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Attualità

Opportunità di lavoro in provincia

Tutte le offerte del 31° Report dell’Ambito di Lecce di Arpal Puglia: 202 annunci per 655 posizioni vacanti

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Il 31° Report dell’Ambito di Lecce di Arpal Puglia riporta 202 annunci per 655 posizioni vacanti su tutto il territorio della provincia di Lecce.


Il settore che guida la domanda di lavoratori è, ancora una volta quello di agricoltura e ambiente, con la richiesta di 189 risorse per aziende, molte delle quali impegnate nella raccolta degli ortaggi nell’area di Nardò.


Elevata la domanda di manodopera anche nell’edilizia, dove si ricercano 103 figure professionali.


Cresce il settore turistico, alla ricerca di 89 lavoratori, prevalentemente richiesti lungo la costa ionica e il capo di Leuca.


Nel comparto socio-sanitario si registrano 22 offerte per 81 posizioni aperte: si segnalano, in particolare, gli annunci della società “Sol Levante Srl”, impegnata nella ricerca di infermieri professionisti, educatori professionali sanitari e tecnici della riabilitazione psichiatrica, da impiegare presso varie sedi aziendali presenti nel leccese.


Seguono il TAC (tessile-abbigliamento-calzaturiero) con 41; il settore commerciale con 31; le telecomunicazioni con 30; trasporti e riparazione veicoli con 19.


Nel settore amministrativo, informatico e educativo sono richieste 34 figure professionali: spiccano gli annunci dell’azienda francese “Cortus“, alla ricerca di dieci ingegneri progettisti di circuiti integrati digitali e cinque ingegneri progettisti RF da inserire presso la sede aziendale di Monteroni.

Altri annunci riguardano l’industria metalmeccanica (sono dodici), il settore pulizie e multiservizi (otto posizioni aperte) e quello di bellezza e benessere (cinque opportunità).


Cinque posizioni aperte riservate a persone con disabilità e otto destinate a iscritti nelle liste delle categorie protette.


La sezione tirocini offre dieci opportunità in diversi settori.


Numerose le possibilità di lavoro e formazione anche all’estero, provenienti dalla rete europea dei servizi per l’impiego Eures.


Si ricorda che le offerte, parimenti rivolte ad entrambi i sessi, sono pubblicate quotidianamente sul portale lavoroperte.regione.puglia.it e sono diffuse anche sulla pagina Facebook “Centri Impiego Lecce e Provincia”, sul portale Sintesi Lecce e sui profili Google di ogni centro per l’impiego. Le candidature possono essere trasmesse tramite Spid, via mail o direttamente allo sportello presso gli uffici, aperti dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 11,30, il martedì anche nel pomeriggio dalle 15 alle 16,30 e il giovedì pomeriggio su appuntamento.


PER CONSULTARE LA VERSIONE INTEGRALE DEL 31° REPORT DI ARPAL CLICCA QUI



Attualità

Maxi inchiesta su appalti pubblici: interrogatorio anche per tre sindaci

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Sarà un mese caldo quello di febbraio per tre Comuni salentini che vedono i rispettivi primi cittadini al centro di una indagine per presunti favori nell’ambito di appalti pubblici.

Il gip di Lecce Stefano Sala ha fissato per il prossimo 4 febbraio l’interrogatorio preventivo di 25 persone tra rappresentanti istituzionali ed imprenditori.

Tra questi figurano i nomi del sindaco e del vicesindaco di Maglie, Ernesto Toma e Marco Sticchi, del sindaco di Ruffano, Antonio Cavallo, e del sindaco di Sanarica, Salvatore Sales.

Si tratta di una maxi inchiesta, avviata alcuni anni fa e condotta dal pm della Procura di Lecce Maria Vallefuoco.

I capi d’accusa, in totale, sarebbero oltre 30. Le richieste vanno dai domiciliari sino all’arresto in carcere.

Tra i reati ipotizzati, a vario titolo, quelli di associazione per delinquere (contestata agli imprenditori) e vari reati contro la pubblica amministrazione e contro la fede pubblica.

Il sindaco di Ruffano Antonio Cavallo è intervenuto sulla questione con una nota: “In queste ore sono stato raggiunto da un avviso di chiusura delle indagini relative ad un’inchiesta iniziata a maggio di tre anni fa. Un’indagine in cui compaiono i nomi di 25 persone, tra cui anche quelli di rappresentanti istituzionali di altri comuni, dalle accuse molto pesanti, che lederebbero la moralità di chiunque. Tengo a chiarire sin da subito la mia completa estraneità rispetto alle accuse. Nella mia carriera politica, ho sempre operato in maniera trasparente, per il bene della collettività. Mai ho tradito la fiducia della mia comunità, né tanto meno ho utilizzato la mia posizione per tornaconto personale o per favorire terzi. Confido che la giustizia, nell’offrirmi la possibilità di chiarire ogni equivoco, mi permetterà di far luce su questo e di dimostrare la mia innocenza.
Al contempo, vigilerò affinché il peso di questa indagine non ricada sul bene di Ruffano e della sua comunità. Qualora questo dovesse succedere, sarò pronto a fare un passo indietro rimettendo la mia carica“.

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Alessano

«È stata una lunga avventura»

Emigranti, il forum. Uccio Negro di Montesardo. Per tutti “il professore”. Gli inizi in fabbrica, il lavoro in consolato e alla scuola italiana. Poi la politica e l’abilità di mettersi nei guai ed uscirne

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La storia di Antonio Negro di Montesardo (Alessano) si presterebbe bene alla scrittura di un copione per un film avvincente.

Gli ingredienti ci sono tutti: avventura, thrilling, sliding doors e persino una certa vena di comicità per come il destino si è divertito ad incastrare gli eventi della sua vita.

SOLO UN VIAGGIO DI PIACERE

Ma andiamo per ordine.

Antonio, anzi Uccio, come lo chiamano tutti, è del 1947: «Era il 1968, avevo 21 anni, quando un amico mi invitò ad accompagnarlo a Basilea, in Svizzera. Accettai ma doveva essere solo un viaggio, l’avventura di un giovanotto. Nei miei programmi, dopo aver accompagnato il mio amico, sarei tornato a casa. Era d’inverno e c’era la neve. Mi feci lasciare a Zurigo dove avevo dei parenti. Una volta lì, visto che c’ero, provai a lavorare come tornitore in una fabbrichetta, trovai un letto in un dormitorio ed ottenni il permesso di soggiorno stagionale. Scoprii presto che in quella fabbrica lavoravano anche altri di Montesardo. Io, però, non durai più di un paio di mesi perché la mattina… non riuscivo ad arrivare in orario! E loro sugli orari (sorride) sono molto precisi».

AL CONSOLATO

«Così mi licenziai», prosegue, «ed iniziai a fare la vita da clandestino. Situazione prolungatasi per almeno sei mesi, durante i quali dovevo nascondermi nelle baracche o dove capitava. Durante quel periodo ebbi modo di conoscere un po’ di gente. Ma, vedi com’è il destino, nonostante la mia clandestinità, fui assunto al Consolato Generale d’Italia di Zurigo! Così ho lavorato… clandestinamente al Consolato nell’ufficio passaporti per gli italiani. Agli altri facevo il passaporto ma io non potevo averlo».

All’inizio Uccio, per recarsi al lavoro, si fece prestare un vestito «decente»: «Il Console seppe che ero diplomato magistrale con il titolo di “Maestro”, così fui preso per tre mesi, il periodo di prova per poter fare da front office con gli italiani».

E qui parte un altro aneddoto: «Gli italiani in età di leva obbligatoria, con regolare permesso stagionale o annuale, che dovevano tornare in Italia per pochi giorni e poi rientrare per lavorare, dovevano avere l’autorizzazione del consolato, altrimenti alla frontiera la polizia li beccava e li mandava a fare il militare. Oppure, li denunciava come disertori. Gli altri impiegati su questo erano severissimi e, se anche la minima cosa non quadrava, negavano il visto. Io, invece, lo concedevo sempre e a tutti, perché mi rendevo conto dei sacrifici che stavano affrontando da emigrati per dare da mangiare alla famiglia. Avrei mai potuto rovinarli, mandandoli a fare il servizio di leva? Tanto che poi avremmo fatto una battaglia con il Ministero della Difesa italiana proprio per tutelare gli italiani che lavoravano oltre confine ed erano chiamati per il servizio militare».

Tornato in Salento, a distanza di 30-40 anni, Uccio ha «incontrato uno di quelli che veniva in Consolato per il visto. Mi ha raccontato che, per non perdere tutti la giornata di lavoro, mandavano in avanscoperta uno di loro a cui pagavano la benzina e questi avrebbe telefonato in un determinato orario ad un ristorante per dire ai compaesani chi c’era in ufficio. Se c’ero io sarebbero venuti, altrimenti avrebbero rimandato».

Nel periodo trascorso in Svizzera da clandestino, Uccio è stato «beccato due volte dalla polizia. La prima volta mi hanno preso per la collottola e messo sul treno per l’Italia. Arrivato a Chiasso, però, sono sceso, ho cambiato e binario e risalito sul treno che andava in direzione opposta. La seconda volta invece ero con degli amici, tra cui uno svizzero che conosceva la mia situazione. Arrivarono degli agenti in borghese e cominciarono a parlare con il loro connazionale. Lo informarono che erano lì per me e che avrebbero dovuto impacchettarmi e spedirmi in Italia: quel mio amico perorò la mia causa, spiegando agli agenti che io gli avevo fatto tanti favori e chiese loro di farne uno a me. Così offrì loro delle birre e questi andarono via, come se non mi avessero mai trovato».

COME DIVENNI “IL PROFESSORE”

In questo modo Uccio poté continuare la sua attività al Consolato. Finchè non ebbe a sapere che alla scuola italiana di Zurigo assumevano del personale: «Lo riferii al Console, feci domanda e fui assunto. Mi fecero il permesso e, da lì, iniziò anche la mia attività sociale, soprattutto da sindacalista e attivista politico nel Partito socialista».

AL FIANCO DEI CILENI

Da quel momento ha iniziato a frequentare determinati ambienti, compreso “Il Cooperativo”, «il ristorante dove andavano a mangiare gli esuli socialisti, dall’ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini, fino ad Ignazio Silone (ex membro dell’Assemblea costituente della Repubblica italiana, scrittore, giornalista, politico, saggista e drammaturgo), che ho avuto la fortuna di conoscere di persona».

Altro aneddoto della sua storia di sindacalista in Svizzera: «Nel 1973 ci fu il golpe di Pinochet in Cile ed anche nella Confederazione elvetica arrivarono cileni in fuga dal loro Paese. Come dirigente del Partito Socialista Italiano, custodivo le chiavi dei locali della Federazione, nei pressi della stazione di Zurigo. Un compagno dirigente mi avvertì che mi stavano cercando dei cileni. Gli dissi di dare loro il numero di telefono di casa mia. Mi chiamarono e, tra spagnolo e italiano, combinammo un incontro. Da premettere che la Svizzera concedeva accoglienza ai profughi esiliati politici, ma vietava loro di fare politica. Nonostante questo, la delegazione cilena mi chiese un posto sicuro dove incontrarsi segretamente. In pratica volevano ritrovarsi nei locali della Federazione. Dopo un’iniziale perplessità mi confrontai con Angelo Ferrara, amico carissimo che era anche il segretario del partito. Lui non ebbe dubbi: dovevamo dargli il locale. Mi raccomandai che la cosa fosse discreta e indicai loro la cassetta dove avrei lasciato la chiave che “ufficialmente” non avevo mai dato loro. Dopo 2-3 mesi, era inizio estate del 1974, i cileni mi confidarono la loro intenzione di uscire allo scoperto e fare politica alla luce del sole. Per questo volevano che io prenotassi per loro, ma a nome mio, una grande sala. Pensatoci su, mi ricordai di un compagno, Saverio Fortunato, originario di Cosenza ma cresciuto in Svizzera, noto per la sua la capacità di sparire dalla circolazione per lunghi periodi. Lo contattai e gli dissi di “evaporare” fino a quando le acque non si sarebbero calmate. Andai alla Casa d’Italia di Zurigo, la scuola italiana dove insegnavo, e prenotai la sala grande per il 27 giugno a nome di Saverio Fortunato, dicendo all’usciere che serviva ai giovani federalisti di cui il mio amico era segretario. Coi cileni mi raccomandai di “non fare casini” (testuale, NdA). La sera del 27 giugno, un’oretta prima dell’orario concordato, feci un giro in zona e non ci misi molto a scoprire che il posto pullulava di polizia sia in borghese che in divisa. Già sapevano tutto!

Intanto i cileni, arrivati da tutta Europa, diedero vita alla loro assemblea. Nel frattempo, l’usciere mi chiamò avvertendomi che il Console Generale mi voleva al telefono: “Professore”, mi disse allarmato, “sa dov’è Saverio Fortunato? Lo sta cercando la polizia!”. Cascando dalle nuvole, gli promisi che, se avessi saputo qualcosa, lo avrei avvertito. All’indomani i giornali di tutto il Mondo titolavano a nove colonne “Cileni Liberi”. La stampa mondiale, non solo svizzera, dopo quella assemblea, si era schierata con loro. E questa cosa, tutt’oggi mi riempie di orgoglio».

IL CIRCOLO DEGLI EMIGRANTI

Tornato in Italia, colui che ancora tutti chiamano professor Uccio Negro, ha smesso di fare attività politica ma non di spendersi per gli altri, che oggi sono gli ex emigranti. È socio fondatore e componente del Direttivo del Circolo emigranti ed ex emigranti di Alessano e Montesardo (attivo dal 2017, presidente Cosimo Martella e un centinaio di associati, condivide la sede con l’Apa, Associazione per Alessano, con cui collabora nella promozione della cultura) e, in questa veste, rilancia l’iniziativa già avviata in Veneto ed Emilia-Romagna: «Alcune Regioni hanno approvato una legge che prevede l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado della storia dell’emigrazione italiana nel mondo. Vanno bene le nostre visite alle scolaresche ma, nonostante l’impegno delle associazioni, questo non può bastare».

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Approfondimenti

«Negli anni ’70 il clandestino ero io»

Emigranti, il forum. La testimonianza di Antonio Vantagiato di Ugento. La dritta: «Appena arrivano i doganieri, scendi dal treno e risali sul primo vagone»; «Un escamotage che faceva di me un’emigrante clandestino agli antipodi»

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Ci sono storie che meritano di essere raccontate perché sono parte della storia di ognuno di noi e ripercorrono usi, costumi e necessità delle epoche vissute.

Come quella di Antonio Vantagiato, 73 anni oggi, per tutti il reporter di Ugento.

«Era il 1958», racconta, «quando mio padre passò a miglior vita. Lasciò la mamma con tre figli da crescere. Io avevo appena otto anni. Mia madre lavorava nei campi ed io dovetti occuparmi di mio fratello piccolo. È stata molto importante la figura di mio nonno (Cavaliere di Vittorio Veneto), anche grazie a lui non ci è mai mancato alcunché».

«Finita la scuola, quella che le circostanze ci consentivano di frequentare», prosegue perdendosi nei ricordi, «a soli 11 anni portai a casa la mia prima paga: 150 lire per una giornata di lavoro! Non dimenticherò mai l’emozione di mia madre…».

Crescendo, si doveva decidere che fare della propria vita. E, quasi sempre, in quegli anni, la scelta era obbligata, emigrare: «Avevo 17 anni, un mio caro zio, già da anni impegnato a lavorare all’estero, mi portò con sé in Svizzera».

Il viaggio non fu propriamente lineare e qui casca l’aneddoto: «Arrivati alla frontiera di Chiasso, mi diede la dritta: “Appena arrivano i doganieri, scendi dal treno e risali sul primo vagone in testa prima della locomotrice”.  Un escamotage che faceva di me un’emigrante clandestino agli antipodi».

Non fu tutto rose e fiori neanche la permanenza oltralpe: «Tre mesi di duro lavoro nei cantieri per non parlare delle baracche gelide nelle quali eravamo accampati; per avere il gas per cucinare si introduceva una moneta nella apposita fessura che faceva scattare l’interruttore meccanico e si poteva avere a disposizione per un determinato tempo il necessario al fabbisogno. Se non avessi avuto spiccioli non avrei mangiato. A fine stagione, dopo tre mesi di lavoro, comunque, portai a casa 120mila lire. Per non farmi derubare durante il viaggio, cucii il denaro nelle tasche. L’anno dopo feci lo stesso».

Parallelamente al lavoro estivo Oltralpe, nel 1967 e nel 1968, durante l’inverno, ad Ugento, ha frequentato il Professionale di Radio Tecnico. Circostanza che ha cambiato la sua vita: «Grazie ad un accordo trasversale tra la Germania e l’Ufficio del Lavoro provinciale, i migliori poterono andare a lavorare in Germania. Nel 1970, dopo aver fatto le visite mediche a Verona, mi spedirono a Baknang, nel land del Baden-Württemberg. Fui assunto da una multinazionale che produceva apparecchiature per trasmissioni intercontinentali commissionate dalla Nasa. Nel 1972 mi trasferii a Norimberga per lavorare con la Siemens. L’anno dopo sono andato alla Grundig, dove si producevano apparecchiature di intrattenimento, in particolare le primi Tv a colori. Dopo qualche tempo, mi trasferirono nel reparto dove si producevano i primi videoregistratori. Partecipai ad un corso di formazione e mediante un concorso interno, diventai responsabile delle apparecchiature di controllo. Restai a Norimberga fino al 1986».

Poi il ritorno nel Salento e, dopo una breve pausa di riflessione, iniziò la sua avventura da reporter… d’assalto, in una televisione locale che in quegli anni andava per la maggiore.

Nel corso delle sue scorribande, oltre a portare a termine i servizi ordinari commissionati dall’emittente per cui lavorava, è stato protagonista di due scoperte archeologiche («Il Dolmen di Spongano e la Cava messapica a Diso»), riuscì ad immortalare una Supernova (esplosione stellare) poi andata in onda al telegiornale.

Però, non ha mai dimenticato la sua esperienza lontano da casa, infatti ha scritto, prodotto e girato il cortometraggio (protocollato alla Regione Puglia), dal titolo “L’Emigrante”, che racconta il dramma di una famiglia «quando il marito partiva per lavorare all’estero».

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