Connect with us

Attualità

Intelligenza artificiale: «Né paura, né facili entusiasmi»

Intervista al Prof. Fabio Ciracì, direttore scientifico del Centro di ricerca Interdipartimentale in Digital Humanities dell’Università di Lecce: «Ecco perché l’intelligenza artificiale ci spaventa». Sul paventato timopre di perdita di posti di lavoro: Posti di lavoro. «Non dobbiamo avere paura che finisca il mestiere dello svegliatore come nel ’700. I tempi cambiano, dobbiamo ricercare nuovi mestieri che siano al passo con la nuova tecnologia». Il rischio: «È che il capitalismo possa servirsi di questa tecnologia per evolversi e trasformarsi nuovamente in uno strumento di dominio con l’arricchimento di pochi,  l’impoverimento di tanti e conseguente accentramento del potere…»

Pubblicato

il

di Giuseppe Cerfeda


Dopo aver sollevato la questione con una provocatoria intervista virtuale a Giuseppe Codacci Pisanelli, ministro salentino di metà Secolo scorso, in questo numero alimentiamo la discussione, ospitando il prof. Fabio Ciracì, direttore scientifico del Centro di ricerca Interdipartimentale in Digital Humanities dell’Università di Lecce.


Il Centro DH programma e coordina, attraverso competenze professionali differenti e da prospettive metodologiche e disciplinari diverse, progetti coordinati e condivisi, relativi ai fenomeni che hanno per oggetto le scienze dell’informazione, le tecnologie informatiche, oppure che ricorrano agli strumenti digitali e alla rete sul versante applicativo. Poggia sulla convinzione che le DH sono un’area di studi complessa e interdisciplinare, ancora tutta da definire e da indagare, che necessita di un approccio multilaterale ma che in ogni caso appartiene alla storia delle idee.


Di intelligenza artificiale e tutte le sue derivazioni se ne parla tanto e spesso senza cognizione di causa e, forse, anche per questo, ne abbiamo un po’ paura. Vogliamo spiegare in maniera semplice di cosa si tratta?


«Innanzitutto direi che non è un mostro. È una tecnologia piuttosto complessa che ha i suoi addentellati nella cultura informatica e viene chiamata cultura proprio perché è qualcosa di più vasto e complesso della semplice tecnologia. Possiamo dire, intanto, che ci fa un po’ paura in termini di intelligenza perché, fondamentalmente, noi umani ci siamo sempre visti come un’unicità nel creato. Riprendendo una tesi piuttosto nota di Luciano Floridi, filosofo italiano naturalizzato britannico che ha spiegato questo fenomeno, prima abbiamo pensato l’uomo al centro dell’universo, salvo poi capire che non è così; immaginavamo di essere una copula tra il cielo e la terra e, invece, Charles Darwin ci ha spiegato che siamo un animale evoluto; pensavamo di essere degli esseri perfettamente razionali, in realtà Sigmund Freud ci ha detto che non siamo nemmeno così tanto razionali. Ci era rimasta l’intelligenza come caratteristica specifica, poi è arrivato Alan Turing a spiegarci che l’intelligenza può essere anche quella delle macchine. A tutto ciò si aggiunga un’altra questione: pensavamo perlomeno di essere gli unici creativi. Queste nuove forme di intelligenza, invece, ci hanno tolto anche questa illusione. Con il termine “intelligenza” si definisce un comportamento e dovremmo sempre ricordarcelo. Se non riusciamo a distinguere se a risponderci sia una macchina o un essere umano, allora attribuiamo a quella macchina parimenti alla persona una certa intelligenza. Ed è la prima definizione che Turing ci offre, uscendo da ogni alambicco filosofico e senza lasciare spazi ad equivoci. Quando giudichiamo più o meno intelligente una persona, noi che facciamo? Mica studiamo la pet del suo cervello e come si attivano le parti corticali, giudichiamo semplicemente il suo comportamento. Quindi, parlando di intelligenza applicata ad internet ed alla tecnologia, diciamo che ci sono degli oggetti smart che si attivano in un ambiente evoluto e di alta tecnologia. Oggi in particolare se ne parla per le cosiddette “Narrow”, cioè le intelligenze con obiettivo; non siamo ancora giunti alle intelligenze artificiali vere e proprie. Tale evoluzione ci genera un certo timore perché ci ritroviamo di fronte al nostro doppio e questo un po’ ci inquieta perché non vorremmo essere spodestati. Non è una paura giustificata: sono “solo” degli strumenti che, nelle mani giuste, possono essere straordinari».


Possiamo dire, come per tutte le innovazioni, che non è tanto lo strumento in sé ad essere pericoloso ma l’uso che se ne fa?


«È vero ma c’è un “però”! Sappiamo, a partire da Marshall McLuhan (è stato un sociologo, filosofo, critico letterario e professore canadese, NdA), che tutti i media non sono neutrali e che il mezzo è il messaggio. Se dico una cosa alla radio ha un certo effetto se la dico in tv ne ha un altro. Dal punto di vista comunicativo la neutralità non esiste, d’altronde quello che si può fare ad esempio con lo smartphone in Paesi evoluti come il nostro, non si può fare in zone non coperte da ripetitori. Non c’è un’equa distribuzione e la tecnologia non è tutta uguale (infrarossi, fibre ottiche, 5G, ecc.). Quindi non è vero che gli strumenti sono neutrali, possono addirittura essere performanti e trasformativi perché cambiano le vite delle persone, le trasformano. Basti pensare a WhatsApp, le mail… Non cambiano solo i messaggi e la comunicazione, cambiano la vita e le relazioni sociali delle persone».


Sarà necessario che le persone vengano educate al corretto utilizzo di questa nuova tecnologia, a partire dalle scuole.


«L’istruzione è fondamentale. La scuola è lo snodo di conoscenza per la società ma non dobbiamo pensare che possa risolvere tutto. Altrimenti le attribuiremmo un compito troppo oneroso che da sola non può assolvere. L’interasi a queste tecnologie resta comunque fondamentale. Perché oggi, grazie all’intelligenza artificiale con obiettivo, abbiamo ad esempio la possibilità di fare lo screening di tumori al seno per i quali prima si comprendeva l’evoluzione all’incirca al 70%; oggi le intelligenze che vengono utilizzate al MIT permettono di vagliare il 98% di possibilità effettive di intervento. Ed hanno un’importantissima funzione preventiva. Quindi piuttosto che averne paura dobbiamo rendere queste tecnologie, che sono strumenti straordinari, abili e, soprattutto, orientate all’uomo e non contro di esso. L’eventuale pericolo dipende da chi detiene tali intelligenze. Quello che mi tranquillizza è il fatto che siccome è una tecnologia nata in maniera aperta, con tanti rami e rametti che si defilano in maniera molto diversa, è praticamente di dominio pubblico, perlomeno coinvolge tutti i grandi centri di ricerca. Tutto ciò ci dà la ponderata speranza che si diffonda in maniera tale da sottrarsi al monopolio. Ok se la tecnologia è gestita dagli Stati con dei governi democratici, guai se finisse in mano a pochi privati che potrebbero farne quel che vogliono per averne benefici esclusivi».


Quando parla di pericoli a cosa si riferisce in particolare?


«Alle possibili applicazioni. L’intelligenza artificiale ha la possibilità di essere utilizzata in tantissimi ambiti, risolvendo tanti problemi. Il pericolo, per come la vedo io, è sempre quello insidioso del capitalismo. Cioè che il capitalismo possa servirsi di questa tecnologia per evolversi e trasformarsi nuovamente in uno strumento di dominio con l’arricchimento di pochi e l’impoverimento di tanti e conseguente accentramento del potere. Si pensi negli anni ’70 Forbes contava 45mila ricchissimi al mondo, oggi si parla dei “Big Five”… Quindi il potere è sempre più accentrato a fronte di una popolazione mondiale che ha sfondato il muro degli otto miliardi. Resto dell’idea, però, che più che un rischio l’intelligenza artificiale possa diventare uno strumento per emanciparci».


Quali, quindi, le opportunità?


«Giusto, innanzitutto, premettere che non è una pozione magica né una lampada di Aladino. L’intelligenza artificiale, detto in maniera semplice, è fatta di algoritmi, viene programmata ed esercitata attraverso delle batterie e noi la istruiamo affinché abbia una sorta di forma mentis. Quindi bisogna studiare per creare certe cose. Si potrebbero sviluppare davvero tanti posti di lavoro per persone che se ne possano occupare. A meno che non si abbia ancora tanta paura che finisca il mestiere dello svegliatore (la cui mansione era destare le persone addormentate in modo da permettere loro di giungere per tempo al lavoro, NdA) come accadeva alla fine del ’700 e all’inizio dell’800. I tempi cambiano e noi dobbiamo ricercare nuovi mestieri che siano al passo con la nuova tecnologia».


Quindi sarebbe ingiustificato il timore diffuso che siano a rischio tanti posti di lavoro?


«Se ne perderanno ma la cosa sarà bilanciata e forse anche superata dai nuovi posti di lavoro che si creeranno. Semplicemente si cambia. Il problema è che noi umani non siamo in grado di adeguarci alla velocità con cui cambia la tecnologia. Tecnologia che definiamo buona quando i vantaggi sono superiori agli svantaggi. In questo caso, visto che è facilmente accessibile almeno per il suo utilizzo, la si può declinare in molteplici forme operative. Lo stiamo già vedendo, può diventare strumento per nuove forme di arte; divenire formidabile per la medicina («per capacità e potenza di calcolo, ad esempio, permette di trovare nuovi aminoacidi ed oggi si stanno studiando vaccini contro virus antichi come lo “Zoster”, il “Fuoco di Sant’Antonio”»); in ambito ingegneristico offre la possibilità di poter progettare una città dal punto di vista strutturale in maniera che possa essere ecosostenibile. Proprio l’ecosostenibilità è la parola chiave perché questa tecnologia possa essere o meno utile. Se, da un lato può essere utilizzata per la sostenibilità, quanto può essere sostenibile la stessa tecnologia? Non bisogna dimenticare che ci sono dei computer che si riscaldano, utilizzano server, data server e quindi hanno anche un costo energetico».


Stiamo entrando nell’era dell’intelligenza artificiale ma non ci siamo ancora del tutto dentro. Quanto tempo ci vorrà perché sia di utilizzo comune?

«Dipende dall’intelligenza artificiale alla quale ci riferiamo. Di semplici Chatbot che rispondono, come quelli delle compagnie telefoniche, ne facciamo già largo uso da tempo. Se, invece, intendiamo per intelligenza artificiale quella che si sviluppa da Chatbot, è ancora in evoluzione. Impossibile dire quanto ci vorrà. Si può dire che si stanno creando intelligenze artificiali antagoniste (Bing contro Chatbot, ecc.) con le varie aziende mondiali che si fanno concorrenza. Questo alimenta il conflitto e il confronto, che finiscono col migliorare le performance delle intelligenze stesse perché sbagliano, si correggono e quindi migliorano. L’errore, che è alla base di ogni scienza perché confuta qualsiasi ipotesi, diventa anche nella macchina uno strumento di emancipazione e di evoluzione della specie. Sulla tempistica non saprei esprimermi. Quel che vedo è forse troppo entusiasmo e l’entusiasmo e la scienza vanno bene fino ad un certo punto. Come diceva Umberto Eco non bisogna essere né apocalittici né integrali. Gli apocalittici stoppano la scienza come già avvenuto con l’intelligenza artificiale («c’è stato un periodo in cui si pensava fosse un vicolo cieco e questo ha fermato le sovvenzioni alle ricerche»); gli integrati, quelli che credono al Santo Graal, alla soluzione di ogni problema, sono un po’ troppo entusiasti e rischiano di fare confusione».


Di cosa vi occupate al Centro di Ricerca Interdipartimentale in Digital Humanities di UniSalento?


«Di tutto quello che ha che fare con le discipline umanistiche e si interseca sia con le applicazioni che con i saperi della scienza dell’informazione.


Il Centro si occupa di studiare la filosofia dell’informazione con tutto quello che riguarda il problema delle fonti scientifiche in ambiente digitale, le fake news, ecc.


Abbiamo dei progetti in ambito etico che abbracciano tutte le ricadute nel processo applicativo di queste tecnologie.


Poi seguiamo altre due piste: una incentrata sui contenuti, sul cinema e sulle arti performative; l’altra diretta all’informatica testuale che è un’applicazione molto specifica che serve a produrre delle buone edizioni digitali, oggi strumento fondamentale per i ricercatori.


Il nostro è un gruppo nutrito di persone che lavorano con dei sottogruppi che sono altrettanto importanti».


A proposito di ricadute etiche quali sono quelle dell’intelligenza artificiale?


«Sono tante, a partire dalla questione della privacy, anche se già postiamo tranquillamente tutto di noi, senza pensare che ciò che finisce online, li resterà per sempre. L’etica non ha mai a che fare solo con i singoli soggetti ma con le società, con più individui: quando un comportamento diffuso diventa impattivo, può cambiare molto».


Faccia un esempio.


«Qualcuno sostiene che il bullismo a scuola ci sia sempre stato. Nel passato, però, se accadeva qualcosa di spiacevole, moriva nella stessa comunità e rimaneva presente solo nella memoria di un piccolo gruppo. Internet non dimentica e non cancella ed è per quello che ha un peso così oneroso, così pesante, dal punto di vista esistenziale per le persone. Su internet non c’è oblio! Quel che ci mette in imbarazzo è la difficoltà a porre un paletto, una distanza, tra la memoria effettiva della realtà e per esempio i fake. Se qualcuno si sognasse di realizzare un deepfake (foto, video e audio creati grazie a software di intelligenza artificiale) con Joe Biden che dichiara guerra a qualche Stato, ciò potrebbe essere molto impattante perché qualcun altro, dall’altra parte del mondo, potrebbe anche lanciare un missile prima di scoprire che sia una fake».


In definitiva che atteggiamento dovrà avere chi ci legge di fronte alla diffusione dell’intelligenza artificiale?


«Porsi di fronte a queste trasformazioni della tecnologia come fossero delle trasformazioni di carattere culturale. Non sono mai soltanto tecnologiche, mediche o sociali ma hanno a che fare con l’uomo nel suo intiero, nella sua totalità. Capire ciò è fondamentale perché ci evita di rapportarci alla tecnologia come qualcosa di lontano ed evita facili entusiasmi ed inutili paure. L’ideale sarebbe un rapporto critico con la tecnologia, cercando in essa gli aspetti migliori, che sono gli strumenti di emancipazione per l’uomo e per il pianeta che abitiamo».


 


Attualità

Santa Caterina, strada intitolata al Giudice Sodo

L’amministrazione comunale ha deliberato l’intestazione di una strada della marina di Nardò al compianto “Pretore d’assalto”

Pubblicato

il

L’amministrazione comunale ha deliberato l’intestazione di una strada di Nardò, precisamente nella marina di Santa Caterina, al compianto giudice Angelo Sodo.

L’iniziativa è stata proposta da Carlo de Bartolomeis, diciassettenne, studente del Liceo Scientifico Banzi di Lecce e nipote del giudice Angelo Sodo.

Il giudice Sodo è ricordato per quanto si spese in favore della comunità neretina e non solo, tutelando beni paesaggistici dalle speculazioni edilizie.

Pretore di Nardò per 42 anni, Consigliere di Cassazione, Presidente della Commissione Tributaria di II grado della Puglia, sez. di Lecce e docente universitario presso l’Università di Bari.

Per i tempi furono innovative le sue sentenze, come il sequestro dei volatili al di sopra del Parco Naturale di Porto Selvaggio affinché i bracconieri, se colti in flagranza di reato con la selvaggina, sarebbero stati punibili o arrestati per Legge.

Tante le altre sue sentenze conosciute, adottate negli anni a cavallo tra il 70 e il 90.

Inoltre, fu il “Pretore d’assalto” a preoccuparsi e a far porre il limite di velocità sulla strada che collega Nardò alle marine, teatro di numerosi incidenti mortali.

L’idea iniziale era, come di prassi, porre il limite di 50 km/h lungo il tratto di strada (attuale via Benedetto Leuzzi e Str. Santa Caterina) e, così, assieme al sindaco di Nardò di quegli anni, si recarono ad acquistare i paletti con sopra il limite di velocità.

Per sfortuna da un lato, ma per fortuna dal lato che riguarda la sicurezza stradale, il giudice Sodo ed il sindaco, non trovando divieti di oltrepasso di 50 km/h, furono costretti a porre il limite di 30 km/h.

La perseveranza da cui era accompagnato Sodo, costrinse ad applicare quei limiti, che tutt’oggi sono presenti lungo la strada.

Tante sono le sentenze emanate dal dott. Sodo, ad esempio il sequestro del tratto di mare ove era affondata una nave romana con all’interno varie anfore e suppellettili dell’epoca.

Il tutto al fine di consentire il recupero di questi oggetti, il successivo restauro ed infine l’esposizione al pubblico presso il museo provinciale.

Inoltre, una celebrazione della strada intestata al compianto dott. Sodo, la già via Monte Alto di Santa Caterina, sarà programmata prossimamente in accordo con l’amministrazione comunale di Nardò.

📍 Segui il GalloLive News su WhatsApp 👉 clicca qui

Continua a Leggere

Attualità

Donne all’Opera: il 1 Polo contro la violenza sulle donne e i bambini

Seguiranno le testimonianze di otto donne del nostro territorio, professioniste e appartenenti a diverse categorie, che si sono distinte nella lotta contro le discriminazioni e gli stereotipi di genere…

Pubblicato

il

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne e i minori, il Polo 1 di Galatina, in collaborazione la Commissione Pari Opportunità, d’intesa con l’Assessorato alle Pari Opportunità di Galatina, organizzano l’evento “Donne all’Opera” che si svolgerà lunedì 25 novembre, a partire dalle 9:30, presso il teatro Cavallino Bianco di Galatina.

Dopo i saluti istituzionali ci sarà un concerto a cura della Salent’Opera, orchestra Sinfonica Giovanile diretta dal M° Tommaso REHO.

Seguiranno le testimonianze di otto donne del nostro territorio, professioniste e appartenenti a diverse categorie, che si sono distinte nella lotta contro le discriminazioni e gli stereotipi di genere.

Di grande pregio la presenza del Cav. Malala Yousafzai dell’Ambito Territoriale Sociale di Galatina, nella persona della dr.ssa Paola GABRIELI, che da dieci anni coordina l’unico centro antiviolenza pubblico a gestione pubblica della Regione Puglia, lavorando sul territorio dell’Ambito di Galatina accanto alle donne e ai figli minori con la presa in carico, nella difesa dei loro diritti, oltre alle attività di sensibilizzazione e formazione, al fine di favorire l’emersione del fenomeno e il contrasto alla violenza di genere.

Continua a Leggere

Attualità

“Cari giovani, costruiamo libertà: non cediamo alla mafia”

Pubblicato

il

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di un nostro giovane lettore, Michele Cojocaru.

“L’impegno contro la mafia, non può concedersi pausa alcuna, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza”. Queste le parole di Paolo Borsellino, che tengo sempre a mente.
Se dovessi scrivere una lettera ai giovani al tempo di oggi, scriverei così:

Cari giovani del mio tempo, sono Michele, ho 20 anni, vengo dalla provincia di Lecce. Nel mio paese, tanti giovani come noi sono caduti nelle mani della malavita. Tanti fumano, molti spacciano, alcuni hanno addirittura pistole con loro.

Vedendo questo scrivo a voi, giovani della mia generazione, non abbiate paura di denunciare questi fatti: la società di oggi conta su di noi.
Vorrei tanto, insieme a tutti voi, richiamare lo Stato italiano, per ricordargli ancora una volta di stare dalla nostra parte.

Cari giovani e care giovani, costruiamo insieme la società la nostra società. Il futuro non deve essere la droga, non devono essere le armi. Ma un futuro di pace, in cui possiamo dire ai
nostri figli: tutto questo lo abbiamo fatto per voi.

La mafia distrugge, la mafia uccide, la mafia vieta di sognare.

Anche nel Salento c’è la mafia.
Anche nella provincia di Lecce c’è la mafia, ma è una mafia silenziosa, che agisce senza fare rumore.

Non diamogliela vinta, costruiamo libertà: coraggio, insieme ce la faremo.

Continua a Leggere
Pubblicità

Più Letti