Approfondimenti
Salento, sempre più vecchi e a rischio spopolamento
Ebbene, si può affermare che lo spopolamento consiste, di là dalla riduzione delle nascite, nel fatto che molti giovani vanno via dal loro paese e non vi ritornano se non per trascorrere le vacanze
di Hervé Cavallera
È da qualche anno che si registra un forte calo demografico in provincia di Lecce.
Nonostante che da più parti si sostenga che non è (o non dovrebbe essere) un fenomeno inarrestabile, è comunque un fenomeno consistente e deve essere inteso nella sua logica.
Ebbene, in linea generale si può affermare che lo spopolamento consiste, di là dalla riduzione delle nascite, nel fatto che molti giovani vanno via dal loro paese e non vi ritornano se non per trascorrere le vacanze. Il Salento in tal modo diventa una terra di anziani, senza una reale prospettiva di sviluppo (che non sia quello della terra dei vacanzieri) e di vita.
Ora, se si considera la storia, alcuni elementi appaiono indiscutibili. Nel passato il Salento era terra di emigranti per molti delle classi sociali meno abbienti, ma accadeva che dopo anni di lavoro all’estero gli emigrati ritornavano nel proprio paese dove, con i risparmi, si erano adoperati per far costruire una civile abitazione.
Così, grosso modo, almeno sino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso. Sempre nel passato, le classi agiate mandavano i loro figli a conseguire la laurea nell’Università di Napoli o in sedi ancor più distanti (Bologna, ad esempio), non essendoci sedi universitarie in Puglia, ma una volta conseguita la laurea il dottore tornava nella propria terra. Ora non più.
Nonostante la Puglia vanti, dal secolo scorso, diverse sedi universitarie (l’Università di Bari è sorta nel 1925 con la Facoltà di Medicina, quella di Lecce è istituita nel 1955, l’Università di Foggia è istituita nel 1999; ad esse devono essere aggiunte le università private e le sedi staccate delle statali a Taranto e Brindisi), il numero di coloro che si laureano fuori regione o che soprattutto si allontanano dal Salento è in crescita.
La diffusione del numero dei laureati salentini non corrisponde, pertanto, alla presenza degli stessi nel Salento. Il tutto, tenendo conto della carenza di strutture industriali o che comunque non richiedano una manodopera laureata, e quindi da utilizzare quanto meno a partire dal diploma della secondaria, ha fatto sì che sia notevolmente cresciuta la frequenza universitaria nella speranza che la laurea garantisca un posto di lavoro di buon livello.
Ciò considerato, il non rientro nel territorio natio dei laureati significa, in una società in cui è esplicita la richiesta di un sapere specializzato, che il Salento, di là dalle sue indiscutibili bellezze paesaggistiche ed artistiche, non è una terra in grado di corrispondere alle richieste di tutti i laureati, come al tempo stesso non è stato in grado di assorbire i diplomati della secondaria in genere né di incentivare esiti lavorativi per i diplomati degli istituti professionali.
La presenza di uno squilibrio tra la richiesta di lavoro specialistico e la soddisfazione della stessa viene, di conseguenza, a gravare sulla responsabilità di una classe politica provinciale, regionale, nazionale che non è riuscita, nel corso dei decenni, a generare delle offerte connesse alla logica del mercato del lavoro.
In breve, al processo di scolarizzazione di massa non si è accompagnato un progetto di vasta portata capace di assorbire in maniera articolata la crescita sociale.
Non si tratta solo di uno spostamento di salentini in altre parti d’Italia, ma addirittura all’estero. È la cosiddetta fuga dei cervelli in cui si ripresenta l’antico fenomeno dell’emigrazione.
Ma un territorio che si spopola non vuol dire solo perdita di professionisti più o meno di talento. Implica perdita di affetti, indebolimento della cosiddetta classe dirigente, smarrimento delle tradizioni, limitazione delle forze intellettualmente generative.
Senza voler essere catastrofisti, occorre rendersi ben conto del significato del processo in atto.
Non si tratta semplicemente di non perdere concittadini, ma di assicurare, se non proprio la crescita, il perdurare di una civiltà che è un intreccio di affetti, tradizioni, innovazioni.
A tutto questo si aggiunge il fenomeno della denatalità, che ha anche altre sue logiche, ma che attesta la crisi della famiglia tradizionale la quale richiede, per la sua stessa sopravvivenza, progetti a lungo termine.
Al contrario, si tende a vivere alla giornata, con unioni che possono sciogliersi con relativa facilità, generando a loro volta una nuova serie di problemi non sempre vissuti pacatamente.
Come si vede, tutto si collega e si tiene. Non si è giunti, si capisce bene, ad un disastro irrimediabile, ma le premesse, come si è visto, non sono propriamente rosee.
Per riconsiderare il pensiero di Émile Durkheim, occorre che vi sia una dialettica tra statica e dinamica sociale. Una società quale che sia ha sempre bisogno di una coesione connessa a dei valori condivisi capaci di fondare una coscienza collettiva.
La globalizzazione, proprio per le sue aperture sconfinate, può rischiare di travolgere ogni coesione. Ciò diventerebbe assai grave in una società che va perdendo la presenza dei propri giovani.
Si comprende che la via di salvezza necessita di una visione politica di ampio respiro e della capacità di realizzarla e ciò deve accadere in un contesto in cui avviene proprio la fuga dei giovani, ossia di coloro che dovrebbero coniugare tradizione e innovazione.
Tale visione è l’unico percorso da percorrere e bisogna che ciò si manifesti in maniera decisiva.
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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Volte a Stella
Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta
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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.
Da quanti anni fa questo mestiere?
«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni. Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».
È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?
«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».
Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?
«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».
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