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Sanità: il regional executive officer Puglia di Cerca Healtcare Italia torna a casa

È una storia di emigrazione “contromano”, una scelta di amore verso la propria terra d’adozione quella di Massimo Bene…

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Massimo Bene, 59 anni, ritorna nel “suo” Salento per guidare i 31 laboratori e centri prelievi della Puglia


È una storia di emigrazione “contromano”, una scelta di amore verso la propria terra d’adozione quella di Massimo Bene, 59 anni, che dopo una lunga carriera a Milano nei più importanti gruppi lombardi della sanità, torna nella “sua” terra col ruolo di Regional Executive Officer Puglia di Cerba HealthCare Italia. E, al contempo, è la storia di un gruppo, Cerba, che punta sulla governance territoriale e offre ai manager opportunità di alto livello in territori da cui troppo spesso i talenti sono costretti ad andarsene se vogliono fare carriera.


«Sono nato in questa bellissima terra quasi per caso -racconta Massimo Bene-, perché i miei genitori avevano una casa a Santa Maria di Leuca, ma i geni del Salento mi sono entrati dentro anche grazie alla mia infanzia e poi alla giovinezza quando venivo qui diversi mesi all’anno per trascorrere le lunghe vacanze scolastiche. Poi inizia il mio percorso professionale, che mi porta lontano dal Salento: cresco nei più importanti gruppi milanesi della sanità italiana, rafforzo le mie competenze e arrivo ad assumere ruoli direzionali. Nel 2022 vengo chiamato da Cerba HealthCare Italia e scopro che il gruppo crede nella governance territoriale: mi propongono di tornare nella “mia” terra, col ruolo di amministratore delegato della Puglia».


Oggi Massimo Bene, 59 anni, è a capo di uno staff di 170 persone (tra personale di segreteria, tecnici di laboratorio, biologi, infermieri), a cui si aggiungono alcune decine di medici liberi professionisti con svariate specializzazioni che collaborano con il gruppo Cerba, che nella regione Puglia conta 31 sedi tra poliambulatori e centri prelievi. «E la nostra organizzazione territoriale è costantemente in crescita, perché molte storiche strutture pugliesi scelgono di continuare la propria storia all’interno del nostro Gruppo», aggiunge Bene.

In effetti, è del novembre 2023 l’acquisizione da parte di Cerba HealthCare Italia del laboratorio dei dottori Di Pierro e Morelli a Squinzano, punto di riferimento del Salento nel settore delle analisi chimiche e cliniche fondato negli anni Novanta e tipico esempio di imprenditorialità italiana ed eccellenza di servizio. Come lo è sempre stato il centro medico Pignatelli di Lecce, anch’esso confluito ormai da un paio d’anni nel gruppo Cerba HealthCare Italia.


«Qualità dei servizi, attenzione ai dettagli, macchinari sempre all’avanguardia e digitalizzazione come pilastro di innovazione, che significa centralità del paziente, il quale può contare su una tempestiva e corretta presa in carico e un’alta qualità degli esami e delle prestazioni erogate. Sono questi i valori di Cerba HealthCare, che ha i propri punti di forza sul territorio nelle analisi cliniche di laboratorio, la diagnostica per immagini, la medicina dello sport e la medicina del lavoro», conclude Bene.


Cerba HealthCare Italia è parte di un gruppo internazionale dedicato alla diagnostica ambulatoriale e alle analisi cliniche presente in 47 nazioni, Cerba HealthCare Italia è specializzata nei settori dei laboratori analisi, medicina dello sport, medicina del lavoro, radiologia, poliambulatori e service lab. Nel nostro Paese conta oltre 2.000 addetti, più di 400 tra centri medici e di prelievo, 34 laboratori. Ogni anno esegue più di 25 milioni di esami e offre i suoi servizi a oltre 6 milioni di pazienti. www.cerbahealthcare.it   


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Cartelle Consorzio di Bonifica: «Sospensione immediata!»

Dura presa di posizione di Adiconsum Lecce. L’Associazione dei Consumatori richiama al rispetto del diritto di difesa degli agricoltori

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L’associazione dei consumatori Adiconsum Lecce interviene con fermezza sulla questione delle cartelle esattoriali emesse dal Consorzio di Bonifica, che stanno colpendo «ingiustamente» gli agricoltori salentini, senza che vi sia un’effettiva erogazione dei servizi previsti.

Secondo le numerose segnalazioni ricevute, gli importi richiesti risultano spesso inferiori ai costi che i singoli agricoltori dovrebbero sostenere per difendersi legalmente.

Questa situazione impedisce di fatto il ricorso alle Corti di Giustizia Tributaria, negando agli agricoltori il diritto di difesa costituzionalmente garantito e creando un evidente squilibrio tra l’ente impositore e i contribuenti.

«Non si può consentire che gli agricoltori siano costretti a pagare per servizi inesistenti senza avere la possibilità concreta di difendersi, a causa dei costi proibitivi delle azioni legali», si legge in una nota di Adiconsum Lecce, «chiediamo con fermezza alle istituzioni di intervenire per ripristinare equità e giustizia nel settore».

Alla luce di questa grave situazione, Adiconsum Lecce ha formalmente richiesto:

1 – «La sospensione immediata delle cartelle esattoriali e degli atti esecutivi relativi al tributo 630, in attesa di una verifica della reale erogazione dei servizi da parte del Consorzio di Bonifica».

2 – «L’istituzione di un tavolo di crisi sotto la supervisione della Prefettura, coinvolgendo Regione, Consorzio di Bonifica, organizzazioni agricole e associazioni dei consumatori, per individuare soluzioni concrete ed eque».

3 – «Un intervento urgente della Regione, affinché vengano previste misure di tutela legale per gli agricoltori, garantendo loro la possibilità di far valere i propri diritti senza ostacoli economici insostenibili. Adiconsum Lecce si appella alle istituzioni affinché questa problematica venga affrontata con la massima urgenza e criticità, evitando che un sistema iniquo continui a penalizzare gli agricoltori salentini».

«È inaccettabile», concludono da Adiconsum Lecce, «che si prosegua con una tassazione senza servizi e senza possibilità di difesa. Continueremo a vigilare e a intraprendere ogni azione necessaria per tutelare i diritti degli agricoltori e dei consumatori».

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Incandidabilità sindaci: nota ANCI a Giorgia Meloni

L’Associazione dei Comuni pugliesi chiede l’intervento del Governo: proposta di ricorso e richiesta di sospensione degli effetti della norma

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ANCI Puglia sollecita un intervento del Governo per impugnare l’art. 219 della Legge n. 42/2024, ritenuto incompatibile con i principi costituzionali e lesivo del diritto all’elettorato passivo.

In una nota (firmata dalla presidente Fiorenza Pascazio, dal vicepresidente vicario Michele Sperti e dai vicepresidenti Giovanna Bruno, Silvana Errico, Luciana Laera, Onofrio Di Cillo, Noè Andreano) inviata al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Ministero dell’Interno, ANCI Puglia ha chiesto un intervento per la dichiarazione di incostituzionalità della norma introdotta dall’art. 219 della Legge n. 42/2024 in materia di incandidabilità dei sindaci.

L’Associazione dei Comuni pugliesi ha accolto con soddisfazione la posizione espressa dal Ministero dell’Interno, che ha evidenziato il profilo di incostituzionalità dell’emendamento in questione, approvato nell’ambito della legge di bilancio 2025 dal Consiglio regionale della Puglia.

In particolare, il Viminale ha sottolineato le criticità dell’articolo 219, ritenendolo incompatibile con i principi sanciti dalla legge n. 165/2014 e definendone l’evidente “irragionevolezza“.

Fin dall’approvazione dell’emendamento, ANCI Puglia ha espresso preoccupazioni sulla sua legittimità, ribadendo la necessità di garantire ai sindaci pari opportunità di accesso alle cariche elettive, senza discriminazioni.

A giudizio dell’Associazione, questa disposizione rappresenta un ostacolo ingiustificato alla partecipazione democratica, privo di fondamento giuridico, che impedisce ai sindaci di concludere il proprio mandato amministrativo e di concorrere alle elezioni regionali.

Nonostante i ripetuti appelli e il sostegno trasversale alla richiesta di revisione della norma, il Consiglio regionale della Puglia non ha ancora adottato alcuna misura correttiva.

Nel frattempo, numerose iniziative, comprese azioni legali promosse da sindaci di diverse appartenenze politiche, hanno cercato di contrastare questa norma.

In tale contesto, ANCI Puglia ritiene necessario un intervento risolutivo da parte delle autorità competenti, per garantire il rispetto del principio costituzionale di eguaglianza e il diritto all’elettorato passivo di ogni cittadino pugliese.

L’Associazione dei Comuni pugliesi sollecita un intervento urgente per risolvere le criticità giuridiche e applicative derivanti dall’introduzione della norma regionale, anche in considerazione dell’incertezza sulla data delle elezioni regionali.

Per questo motivo, ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri di proporre ricorso in via diretta ai sensi dell’art. 31, commi 2, 3 e 4, della legge n. 87/1953, per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 2/2005, come modificato dall’art. 219 della legge n. 42/2024, pubblicata sul BURP della Regione Puglia il 31 dicembre 2024.

Il ricorso va presentato entro 60 giorni dalla pubblicazione, richiedendo anche la sospensione degli effetti della norma, come previsto dalla legge.

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Tiggiano festeggia i cento anni di Tetti

Maria Concetta Negro ha spento con la propria famiglia le sue prime cento candeline

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Cifra tonda per  Maria Concetta Negro.

Nata il 26 febbraio 1925, a Tiggiano, Tetti ha spento con la propria famiglia le sue prime cento candeline.

Per l’occasione la visita del sindaco di Tiggiano, Giacomo Cazzato.

In occasione del suo speciale compleanno, il racconto della vita della centenaria attraverso le parole del nipote Mario Negro, che pone l’accento sulle difficili vicende che hanno caratterizzato la vita della donna, vissuta nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.

LA VITA DI TETTI

Tetti Negro, oggi 100 anni

Immersa nella preghiera. Un rosario stretto tra le mani. Diffidente, sospettosa. La sua vita è segnata da una vicenda straziante che sconvolse la sua famiglia.

Appena diciottenne, nell’estate del ’43, in pieno conflitto mondiale, fu colta per diversi giorni da una febbre acuta che dovette curarsi con delle iniezioni.

Una di queste punture non venne eseguita correttamente tanto da procurarle un ascesso al gluteo e forti dolori all’anca. Non riusciva più a camminare e reggersi in piedi.

Le terapie dell’epoca seguite in casa non destarono miglioramenti. Si decise allora di ricoverarla all’ospedale di Gallipoli dove stette qualche giorno e, malgrado due interventi di incisione chirurgica alla cute, non volse ad un risanamento.

È proprio in quel periodo di degenza che a molti pazienti di quel nosocomio fu imposto un ordine di sfollamento teso a scongiurare severe perdite umane da eventuali bombardamenti della città, com’erano avvenuti in altre località salentine ritenute potenzialmente strategiche dalle forze militari in campo.

Quei degenti dovevano essere trasferiti altrove e, al padre di Tetti, Biagio, fu proposto di spostare la propria figliola a Napoli oppure a Porto Potenza Picena, sedi più idonee alla piena guarigione di quell’infermità e più sicure dall’avanzare delle truppe alleate ormai sbarcate in Sicilia.

Biagio escluse la città partenopea e diede il consenso ad accompagnare Tetti nelle Marche. Così, dopo i preparativi ed un interminabile viaggio in treno, i due giunsero nella nuova struttura sul litorale adriatico.

Consegnarono i documenti in accettazione ed attesero nell’atrio finché un’infermiera si prese cura di Tetti assegnandole un letto d’un grande stanzone gremito di malati.

Il babbo stette alcune ore al suo fianco e, quando la vide ben accudita, la salutò con un abbraccio, esortandola a scrivere una lettera appena sarebbe stata dimessa, in modo da poterla raggiungere in tempo e riaccompagnarla nel viaggio di ritorno.

Tetti cominciò a conoscere altri malati, tra cui molti militari provenienti d’ogni parte, insieme a volontari, suore e personale sanitario.

Ricevette le cure necessarie alla sua malattia e volgeva via via verso la guarigione.

Dopo qualche settimana, desiderava darne notizia ai familiari; si procurò una penna ed un foglietto intenta a scrivere di sé.

Presto, però, apprese che ciò che stava per fare sarebbe stato vano: quella lettera non poteva essere spedita in seguito ai devastanti eventi bellici che continuavano a minacciare l’intero Paese.

La posta e altri servizi pubblici erano stati bloccati.

Trascorsero così altri giorni di attesa, poi mesi e mesi sempre più difficili che non permisero comunicazioni.

La fine dell’alleanza dell’Italia con la Germania nazista dall’armistizio dell’8 settembre aveva scatenato molta confusione e ulteriori stragi, bombardamenti e rappresaglie.

Quel territorio era ancora controllato dai tedeschi. Eseguivano frequenti ispezioni all’interno dell’ospedale nella ricerca di ebrei, partigiani e disertori.

Tetti, ormai del tutto ristabilita al pieno delle sue forze, continuava a soggiornare nel nosocomio non avendo altra dimora che potesse ospitarla.

Le avevano riservato un posticino in un attiguo capannone da cui, nel vivo delle belligeranze, poteva uscire qualche minuto al mattino per le vie del centro; assistette così al cannoneggiamento da parte dei tedeschi che, in ritirata verso la linea gotica, danneggiarono la torre e la piazza del paese.

Era giugno del ’44 e, pur volendo tornare a casa nel Salento, Tetti non poteva avventurarsi ad affrontare un viaggio pieno di insidie: vi erano tratti ferroviari interrotti e l’accesso ai treni era stato limitato e militarizzato.

A Tiggiano il papà Biagio si recava ogni giorno alla posta sperando di ricevere notizie di sua figlia.

Giungeva a testa bassa sotto la coppola. Posava lentamente la bicicletta davanti all’uscio dell’ufficio, sempre allo stesso punto, in un rituale che auspicava fiducia e speranza.

Entrando, salutava fugacemente i presenti; l’impiegato era pronto a ripetergli: “Non c’è niente”.

Ogni mattina restituiva a casa una nuova delusione che, tuttavia, non faceva vacillare la ferma convinzione che una lettera sarebbe presto arrivata.

Mamma Peppi si dilaniava dal dolore mentre, in costante inquietudine, si occupava della crescita di altri sei figli.

Era passato più di un anno che di Tetti non si sapeva alcunché.

Il papà voleva tornare a tutti i costi in quell’ospedale per verificare la situazione della figlia. In questo incognito viaggio fu vivamente sconsigliato. Lasciare il Salento sarebbe stato rischioso.

Oltreché all’assenza di treni disponibili, il suo nome avrebbe destato sospetto nel fermento generale degli schieramenti per aver gestito un ufficio di collocamento del regime e, qualora fermato ai controlli, poteva essere interrogato con inimmaginabili sorti.

A Porto Potenza Picena erano in molti a conoscere Tetti: la ragazza salentina che non riusciva a tornare nella sua terra.

La sua permanenza in paese era diventata estenuante e rientrava nei tanti ineluttabili drammi della guerra.

Un mattino, in astanteria, le si avvicinò un ufficiale delle truppe alleate che aveva partecipato alla liberazione dall’occupazione nazi-fascista della città.

Era un sottotenente polacco che girava con una Jeep Willys e, udito il racconto della sua vicenda, le propose un salvacondotto o di salire su d’un convoglio che s’apprestava a dirigersi a Brindisi.

Tetti non accettò, confidando: “Verrà mio padre a prendermi”.

Giorni dopo, altri pugliesi la invitarono ad unirsi in un incerto viaggio di ritorno verso casa. La risposta di Tetti era sempre la stessa, preferiva starsene lì, circospetta, pronta a nascondersi ed a ripararsi durante gli attacchi ed i rastrellamenti, certa che, un giorno, suo padre l’avrebbe raggiunta.

Al mattino saliva al quinto piano dell’edificio. Il mare che osservava dalle grandi finestre le echeggiava i felici momenti trascorsi insieme ai suoi familiari a raccogliere cicorie selvatiche, mirti e critimi sulla scogliera di Torre Nasparo.

Intanto, mamma Peppi a Tiggiano continuava a tormentarsi dai tristi pensieri.

L’ansia di saper qualcosa le procurava tanta trepidazione e, inopinatamente, nel sogno di una notte, le apparve sant’Ippazio che le diede un messaggio premonitore: “Non affliggerti. Tua figlia sta bene! Presto riceverai sue notizie.”

Era già la primavera del ’45.

Gli eventi storici spingevano verso la fine delle ostilità e, con l’aiuto di una suora, Tetti riuscì ad affrancare e spedire una cartolina per la sua famiglia, con la quale comunicava di star bene e di essere pronta ad aspettare il papà alla stazione ferroviaria di Potenza Picena-Montelupone.

Un paio di settimane e la missiva giunse alla posta di Tiggiano.

Quel mattino il papà Biagio, sorpreso d’immensa gioia, ritirò il messaggio e lo portò immediatamente a casa.

Mamma Peppi intravide il marito radioso che sventolava il cartoncino. Colse la notizia come un miracolo, suscitandole enorme meraviglia.

S’inginocchiò per qualche istante, poi, come per adempiere fedelmente ad un indubbio riconoscimento, si diede una ravvivata ai capelli, li strinse al fermaglio sulla nuca, sistemò la lunga gonna nera (cd. vistiano), ritoccò leggermente la spilla della Vergine fissata sul corpetto di lino (cd. sciuppareddhu) ed uscì di casa; iniziò a trascinarsi in ginocchio fino a giungere in chiesa e ringraziare il santo patrono.

La strada era battuta di pietrisco (cd. fricciu) che dopo pochi metri sfilacciò la sua veste e le sbucciò le ginocchia fino a farle sanguinare. Lei, come presa d’estasi, non avvertì alcun dolore e non se ne curò; continuava imperterrita il suo cammino penitenziale recitando lodi di gloria per tutto il percorso.

Il suo passaggio lasciava la gente sgomenta anche se, in paese, non erano insolite simili vedute di devoti; in molti assistevano a tali rituali con sentimenti di incoraggiamento e partecipazione.

I preparativi di Biagio per affrontare il lungo viaggio erano pronti. Nei sacchetti a tracolla (cd. pasazze) aveva sistemato un pezzo di pane, del formaggio e della frutta.

Attese il rientro della moglie, poi si diresse alla stazione. Salì sul primo treno per Lecce.

Il viaggio proseguì su d’un treno merci che giunto a Bari restò fermo l’intera giornata. La città era avvolta da una fitta nube nera. Nel porto c’era stata un’immensa esplosione (cfr. nave Henderson) che aveva provocato centinaia di morti e feriti.

Poi, a notte fonda, si diede il via alla ripartenza del treno e Biagio poté proseguire il suo viaggio sino a raggiungere Potenza Picena al mattino.

Quel giorno di aprile del ’45 il sole splendeva alto nel cielo. Tetti sedeva sulla panchina della stazione. Il papà la notò già dal finestrino e, appena sceso dal vagone, corse velocemente a riabbracciarla. Entrambi furono invasi da enorme commozione.

Biagio si guardò intorno, poi sedette anch’egli. Vide la figlia un po’ cresciutella. Dialogarono intensamente, ancor più guardandosi negli occhi senza proferir parole.

Tetti lo accompagnò alla fontana per dissetarsi e rinfrescarsi dal lungo viaggio compiuto. Era finito un incubo. Si poteva finalmente rientrare a casa. C’era un treno dopo qualche ora.

Tetti volle quindi salutare gli amici dell’ospedale unitamente al babbo; così fece con suor Antonia, suor Francesca e don Simone e tanti altri con cui spesso s’intratteneva, si confidava e si aiutava a vicenda.

S’abbracciarono con reciproca gioia per la terribile guerra ormai terminata e la fine di quel distacco dai propri cari che Tetti dovette affrontare per quasi due anni.

Tetti tornò a Tiggiano.

Il suo babbo le era stato accanto per tutto il viaggio. Arrivarono a casa. Ci fu una grande festa in famiglia.

Da quel giorno non si discostò più dalla madre finché Peppi non morì nell’84.

Non si unì con nessun uomo, nonostante avesse maturato un aspetto disinvolto da quell’esperienza vissuta e non le mancassero proposte di matrimonio alle quali, delle volte, rispondeva di non essere pronta, ma in cuor suo, seriamente, non le piacque alcun corteggiatore.

Restò nubile, sempre accanto ai genitori, legata a quella presenza fisica da cui dovette starne lontana per il lungo periodo della sua disavventura e per cui desiderava non separarsene più.

A Tiggiano non conoscevano la sua vicenda.

Quel periodo di assenza dal paese lasciava presumere che fosse stata ai lavori stagionali al magazzino del tabacco o nelle campagne brindisine o tarantine.

A lei, invece, piaceva raccontarsi per ricordare personaggi, luoghi, date storiche e misfatti della guerra.

Pensava fosse noto a tutti quanto accaduto, cercava dialoghi, conferme.

Alcuni l’ascoltavano un po’ increduli, qui non vi era traccia di quei lontani eventi e cominciarono a dubitare alle sue parole.

Altri non esitarono a farla passare per matta per cui non poteva che rattristarsene e chiudersi in casa.

A volte insisteva a narrare quanto aveva conosciuto della guerra ed a spiegare certi fatti a chi li ignorava.

Tranne casi sporadici non c’era alcun interlocutore. La gente trascurava quei discorsi e si mostrava insensibile a mantenere vivi quei ricordi.

La memoria di Tetti era destinata a perdersi.

E, man mano, si rese conto che quelle cose non interessavano a nessuno, non restava che meditarne con sé stessa, senza esternare il suo pensiero né toccare simili argomenti davanti agli altri.

Molti anni dopo, ormai ultrasessantenne, espresse il desiderio di tornare a Porto Potenza Picena per rivedere quei luoghi in cui aveva vissuto, immaginandoli cambiati in qualche aspetto, ma nella sua mente i ricordi del mare, della stazione e dell’ospedale erano nitidamente localizzati e custoditi in un angolo remoto dei suoi pensieri.

Non voleva tornarci da sola e, tantomeno, vi era qualcuno disposto ad accompagnarla per esaudire questa sua volontà.

Dopo la morte dei genitori continuò a vivere da sola per lunghi anni. Il pomeriggio faceva veloci passeggiate per incontrare fratelli, sorelle e nipoti.

Aveva 75 anni quando cadde vicino casa fratturandosi il femore e dopo un periodo di degenza in ospedale si ricoverò in una casa di riposo a Montesardo.

A 92 anni si fratturò l’altro femore che la obbligò dapprima su una carrozzina e poi quasi costantemente a letto.

È sempre lieta di parlare con chi va a visitarla. Pronta a ricordare tutto, chiede assiduamente come stanno parenti e conoscenti senza tralasciarne alcuno.

Piena di gioia di vivere, dice spesso: “Non voglio morire adesso!”.

Il suo esile corpo conserva un sano equilibrio interiore e, nel suo nascondimento, ha bisogno ancora di pregare su questa terra.

Quell’esperienza vissuta le ha definito la fragilità umana e come essa esprime le sue contraddizioni.

Quante anime nutre ancora quel rosario!”.

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