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Attualità

Career Days Unisalento: 158 posti di lavoro per laureati

A Racale si ricerca un laureato in Ingegneria (ambientale/gestionale/civile) o in materie ambientali; a Ruffano, due assistenti di cantiere geologico, un contabile e un geologo; si selezionano infermieri specializzati a Galatina e Soleto e nell’intero sud Salento. Molte le figure ricercate anche di educatori professionali ed educatori sanitari, tecnici della riabilitazione psichiatrica, assistenti sociali, oss… Il 36° report di Arpal

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In occasione dei Career Days 2024 organizzati dall’Università del Salento, è pubblicata un’edizione speciale del Report Laureati degli Ambiti di Lecce, Brindisi e Taranto di Arpal Puglia: contiene 44 annunci per un totale di 158 figure ricercate, per le quali è richiesto il titolo di studio della laurea.


Doppio appuntamento, dunque, domani, martedì 8 ottobre, dalle 10,30 alle 16,30, presso il Polo extraurbano – Campus Ecotekne, e mercoledì 9 ottobre, dalle 11,30 alle 16,30, presso il Polo urbano – ex Monastero degli Olivetani.


Gli operatori dei Centri per l’Impiego saranno a disposizione degli utenti per supportarli nella presentazione delle candidature alle opportunità lavorative, pubblicate ogni lunedì nel


 report settimanale e quotidianamente sul portale Lavoro Per Te – Regione PugliaPer ulteriori informazioni, è possibile registrarsi all’evento visitando Unisalento.it.


Tra le offerte da segnalare questa settimana e che saranno proposte nel corso dei Career Days: a Racale si ricerca un laureato in Ingegneria (ambientale/gestionale/civile) o un laureato in materie ambientali.


Un’associazione sportiva di Lecce cerca, per ampliamento organico, un istruttore di discipline sportive con laurea in Scienze motorie.


A Ruffano, azienda specializzata in sondaggi geotecnici e ambientali, analisi di laboratorio su terre e rocce e indagini geofisiche, sismiche terrestri e marine, elettriche e radar ricerca due assistenti di cantiere geologico, un contabile e un geologo.


Si selezionano infermieri specializzati, inoltre, a Galatina e Soleto e nell’intero sud Salento.


Molte le figure ricercate anche di educatori professionali ed educatori sanitari, tecnici della riabilitazione psichiatrica, assistenti sociali, oss.


Opportunità anche per gli iscritti al collocamento mirato, persone con disabilità (art. 1 L. 68/99) e categorie protette (art. 18 L. 68/99). Per un’azienda che si occupa della produzione di software di Lecce, si ricercano due unità da impiegare nella mansione di programmatore junior di sistemi informatici o operatore junior tecnico informatico. Un’azienda operante a Fasano e Bari nel settore della produzione di film in polipropilene progettati per imballaggi ricerca un ingegnere di processo e un ingegnere gestionale.

Queste e tante altre le opportunità veicolate dal report, che è redatto secondo i criteri dell’alta leggibilità, sulla base delle indicazioni ricevute da Ais (Associazione Italiana Dislessia), per una migliore fruibilità dei testi per favorire la lettura anche da parte di persone con disabilità e persone con disturbi specifici dell’apprendimento. Lo si ricorda in occasione della Settimana Nazionale della Dislessia (7 – 13 ottobre), appuntamento annuale promosso dall’Associazione Italiana Dislessia dedicato alla sensibilizzazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA): dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia.


Con gli stessi obiettivi, dunque, Arpal produce ogni settimana il suo report “inclusivo”.


Questo 36° numero per l’Ambito di Lecce segnala 206 annunci che corrispondono a 532 posizioni aperte nella provincia. Il settore edile si distingue con la richiesta di 96 professionisti, seguito dal comparto socio-sanitario che offre 21 annunci per 78 posizioni. Il settore turistico presenta 90 opportunità, prevalentemente lungo la costa ionica e nel Capo di Leuca. Per l’agricoltura e l’ambiente si cercano 23 risorse, mentre il TAC (tessile-abbigliamento-calzaturiero) offre 20 posizioni e il settore commerciale 39. Le telecomunicazioni segnalano 75 opportunità e il comparto trasporti e riparazione veicoli conta 15 posizioni disponibili. Si cercano anche 82 figure nel settore amministrativo, informatico ed educativo.


Opportunità specifiche includono 12 posizioni nell’industria metalmeccanica3 nel settore pulizie e multiservizi11 nell’industria del legno e 9 nel settore bellezza e benessere.


Sono disponibili cinque posizioni per persone con disabilità e sei per iscritti nelle categorie protette. Infine, la sezione tirocini offre 16 opportunità, mentre la rete Eures propone diverse possibilità di lavoro e formazione all’estero per personale altamente qualificato come medici, infermieri, ingegneri ed educatori.


Si ricorda che le offerte, parimenti rivolte ad entrambi i sessi, sono pubblicate quotidianamente sul portale lavoroperte.regione.puglia.it e sono diffuse anche sulla pagina Facebook “Centri Impiego Lecce e Provincia”, sul portale Sintesi Lecce e sui profili Google di ogni centro per l’impiego.


Le candidature possono essere trasmesse tramite Spid, via mail o direttamente allo sportello presso gli uffici, aperti dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 11.30, il martedì anche nel pomeriggio dalle 15 alle 16.30 e il giovedì pomeriggio su appuntamento.


PER CONSULTARE IL 36° REPORT NELLA SUA VERSIONE INTEGRALE CLICCA QUI



Attualità

La corrispondenza tra il Ministro Pisanelli e San Giovanni Bosco

Scambio di lettere. Entrambi vivevano a Torino. Don Bosco era del posto, Pisanelli vi risiedeva da esule e si era affermato per la dottrina giuridica e la vita esemplare…

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di Ercole Morciano

160 anni fa, esattamente il 28 settembre 1864, con le dimissioni del primo governo Minghetti, del quale faceva parte come Ministro di Grazia, Giustizia e Culti, il tricasino Giuseppe Pisanelli terminava la sua esperienza governativa iniziata col Governo Farini l’8 dicembre 1862.

Giuseppe Pisanelli era già stato Ministro della Giustizia del governo dittatoriale di Garibaldi, a Napoli, nel periodo giugno-luglio 1860.

Dopo il 1864 egli non accetterà più di fare il ministro, preferendo essere presente in Parlamento dove le leggi venivano formate e approvate.

Egli rifiutò anche di fare il capo del governo, carica che Vittorio Emanuele II gli offrì nel maggio 1873 in seguito alla caduta del Governo Lanza-Sella per l’Arsenale di Taranto.

Pisanelli si comportò da vero galantuomo perché ritenendosi, in quanto deputato di Taranto, causa diretta della crisi, non poteva, per una questione morale, giovarsi personalmente delle conseguenze della crisi stessa.

Suggerì al Re di rimandare alle Camere il governo dimissionario in modo da ottenere la fiducia e così verrà superata la crisi.

Durante il suo mandato di Ministro della Giustizia in un periodo veramente difficile per il neonato Regno d’Italia, Pisanelli dette un contributo notevole perché fu l’autore del Codice Civile e del Codice di Procedura civile; dovette affrontare gravi problemi come il brigantaggio e i rapporti con la Chiesa.

In quest’ultimo ambito la sua azione fu in linea col motto cavourriano “libera chiesa in libero Stato”.

Sostenne pertanto il clero cosiddetto liberale e gli ordini religiosi che avevano come scopo l’educazione dei ragazzi o la cura dei poveri.

Fu duro con il clero cosiddetto reazionario e comunque contrario al nuovo Regno d’Italia e verso quei religiosi che vivevano in conventi ritenuti parassitari, senza scopi sociali.

Questa politica gli attirò le ire de “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei Gesuiti, che in quel periodo lo accusò di essere “scismatico” perché il Ministro, sostenendo la parte del clero che era contrario al potere temporale del Papa, tendeva a spaccare la Chiesa.

Accuse che Pisanelli respinse sempre con fermezza.

In quest’atmosfera incandescente si inserisce la corrispondenza tra san Giovanni Bosco (1815- 1888) e Giuseppe Pisanelli (1812-1879).

Entrambi residenti a Torino e quasi coetanei, si può essere certi che forse, pur non conoscendosi personalmente, avessero l’uno sentito parlare dell’altro e viceversa e godessero di reciproca stima.

Don Bosco era del posto, Pisanelli vi risiedeva da esule e si era affermato per la dottrina giuridica e per la vita esemplare.

Don Bosco era noto ed apprezzato negli ambienti torinesi, anche quelli liberali e in genere ostili alla Chiesa, come un sacerdote che rivolgeva le sue cure ai ragazzi di strada, senza casa, senza famiglia, senza istruzione.

Don Bosco li accoglieva, li formava come cristiani, come cittadini e dava loro un mestiere. La sua azione si basava sul metodo preventivo in cui l’educatore doveva essere amorevole e, allo stesso tempo, fermo verso i giovani “traballanti”.

Don Bosco, inoltre, pur rimanendo fedelissimo al Papa, sosteneva la conciliabilità tra le idee liberali del nuovo stato e la chiesa cattolica.  Per questo non trovò mai opposizioni dei governi liberali alla sua azione educativa per la quale gli occorrevano spazi e strutture chiamati “oratori”.

Per questo, il 1° gennaio 1863, inviò al ministro Pisanelli una lettera con la quale gli chiedeva aiuto economico perché egli si trovava «nella grave necessità di provvedere alle spese di fitto, di riparazione, e di culto che occorrono per l’Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova, del S. Angelo Custode in via Vanchiglia, di S. Francesco di Sales in Valdocco, dove si compiono in giorni festivi, mattino e sera le sacre funzioni».

Don Bosco ricorreva pertanto «umilmente alla nota e provata carità» del Ministro affinché gli accordasse «quel maggiore sussidio che nella sua bontà giudicherà bene […] pieno di fiducia di essere favorito».

Il giorno dopo, con una tempestività ammirevole, Giuseppe Pisanelli firmò la concessione a favore di Don Bosco.

Un’altra lettera è del 26 maggio 1863 con cui il ministro Pisanelli ringraziò Don Bosco per l’invio della copia del volume “La storia d’Italia” giunto alla quarta edizione. L’ultima lettera è del 27 luglio 1863. Don Bosco chiese al ministro Pisanelli un contributo per la costruzione in Torino della chiesa di S. Maria Ausiliatrice.  Vittorio Emanuele II, dietro il parere favorevole del ministro, stanziò la somma di lire 6.000 «da pagarsi metà all’uscita delle fondamenta dal suolo e l’altra metà alla copertura della chiesa».

La chiesa fu aperta al culto il 9 giugno 1868 e vi riposano le spoglie di San Giovanni Bosco e di altri santi salesiani.

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Andrano

Xylella: La morte dei giganti

L’autore, Stefano Martella: «La storia ci insegna che le monoculture hanno sempre esposto le civiltà a una fitopatia e, di conseguenza, alla distruzione paesaggistica, culturale, economica»

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Con “La morte dei GigantiStefano Martella, giornalista (Quotidiano di Puglia) di Andrano, ha ripercorso le fasi che hanno portato alla quasi desertificazione del Salento.

Dopo aver sondato le motivazioni che hanno spinto la magistratura a mettere sotto inchiesta gli stessi scienziati che hanno scoperto il microrganismo patogeno, il volume mostra come la popolazione si sia divisa in due fazioni contrapposte: chi era convinto che la pianta si potesse salvare e chi la reputava spacciata; chi credeva nelle tesi della scienza e chi invece che sia stato ordito un complotto diabolico.

È stato il primo libro dedicato all’argomento ad essere pubblicato. Nasce nel 2022 e, dal volume, è stato tratto un docufilm (“Il tempo dei giganti” diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte, prodotto da Dinamo Film e Fluid Produzioni con il contributo di Apulia Film Fund di Apulia Film Commission e Regione Puglia. È stato girato tra Bari, Valle d’Itria, Alliste, Erchie, Lecce, Brindisi, Otranto e Castellana Grotte) che ha ricevuto il consenso unanime di critica e pubblico oltre che numerosi premi.

Come è nata l’idea di questo libro?

«In modo molto semplice: da salentino avevo la contezza di trovarmi al centro di uno dei cambiamenti più importanti della storia dell’homo sapiens. Il Salento ha, aveva, milioni di ulivi millenari, cioè risalenti all’epoca in cui Nerone si suicidò pugnalandosi alla gola o che il Vesuvio seppellì Pompei. Pensare che abbiano deciso di morire nella nostra epoca, è un evento di portata storica. Da giornalista, ritrovandomi nell’epicentro di quanto stava accadendo ho avuto la certezza di essere al centro di un cambiamento epocale. Così come per un cronista per il crollo del muro di Berlino o nel cuore del Vietnam durante la guerra con gli Stati Uniti. Mi sentivo testimone ed osservatore di un grande cambiamento della storia. Era necessario, a mio parere, mettere tutto in un libro provando a fare un’operazione di carotaggio».

In che senso?

«Distanziandomi dalle due grandi curve che si erano create, ovvero una che sosteneva che la Xylella è inguaribile, l’altra invece che si può debellare. Due tifoserie opposte che si urlavano contro senza dialogarsi».

Quali sono i temi centrali trattati? 

«Innanzitutto, la simbiosi tra un popolo ed una pianta, un albero. Gli alberi sono da sempre, a tutti gli effetti, pezzi fondamentali della cultura e dell’identità dei popoli. Quindi raffronto le radici antropologiche e spirituali, culturali, storiche di questa pianta con la popolazione salentina, analizzo le origini dell’arrivo del batterio sul territorio e le falle all’interno del sistema di controllo fitosanitario europeo. Faccio un excursus storico su quali siano state le malattie delle piante nella storia. La Xylella non è un fatto del tutto eccezionale ma una delle tante patologie che hanno sconvolto l’esistenza degli uomini. Analizzo la psicosi che si è instaurata all’interno delle persone, quasi fosse uno shock post traumatico, analizzo anche le reazioni più assurde, grottesche e traumatiche che le persone hanno iniziato a mostrare quando gli alberi hanno iniziato a morire. Analizzo le lotte sociali che le donne salentine, le raccoglitrici di olive hanno fatto per emanciparsi da un sistema schiavista, che era quello dell’economia dell’olio rampante. Va ricordato che il Salento era il più grande produttore di olio rampante d’Europa. Il primo anello di questo grandissimo comparto erano proprio le “schiave”, le donne salentine. Un altro capitolo è dedicato alla famosa teoria del complotto».

Hai parlato con tante persone per la tua ricerca, per il libro, ma anche dopo, nei diversi incontri a cui hai partecipato. Che idea ti sei fatto di tutta la vicenda? 

«Che da salentini ci siamo svegliati tardi e tardi ci siamo resi conto che questa pianta non era immortale. Avevamo dato per scontato che questa pianta, lì da millenni, potesse vivere per sempre. Sotto certi aspetti aveva sconfitto la più grande condanna per gli uomini, cioè il tempo. Mentre le persone nascevano, consumavano la loro vita fino alla fine dei loro giorni, gli ulivi rimanevano. Diventavano un grande lascito, da generazione in generazione, creando una grande memoria collettiva e divenendo un tratto identificativo del Salento. Tutto questo è originale sotto certi aspetti. Per la prima volta l’uomo si è scoperto a provare dei sentimenti nei confronti delle piante. Siamo sempre stati abituati, come specie a provare dei sentimenti per la morte di parenti, amici o comunque di appartenenti alla nostra specie. Da qualche tempo avevamo già sentimenti nei confronti degli animali di affezione. Le piante erano invece considerate un po’ come la carta da parati del mondo. Tale sentimentalismo nei confronti degli alberi ci fa comprendere come la nostra stessa esistenza sia in realtà legata al destino delle piante. Ritengo, poi, ci sia ancora molto da lavorare nell’ambito della comunicazione scientifica. Il mondo della scienza è una grande conquista della civiltà occidentale. I ricercatori, nostri scienziati sono una risorsa fondamentale nella nostra civiltà. Mai come in questo periodo c’è stata comunicazione scientifica. Allo stesso tempo, però, mai come in questo periodo aumentano le teorie antiscientifiche. Anche questa è una chiave da analizzare, perché l’epidemia è una cosa scientifica. Xyella è poco precedente, per esempio, all’arrivo del Covid ed anche in quel caso sono nate teorie del complotto. Teorie che, banalmente, rivedo anche nell’altra classica questione identitaria del Salento, il ritorno del lupo sul nostro territorio. Stanno nascendo teorie cospirative che vogliono il lupo non arrivato spontaneamente, ma portato da qualcuno che aveva non meglio precisati torbidi interessi».

Secondo te come andrà a finire tutta questa storia? Come si potrà chiudere il cerchio? 

«Partendo da un dato di fatto: la monocoltura, è stata un errore storico. Non potevamo certo prevedere quanto accaduto, ma la storia ci insegna che le monoculture hanno sempre esposto le civiltà a una fitopatia e di conseguenza alla distruzione paesaggistica, culturale, economica. Quindi il futuro dovrà passare da una diversificazione culturale e anche dalla riscoperta di antiche culture che la monocultura dell’olivo aveva castrato. Altro aspetto importante, a proposito di riforestazione, è il cambiamento climatico, di cui il Salento è hotspot, cioè un luogo, all’interno del Mediterraneo, dove le mutazioni climatiche sono più evidenti, accelerate e più forti. Quindi, qualsiasi ragionamento dovrà tenere conto che la nostra è una terra che sta andando verso un clima molto diverso rispetto a quello del passato».

Con annessi e connessi: emergenza incendi, disboscamento, inquinamento e chi più ne ha più ne metta. Siamo senza speranza?

«Come sempre accade dopo una crisi, dalla vicenda Xylella possiamo imparare tanto. Una cosa che dobbiamo imparare in fretta è che il paesaggio non è immutabile nel tempo ma si trasforma a seconda di decisioni nostre. Ad esempio, la monocultura dell’olivo prima non c’era e il paesaggio del Salento era composto da querce, lecci, frassini… Tutti abbattuti per darci all’economia dell’olio rampante e dell’olivo. Adesso l’olivo, almeno quello monumentale, ha ceduto il passo per mano di una fitopatia e, direttamente o indirettamente, degli uomini. Il paesaggio è sempre in evoluzione, fondamentale è provare a renderlo più resiliente possibile».

Giuseppe Cerfeda

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Approfondimenti

Xylella: Il fuoco invisibile

Lo scrittore del libro tra i 12 finalisti del Premio Strega 2024, Daniele Relli: «Necessario ricostruire la fiducia fra mondo scientifico, istituzioni e popolazione Con un po’ più di fiducia nei ricercatori, forse, non saremmo arrivati a questo punto»

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Un dramma ecologico e sociale raccontato in un incalzante romanzo a più voci.

È quello che fa Daniele Rielli in “Il fuoco invisibile” (tra i 12 finalisti del Premio Strega 2024), cercando di capire cosa è accaduto agli ulivi della sua famiglia originaria di Calimera, ricostruendo le vicende legate all’arrivo della Xylella, il batterio che ha causato la più grave epidemia delle piante al mondo.

Tutto inizia a Gallipoli, quando gli ulivi cominciano a seccare e morire in un modo mai visto prima. Si mette in moto un vortice di avvenimenti che prende velocità fino a diventare inarrestabile.

Almeno 21 milioni di ulivi, tra cui molti alberi secolari e millenari, un patrimonio insostituibile, sono morti.

È come se l’intero Salento fosse stato bruciato da un gigantesco fuoco invisibile.

Daniele Rielli

Nell’incipit della nostra intervista Daniele Rielli racconta come è nata l’esigenza di scrivere “Il fuoco invisibile”: «Mio nonno a Calimera era un olivicoltore. All’arrivo della Xylella mio padre, anche se di mestiere ha fatto altro dopo essersi traferito al nord ed aver conosciuto mia madre, ne è rimasto assai turbato. Così il dramma che ha colpito tutto il Salento è stato vissuto anche nella nostra casa su al nord».

Ecco spiegato cosa ha spinto lo scrittore, nato a Bolzano e residente a Roma, ad occuparsi di quanto avveniva nel Salento.

Quali sono i temi de “Il fuoco invisibile”?

«Il libro racconta la storia di quello che è successo attraverso, in primis, la nostra vicenda familiare. Poi il racconto si espande ai vari protagonisti della vicenda. Quindi ai ricercatori, che hanno scoperto la malattia e sono stati ingiustamente accusati per alcuni anni di averla diffusa. Accusa pesante e, ovviamente, non vera ma che, sulle loro vite, ha avuto un effetto molto, molto grave. Lo racconto perché sono persone che ho conosciuto in questi anni: persone per bene ed anche molto brave nel loro lavoro. Questa è una pagina nera della giustizia in Italia. Ho conosciuto anche tante persone che hanno cercato di fare qualcosa per contrastare l’emergenza. Penso, ad esempio, a Giovanni Melcarne, di Gagliano del Capo, uno dei produttori d’eccellenza del Salento che ha sempre cercato di portare l’opinione pubblica su posizioni un po’ più vicine alla scienza. Questo, quando, all’inizio, sia tra la popolazione che tre le istituzioni, si sosteneva che la malattia non fosse così grave o che, addirittura, non esistesse affatto, che fosse un complotto. Giovanni è una di quelle persone che, invece, ha sempre tenuto la barra dritta e ha cercato di trovare soluzioni concrete. Melcarne è uno dei protagonisti del libro così come tanti altri. Ho cercato di fare un po’ la geografia umana di questo disastro, dando voce a tanti che non avevano avuto occasione di parlare. Tanto hanno, invece, parlato i politici, che spesso, però, non hanno detto le cose giuste. Mentre persone più capaci non hanno avuto voce in capitolo».

Hai parlato di processo alle streghe… 

«Una delle reazioni tipiche nella storia dell’uomo è quella di cercare qualcuno a cui dare la colpa di fronte alle epidemie, alle malattie inaspettate. Questo è quello che nel Salento è successo con gli scienziati a livello collettivo prima che giudiziario. Tali credenze, diffuse prima sui social e poi tra la popolazione, hanno ricordato un po’ la caccia alle streghe. Alla fine, per fortuna, è stato dimostrato che i ricercatori avevano fatto solo il loro lavoro ed anche bene».

Dopo aver ascoltato le parti in causa, gli addetti ai lavori, che idea ti sei fatto personalmente di tutta questa vicenda? 

«Sicuramente è stata un’occasione persa. Ora esiste un programma di contenimento che costa anche tanti soldi, ma è giusto che ci sia. Il fatto è che, ormai, su un territorio talmente diffuso diventa difficile pensare di contenere l’epidemia in maniera efficace mentre, all’inizio, si trattava di un territorio molto ristretto, tra l’altro circondato su tre lati dal mare, e si poteva tentare seriamente di contenere e di debellare la malattia. Questo non è stato fatto per una serie di errori umani ed è un peccato perchè l’Italia avrà che fare nei prossimi decenni con questo batterio che ha causato tanti danni e continuerà a causarne. Cosa che si poteva evitare».

Come pensi finirà tutta questa storia? 

«Per il Salento è già finita e bisogna pensare al capitolo successivo: piantare delle varietà resistenti e ricostruire, almeno in parte, l’agricoltura. Poi diversificare perché la monocoltura, dal punto di vista ambientale, non è il massimo e, soprattutto, espone a dei rischi. Aver avuto due sole cultivar, la “Cellina” di Nardò e la “Ogliarola Salentina”, sul 60% del territorio, ha posto un problema di biodiversità e l’arrivo di un patogeno, che ha attaccato quelle due varietà, ha messo in ginocchio tutto il Salento. Non sarebbe accaduto se ci fossero state coltivazioni diverse. Ora si dovrà recuperare una parte di olivicoltura per mantenere viva una tradizione secolare, al contempo, cercare nuove culture da affiancare all’ulivo. Questo per quanto riguarda il Salento.  Per il resto della Puglia e, in prospettiva, il resto d’Italia, bisogna cercare di contenere seriamente, nella speranza che arrivi al più presto una cura definitiva contro questo batterio. Prima o poi si arriverà, bisogna solo capire quando».

Oggi si discute del fatto che il Leccino, la varietà resistente alla Xylella su cui si sta puntando, a differenza degli ulivi nostri di una volta, necessiti di tanta acqua, che noi non abbiamo…

«Con le coltivazioni storiche d’ulivo salentine, era problematico fare un olio di qualità perché erano alti e molto grandi. Quindi era difficile raccogliere le olive dall’albero o, meglio, era molto costoso. Quindi si tendeva a produrre un olio lampante, aspettando che le olive cadessero, a discapito della qualità dell’olio. Con quegli alberi era difficile fare diversamente. Ora, con delle piante più piccole, con delle coltivazioni impostate in maniera diversa, sarà più facile produrre olio di qualità anche se, effettivamente, consumano più acqua… Si guadagna da un lato, si perde dall’altro. Da considerare anche che se per la produzione precedente occorrevano 90mila ettari, oggi con delle piante giovani si può arrivare alla stessa produzione e di qualità migliore con 20-25mila ettari».

Daniele Rielli si congeda con un auspicio per il futuro: «L’eredità di questa storia dovrebbe essere un rapporto migliore tra opinione pubblica e comunità scientifica. Spero si sia capito, ad esempio, che quello che può dire un ricercatore in pensione, non è necessariamente l’opinione dell’intera comunità scientifica. Bisogna andare a vedere qual è il consenso diffuso su un argomento. Quello sulla Xylella è sempre stato lo stesso, sin dall’inizio.  Purtroppo, sono stati molti amplificati i pareri di pochissime persone che davano delle false speranze, sostenendo tesi non fondate. E questo ha avuto un costo importante. A mio avviso è necessario ricostruire la fiducia fra mondo scientifico, istituzioni e popolazione. Con un po’ più di fiducia nei ricercatori, forse, non saremmo arrivati a questo punto».

Giuseppe Cerfeda

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