Approfondimenti
Il futuro delle nanotecnologie è nel Salento
Inaugurato a Lecce il Polo di nanotecnologia frutto della collaborazione fra Regione Puglia e Cnr, una tra le più grandi infrastrutture di ricerca a livello europeo. Previsti investimenti per 18 milioni di euro, oltre 12.000 mq di laboratori e facilities e più di 200 ricercatori
Inaugurato a Lecce, all’interno del Campus Ecotekne dell’Università del Salento, il Polo di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), una tra le più grandi infrastrutture di ricerca, a livello italiano ed europeo, dedicata allo sviluppo delle nanotecnologie e delle loro applicazioni in ambito scientifico e produttivo.
Alla cerimonia inaugurale erano presenti Luigi Nicolais (presidente del Cnr), Nichi Vendola (governatore Regione Puglia), Paolo Perrone (sindaco di Lecce), Loredana Capone (assessore sviluppo economico Regione Puglia), Vincenzo Zara (rettore Università del Salento), Giuseppe Gigli (direttore Cnr-Nanotec), Daniele Sanvitto (ricercatore Cnr-Nanotec), Pietro Palella (presidente STMicroelectronics), Stefan Motz (direttore R&D CVIT Bosch), Orazio Viele (direttore generale ricerca e innovazione Engineering – Ingegneria informatica).
Il Polo, che è frutto della collaborazione fra Regione Puglia e Cnr e prevede investimenti per circa 18 milioni di euro, di cui 10 provenienti da finanziamenti comunitari (Fesr), ha cervello e cuore nell’Istituto leccese Cnr-Nanotec, un centro di ricerca multidisciplinare all’avanguardia internazionale, con oltre 12.000 mq di laboratori e facilities e più di 200 ricercatori dai diversi profili scientifici: fisici, chimici, biologi, medici ed ingegneri.
Tra gli obiettivi del Polo e di Cnr-Nanotec lo sviluppo di nuove ricerche e la prototipazione di materiali innovativi per dispositivi e applicativi, realizzati sfruttando le ampie potenzialità delle nanotecnologie attraverso un approccio di tipo bottom-up (self assembling e ingegneria molecolare di molecole organiche, polimeri e biomolecole) e top-down (nanotecnologie/litografie di ultima generazione applicate a materiali semiconduttori). Numerosi gli ambiti applicativi e i benefici attesi per l’intero sistema produttivo, dall’energia all’edilizia, dalla diagnostica alle comunicazioni, dalla sicurezza fino all’ambiente.
“Le nanotecnologie sono oggi in tutto il mondo l’orizzonte più avanzato della ricerca e dell’innovazione”, ha dichiarato Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia. “Per noi è un grande orgoglio, perché i distretti della ricerca sulle tecnologie spaziali, da un lato, e le nanotecnologie, dall’altro, rappresentano un pezzo di Sud che ha capito che di fronte alla crisi e di fronte ai problemi della globalizzazione non ci si può rinchiudere in una caverna, si deve avere il coraggio di camminare sulle piste del futuro. Lecce oggi, da questo punto di vista, è veramente una capitale europea per l’innovazione. Per la Regione Puglia, che ha investito tante risorse in questo centro di eccellenza, è un giorno di grande felicità”.
“È un risultato importante, raggiunto grazie alla collaborazione con la Regione Puglia”,– così il presidente del Cnr, Luigi Nicolais, “che ottimizza l’uso dei fondi strutturali e valorizza le competenze scientifiche e tecnologiche presenti sul territorio, proiettandolo in uno scenario internazionale, avanzato e altamente competitivo. Le nanotecnologie sono, infatti, uno degli assi portanti dell’economia dei prossimi anni. Conoscerne il know how e sviluppare le relative tecnologie assicurerà vantaggi notevoli per tutta l’economia locale, facendo diventare queste aree poli di riferimento e di attrazione per le principali multinazionali del settore. Plaudo, quindi, alla decisione della Regione che ha deciso di sostenere la ricerca scientifica, in un settore estremamente innovativo, in maniera così decisa e convinta. Questa scelta rappresenta un cambio di prospettiva e di passo per l’intero Mezzogiorno che permetterà alla Puglia di entrare da protagonista nell’economia della conoscenza”.
“L’apertura al mondo della Puglia e del Salento, in particolare, passa da qui. Da questo speciale incubatore di nanotecnologie, dalla ricerca e dalla sua applicazione nelle imprese e nelle amministrazioni”, ha detto Loredana Capone, assessore regionale allo Sviluppo economico. “Il talento ha bisogno di strutture e investimenti. Per questo abbiamo voluto sostenere, in questi anni, la produzione e lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione, per collegare due sistemi: quello della conoscenza e quello dell’impresa. Se questi sistemi lavorano insieme, nascono e vivono start up innovative, crescono imprese competitive, si crea un ecosistema dell’innovazione che attira ricercatori e imprese anche dall’estero. Hanno scelto di investire in Puglia e nel Salento 44 multinazionali, da Bosch a Getrag, da STMicroeletronics a Engineering-Ingegneria informatica, General Electric, Porsche. Da noi la produttività del lavoro è più alta, il livello di conoscenza ottimo, importanti gli investimenti con i fondi europei che compie la Regione. Molti ricercatori oggi finalmente fanno ritorno. La vera sfida è questa che condividiamo con il presidente del Cnr Nicolais e il direttore Gigli”.
“Quella condotta dai nostri ricercatori è una sfida ambiziosa a livello internazionale, che già conta sulla consolidata collaborazione con prestigiosi centri quali il Molecular Foundry dell’Università di Berkeley, l’Imperial College di Londra, le Università di Cambridge, Oxford, Tokyo, lo Houston Medical Center e, in ambito industriale, con multinazionali leader”, ha concluso Giuseppe Gigli, direttore di Cnr-Nanotec, “tra gli scopi prioritari del nostro Istituto, quello di attrarre e coinvolgere i migliori cervelli italiani che lavorano all’estero, grazie al gioco di squadra con la rete nazionale del Cnr, la Regione Puglia, l’Università del Salento e aziende leader del settore high-tech. Altro obiettivo primario è il trasferimento tecnologico, che incoraggiamo e promuoviamo attraverso sinergie con istituti di ricerca internazionali, industrie e fondi di venture capital. In tale ambito, particolare impegno è dato alla generazione di start up e spin-off, con lo scopo di contribuire allo sviluppo del benessere socio-economico del territorio e di creare opportunità di nuova occupazione”.
Di particolare rilievo il riconoscimento dell’European Research Council (Erc), che ha concesso a diversi ricercatori del Polo di nanotecnologia di Lecce il suo finanziamento destinato alle migliori idee di ricerca del continente. Tra queste, si distinguono in particolare gli studi per la definizione di circuiti logici ottici per una nuova generazione di computer quantici ad elevatissima velocità, coordinati dal team di giovani scienziati guidati da Daniele Sanvitto.
Approfondimenti
Gli anni passano, le tradizioni cambiano, in meglio o in peggio?
Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti..
di Hervé Cavallera
Con le Festività di inizio novembre si è entrati nell’ampio periodo delle feste di fine anno con tutte le celebrazioni rituali che esse implicano. Ora, già da un remoto passato l’essere umano ha avvertito con perplessità la fine della bella stagione, l’allungarsi del buio nelle giornate e l’appressarsi del freddo.
Ed ha collegato la fine della stagione calda e luminosa con la fine di un ciclo, che non è soltanto quello solare, ma soprattutto quello della stessa vita. Ha colto cioè il senso del trapasso con tutte le incognite ad esso legate, sì da elaborare nel corso dei millenni dei riti di passaggio tra questa e l’altra vita oltremondana. Al tempo stesso, si è pensato di illustrare il cammino del tempo secondo calendari legati al ciclo solare e a quello lunare.
Così per diverse popolazioni dell’antichità, tra cui i Celti che risiedevano principalmente nel centro Europa, il transito tra un anno e l’altro era previsto con l’attuale 1° novembre e in quel giorno, essendo poco netta la transizione tra la luce e le tenebre, il mondo dei vivi si mescolava con quello dei morti e questi ultimi potevano riapparire.
Non a caso il 2 novembre, che seguiva Ognissanti, fu scelto come il giorno della commemorazione dei defunti ed è triste constatare come oggi tanti cimiteri monumentali siano praticamente abbandonati.
Ora, il primo calendario che unificò il mondo mediterraneo fu quello giuliano, ideato dall’astronomo greco Sosigene e divenuto operativo nel 46 avanti Cristo con Giulio Cesare.
Tale calendario rimase in vigore sostanzialmente sino al 24 febbraio 1582 quando papa Gregorio XIII, attraverso la bolla Inter gravissimas, lo sostituì con vari ritocchi con il calendario tuttora esistente detto appunto gregoriano.
Il mondo cristiano ha poi inserito varie ricorrenze a tutti note, fissando le feste di precetto, ossia quelle in cui i fedeli sono particolarmente tenuti alla partecipazione della messa.
Per i cattolici sono: tutte le domeniche; Capodanno (1° gennaio); Epifania (6 gennaio); Assunzione di Maria Vergine (15 agosto); Tutti i Santi (1° novembre); Immacolata Concezione (8 dicembre); Natale (25 dicembre).
Accanto alle feste religiose ogni Stato ha aggiunto per suo conto le feste civili, tra le quali in Italia ricordiamo almeno il 1° maggio (festa dei Lavoratori) e il 2 giugno (festa della Repubblica).
È evidente che se la divisione del tempo in anni, mesi, settimane, giorni, corrisponde ad una esigenza di dare ordine in una realtà ciclica (il rinnovarsi delle stagioni), il concetto di festa si collega, per l’aspetto civile, ad un evento di cui si è particolarmente orgogliosi, e, per quello religioso, è volto ad onorare la Divinità e i Santi.
Sotto tale profilo la festa sia religiosa sia civile non è da intendersi come una vacanza, ma come una celebrazione. Certo nei giorni festivi non si lavora, ma essi non si dovrebbero intendere come meramente vacanzieri.
Festa o vacanza?
Al contrario, dovrebbero servire a raccogliere i componenti di una comunità, quotidianamente intenti ad attività differenti, in uno spirito celebrativo comune.
Una comunanza soprattutto spirituale che può naturalmente trovare un momento gioioso particolarmente nei pasti che una volta erano frugali per i più e ai quali si riusciva a fare qualche eccezione nei giorni di festa.
Così a Natale si poteva arricchire la tavola con il panettone o il pandoro, come nel cenone di Capodanno si mangiavano lenticchie (ritenute ben auguranti) e cotechino.
Sono solo pochi esempi di cibi per così dire “nazionali”, mentre ogni regione aveva (e in gran parte ha) i suoi piatti tipici. Per tale aspetto, nelle feste (e soprattutto in quelle religiose) il sacro si mescola col profano, la speranza del premio ultraterreno con il buon piatto, il senso della fratellanza spirituale con quello della buona compagnia. In ogni caso si percepisce o si dovrebbe percepire il riconoscimento del sacro confermato dalla grazia di star bene.
È così ancora oggi? Non proprio. Nella nostra società si è imposto e si va imponendo un modo di essere sempre più materialistico e consumistico. L’esempio più vistoso è Halloween, la notte di Tutti i Santi, che alla luce di evidenti influenze anglosassoni, è divenuta la festa del macabro e del soprannaturale in una atmosfera neopagana e consumistica. Che dire poi di prodotti come il panettone o la colomba che si cominciano a vendere mesi prima di Natale o di Pasqua?
Le due stesse massime festività della Cristianità (la nascita di Cristo e la Sua resurrezione) passano quasi in second’ordine nella loro specificità di fronte alle spese, ai doni e a quant’altro di godereccio possa esistere. Anche in questo caso occorre precisare che non vi è nulla di male nel mangiare il panettone e la colomba, che è bene brindare purché non si ecceda, che qualche bambino può ben dire Trick or Treat (Dolcetto o Scherzetto).
Il problema è che il momento del divertimento, dello spettacolo, della pubblicità e del consumo sta divenendo prevalente rispetto al significato di ciò che si dovrebbe celebrare. Una volta vi era uno stretto legame tra il significato della celebrazione e gli eventi conseguenti (si pensi alle processioni, ai piatti particolari e così via), ora tutto si va modificando e si impone solo la dimensione del consumo e dello spettacolo.
Certo, il mondo da sempre va cambiando ed è così, ma il mutamento positivo è quello che sa conservare i valori e mettere da parte l’inutile; in tal modo una civiltà cresce e si sviluppa e le persone maturano. Che le cosiddette tradizioni rimangano solo per attrarre turisti o per generare consumi certamente non è positivo e rischia di ridurre tutta la realtà al semplice godimento – non sempre corretto né di tutti – dell’immediato.
Quello che veramente oggi dovrebbe contare, in una società dove soffiano pericolosi venti di guerra e l’Occidente è pervaso da un edonismo individualistico, è il recupero della dimensione spirituale che accomuna gli animi e li rende aperti al dialogo e agli affetti disinteressati.
E da tempo immemorabile tale è stato il compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, istituzioni che attraversano un momento non facile, ma nel rilancio della loro funzione risiede la salvezza di un Occidente che va spegnendosi nelle luci artificiali dei consumi.
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
PER MESCIU PIPPI, CUSTODE DELL’ARTE EDILIZIA CLICCA QUI
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