddisfare un bramoso spirito di protagonismo nel modo negativo. Con episodi che a loro volta verrebbero ulteriormente evidenziati dai media e ampliati per avere più audience e ridare altro esempio del male. Creando così una spirale che trascina tutti a rendere normali le continue anomalie. Azioni spregevoli che messe sul piatto della bilancia darebbero ulteriore peso rispetto alla sana civiltà che non avrebbe più la possibilità di riemergere.
Perciò, basterebbe raccontare tali tragedie certamente con disgusto, ma anche con intelligenza, come se fossero cose da scartare, incidenti di percorso e basta: al fine di alleggerire la curiosità stimolante dei soggetti che cercano sensazioni eclatanti.
Credo che, conoscendo ormai la storia e la politica con tutte le sue sfaccettature, serva ad ognuno rendersi conto di quanto sia importante neutralizzare il pensiero dai media da tutto quanto questo potere cerca di inculcare nelle menti. Poter essere capaci a rimanere legati solo al puro e proprio modo di pensare. Almeno in quelle decisioni dove possiamo essere padroni. Essendo che la nostra libertà è ancora costretta alla necessità di dover subire e accettare tutte le condizioni imposte da chi amministra. In quanto esso, ha in mano le redini per farci tirare il carro dove sono agiati tutti i potenti e governanti del popolo che dicono sovrano, ma che hanno ridotto a fette, per ognuno la sua porzione.
DALL’OLOCAUSTO ALLE FOIBE
Risorgono per la memoria
i fatti da condannare
passati alla storia
dal reciproco errore.
Essi bollono in pentola
come una minestra salata
evaporano fumo che sventola
della stessa pietanza gelida.
Si rimpallano sugli specchi
le uguali atrocità
alternando i riflessi
in base alla faziosità.
V.B.
Approfondimenti
Marina, 36 anni, per Sant’Egidio a Bangui, Centroafrica: “Vicina agli ultimi della terra”
“A 17/18 anni si vuole cambiare il mondo e pensi sia possibile! Ci sono periodi in cui mi abbatto e non sopporto il peso della missione, in cui riesco a vedere solo i problemi, i ritardi, le frustrazioni, che raramente mancano durante una giornata di lavoro, ma poi…
L’INTERVISTA ESCLUSIVA
di Luigi Zito
A quale scintilla primitiva si affida l’animo umano quando la fiamma d’amore si accende, si sviluppa, si infiamma e riluce sino a risplendere luminosamente?
E qual è la moneta che ripaga la gratificazione che plasma il nostro cuore, che lo trasforma da cima a fondo, e che lo muove a donarsi agli altri?
Non credo sia solo una mia curiosità, è un affanno che accompagna la vita, che frequentemente ci pone davanti a simili dilemmi. È un tarlo capire cosa muove il sole e le stelle: cosa spinge una giovane donna a lasciare la zona comfort della sua vita per aprirsi al mondo, donarsi e aiutare chi è in difficoltà ed ha più bisogno?
Ancor più se, per farsi piccola per diventare grande, ha scelto di farlo a migliaia e migliaia di chilometri da casa.
È il caso di Marina Ciardo, 36 anni, di Tricase, che da anni vive a Bangui, Repubblica Centroafricana ed è Capo Progetto per l’Associazione Sant’Egidio.
Marina, di buon grado, ha amabilmente risposto a mie precise sollecitazioni.
«VOLEVO CAMBIARE IL MONDO»
«“Cosa vuoi fare dopo la scuola?”. Questa era la fatidica domanda che parenti, amici e insegnati mi ripetevano verso la fine del quinto anno delle superiori. Forse il lavoro che svolgo oggi è proprio la risposta a quella domanda che allora mi trovava impreparata. Non ci avevo mai pensato prima, ma su una cosa ero certa: volevo viaggiare, conoscere nuove culture e usanze diverse dalla mia, cercare di capire quello che, probabilmente, mi è ancora inspiegabile, divertirmi e, soprattutto, provare a cambiare il mondo! Si perché a 17/18 anni si vuole cambiare il mondo e pensi sia possibile! Così, sfogliando una guida delle facoltà universitarie, ho scoperto il corso di laurea in Economia dello sviluppo e cooperazione internazionale a Parma.
E allora mi sono detta: “Ma si, dai! proviamoci”, d’altronde potrebbe unire due strade: quella dell’economia, già intrapresa alle superiori (e che tanti dei miei affetti mi spingevano a proseguire, perché così trovi subito lavoro), e quella della cooperazione internazionale, un mondo inesplorato ma affascinante».
«LA MIA AFRICA»
Come sei arrivata in Africa, a Bangui?
«Non faccio altro che ripetermi, se oggi sono qui, in Africa, é anche grazie al mio professore di Storia ed economia dei Paesi in via di sviluppo, che ci ha sempre spronato a fare un’esperienza nel campo della cooperazione, precisando anche che il lavoro del cooperante non è per tutti: o lo ami o lo subisci. Concludendo poi con un’amara postilla: “Molti dei miei studenti sono giunti alla laurea magistrale ma, di fatto, non hanno mai intrapreso quella strada”.
Incoraggiata e sostenuta dalla mia famiglia, durante l’estate del secondo anno universitario ho deciso di fare una esperienza diretta, sono entrata in contatto con l’Ong Coope – Cooperazione Paesi Emergenti -, e ho vissuto un mese straordinario in un piccolo villaggio a sud della Tanzania, Msindo.
Allora, ho realizzato chiaramente: «Questo è ciò che voglio fare! Conoscere una realtà così diversa dalla mia, vedere la gioia delle persone che, nonostante la consapevolezza delle difficoltà giornaliere, continuano a lottare, sorridendo, con impegno, voglia di farcela, aggrappati alla vita come mai avevo visto fare prima. Dando una mano, facendo piccole cose, ho vissuto momenti e emozioni che stravolgono. Questo mi ha fatto sentire utile. A volte è bastato anche solo aver aggiustato una staccionata in una scuola».
Finita quell’esperienza, cosa è successo?
«Sono rientrata in Italia e ho assaporato per la prima volta il mal d’Africa di cui fino a quel momento avevo solo sentito parlare. Così ho continuato il percorso universitario prima a Parma e poi a Torino. Una volta specializzata in Economia dello sviluppo e cooperazione internazionale, ho assolto il servizio civile in Madagascar, poi il primo lavoro con la Ong Emergency (in repubblica Centroafricana e nel Kurdistan iracheno), successivamente con il Cuamm (Medici con l’Africa) nel Sud Sudan e, infine, da quasi 6 anni, nuovamente nella repubblica Centroafricana con la Comunità di Sant’Egidio».
Come opera la comunità di Sant’Egidio?
«Principalmente in due settori: il primo riguarda la salute, attraverso il programma Dream: cura le malattie croniche come l’epilessia, il diabete, l’ipertensione, l’HIV, l’asma e malattie renali leggere; il secondo è rappresentato dal programma Pace e Riconciliazione che, in modo costante e discreto promuove la pace.
È ben noto il ruolo di mediatore della Comunità di Sant’Egidio tra le parti in conflitto in RCA. La firma dell’Accordo Politico per la Pace, il 19 giugno 2017 a Roma, tra il governo centrafricano e 13 gruppi politico-militari è stato un momento cruciale nella storia del Paese. Questo accordo ha avviato, di fatto, il processo di dialogo e disarmo, che ha avuto un secondo e altrettanto importante momento con la firma degli Accordi di Khartoum nel febbraio 2019».
Qual è il tasso di povertà dove ti trovi? Di cosa c’è più bisogno? La situazione politico-economica, carestie? Guerre?
«Situata nel cuore dell’Africa, la Repubblica Centroafricana (RCA) è, dopo la Somalia e il Sud Sudan, è il paese più povero al mondo.
Nella classifica dell’Indice di Sviluppo Umano è 191° su 193 paesi presi in esame; il 60%, dei circa sei milioni di abitanti, vive con meno di un dollaro al giorno.
Si registra, purtroppo, uno tra i più alti tassi di mortalità materno-infantile e la popolazione ha in media un’aspettativa di vita piuttosto bassa (intorno ai 54 anni). Nonostante la posizione strategica e le risorse naturali presenti sul territorio, il Paese affronta da decenni una profonda instabilità politica che ha minato lo sviluppo economico e sociale.
Sono innumerevoli i colpi di Stato, le rivolte e i conflitti armati. Negli ultimi anni il Governo centrale ha avuto un controllo limitato sul territorio, soprattutto nelle regioni settentrionali e orientali, dove sono presenti gruppi ribelli e milizie locali. Non mancano le interferenze straniere che si manifestano con la presenza di milizie mercenarie, protagoniste talvolta discontri armati e violazioni dei diritti umani.
È un Paese che vive principalmente grazie ad agricoltura, estrazione di diamanti e oro e industria del legname. La crescita economica è ostacolata da mancanza di infrastrutture, insicurezza e instabilità politica. Questi elementi, combinati con una povertà estrema e la carenza di servizi essenziali, hanno generato una grave crisi umanitaria. Le donne e i bambini i più vulnerabili, esposti come sono a violenze, malnutrizione e mancanza di istruzione. Sono cresciuta molto con ogni organizzazione, sia a livello personale che professionale, ma la lunga permanenza a Bangui, mi ha permesso di contribuire alla formazione dei giovani locali, che desiderano migliorare la situazione del loro Paese».
IMPOTENZA E DOLORE
«Il confronto con quanto è fuori dal tuo controllo ti fa sentire inadeguata»
Ci racconti un aneddoto, un avvenimento, che ti ha toccata particolarmente?
«Sono stati anni impegnativi, difficili, che hanno permesso la nascita di amicizie profonde, anche con pazienti per me speciali, che oggi non ci sono più. Il senso di impotenza e il dolore per la loro perdita ti svuota, ti consuma, ti fa credere di non poter andare avanti. Il confronto con quanto è fuori dal tuo controllo ti fa sentire inadeguata. Forse è proprio questa la sfida ma credo che tutto questo mi stia forgiando. Essere testimone, lottare, nel bene e nel male, provoca una forza mista a rabbia che spinge ogni giorno a dare il meglio, anche se a volte non è abbastanza.
A Bangui sono arrivata nel gennaio del 2020, con la prospettiva di starci un anno o poco più, invece, a quasi 6 anni dal mio arrivo, mi ritrovo qui a scrivere questa mia storia e, forse, tracciare anche un bilancio.
Quando parlo con i nuovi colleghi (qui c’è un turnover molto intenso, la permanenza media è da 6 mesi a un paio d’anni), inevitabile che chiedano: “Da quanto tempo sei qui?”. E alla mia risposta, “Quasi 6 anni”, mi incalzano: “Perché?!”.
Non so spiegarlo in poche parole: conservo un “album di emozioni” e da brava amministratrice ho difficoltà a tradurlo in parole. Il fantastico team dell’associazione é un ingrediente fondamentale per questa ricetta di resistenza/resilienza».
TRA MALATTIE E COPRIFUOCO
Covid e altre malattie, come le affrontate?
«Nel 2020 abbiamo trascorso il periodo del covid e il mio primo periodo con questa nuova realtà lavorativa. Non abbiamo sofferto come in Italia, le restrizioni erano blande, c’era solo la paura di essere contagiati e stare male, e allora sì che sarebbe stato un problema, vista l’assenza di ospedali specializzati.
Il 2021 c’è stato un tentativo di colpo di Stato, Bangui era stata dichiarata “Ville mort” (città morta), una città “ibernata” per un paio di settimane e sotto coprifuoco (se ti trovavano per strada non chiedevano un documento o ti facevano una multa, rischiavi di essere ammazzata), che lasciava pochissimo spazio per lo svago, gli amici, per lamentarsi del caldo, delle zanzare, della mancanza d’acqua e degli sbalzi di elettricità che rischiavano di bruciare quello che lasciavi innescato alla presa della corrente».
Ci descrivi una tua giornata tipo?
«Ci si sveglia prendendo il caffè (rigorosamente Quarta!), cercando di mettere in ordine le priorità della giornata, con la consapevolezza che, nel momento in cui metterai piede in ufficio, verrai assalita da mille imprevisti: problemi con le banche, con le macchine, lentezze inesorabili dei Ministeri e cose che si rompono: qui molte cose si rompono con una velocità incredibile.
Seguo principalmente due progetti: il Programma Dream (gestiamo una clinica e un padiglione di ospedale e curiamo circa 3mila pazienti cronici e una media di 100 nuove donne incinte al mese che accompagniamo nel percorso prenatale. Tutti i servizi sanitari sono a pagamento, mentre il nostro programma prevede gratuità e presa in carico in modo olistico del paziente).
E poi abbiamo avviato, da 3 anni, delle campagne di vaccinazione porta a porta per i bambini da 0 a 2 anni.
Per il progetto “mediazione di pace”, mi limito a seguire l’ufficio per evitare problemi di carattere amministrativo e logistico».
“Basta! Mollo tutto e torno in Italia!”, l’hai mai pensato?
«Mi succede spesso, anche più volte nello stesso giorno.
Ci sono periodi in cui mi abbatto e non sopporto il peso della missione, in cui riesco a vedere e sottolineare solo i problemi, i ritardi, le frustrazioni, che raramente mancano durante una giornata di lavoro.
Mi hanno molto aiutato e sostenuto le amicizie qui a Bangui.
Avere delle persone che in un quadro nero intravedono un punto bianco e riescono a fartelo vedere e apprezzare, non è scontato.
È questa la forza che mi è stata trasmessa giorno per giorno, che mi aiuta a inquadrare l’amore per questa professione, mi fa andare avanti e ammirare questo quadro caravaggesco: sebbene prevalgano le ombre, la presenza di luce, minima ma potente (carica di quanto si è realizzato), è dominante».
COSA FARAI DA GRANDE?
Hai già deciso cosa farai in futuro?
«Bisogna sempre tenere alto il morale delle truppa: nel mentre si accavallano le emozioni, il leitmotiv mi ritorna in mente, mentre mi ritrovo a scrivere questa storia, a pochi giorni dalla mia partenza, al momento definitiva, da Bangui.
Questa è la parte relativa al lavoro, ma non c’è solo questo.
A Bangui è presente anche un gruppo locale della Comunità di Sant’Egidio, giovani centroafricani che, malgrado le difficoltà, cercano di vivere lo spirito evangelico della Comunità del Santo.
Lo fanno nella gratuità e nell’amicizia, prestano servizio ai poveri, ai bambini di strada, alla scuola di pace e alla cura degli anziani soli e senza sostegno. Mi emoziona vedere che esistono dei giovani che sperano e lavorano per un futuro diverso per il loro Paese.
Dopo quasi 10 anni di lavoro non so ancora dare una risposta alla domanda che Gabriella mi pone “ogni 2 per 3”: Cosa vuoi fare da grande?! So che voglio continuare, e mi impegnerò al 100% per fare in modo di soddisfare almeno in parte quel desiderio di “cambiare le cose” in meglio. Aiutare, vedere la gente sorridere, scoprire la bellezza delle diversità, affinchè quello che ha spinto una giovane salentina ad affrontare questo mestiere, si avveri.
Ecco la mia risposta: «Non so cosa farò da grande, ma il mio lavoro mi piace e continuerò a farlo».
COME AIUTARE
Come possiamo aiutare la tua comunità?
«Con una donazione a:
COMUNITÀ DI S. EGIDIO ACAP – ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCI – IBAN: IT36Q0200805074000060045279
Causale: Programma Dream Centrafrica»
Approfondimenti
Air Fryer: trucchi per migliorare la cottura dei cibi
Negli ultimi tempi le abitudini alimentari di tantissime famiglie sono state stravolte dall’ingresso in casa di un elettrodomestico che ha fatto grandi promesse: garantire piatti golosi come quelli fritti ma leggeri come quelli al forno. Tuttavia, padroneggiare la tecnica di una friggitrice ad aria che sfrutta un vortice di calore ad alta velocità non è immediato come sembra e i primi esperimenti possono rivelarsi non ottimali se non si conoscono le tecniche giuste.
Spesso si dà la colpa allo strumento per una panatura che si stacca o per un interno rimasto crudo, ignorando che la causa reale è una gestione sbagliata degli spazi o dell’umidità residua sugli alimenti. Imparare a bilanciare questi elementi è l’unica via per ottenere risultati paragonabili alla cucina professionale.
Come diventare esperti
Per diventare dei veri esperti nell’utilizzo della propria friggitrice ad aria vi basterà adottare pochi semplici trucchi capaci di garantire una doratura esterna impeccabile su ogni tipo di alimento. Seguendo queste indicazioni scoprirete che la air fryer è uno strumento incredibile, soprattutto se si sceglie un modello avanzato tecnologicamente, come ad esempio quelle di Moulinex, con cui potrete spaziare liberamente in cucina, realizzando ottimi contorni di verdure grigliate e persino dolci da forno complessi senza alcuna difficoltà.
Asciugare bene gli ingredienti e dosare l’olio con intelligenza
La regola d’oro per evitare l’effetto bollito è eliminare ogni traccia di acqua dagli alimenti prima della cottura. Inserendo nel cestello prodotti ancora umidi, l’evaporazione impedirà la formazione della crosta esterna, quindi è importante tamponare accuratamente carne, pesce e ortaggi con carta assorbente fino a renderli perfettamente asciutti.
Passando ai condimenti, bisogna sfatare il mito che l’olio non possa essere utilizzato se si vuole cucinare un piatto salutare: una minima quantità è infatti essenziale per attivare la doratura e proteggere il cibo dal calore secco dell’aria. Invece di versare l’olio direttamente dalla bottiglia, l’ideale è utilizzare un nebulizzatore spray per distribuire uno strato sottile e uniforme su tutta la superficie degli ingredienti. Questo piccolo trucco, oltre a evitare il fumo causato dall’olio in eccesso, aiuta anche le spezie e il sale ad aderire meglio alla superficie dell’alimento, evitando che la forza dell’aria le stacchi dal cibo appena accendete la macchina.
Non riempire troppo il cestello e adattare le temperature
Un errore molto comune dettato dalla fretta è quello di riempire il cestello fino all’orlo, sovrapponendo il cibo. La friggitrice ad aria lavora grazie al circolo veloce dell’aria e se ostruite il passaggio ammucchiando gli ingredienti, la parte centrale rimarrà cruda o fredda. Per ottenere una cottura omogenea è sempre meglio cuocere in più riprese disponendo tutto in un unico strato senza affollare troppo lo spazio.
Inoltre, avendo una camera di cottura compatta e una ventola molto potente, la macchina genera un calore molto più aggressivo rispetto agli elettrodomestici standard. Di conseguenza, le istruzioni di cottura pensate per la cucina tradizionale vanno necessariamente adattate abbassando la temperatura di circa venti gradi e riducendo il tempo di cottura del venti per cento rispetto al forno statico. Ricordate poi l’importanza di intervenire durante il processo: estrarre il cestello a metà cottura per scuotere energicamente le patatine o girare le fettine di carne è un passaggio obbligatorio per garantire che ogni lato venga esposto al calore e si colori uniformemente.
Attenzione alla carta forno e alla pulizia costante
Molti appassionati tendono a utilizzare la carta forno per evitare di sporcare, ma se non gestita bene questa abitudine può compromettere il risultato. Coprire interamente la griglia sul fondo, infatti, blocca il flusso d’aria che arriva dal basso, impedendo al cibo di cuocere correttamente nella parte inferiore. Se volete usarla, la soluzione migliore è acquistare i fogli già forati o sagomare la carta in modo intelligente, facendo attenzione a non inserirla mai durante il preriscaldamento per evitare che finisca sulla resistenza bruciandosi.
Infine, un altro aspetto che incide sul sapore dei piatti è la pulizia dello strumento. I residui di grasso e le briciole che cadono sul fondo tendono a bruciare nelle cotture successive, generando fumo e odori sgradevoli che possono alterare il gusto di cibi delicati, motivo per cui è buona norma lavare i componenti dopo ogni singolo utilizzo. Utilizzando spugne non abrasive e detergenti delicati riuscirete a proteggere il rivestimento antiaderente del cestello, evitando che i cibi si attacchino in futuro.
Approfondimenti
Tricase, commercio e futuro, fra dubbi e speranze
Paola Baglivo, di Ottica Moderna e Gino Bortone della gioielleria Bortone, delineano il futuro della città…
“Gli sconti che offrono online sono improponibili per noi che dobbiamo necessariamente tener conto delle spese da sostenere”“Per le festività natalizie, in verità, non nutro molte speranze…”
“Vivibilità e caoticità delle città contribuiscono a cambiare abitudini e stile di vita. Di conseguenza cambia anche il modo di fare acquisti”
Queste interviste le potete trovare su il Gallo cartaceo, distribuito questo fine settimana, in 80 Comuni del Salento;
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