Approfondimenti
Tricase: “Faremo l’ impianto di compostaggio”
Le certezze del sindaco Coppola: “Sarà conveniente da tutti i punti di vista e non avrà impatto ambientale nè in termini di polveri nè di cattivi odori”. Per la sua realizzazione individuata l’area della zona industriale
Tricase avrà il suo impianto di compostaggio. Questo perlomeno è ciò che emerge dalle parole del sindaco Antonio Coppola che nel progetto crede fermamente.
La realizzazione di un impianto di compostaggio a Tricase nasce dalla necessità di porre prima di ogni altra cosa la tutela ambientale e la sicurezza alla base di una gestione ottimale dei rifiuti solidi urbani, che può realizzarsi solo attraverso azioni efficaci, affidabili e conformi alle esigenze del territorio. Il compostaggio è un processo biologico aerobico durante il quale le componenti organiche maggiormente biodegradabili subiscono una mineralizzazione ad opera di microorganismi, con conseguente trasformazione della materia organica in compost, un materiale stabilizzato al punto tale da poter essere manipolato. In natura i processi di compostaggio avvengono spontaneamente, ma come può essere facilmente intuibile, il problema di tali processi naturali è legato ovviamente alla loro discontinuità ed eterogeneità, oltre soprattutto ai tempi di attuazione troppo lunghi che richiedono. Un processo industriale di compostaggio invece si realizza in tempi molto più brevi, garantendo un prodotto finale sicuro e con un notevole valore fertilizzante. Tuttavia, trattandosi di un processo industriale, il suo funzionamento potrebbe riguardare in diversa misura aspetti ambientali quali i consumi energetici, idrici o di materie prime, le emissioni in atmosfera, gli odori, rumore o vibrazioni. Tra tutti la produzione di cattivi odori sembrerebbe l’impatto più temuto.
La chiave è una gestione ottimale dell’impianto, ne è convinto il Sindaco: “Se l’impianto viene gestito bene non dà alcun problema”.
Coppola ripercorre le stazioni che hanno portato alla fatidica scelta: “L’idea di un impianto di compostaggio è nata da un profondo convincimento che finchè esso non verrà localizzato il più vicino possibile, non potrà essere utilizzato in maniera conveniente. Se dovessimo portare l’umido da Tricase fino alla centrale di compostaggio ad oggi più vicina spenderemmo intorno ai 130 euro a tonnellata. Per cui risolviamo il problema alla radice, realizziamo l’impianto!”.
Quale zona avete individuato? “Gli impianti si possono realizzare solo nelle zone industriali e qui l’unica che esista è quella di Tricase-Miggiano-Montesano-Specchia, nella quale si trovano oltre 60mila mq di capannoni industriali inutilizzati (ex-Adelchi e tutte le strutture satellite): non si può fare altro che utilizzare una quota parte di quei capannoni per realizzare l’impianto di compostaggio; inoltre, nei bandi per la selezione del personale che si faranno verrà attribuito un punteggio maggiore se il personale sarà ex Adelchi. Di certo il numero sarà molto esiguo, 5, 6 al massimo 10 persone, ma ciò che si vuole dare è piuttosto un segnale di strategia politica”.
Veniamo al nodo degli aspetti ambientali: odori, emissioni, ecc. cosa farete? “Un impianto di compostaggio non rappresenta mai un problema ecologico, ma soprattutto un problema di odori che possono essere prodotti, oltre a quello delle polveri: una volta che il compost è stato realizzato si possono creare delle polveri che se lasciate all’esterno possono essere trasportate dal vento e dare problemi di allergie, ecc. Dunque stoccaggio e trattamenti vari dovranno essere realizzati con trasformazione aerobica, in un impianto che è totalmente chiuso e in depressione. L’aria verrà insufflata sul prodotto per consentire la sua trasformazione. La stessa aria aria passa poi in grosse vasche, nelle quali gli enzimi presenti abbatteranno ulteriormente gli ultimi elementi odorigeni, per cui non ci saranno fenomeni di maleodorazione. In più la voce “totale assenza di cattivi odori” verrà inserita nel bando per la concessione ad una ditta o soggetto privato e messo come obbligo fondamentale pena la decadenza della concessione. Abbiamo, inoltre, realizzato un accertamento di tipo qualitativo sull’appetibilità di un concorso di questo tipo, per cui il progetto è stato proposto a vari imprenditori, perché è inutile che si proponga un impianto di questo tipo se poi non c’è nessuno che partecipa. La risposta degli imprenditori è stata favorevole, e ci sono almeno 5 ditte di livello nazionale ed una di respiro europeo interessate”.
Sarà conveniente per i paesi limitrofi conferire in questo impianto? “A tal proposito abbiamo fatto una proposta alla Regione e all’ATO: anticipiamo noi le somme, facciamo noi il progetto preliminare, realizziamo il bando anche senza finanziamento esterno, nel momento in cui tale finanziamento esterno arriverà, sarà utilizzato per abbattere la tariffa. Dunque avremmo un risparmio molto importante oltre al fatto che rispetteremmo i parametri imposti dalla Comunità economica europea vale a dire entro il 65%”.
Avete pensato alla viabilità chiamata a sorreggere il traffico per e dall’impianto di compostaggio? “Da tutto il sud della provincia la viabilità si realizzerebbe sulle strade provinciali, circonvallazione di Tricase, S.S. 275 e 274. Il traffico che si creerebbe è paragonabile al traffico che c’è adesso”.
E il compost prodotto? “Un’azione attenta con tariffa agevolata del compost di qualità potrebbe portare ad un arricchimento con del materiale organico dei nostri terreni. Ci sono poi grande richieste da parte dei Paesi limitrofi del Mediterraneo che sono in forte espansione, quindi non si correrà il rischio di mancanza di mercato per il compost di qualità. Stiamo puntando molto in alto e ci stiamo riferendo solo alle maggiori professionalità, i nostri consulenti che ci hanno accompagnato dall’inizio, sono stati i collaboratori scientifici dell’Istituto Agronomico del Mediterraneo di Bari al quale siamo davvero molto grati”.
Donatella Valente
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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Volte a Stella
Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta
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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.
Da quanti anni fa questo mestiere?
«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni. Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».
È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?
«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».
Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?
«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».
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