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Presicce e Acquarica del Capo, insieme è meglio

Luigino Sergio: “Altre fusioni? Solo se avranno un senso. Non basta che due paesi siano vicini o attaccati. Si vule evitare che si tentino fusioni senza logica”

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Presicce e Acquarica del Capo, due Comuni distinti con sindaco, assessori, consiglieri e spese a carico non più sostenibili. È questo, detto in modo forse un po’ riduttivo ma esplicativo, che sta spingendo i due paesi alla fusione. Nel prossimo anno si terrà un referendum, probabilmente in primavera, come ha annunciato il primo cittadino di Presicce Riccardo Monsellato: “Abbiamo la necessità di informare e coinvolgere tutta la cittadinanza prima di giungere al referendum. Tutti dovranno essere partecipi del progetto, nel frattempo una commissione consiliare congiunta dei due Comuni valuterà la bozza. Fuori da ogni tipo di strumentalizzazione riteniamo”, Monsellato si dice convinto, “che la fusione sia l’unica via percorribile per la sostenibilità economica dei due paesi”.


Condivide il sindaco di Acquarica, Francesco Ferraro, il quale rende merito ai due consigli comunali di aver scelto al via della “democrazia e della partecipazione. I due Comuni”, ricorda, “già condividono un unico Piano Urbanistico Generale e un unico servizio di ragioneria così come  i servizi sociali e anche la figura del segretario comunale. La fusione”, ribadisce con fermezza, “è un’opportunità vera e non possiamo ignorarlo”.


Ad Acquarica e Presicce, circa 1,5 milioni di euro l’anno per 10 anni, oltre ai trasferimenti che i vecchi Comuni continueranno a prendere


Acquarica del Capo conta 4.745 abitanti, Presicce 5.356.


Qualora il referendum desse il via libera alla fusione, il nuovo Comune, il cui nome sarà scelto sempre mediante referendum, conterebbe più di diecimila abitanti con tutti i benefici che ne conseguirebbero: riduzione dei costi per i servizi, aumento delle entrate e accesso facilitato ai finanziamenti pubblici.


Senza contare che la nuova Legge di Stabilità in caso di fusione tra Comuni prevede erogazioni fino a 3 milioni di euro l’anno per 10 anni da aggiungere ai trasferimenti statali per i “vecchi” Comuni.


In effetti Acquarica e Presicce non hanno un vero confine sono praticamente già un unico paese.


E non si capisce perché non possa esserci una gestione unica con più servizi e costi minori.


Ed è la stessa situazione che vivono molti altri Comuni della provincia di Lecce, basti pensare a Corsano e Tiggiano, Botrugno e San Cassiano, Matino e Parabita, Taviano, Racale, Melissano Alliste (di cui da tempo si parla di fusione; ricordate il famoso T.R.A.M.?), giusto per fare degli esempi. Vale ancora la pena tenere ancora divisi tutti questi Comuni?


Lo abbiamo chiesto a Luigino Sergio, esperto di riordino territoriale, già vice presidente e direttore generale della Provincia di Lecce, che ha elaborato lo studio di fattibilità per la fusione di Acquarica e Presicce.


Ci sono tanti piccoli Comuni in difficoltà che potrebbero pensare a tale soluzione. La Regione dal canto suo ha interesse alla riduzione del numero degli enti comunali. Il presidente Emiliano mi ha chiarito come la Regione voglia fungere da cabina di regia in tali processi. Se, come pensiamo e ci auguriamo, l’operazione tra Presicce ed Acquarica andrà in porto, tutti vorranno imitarne il percorso. Ciò che si vuole evitare, però, e che si tentino fusioni senza una logica. Acquarica e Presicce hanno anche una storia in comune e ci sono tutti i presupposti per la fusione. Non basta che due paesi siano vicini o attaccati: se la Regione accompagna il processo indicando i criteri si farebbe il tutto con un progetto serio e non solo per accedere ai finanziamenti. Altrimenti avremmo fatto  solo confusione”.

Quali sono i passaggi istituzionali previsti per la fusione di due Comuni?


Innanzitutto va precisato come il coinvolgimento dei cittadini per la fusione tra Comuni sia previsto dalla Costituzione che obbliga a sentire la popolazione interessata attraverso un referendum indetto dalla Regione. Dopo aver informato  i cittadini, i Comuni chiedono alla Regione l’indizione del referendum e la Regione lo organizza. In caso di vittoria del “Si”, la Regione può avviare il processo di fusione, preparando una Legge Regionale che, una volta approvata dal consiglio regionale, consenta di dichiarare estinti i Comuni originari (nel nostro caso Acquarica del Capo e Presicce) e di istituire il nuovo Comune il cui nome si deciderà sempre attraverso referendum popolare. Quando la legge entrerà in vigore, funzionerà il nuovo Comune. Nel frattempo saranno decadute le amministrazioni comunali in carica, la Regione nominerà un commissario e, al primo appuntamento elettorale utile, si andrà a nuove elezioni per eleggere un sindaco unico, il nuovo consiglio, ecc. Il primo obiettivo, quello della riduzione dei costi della politica, sarà immediato. In caso di vittoria del “No”, ovviamente, si interromperebbe con effetto immediato il processo di fusione”.


Fondamentale l’informazione capillare dei cittadini: “Il processo dal basso passa per lo studio di fattibilità che, come stiamo facendo ad Acquarica e Presicce, ci consente di informare la comunità di riferimento, spiegando gli aspetti positivi ed eventualmente anche quelli negativi di una fusione. In modo tale che al referendum il voto sia consapevole”.


Non solo riduzione dei costi della politica. Lei ha sostenuto che quella della fusione in molti casi è l’unica via per la sopravvivenza di molti piccoli Comuni. Può spiegarci meglio?


“I piccoli Comuni boccheggiano: hanno difficoltà a fornire i servizi essenziali e riescono a malapena a galleggiare attraverso l’imposizione tributaria, le tasse a carico dei cittadini. Potremmo dire che sono fuori mercato, mentre i Comuni più grandi riescono a fare economia di scala, risparmi di spesa. Inoltre, in caso di fusione, si potrà usufruire anche di contributi erogati dallo Stato e dalla Regione fino ad un massimo di 3 milioni di euro l’anno per dieci anni. Nel caso di Acquarica e Presicce il contributo può essere quantificato in circa 1,5 milioni di euro l’anno per 10 anni. Oltre a quei trasferimenti che i vecchi Comuni, confluiti in quello nuovo, continueranno a prendere come se esistessero ancora. Si determinerebbero risparmi nei costi della politica e in quelli  di esercizio, l’accesso a contributi dello Stato, interessato alla riduzione del numero dei Comuni, e una riduzione delle tasse che gravano sulle tasche dei cittadini”.


Se si adopera il buon senso la fusione conviene a tutti e la si può mettere in atto anche se le governance dei due Comuni non hanno la stessa matrice politica: “Le attuali amministrazioni di Acquarica del Capo e Presicce hanno posizioni politiche diverse (una è di area di centrosinistra, l’altra di centrodestra) ma hanno messo da parte le loro differenze, pensando agli interessi della comunità. Dopo le riunioni delle commissioni intercomunali si passerà al confronto con i cittadini e si arriverà fino al referendum che potrebbe svolgersi nella prossima primavera. In questo modo nel 2019 si potrà già andare alle elezioni ed avere il nuovo Comune”.


Quello di Acquarica e Presicce non è la prima fusione in Puglia ma c’è un precedente datato… 1927! “Risale al periodo fascista”, ricorda Sergio, “quando è nato il Comune di Adelfia (Bari). Si tenga presente che solo nel 2014 il Consiglio regionale ha approvato una legge che consente agevolazioni in caso di fusione. In Puglia siamo in ritardo sul processo di riordino territoriale rispetto ad Emilia, Piemonte, Lombardia, ecc. che si sono attrezzate per tempo ed hanno già vissuto numerose fusioni”.


Sulla vicenda è intervenuto anche il governatore di Puglia Michele Emiliano che si è rivolto alle comunità di Acquarica del Capo e Presicce: “La vostra è una mossa generosa, altruista ed intelligente. Se sarà fusione il nuovo Comune sarà di esempio e stimolo per gli altri. Sarebbe una vera e propria rivoluzione culturale che garantirebbe nuova energia per cambiare la relazione tra i Comuni della Puglia, la Regione e il Governo”.


Giuseppe Cerfeda


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Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte

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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.

I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.

Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.

Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.

La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.

Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».

Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».

PER L’INTERVENTO DEL CONSERVATORE – RESTAURATORE GIUSEPPE MARIA COSTANTINI CLICCA QUI

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Muretti a Secco e Pajare

Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre

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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)

Dario ha fatto della sua passione un lavoro.

Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».

Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».

Qual è in particolare il tuo lavoro?

«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».

In particolare, a cosa ti riferisci?

«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».

Il cemento non lo utilizzi affatto?

«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».

Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?

«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».

E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?

«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».

Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»

Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:

«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».

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Volte a Stella

Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta

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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.

Da quanti anni fa questo mestiere?

«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni.  Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».

È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?

«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».

Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?

«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».

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