Attualità
Se Muore il Sud. Ma non muore…
Gian Antonio Stella a Tricase. “Dobbiamo fare in modo che il turismo e tutto l’indotto diano realmente i loro frutti, non è possibile che oggi la loro incidenza sul Pil sia appena del 10,3%”. Sulla scuola: “Solo 38 Superiori in Italia sono in linea con la Scuola 2.0. E l’Università va rivoltata!”
Sala del Trono di Palazzo Gallone gremita, per accogliere Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera e autore di libri cult come, solo per citarne alcuni, “La Casta, perché i politici italiani continuano ad essere intoccabili”, “Se muore il sud” e “Bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli. La guerra infinita alla burocrazia”.
Il giornalista del CdS è stato a Tricase su invito del Polo Professionale “Don Tonino Bello” e della Libreiria Marescritto: l’incontro, illuminante non solo per i suoi studenti, è stato fortissimamente voluto dalla dirigente Anna Lena Manca. Punto di partenza della discussione il libro scritto con l’inseparabile amico e collega Sergio Rizzo. “Se muore il Sud” fotografa in modo realistico una situazione ormai insopportabile: i due autori inchiodano alle sue responsabilità una certa classe politica del Sud, ingorda e inconcludente, che sta traghettando il Mezzogiorno verso la rovina. Un’ampia riflessione su un territorio colmo di tesori d’arte e cultura, ma anche pieno di risorse lavorative e imprenditoriali dimenticate. Una terra che vanta beni economici come l’agricoltura e il petrolio e che potrebbe trainare da sola lo sviluppo dell’intero Paese, ma che vive da sempre una crisi senza fine, con disagi e problemi che l’hanno portata inevitabilmente al degrado. I due giornalisti per descrivere in modo efficace la situazione ricorrono alla metafora della Costa Concordia: se da una parte c’è il napoletano Schettino, che con il suo comportamento ha riacceso nel mondo i peggiori pregiudizi sugli italiani fanfaroni, donnaioli e irresponsabili, dall’altra c’è il capitano De Falco, anche lui napoletano, che ha gridato l’ormai famoso comando “Torni a bordo cazzo!”, è l’ufficiale che sa cos’è la missione, il dovere e la responsabilità. L’augurio è che prevalga e vinca quest’ultimo Sud perché, se muore il Meridione, muore anche l’Italia: “Questo è il Mezzogiorno, questa è l’Italia. Che possono affondare insieme o insieme riscattarsi”.
Sud portatore di modernità
Restano situazioni allarmanti, fa, però, notare Stella: “Due giovani su tre disoccupati, diversi miliardi stanziati per l’emergenza rifiuti e in Campania aumentano continuamente i morti di cancro, la Sicilia che ha delle coste lunghissime e sei siti Unesco ma non ha neanche un decimo dei turisti delle più piccole Baleari; dati, numeri e storie che elencano le contraddizioni e l’abbandono in cui versa il sud del nostro Paese. La storia dei meridionali traditi da una classe dirigente scarsa, corrotta e incapace, che vive dei finanziamenti facili e delle truffe all’agricoltura. Esistono anche le eccezioni di un Sud portatore di modernità e capace di tener testa alla crisi. Sono storie che danno speranza e da cui ripartire dare una svolta senza cui si rischia davvero di sprofondare”.
Lo scrittore giornalista non risparmia nemmeno il Nord: “Le imprese settentrionali hanno sfruttato il Sud e saccheggiato le provvidenze pubbliche. Senza dimenticare l’infiltrazione mafiosa nelle regioni settentrionali, un fenomeno macroscopico totalmente ignorato dalla classe politica nazionale”.
Il Sud sembra essere dato per perso dalla politica nazionale. Viene dato per perso anche dal Nord, così come da tanti meridionali che si sono in qualche modo rassegnati. Stella rivolge “un appello accorato alla nostra classe politica, che dovrà farsene carico, perché se affonda il Sud, affonda anche l’Italia”.
Due giovani su tre disoccupati
Non vuole arrendersi e si ribella a questa conclusione, dicendosi anche ottimista: “Abbiamo un valore aggiunto che è il patrimonio artistico, culturale, naturale ed enogastronomico che forse non ha eguali in tutto il mondo. Ma dobbiamo fare in modo che il turismo e tutto l’indotto diano realmente i loro frutti, non è possibile che la loro incidenza sul Prodotto Interno Lordo Nazionale sia appena del 10,3% e sull’occupazione dell’11,6%. Tanti altri Paesi con meno potenzialità delle nostre fanno molto di più. I conti non tornano, soprattutto se si pensa che Attualmente l’Italia è il Paese che nel mondo vanta il maggior numero di Siti Unesco, nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità: 50 tra città, paesaggi, siti archeologici, rilevante testimonianza di un passato ricco di storia ed insieme tesoro di capolavori artistici che costituiscono la più completa ed ineguagliabile espressione dell’uomo. Eppure nel 2014, siamo stati capaci di passare dallo scudetto alla zona retrocessione: come abbiamo potuto precipitare in soli dieci anni dal 1° al 18º posto come “marchio” turistico mondiale? Il Country Brand Index 2014-15, compilato in base ai giudizi di migliaia di opinion maker, la dice lunga sulla reputazione di cui godiamo. Restiamo primi per appeal: il sogno di un viaggio in Italia è ancora in cima ai pensieri di tutti. E primi per il fascino delle ricchezze culturali e paesaggistiche. E così per i nostri piatti e i nostri vini. Sul resto, però… Soprattutto sul rapporto prezzi/qualità: eravamo al 28º posto, due anni e siamo precipitati al 57º! Un incubo. Secondo il rapporto World Travel & Tourism Council, nel 2013 l’Italia ha ricavato dal turismo in senso stretto il 4,2% del Pil e, compreso l’indotto, il 10,3. Il settore occupa 1.106.000 addetti (dieci volte più della chimica) e con l’indotto (compresi per capirci gli artigiani che fanno i gilè dei camerieri) 2.619.000, cioè un milione più degli addetti dell’industria metalmeccanica”. Il turismo dovrebbe allora essere il primo pensiero dei politici italiani ma, come fa notare Stella, “dall’archivio dell’ Ansa risulta che su 1.521 titoli con Pier Carlo Padoan, Ministro dell’Economia, non ce n’è uno associato alle parole turismo, turistico, turisti. Peggio ancora per Susanna Camusso: su 4.988 titoli, uno solo associato al turismo! Per la Cgil ci sono solo i metalmeccanici, chimici, i pensionati… E il settore che impiega quasi il 14% degli occupati? Come spiega il rapporto Brand Index, l’Italia perde posizioni proprio perché il suo percepito e anche il suo vissuto, è quello di un Paese penalizzato da una cattiva gestione politica (24° posto), con un sistema valori che si va opacizzando sempre più (23° posto), poco attrattivo come destinazione per studi e investimenti (19° e 28°), con infrastrutture insoddisfacenti (23°), intolleranza (23°), scarsa tecnologia (29°) e una qualità della vita sempre più bassa (25°)”. Solo colpa dei politici? “Anche nostra: evidentemente non sappiamo sceglierci una classe dirigente. In una ipotetica distribuzione delle colpe, però, non c’è storia: chi di mestiere fa il politico ed ha l’onore e l’onere di decidere e per questo è (ben) pagato, è sicuramente più colpevole di chiunque altro”.
Si riparta dalla scuola
Tornando alla fiducia per il futuro, molto dipende dai nostri giovani e Stella dice che “Renzi ha ragione quando sottolinea che bisogna ripartire dalla scuola, vecchia rispetto ad altre scuole del Continente. Appena 38 istituti italiani sono coperti dalle nuove tecnologie secondo il progetto”Scuola 2.0”: risultato miserabile che non fa onore a chi in questi anni ha governato il Paese. Dopo averne parlato sul Corriere sono stato sommerso da lettere che evidenziavano come in tante scuole si compra quel che serve grazie al contributo delle famiglie. Formidabile la capacità di tante persone per bene di dare una mano, ma è lo Stato ad essere in ritardo e deve recuperare in fretta. Non possiamo accettare che i nostri ragazzi partano in netto svantaggio rispetto ai loro colleghi di altri Stati. È vero anche che molti di loro ottengono grandi risultati lo stesso e poi partono alla conquista del mondo: io mi auguro che cambi la scuola, cambi l’università (“che va completamente rivoltata”) in modo che i nostri ragazzi, quei giovani italiani che oggi vanno alla conquista del mondo, conquistino l’Italia e la rendano migliore. Non vedo da dove si possa ripartire se non dalla scuola”.
Giuseppe Cerfeda
Attualità
Grande partecipazione alla messa dello sportivo a Nardò
Ancora una volta, lo sport neretino si è radunato per la Messa dello Sportivo, un appuntamento liturgico divenuto ormai tradizione, organizzato dal Presidente del Consiglio comunale di Nardò, Antonio Tondo, in collaborazione con la Consulta comunale dello sport neretino.
Grande e sentita partecipazione da parte delle associazioni, dei team e degli atleti neretini, che hanno assistito alla liturgia celebrata da Sua Eccellenza Mons. Fernando Filograna, Vescovo della Diocesi Nardà-Gallipoli, la cui omelia è stata fonte di coraggio ed ispirazione, in particolar modo per i tanti giovanissimi presenti.
Presso la Cattedrale di Nardò, lo scorso 20 dicembre, si sono infatti radunati i dirigenti e i rappresentanti di ogni tipo di sport, sia di squadra che individuali, di ogni età, affinché vengano custoditi i sani principi che lo sport tramanda.
Attualità
Ineleggibilità dei Sindaci: “Discriminatoria e antidemocratica”
Il dissenso di Anci Puglia per la norma che sancisce che “non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione”
L’associazione dei Comuni pugliesi chiede la revoca della modifica alla legge elettorale regionale, denunciando una penalizzazione ingiusta per i sindaci e una limitazione della libertà di scelta degli elettori.
Anci Puglia esprime fermo dissenso nei confronti della recente modifica all’articolo 6, comma 1, della Legge Regionale 9 febbraio 2005, n. 2 – “Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale” – approvata dal Consiglio regionale mediante emendamento.
La nuova formulazione del comma 1 stabilisce che “non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione”.
Tuttavia, tale ineleggibilità viene esclusa se i soggetti interessati si dimettono dalla
carica non oltre sei mesi prima del compimento del quinquennio di legislatura, o, in caso di
scioglimento anticipato del Consiglio regionale, entro sette giorni dalla data di scioglimento.
I Sindaci di Puglia, secondo ANCI, risultano pertanto fortemente penalizzati dal vincolo di ineleggibilità alle regionali e ritengono si tratti di una norma ingiustificatamente discriminatoria e
antidemocratica: Viene così compromesso non solo il legittimo diritto, costituzionalmente garantito, a candidarsi come chiunque altro, ma anche i cittadini e le cittadine vedono limitarsi la libera scelta per l’esercizio del diritto di voto: “Il termine di 180 giorni per dimettersi risulta infatti estremamente rigido e penalizzante e determina una disparità di trattamento oggettiva tra amministratori locali e altre categorie di cittadini eleggibili.
I Sindaci sono i rappresentanti più diretti e più vicini ai cittadini; tuttavia, invece di valorizzare il loro contributo potenziale nella competizione elettorale regionale, arricchendo così il pluralismo democratico, questa norma li mortifica pesantemente.
Inoltre, priva le comunità amministrate di
una guida con largo anticipo e, ipoteticamente, anche inutilmente, qualora il Sindaco non venisse poi candidato nelle liste regionali.
Anci Puglia ha raccolto nelle ultime ore le rimostranze e la delusione di tanti Sindaci e Sindache – di ogni schieramento politico, perché la norma penalizza tutti, in modo trasversale – e sta valutando ogni più utile ed opportuna azione congiunta, anche giurisdizionale”.
Soprattutto, ANCI PUGLIA oggi chiede ai Consiglieri regionali che hanno proposto e votato l’emendamento di “ritornare sui propri passi, di cancellare quella norma assurda e discriminatoria e consentire a tutti il libero accesso al diritto di candidarsi, accettando un confronto paritario, plurale e democratico.
Al Presidente Michele Emiliano, che è stato Sindaco della Città capoluogo e ha poi voluto
interpretare la carica di Governatore come “Sindaco di Puglia”, chiediamo di fare tutto quanto in suo potere per ripristinare, in seno al Consiglio regionale, il rispetto dei princìpi sacrosanti ed inviolabili di democrazia, uguaglianza di fronte alla Legge e pluralismo”.
Approfondimenti
Inaugurata la biblioteca “Giambattista Lezzi” a Casarano
il Sindaco De Nuzzo e l’Assessore Legittimo: “Grazie alla fiducia che i cittadini ci hanno accordato”. “Avevamo la necessità di una Biblioteca “vera” aperta, fruibile. Per questo motivo abbiamo iniziato da zero”.
“Ci sono sogni destinati a rimanere tali ma che comunque aiutano a migliorarsi. Altri destinati a realizzarsi nel momento in cui si ha la possibilità di incidere”.
E’ lapidario il sindaco di Casarano, Ottavio De Nuzzo, durante l’inaugurazione della nuova Biblioteca Comunale della città.
“È grazie alla fiducia che i cittadini hanno accordato alla nostra Amministrazione che tutto è iniziato. Avevamo la necessità di una Biblioteca “vera” aperta, fruibile. Per questo motivo abbiamo iniziato da zero.
E prosegue: “Sono stati anni di lavoro: convenzione con il Polo Biblio Museale di Lecce, partecipazione al bando per il servizio civile 2025, adesione rete delle Biblioteche Regionali, censimento matricola al Ministero, progettazione e realizzazione arredi e tanto altro.
Fatica? No gioia di vedere prendere corpo e anima ad un luogo che sarà un punto di partenza da dove si propagheranno, tutto intorno, attività culturali”.
“Da quelle stanze”, sostiene l’assessore, Emanuele Leggittimo, “si sprigionerà una luce forte che passando da Palazzo De Judicibis si estenderà nel Sedile comunale per arrivare a Piazza Mercato.
Lievito di vita e di bellezza, di incontro e scambi di saperi.
Siamo contenti e orgogliosi, oggi lo possiamo dire per aver potuto inaugurare e contare su “un luogo del sapere” che è la Biblioteca Comunale “Giambattista Lezzi”.
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