Approfondimenti
Il carcere ha una triplice finalità: retributiva, preventiva, emendativa
Tutto questo però non significa rassegnarsi all’esistente ed arrendersi. Indica il percorso da percorrere affinché nel mondo che verrà si possa gradualmente, ma incessantemente costruire una società più giusta, più accogliente…
IL SENSO DELLA PENA. PUNIRE VUOL DIRE RIEDUCARE
di Hervé Cavallera
Sono decenni che si parla della insostenibilità della vita nelle carceri italiane. Infatti si può dire da sempre, e soprattutto lo si è rilevato in questo secolo, esiste un sovraffollamento di carcerati. Naturalmente i dati variano nel tempo. Il Ministero della Giustizia ha riferito che in Italia al 31 ottobre 2024 vi erano 62.110 detenuti su una capienza regolamentare di 51.181. L’eccesso di detenuti rispetto agli spazi disponibili è evidente e ciò non solo accresce i disagi, i tumulti e le violenze nelle istituti carcerari, ma rende difficile il fine stesso della pena.
Infatti la pena, come si sa, è una sanzione erogata dall’autorità giudiziaria in base a dei crimini commessi dal soggetto o dai soggetti condannati e il carcere è previsto nei casi di reati particolarmente gravi. Ora, senza troppo addentrarci in questa sede nelle norme del diritto penale e nella sua storia plurisecolare, il significato della pena ha un valore retributivo nel senso che è il corrispettivo del male commesso (ad esempio, tanti più anni in carcere quanto più grave è stato il crimine e di fronte a reati molto gravi, quali particolari omicidi, è riservato l’ergastolo).
Di qui anche il valore preventivo poiché la severità della pena dovrebbe servire a dissuadere dal compiere azioni criminose. Ma non basta che il colpevole paghi il fio, come una volta si diceva, delle sue colpe. È necessario che si renda conto del male compiuto, che si ravveda e che una volta uscito dal carcere non commetta più malefatte. Ecco allora il valore emendativo della pena, la quale deve tendere alla redenzione morale e spirituale del reo.
E affinché questo veramente accada, bisogna che il condannato, espiata la pena, possa avere le possibilità di un adeguato reinserimento sociale, anche lavorativo. Nel terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione italiana è scritto infatti che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
Il che significa che non solo il reo non deve vivere in un ambiente disagevole, né essere maltrattato, ma deve essere rieducato per potersi poi reinserire positivamente nella società.
Il valore emendativo della pena è il punto di arrivo di un processo storico che parte dalla richiesta, con Cesare Beccaria (1738-1794), dell’abolizione della pena di morte e che percorre l’Ottocento, in un serrato dibattito che va dal nostro Giuseppe Pisanelli (1812 – 1879) sino alla scuola positiva di diritto penale di Enrico Ferri (1856 – 1929) e Raffaele Garofalo (1851 –1934), pervenendo soprattutto col Novecento a sostenere l’opportunità di un percorso rieducativo del reo.
In realtà, è giusto punire, ma la punizione ha valore in quanto fa capire l’errore a chi ha sbagliato in modo che non sbagli più. Così nella scuola il valore del voto consiste nel far rendere l’alunno consapevole del proprio livello di apprendimento, sì che, in caso negativo, possa migliorare. Naturalmente un miglioramento nel campo dell’apprendimento – come un ravvedimento nel campo del diritto – comporta uno stimolo.
Né questo solo. Soffermandoci sul problema del carcerato, occorre che costui non solo si renda conto dell’errore e del danno commesso, ma che, una volta espiata la pena, possa reinserirsi positivamente nella società, altrimenti vi è il rischio, da non sottovalutare, o del ritorno all’attività criminale o, quanto meno, di una vita disordinata e squilibrata, nociva, ovviamente, sia all’ex-colpevole sia al contesto sociale in cui questi va a vivere.
La detenzione carceraria ha dunque una triplice finalità: retributiva, preventiva, emendativa. Affinché questa possa realizzarsi occorre in primo luogo che l’ambiente della prigione non sia disumanizzante (come può accadere per l’eccesso dei detenuti, oltre che per il possibile carattere degli stessi). Ma questo non basta. Bisognerebbe che durante il soggiorno carcerario si possa operare sul carcerato in maniera riabilitativa sia da un punto di vista psicologico e affettivo sia da un punto di vista occupazionale in vista di quello che il detenuto potrà fare una volta scontata la pena.
Non è questa la sede per soffermarci su quello che nella nostra Penisola viene compiuto e che si intende compiere, né su una più articolata visione di un progetto rieducativo. Come è inutile sottolineare l’impegno concreto di coloro che sono addetti alla direzione e al controllo dei carcerati. Il fatto è, come si è detto all’inizio dell’articolo, che questi ultimi sono molti di più di quanto gli istituti carcerari dovrebbero consentire.
Una funzione emendativa, oltre a spazi adeguati in cui vivere e a luoghi ove svolgere l’attività formativa, implica inoltre dei centri di accoglienza, posti fuori della realtà carceraria, volti alla preparazione lavorativa. Tutto questo, si capisce, comporta una serie di spese notevoli: ampliamenti degli istituti carcerari già esistenti e edificazione di nuovi istituti; presenza in essi, oltre al personale già presente, di un numero considerevole di “educatori”, adeguati da un punto di vista professionale, pedagogico e psicologico; esistenza di strutture esterne in cui i detenuti e gli ex-detenuti possano essere ulteriormente preparati alle nuove attività e ad un reinserimento sociale. Inoltre sarebbe auspicabile una “bonifica” dei quartieri urbani più esposti alla criminalità . Si entra così nel mondo dei sogni o dell’impossibile.
Tutto questo però non significa rassegnarsi all’esistente ed arrendersi. Indica il percorso da percorrere affinché nel mondo che verrà si possa gradualmente, ma incessantemente costruire una società più giusta, più accogliente, più capace di assicurare un equilibrio nel quale convivere. Questo in fondo dovrebbe essere il vero compito di chi opera nel sociale ed è giusto ricordarlo in occasione di quello che significano veramente le Festività di fine anno.
Approfondimenti
L’affascinante storia delle farmacie di Tricase
I miei sguardi erano attirati da un contenitore di vetro dove, in bella vista, c’erano dei cioccolatini, involti in carta stagnola di tanti colori, che mi facevano venire l’acquolina in bocca. Mia madre, con pazienza, mi doveva ogni volta ricordare che erano dei lassativi…
di Ercole Morciano
Le “storiche” farmacie di Tricase, antenate di quelle odierne, compresa l’ultima istituita in via Olimpica, erano entrambe ubicate nel centro antico del paese.
Molti della mia età le ricordano unitamente ai farmacisti che ne erano i proprietari: quella del dott. Spiridione Barbara, nella ex via Municipio, ora via Toma, dove vi è un’erboristeria e quella del dott. Salvatore Minerva, in piazza Vittorio Emanuele, ora Pisanelli, dove si vendono bevande.
Ai farmacisti si dava, all’antica, il “don” come segno di rispetto: così ci avevano insegnato e noi ragazzini – negli anni ’50 e ’60 – senza pensarci, continuavamo la tradizione.
Don Toto era altissimo – da piccolo lo vedevo così – sempre col camice bianco, col capo un po’ inclinato, il baffo curato e il volto in genere sorridente.
Don Spiridione lo ricordo più basso, anch’egli con la testa un po’ piegata e spesso corrucciato: così mi sembrava; anche la sua voce, la percepivo come stizzosa e – ricordo – mi incuteva un po’ di timore; ma don Spiridione era in fondo una persona buonissima.
Entrando nella sua farmacia, i miei sguardi erano attirati da un contenitore di vetro dove, in bella vista, c’erano dei cioccolatini, involti in carta stagnola di tanti colori, che mi facevano venire l’acquolina in bocca.
Mia madre, con pazienza, mi doveva ogni volta ricordare che erano dei lassativi – ed era vero – e questo metteva le cose a posto perché ti faceva passare la voglia.
NEL NOVECENTO
Erano tempi, per noi ragazzini, molto duri: ogni anno, a fine primavera, toccava a molti un purgante che poteva essere una orribile bevanda pungente ed effervescente, oppure olio di ricino (in entrambi i casi, se non ti chiudevi il naso non potevi ingoiare).
Per chiudere con i ricordi legati alle farmacie della mia fanciullezza, una curiosità: riguardo agli aiutanti dei farmacisti i temperamenti si invertivano. L’aiutante di don Spiridione, Vito Corciulo, indossava un camice nero e lo ricordo gentile, sorridente; a me sembrava timido e un po’ preoccupato; l’aiutante di don Toto, Vito Scorrano, indossava un camice bianco, e lo ricordo molto serio in volto; parlava con un eloquio chiaro e possente che sembrava non ammettere repliche.
Le due farmacie, Barbara e Minerva, esistevano sicuramente nel 1912: risulta che nel mese di dicembre i medicinali ai poveri di Tricase furono dati “dal chimico-farmacista Salvatore Minerva e dall’altro farmacista Spiridione Barbara”.
Originario di Alessano, Barbara si era laureato a Napoli nel 1910 e poco dopo aprì la farmacia a Tricase dove si trasferì e formò la sua famiglia.
Salvatore Minerva era di antica famiglia tricasina: anch’egli si era laureato presso l’Università di Napoli e, annesso alla farmacia, aveva un laboratorio di analisi chimiche, come vi era scritto con eleganti caratteri sul vetro della porta d’ingresso.
I farmacisti Barbara e Minerva si distinsero nei periodi della triste miseria quando si pagarono a prezzo di costo, o dilazionati nel tempo, i farmaci acquistati dalla Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli per i poveri.
Entrambi si impegnarono anche in ambito civile: il dott. Barbara fu eletto sindaco di Tricase più volte e il dott. Minerva fu, per parecchi lustri, ispettore onorario ai monumenti.
NEL CINQUECENTO
Le notizie più antiche riguardanti i farmacisti di Tricase risalgono alla fine del Cinquecento.
Il loro nome ufficiale era “aromatari” e, per legge, non potevano essere anche medici (fisici o cerusici) per evitare conflitti d’interesse; gli aromatari cinquecenteschi erano Domenico Musca e Francesco Mecchi.
Nelle loro botteghe, non solo si preparavano e si vendevano i medicinali ma, specie in quella del Musca, si rogavano atti notarili o si riuniva l’università, il consiglio comunale di allora.
Entrambi appartenevano a note famiglie tricasine: i Mecchi erano una famiglia storica, vi è un altare di loro patronato e col loro blasone nella chiesa di San Domenico, mentre ai Musca apparteneva Domenico, lo scultore che ha firmato il fonte battesimale della chiesa madre, suo capolavoro scolpito nel 1547.
NELL’OTTOCENTO
Dal bilancio del 1866 della Congregazione di Carità di Tricase apprendiamo che vi erano a Tricase due farmacie e i farmacisti erano Antonio Legari e Michele Aprile: “Per i medicinali somministrati ai vari poveri” ebbero rispettivamente £. 102 e £. 68.
NEL SETTECENTO
La notizia più completa ci viene però dalle carte dei Domenicani di Tricase: essi nel 1730 avevano, nei locali del convento, una spezieria o spettiaria (speziale era il farmacista nel ’700) di medicinali che affittarono a Giovanni Andrea Longo di Andrano per l’importo annuo di 20 ducati.
Il contratto prevedeva che fossero date gratis tutte le medicine che i medici avessero prescritto “alli religiosi di famiglia di detto monastero”.
La stessa farmacia, nel triennio precedente, era stata affittata a Giovanni Battista Stendardo e, dall’atto di locazione, apprendiamo che vi erano 246 tipi di medicinali.
Dalla medesima fonte ci è pervenuto anche un parziale, ma interessante elenco di ordigni necessari alla preparazione delle medicine, che riporto integralmente nel linguaggio d’epoca: «2 bilance, due sedazzi (filtri) uno di seta e l’altro di pelo, una grattacaso (grattugia) piccola, fuselli e mezzi fuselli, lancelle, sottocoppe, mortai di diverse grandezze, una ciarla (contenitore) [di cristallo] di Boemia, storte di vetro, lambicchi di vetro e di rame, caraffoni (bottiglie col manico) grandi e piccoli, ecc.»
Approfondimenti
Il presidente Vadrucci della Camera di Commercio fra passato e futuro
Sono stati tre anni faticosi ma esaltanti. E soprattutto sono stati tre anni fatti insieme: io, il Segretario Generale, Francesco De Giorgio, la struttura camerale e, soprattutto, la Giunta e il Consiglio della Camera di Commercio di Lecce. Uscivamo da un periodo di pandemia che aveva provocato molti problemi al mondo produttivo salentino…
INTERVISTA ESCLUSIVA
di Giuseppe Cerfeda
Lei è presidente della Camera di Commercio di Lecce da tre anni. Vuole fare un primo bilancio di questa esperienza?
«Sono stati tre anni faticosi ma esaltanti. E soprattutto sono stati tre anni fatti insieme: io, il Segretario Generale, Francesco De Giorgio, la struttura camerale e, soprattutto, la Giunta e il Consiglio della Camera di Commercio di Lecce. Uscivamo da un periodo di pandemia che aveva provocato molti problemi al mondo produttivo salentino.
Le imprese della nostra provincia hanno avuto in questi tre anni la forza di credere nelle loro idee, di riprendere la produzione, di guardare avanti, cercando di utilizzare l’innovazione tecnologica e le possibilità che la Camera di Commercio, come casa delle imprese, ha messo loro a disposizione.
Insieme alle Associazioni di categoria che compongono gli organi camerali, abbiamo trovato la possibilità di sostenere questa volontà di ripartire. Vorrei ricordare una iniziativa per tutte: abbiamo trovato nelle pieghe del bilancio un milione di euro per aiutare le imprese salentine a far fronte agli aumenti del costo dell’energia, causa delle situazioni penalizzanti per la nostra economia e le nostre aziende.
In questo modo abbiamo aiutato il mondo produttivo salentino a ripartire senza troppi costi aggiuntivi che avrebbero potuto mettere a terra numerose attività».
Qual è lo stato attuale del tessuto economico e sociale della nostra provincia?
«Stiamo ancora lavorando con tutti gli imprenditori per cercare di emergere in un contesto che sconta un lungo momento negativo in campo nazionale e internazionale.
La globalizzazione ha lasciato uno strascico pesante per il nostro tessuto produttivo, perché le attività per le quali una volta eravamo in grande evidenza, tessile e abbigliamento, calzaturiero e manufatturiero di qualità, una volta portate in Paesi a più bassi costi, non sono ancora rientrate nel nostro ambito.
Ci siamo quindi dovuti reinventare le produzioni, puntando sui marchi e sulla qualità.
Per fortuna alcune aziende leader sono riuscite a ripartire con queste nuove direttrici di sviluppo, ma la condizione internazionale non è particolarmente favorevole.
Cominciamo a sentire l’affanno dei costi della transizione verso la sostenibilità, richiesta dalle norme europee.
I costi di guerra, in un Mediterraneo sempre più centrale come scacchiere senza pace, non aiutano lo sviluppo dei commerci e delle transazioni. Contemporaneamente i cambiamenti climatici stanno stressando la nostra agricoltura, che pure continua ad avere prodotti di grande pregio. La Xylella ha lasciato danni dappertutto.
Ma ci sono anche iniziative che guardano all’innovazione tecnologica. I giovani, prima di decidere di scappare in altri paesi, investono energie e voglia di fare, qui, sul territorio salentino.
La Camera di Commercio di Lecce cerca di cogliere ogni occasione per agevolare queste iniziative nuove, aiutando al contempo le aziende tradizionali ad evolversi verso traguardi internazionali, sfruttando le risorse che la Regione e Governo, con ZES Unica e Fondi di coesione e le norme europee del PNRR, mettono a disposizione.
Lavoriamo ogni giorno in questa direzione, contando anche sul favore che il brand “Salento” ha acquisito in campo nazionale e internazionale, supportato dall’appeal turistico e culturale. Siamo a disposizione, insieme alle altre Istituzioni locali, del mondo economico salentino.
Non dobbiamo rallentare e sono fiducioso che riusciremo a far aumentare la velocità all’economia del Salento».
Se dovesse indicare pregi e difetti del mondo economico salentino?
«Pregi e difetti non sono sempre uguali. Non sono tra quelli che dicono che ci sono difetti caratteriali nei nostri imprenditori. Ormai viviamo in un mondo globalizzato e sappiamo quello che possiamo e non possiamo fare.
Un fattore molto penalizzante è il decentramento geografico della nostra terra, rispetto ai mercati europei di riferimento. Scontiamo da sempre – in questo periodo ancora di più – una marginalità nei trasporti che rende più difficoltosa la nostra penetrazione sui mercati internazionali. Le strutture e le infrastrutture dovrebbero aiutarci a cambiare le cose, ma ci vuole anche una nuova politica industriale che faccia del Mediterraneo un punto di riferimento industriale e commerciale diverso, evitando che si “infiammi” in quelle guerre che ne stanno riducendo l’importanza geopolitica e commerciale.
Nel frattempo, la caparbietà, che è uno dei pregi della nostra classe imprenditoriale, deve essere ancora più efficace per resistere e trovare strade alternative per le produzioni del nostro territorio. Le Istituzioni, però, devono eliminare gli ostacoli che ancora si frappongono.
La Camera di Commercio diventa così anello di collegamento e cerniera con le Istituzioni, per mettere in pratica norme e percorsi al servizio dell’imprenditoria locale, riducendo la burocrazia e favorendo la spinta che gli imprenditori più avveduti cercano attraverso l’innovazione tecnologica e le nuove tecniche produttive.
Non è facile, ma ci impegniamo tutti in questa direzione».
Lei è del sud Salento e non ha mai nascosto la sua attenzione verso quella porzione di territorio, sforzandosi perché non venga snobbata com’è accaduto per tanti anni. L’adeguamento della SS. 275 ne è l’esempio lampante…
«Forse siamo arrivati al punto in cui, anche per la 275, non si possono fare più passi indietro. La strada che porta a Santa Maria di Leuca, fondamentale per lo sviluppo del sud Salento, dovrà presto essere una realtà.
E questo grazie all’impegno di tanta parte della comunità di quei territori, anche se abbiamo dovuto piangere troppi morti. Abbiamo aggiunto la nostra opera a quella di tante istituzioni, associazioni e cittadini del basso Salento.
Ma non dobbiamo fermarci perché altre infrastrutture hanno bisogno della nostra attenzione e del nostro impegno per proiettarci nel futuro».
Siamo a Natale. La Confartigianato ha fatto appello per comprare prodotti salentini: vuole aggiungere il suo di appello?
«La Confartigianato – di cui mi onoro di far parte – è sempre stata molto sensibile a questo problema. Impegnarci a privilegiare negli acquisti prodotti e oggetti che vengono dalle nostre aziende, è il modo più intelligente di sostenere la nostra economia e di fare un buon affare.
Anche perché i prodotti del lavoro delle nostre operaie e dei nostri artigiani, le eccellenze delle nostre terre non sono secondi a nessuno.
Lo sanno anche fuori dal Salento, tanto che le nostre aziende più attrezzate stanno rispondendo con l’e-commerce, alle richieste che vengono dagli acquirenti nazionali ed esteri.
Segno che abbiamo conquistato il cuore, la mente e… il palato di tanta gente».
Ancora due anni per terminare questo primo mandato. Pensa che ce ne sarà un secondo, per lei, come Presidente della Camera di Commercio di Lecce?
«Per adesso c’è tanto lavoro da fare per cercare di raccogliere i frutti delle idee e del lavoro che, con la Giunta e il Consiglio camerale, abbiamo introdotto per aiutare la transizione del mondo produttivo salentino.
Ci sono veramente tante idee, che cerchiamo di arricchire di risorse per poterle realizzare.
È questo il nostro primo obiettivo, da raggiungere anche attraverso le relazioni che ho incominciato ad intraprendere con il resto del mondo produttivo italiano, grazie al mio ruolo di vice presidente nazionale di Unioncamere.
Il resto lo decideranno soprattutto i rappresentanti delle varie categorie produttive.
Io sono al servizio, insieme alle strutture camerali, delle imprese del nostro territorio».
Approfondimenti
AQP: anche a Natale offre un servizio che fa acqua da tutte le parti
Questa notte anche casa mia è venuto Babbo Natale. A dire il vero non l’ho visto, ma mi ha fatto trovare, nella buca delle lettere, verso le 18, una lettera dell’AQP che non conteneva gli auguri di Natale.
Questa notte anche casa mia è venuto Babbo Natale.
A dire il vero non l’ho visto, ma mi ha fatto trovare, nella buca delle lettere, verso le 18, una lettera dell’AQP che non conteneva gli auguri di Natale.
Tutti noi sappiamo quanto sia importante preservare e non sprecare l’acqua, in questo periodo poi, in cui ce la menano in tutte le salse che “siamo in riserva”, bisognerebbe essere più accorti e attenti. E va bene!
Ebbene, dicevo, Babbo Natale Aqp, che non so se viaggia con le renne, con la scia luminosa o con gli elfi al seguito, è comparso di persona, personalmente, con un corriere privato e personale e mi ha fatto regalo (recapitato) di un plico contenete una fattura in cui mi si intima di pagarla entro il 24 novembre 2024!!!
Ci ho riflettuto un attimo prima di imbarcarmi sulla mia DMC12”, la famosa DeLorean, del film “Ritorno al Futuro”, poi convinto di non poter rivaleggiare con la proverbiale correttezza e precisione dei vertici e affini dell’AQP, ho lottato, insistito, battagliato, sono salito sull’auto, fino a quando non mi sono reso conto che la macchina non partiva: Marty con un ghigno beffardo mi sorrideva e lo scienziato matto mi ripeteva stare tranquillo che il pazzo non ero io.
E’ vero i servizi dell’Aqp, da quando ne ho memoria, non hanno mai brillato, ricordo ancora quando d’estate lamentai lo scarso getto d’acqua che non ci permetteva di fare nulla in casa: si presentarono dei dipendenti AQP, alle 7 del mattino, per verificare che il flusso raggiungesse la portata minima obbligatoria per contratto, e vennero coscienti all’alba quando a quell’ora il mondo intero dormiva e… indovinate un po’? La portata minima era garantita. Geniali.
Oggi mi chiedono, con garbo, la notte di Natale, quando siamo tutti più buoni ed inclini al perdono, di tornare indietro nel tempo, anche solo di un mese per pagare una bolletta sputata fuori da chissà quale pazzo e incontrollato sistema; con creanza, in questa Magica notte, mi postulano, che potrebbero esserci delle correzioni di prezzo, per eccesso, per ritardo nel momento del pagamento; mi mendicano, con grazia, legata alla notte dell’avvento, che “i pagamenti delle bollette precedenti sono regolari, salvo ulteriori verifiche (!)”.
Non so se questa mia raggiungerà mai i vertici o colori i quali vengono da noi profumatamente pagati per fornirci un servizio (chiamiamolo tale) che, a proposito di liquidi, fa acqua da tutte le parti.
Non so se e quando dovremo aspettare per ricevere un minimo di attenzione e quando potremo difenderci adegutamente da queste assurdità che, complice il Natale, spesso vengono perdonate.
Io mi sono portato avanti: poiché ero ancora in tempo, mancavano poche ore al Natale, ho affidato nelle mani sicure del vero Babbo Natale la mia letterina indirizzata ai responsabili dell’acquedotto pugliese, hai visto mai che magari proprio nell’aprire e leggere le letterine nella Santa Notte possano esaudire i miei sogni?
Quali sono? Quelli di ricevere un servizio degno di questo nome e vedere recapitate le fatture almeno qualche giorno prima che scadano! A Natale puoi…
-
Cronaca2 settimane fa
Uomo soccorso in una pozza di sangue nella notte a Tricase
-
Alessano2 settimane fa
La fortuna bussa ancora nel Salento, vinto oltre mezzo milione di euro
-
Cronaca5 giorni fa
Precipita nel vuoto: giovane donna in codice rosso
-
Cronaca5 giorni fa
Vasto incendio a Lucugnano: distrutti trattori e rotoballe
-
Attualità2 settimane fa
Una centenaria a Tricase Porto
-
Dai Comuni2 settimane fa
Modifiche alla viabilità nel centro di Tricase
-
Cronaca3 settimane fa
Incidente e soccorsi a San Cassiano sulla ss275
-
Appuntamenti4 settimane fa
Dove andare e cosa vedere a Natale nel Salento