Attualità
Il bello dello stare insieme
Un luogo di culto per tutti. Accogliere senza perseguitare, pur conservando e rivendicando la propria identità, è un valore del Cattolicesimo…
di Hervé Cavallera
Si è detto, in un precedente articolo, che una caratteristica del Salento è l’inatteso, cioè le tante sorprese artistiche, paesaggistiche, storiche che, soprattutto nel Leccese, la terra dei cento Comuni come si potrebbe dire, si offrono al viaggiatore. E si è detto altresì della molteplicità (basti pensare alla varietà dei dialetti) e della unità del territorio.
Per coglierne quest’ultimo aspetto bisogna partire da lontano nel tempo.
Dai graffiti e da altri reperti pare che Terra d’Otranto fosse abitata sin dal Paleolitico medio, ossia circa 80mila anni fa.
Storicamente l’antico popolo del Salento erano i Messapi (VIII-VII secolo a. C.), mentre il centro e il nord dell’attuale Puglia era abitata dai Peucezi e dai Dauni. Messapia vuol dire, secondo una antica interpretazione etimologica, “terra tra i due mari”.
In particolare, la zona meridionale (tra Manduria, Otranto e Leuca) era abitata dai Sallentini e quella da Otranto a Egnazia dai Calabri.
Senza entrare in una accurata analisi storica, pare che i Sallentini fossero stati alleati di Pirro contro i Romani.
Questi ultimi poi unificarono la Penisola e a Lecce furono edificati, tra le tante cose, un teatro e un anfiteatro ancora ben visibili.
Lo sbocco della città sul mare fu Porto Adriano, cioè l’odierna San Cataldo.
Il Salento poi, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, conobbe le intricate vicende della storia d’Italia: appartenne, per circa cinque secoli, all’Impero bizantino, che fece di Otranto la città più importante; quindi conobbe la dominazione normanna, sveva, angioina, aragonese, borbonica sino a giungere all’unità d’Italia.
L’articolata vicenda storica da un lato mostra come, di là dalle dinastie che dai Normanni in poi regnarono sul Mezzogiorno, il Salento abbia acquisito una sua precisa connotazione, dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente, con l’Impero Romano d’Oriente, ossia con Costantinopoli.
Per tale aspetto, con una città come Otranto aperta ai traffici con la costa orientale dell’Adriatico, il Salento diventa nel corso del tempo effettivamente un centro di accoglienza che conserva però una propria identità all’interno di una tradizione storica che ha come riferimento l’Impero Romano sia d’Occidente sia d’Oriente.
Ciò significa, come del resto avviene in altre parti della Penisola, che la presenza di immigrati non stravolge la realtà preesistente, bensì i nuovi venuti si adeguano e si integrano.
La cultura millenaria delle popolazioni italiche garantisce nel tempo, pur essendo divisa politicamente la Penisola, una identità culturale di cui è espressione, malgrado i tanti dialetti, il volgare, il linguaggio letterario che si impone a partire dal XIII secolo.
È accaduto, cioè, che, malgrado sia stato elevatissimo il tasso di analfabetismo, malgrado sia stata la Penisola divisa politicamente in tanti Stati in continua lotta tra loro, gli Italiani nel corso del tempo sono riusciti ad amalgamare gli stranieri, continuando ad essere un popolo nonostante i continui conflitti e le invasioni.
Si potrebbe dire che esiste una sapienza nell’accoglienza che continua a durare sino ai nostri giorni e il Salento può essere visto come un esempio di una popolazione capace di ricevere ed integrare. Accogliere, d’altronde, viene dal latino accolligere che vuole dire “raccogliere insieme”, quindi generare un legame.
Un esempio significativo è quello che avviene in una famiglia con la nascita. Il neonato è raccolto e accolto, diventa tutt’uno con i familiari.
In verità, questo è sempre accaduto nella nostra storia e continua ad essere così.
Tuttavia i tempi non sono facili. Infatti nell’età della globalizzazione e della confusione che caratterizza particolarmente il nostro Occidente può capitare di tutto.
Può accadere che l’attenzione e il rispetto per le diversità, in sé giusti, possano generare una società anomica, ossia senza ordine, addirittura conflittuale.
Si è detto che una corretta accoglienza implica se non proprio una completa integrazione quanto meno una serena convivenza nel rispetto reciproco.
Laddove questo avviene, tutto è tranquillo e si ha una crescita; se invece sorgono delle contrapposizioni, delle lacerazioni, dei conflitti, ci si trova dinanzi ad un fallimento con gravi conseguenze. E ciò va tenuto presente proprio in vista di evitare possibili conflitti.
Al di là di tale attenzione, che oggi occorre prendere in considerazione più di quanto avveniva nel recente passato, anche pensando che i conflitti esistenti sono connessi ad odi religiosi ed etnici, è giusto sottolineare come il Salento è cresciuto nella sua storia contando sulla collaborazione di tutti, nativi e immigrati, è ciò indubbiamente deve continuare per affermare davvero il bene comune.
La coesione e il rispetto tra cittadini richiede di conseguenza la libertà di culto e la possibilità che essa trovi spazi ove svolgere i riti.
Così, pur all’interno di una nazione decisamente cristiana e cattolica, esistono luoghi di culto per movimenti protestanti e millenaristi (si pensi ai Testimoni di Geova) ed altri potranno sorgere per credenti di altre religioni (come gli islamici).
Questo non vuol dire soppiantare o sostituire le nostre Festività tradizionali, come qualcuno ha non felicemente detto a proposito del Natale, bensì consentire che ognuno possa praticare serenamente il proprio “credo”, sempre nel rispetto reciproco e nella consapevolezza di far parte di un paese che ha una tradizione millenaria.
Non a caso praticare una religione significa superare il proprio egoismo e accedere ad una dimensione spirituale trascendente, generatrice della moralità.
Questo certamente è lo spirito del Cristianesimo, ed è giusto ricordare che oltre 360 milioni di cristiani sono, purtroppo, tutt’oggi perseguitati nel mondo.
Sotto tale profilo, la capacità di accogliere senza perseguitare, pur conservando e rivendicando la propria identità ricca di umanità, è un valore del Cattolicesimo che, come religione dell’amore e della pietas, è veramente unificante nello spirito della comprensione.
Intervista all’imam della comunità leccese: clicca qui
Attualità
Ineleggibilità dei Sindaci: “Discriminatoria e antidemocratica”
Il dissenso di Anci Puglia per la norma che sancisce che “non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione”
L’associazione dei Comuni pugliesi chiede la revoca della modifica alla legge elettorale regionale, denunciando una penalizzazione ingiusta per i sindaci e una limitazione della libertà di scelta degli elettori.
Anci Puglia esprime fermo dissenso nei confronti della recente modifica all’articolo 6, comma 1, della Legge Regionale 9 febbraio 2005, n. 2 – “Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale” – approvata dal Consiglio regionale mediante emendamento.
La nuova formulazione del comma 1 stabilisce che “non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione”.
Tuttavia, tale ineleggibilità viene esclusa se i soggetti interessati si dimettono dalla
carica non oltre sei mesi prima del compimento del quinquennio di legislatura, o, in caso di
scioglimento anticipato del Consiglio regionale, entro sette giorni dalla data di scioglimento.
I Sindaci di Puglia, secondo ANCI, risultano pertanto fortemente penalizzati dal vincolo di ineleggibilità alle regionali e ritengono si tratti di una norma ingiustificatamente discriminatoria e
antidemocratica: Viene così compromesso non solo il legittimo diritto, costituzionalmente garantito, a candidarsi come chiunque altro, ma anche i cittadini e le cittadine vedono limitarsi la libera scelta per l’esercizio del diritto di voto: “Il termine di 180 giorni per dimettersi risulta infatti estremamente rigido e penalizzante e determina una disparità di trattamento oggettiva tra amministratori locali e altre categorie di cittadini eleggibili.
I Sindaci sono i rappresentanti più diretti e più vicini ai cittadini; tuttavia, invece di valorizzare il loro contributo potenziale nella competizione elettorale regionale, arricchendo così il pluralismo democratico, questa norma li mortifica pesantemente.
Inoltre, priva le comunità amministrate di
una guida con largo anticipo e, ipoteticamente, anche inutilmente, qualora il Sindaco non venisse poi candidato nelle liste regionali.
Anci Puglia ha raccolto nelle ultime ore le rimostranze e la delusione di tanti Sindaci e Sindache – di ogni schieramento politico, perché la norma penalizza tutti, in modo trasversale – e sta valutando ogni più utile ed opportuna azione congiunta, anche giurisdizionale”.
Soprattutto, ANCI PUGLIA oggi chiede ai Consiglieri regionali che hanno proposto e votato l’emendamento di “ritornare sui propri passi, di cancellare quella norma assurda e discriminatoria e consentire a tutti il libero accesso al diritto di candidarsi, accettando un confronto paritario, plurale e democratico.
Al Presidente Michele Emiliano, che è stato Sindaco della Città capoluogo e ha poi voluto
interpretare la carica di Governatore come “Sindaco di Puglia”, chiediamo di fare tutto quanto in suo potere per ripristinare, in seno al Consiglio regionale, il rispetto dei princìpi sacrosanti ed inviolabili di democrazia, uguaglianza di fronte alla Legge e pluralismo”.
Approfondimenti
Inaugurata la biblioteca “Giambattista Lezzi” a Casarano
il Sindaco De Nuzzo e l’Assessore Legittimo: “Grazie alla fiducia che i cittadini ci hanno accordato”. “Avevamo la necessità di una Biblioteca “vera” aperta, fruibile. Per questo motivo abbiamo iniziato da zero”.
“Ci sono sogni destinati a rimanere tali ma che comunque aiutano a migliorarsi. Altri destinati a realizzarsi nel momento in cui si ha la possibilità di incidere”.
E’ lapidario il sindaco di Casarano, Ottavio De Nuzzo, durante l’inaugurazione della nuova Biblioteca Comunale della città.
“È grazie alla fiducia che i cittadini hanno accordato alla nostra Amministrazione che tutto è iniziato. Avevamo la necessità di una Biblioteca “vera” aperta, fruibile. Per questo motivo abbiamo iniziato da zero.
E prosegue: “Sono stati anni di lavoro: convenzione con il Polo Biblio Museale di Lecce, partecipazione al bando per il servizio civile 2025, adesione rete delle Biblioteche Regionali, censimento matricola al Ministero, progettazione e realizzazione arredi e tanto altro.
Fatica? No gioia di vedere prendere corpo e anima ad un luogo che sarà un punto di partenza da dove si propagheranno, tutto intorno, attività culturali”.
“Da quelle stanze”, sostiene l’assessore, Emanuele Leggittimo, “si sprigionerà una luce forte che passando da Palazzo De Judicibis si estenderà nel Sedile comunale per arrivare a Piazza Mercato.
Lievito di vita e di bellezza, di incontro e scambi di saperi.
Siamo contenti e orgogliosi, oggi lo possiamo dire per aver potuto inaugurare e contare su “un luogo del sapere” che è la Biblioteca Comunale “Giambattista Lezzi”.
Alessano
“Vi voglio bene”, un libro essenziale per raccontare don Tonino e la sua storia
Monsignor Vito Angiuli: “Scritti e documenti inediti per scoprire l’intera vocazione pastorale da sacerdote e da vescovo. Guardate con simpatia alle persone e agli avvenimenti della storia, per testimoniare a tutti la gioia del Vangelo”
di Luca De Santis
Vi voglio bene, Continuità e sviluppo nel ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino Bello è l’ultima fatica data alle stampe dal vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli. Il nuovo libro ha visto la luce nel mese di ottobre 2024, per le edizioni Il pozzo di Giacobbe. Quest’ultima si colloca in continuità con le precedenti pubblicazioni frutto di interessanti studi che Angiuli ha compiuto sul sacerdote della diocesi ugentina divenuto vescovo di Molfetta.
Il sottotitolo dell’opera ci fornisce le giuste delucidazioni riguardo a quelle che sono le intenzioni dell’autore: Continuità e sviluppo nel ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino Bello. Il testo è composto da una corposa introduzione dove l’autore pone e spiega la sua tesi riguardo a un’inscindibile armonia e continuità presente tra il ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino.
Nel primo capitolo, Ordinazione episcopale, sono stati curati una serie di scritti in cui il futuro vescovo di Molfetta mette in evidenza un forte attaccamento alla sua terra natia e le motivazioni che lo hanno condotto ad accettare l’ordinazione episcopale. Il secondo capitolo, Don Tonino saluta la Chiesa ugentina, raccoglie alcune omelie di saluto che don Tonino ha pronunciato prima della sua partenza per Molfetta, dove traspare in modo palpabile il suo amore per la Diocesi di Ugento che ha servito per 25 anni.
All’interno dell’ultimo capitolo troveremo invece degli scritti inediti da datarsi secondo Angiuli tra il 1960 e il 1980. La gran parte di essi pur non avendo una data o la firma, possono tranquillamente essere definiti autentici, tenendo conto della calligrafia di don Tonino. L’ordine cronologico è dato dal Curatore sulla base delle tematiche che in questi scritti vengono a essere trattate.
La maggior parte di questi risale al periodo in cui don Tonino svolgeva il suo ministero presso la Diocesi di Ugento.
Questi scritti contengono in modo germinale quelle tematiche che durante gli anni di episcopato don Tonino tratterà in modo più approfondito, in base alle sollecitazioni di quel contesto storico. Tenendo conto di quanto abbiamo rilevato è possibile dire che il libro si lascia leggere in modo molto scorrevole dimostrandosi adatto persino per coloro che non hanno avuto una conoscenza dettagliata di colui che la Chiesa Cattolica ha dichiarato Venerabile.
Il vescovo Angiuli ha deciso di intitolare questo suo ultimo libro con un’espressione che don Tonino lungo il suo ministero sacerdotale ed episcopale ha utilizzato spesso: Vi voglio bene.
Quest’ultima non ha solo la funzione di comunicare i suoi sentimenti, quanto la simpatia con cui si poneva nei confronti di quella porzione di popolo che era stata affidata alle sue cure pastorali, ma anche nei confronti della storia a lui contemporanea in cui l’umanità era immersa.
Il vi voglio bene di don Tonino
Il vi voglio bene di don Tonino – ci aiuta a comprendere l’autore – trova significato in una delle più belle espressioni da lui spesso utilizzate e contenute nella Costituzione Conciliare Gaudium et spes al n. 1: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
Le motivazioni ministeriali di don Tonino nelle varie fasi dei suoi incarichi sia nella diocesi ugentina che in quella di pastore della Chiesa di Molfetta hanno mantenuto le medesime fondamenta che hanno da sempre configurato la sua fede: coltivare la preghiera, meditare la Parola, adorare Gesù eucarestia. Prendiamo atto che gli anni del ministero episcopale hanno oscurato il periodo sacerdotale, ma quegli aspetti che hanno reso il vescovo Bello conosciuto in campo nazionale e oltre, ciò per cui è stato amato nella Diocesi a lui affidata, erano già presenti nel ministero svolto nell’estremo lembo d’Italia, in quel Capo di Leuca, durante il suo lungo ministero sacerdotale come professore e vice-rettore presso il Seminario vescovile, come parroco a Ugento e Tricase, nei vari incarichi pastorali.
Cade in grave errore chi sostiene che l’episcopato, in particolar modo la presidenza di Pax Christi, abbia segnato una svolta ministeriale in don Tonino, una conversione verso le tematiche sociali, in particolar modo quella della pace e della non violenza. A tal proposito Angiuli nell’Introduzione del libro è perentorio nel sostenere il fatto che non vi è nessuna discontinuità di pensiero tra il don Tonino sacerdote e vescovo, e che pensare il contrario significherebbe mistificare la realtà.
Quest’ultimo durante il suo percorso di studio ha consolidato un ottimo utilizzo del metodo deduttivo tramite la sua formazione filosofica e teologica, così come una padronanza del metodo induttivo nel confrontarsi e padroneggiare le scienze moderne: sociologia, psicologia, diritto del lavoro, legislazione sociale, all’interno delle quali venne introdotto durante gli anni seminariali a Bologna presso l’ONARMO.
La cultura sessantottina
Accanto a coloro che sostengono una discontinuità ministeriale di don Tonino, vi sono quelli che manifestano una certa antipatia nei confronti del suo ministero, sostenendo come quest’ultimo sia il prodotto di quella cultura sessantottina che ha avuto i suoi risvolti più nefasti all’interno degli anni ’70 del secolo scorso. A costoro risponde il decreto che sancisce la Venerabilità di don Tonino, definendolo come un ottimo interprete delle istanze conciliari.
L’aspetto, forse il più deleterio, è rappresentato da coloro che del ministero di mons. Bello prendono in considerazione e ne propagano solo i temi sociali (pace, giustizia e salvaguardia del creato), dandone una lettura ideologica.
Costoro affrontano i temi sociali senza tener conto di quelli etici (divorzio, aborto, eutanasia), quest’ultimi aspetti non possono essere separati dai primi ed è chiaro come don Tonino gli abbia mantenuti sempre insieme. Proseguire su questa linea – sostiene Angiuli – significa trovarsi dinanzi a un Giano Bifronte dove diviene molto difficile cogliere, per esempio, la profondità teologica di alcune immagini eloquenti che don Tonino ci ha lasciato come quella della Convivialità delle differenze e della Chiesa del grembiule.
Ciò che mons. Bello esprime nel periodo molfettese, affonda le sue radici nel basso Salento e nella formazione bolognese. Nello specifico va considerata l’impronta ministeriale di mons. Ruotolo, il vescovo di Ugento che ha ordinato presbitero don Tonino e con cui quest’ultimo ha molto collaborato: l’amore all’eucarestia, la devozione mariana, l’impegno ad attuare gli orientamenti pastorali scaturiti dal Concilio Vaticano II, la programmazione per gli itinerari di formazione per i laici, l’attenzione alle problematiche sociali presenti in questa parte del Salento.
Un particolare merito del libro lo si riscontra nel III Capitolo Scritti vari.
In questa sezione si trovano, come già detto, degli scritti inediti di don Tonino, i quali pur non avendo lo stesso spessore o valore di quelli pubblicati da lui stesso, hanno il merito di contenere quelle tematiche che rappresentano la continuità ministeriale che Angiuli, a ragione, evidenzia.
Quest’opera è imprescindibile per chi ha un serio interesse a conoscere la sensibilità e le radici in grado di nutrire il ministero pastorale di don Tonino dal punto di vista teologico e sociale.
Il grande merito di Angiuli consiste nell’averci consegnato un testo che in continuità con le altre sue pubblicazioni su mons.
Bello, ci dona una chiarezza, una verità, che non può essere tralasciata e non considerata, un atteggiamento contrario significherebbe alterare il suo pensiero, oscurare aspetti essenziali e sostanziali della sua santità.
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