Attualità
Tricase, i furti e la società moderna: dal controllo al “dyscontrol”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Salvatore Buffo, nostro lettore.
Sono allibito, sbigottito, sdegnato. Si legge sul il Gallo di domenica “Tricase depredata: sono 7 i furti nella notte … Il paese è stato depredato come fosse una città abbandonata … Un tour de force del furto .. portato a termine senza che nessuno vedesse o sentisse nulla”. Mi sono venute alla mente le immagini dei film postcatastrofe, dove le metropoli ormai cadenti e nel degrado generale sono nelle mani di bande armate ed i sopravvissuti si arrangiano per sopravvivere. Leggo poi sul Il Gallo di lunedì “Furti a Tricase: commercianti chiedono ronde di volontari …. L’associazione dei commercianti chiederà al sindaco l’istituzione di un tavolo tecnico e a Prefetto e Questore la possibilità di ronde pacifiche …”. Mi sono chiesto subito: chissà perché sindaco con la s minuscola e Questore e Prefetto con le iniziali maiuscole? A parte questa spigolatura, forse di poca importanza o forse significativa della considerazione che si ha per le diverse funzioni o forse indicativa delle aspettative, va detto che Prefetto e Questore sono autorità di pubblica sicurezza a livello provinciale ed il Sindaco, in qualità di ufficiale del Governo e in mancanza del Commissariato di Pubblica Sicurezza, è autorità locale di pubblica sicurezza e, quando opera come tale, dipende funzionalmente dal Prefetto e dal Questore.
Le competenze del’autorità locale di pubblica sicurezza sono definite nel T.U.L.P.S.: non sono previsti compiti di contrasto o di prevenzione della criminalità, ma quello di vegliare al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità ed alla tutela della proprietà.
Di fatto, da molto tempo si ripetono furti con scasso a carico di commercianti e abitazioni. Forse la mano non è la stessa: i primi sembrano l’obiettivo di delinquentelli dilettanti, radicati nel territorio, i quali non si rendono nemmeno conto che il gioco non vale la candela e cosa rischiano; le abitazioni sembrano invece essere l’obiettivo di banda/e più organizzate e professionali con basisti locali. E tutto questo accade sempre con maggiore frequenza, addirittura sette episodi delittuosi in una notte, quasi con arroganza e presunzione, una sfida al contesto sociale, una presa in giro delle forze di polizia. Stanno alzando il tiro, si stanno dopando. E andranno sempre oltre, fino alle estreme conseguenze, per loro o per le loro vittime.
Dalla parte delle vittime, reali e potenziali, e dei gruppi di appartenenza, il bisogno di sicurezza si rende più evidente. Il concetto di sicurezza sociale nasce come esigenza dell’uomo di vivere senza preoccupazioni, “sine cura”, affonda le sue radici alle origini di ogni forma di convivenza sociale e si articola e si concretizza in concetti e provvedimenti di previdenza sociale, welfare e sicurezza pubblica.
Lo sviluppo umano può essere letto attraverso un modello motivazionale basato su una gerarchia dei bisogni (Maslow, 1954), cioè una serie di “bisogni” disposti gerarchicamente in base alla quale la soddisfazione dei bisogni più elementari è la condizione per fare emergere i bisogni di ordine superiore.
Essi sono disposti come una piramide. Alla base della piramide ci sono i bisogni essenziali alla sopravvivenza, i bisogni fisiologici: fame, sete, sonno, protezione dal freddo o dal caldo, ecc. Sono i bisogni connessi alla sopravvivenza fisica dell’individuo. Sono i primi a dover essere soddisfatti per istinto di autoconservazione.
Salendo verso il vertice della piramide si incontrano i bisogni più immateriali. Fra questi, subito il bisogno di sicurezza: protezione, tranquillità, prevedibilità, soppressione preoccupazioni e ansie, ecc.
Seguono, fino alla cima della piramide, i bisogni di appartenenza, di stima e di autorealizzazione.
Il non soddisfacimento di un bisogno elementare farà perdere di importanza un bisogno superiore: chi non riesce a soddisfare il bisogno di alimentarsi, chi ha fame o vede la sua sopravvivenza in pericolo non sarà attratto da bisogni più immateriali. Il non soddisfacimento del bisogno di sicurezza farà regredire l’essere umano, spingendolo a perdere le motivazioni per il soddisfacimento di bisogni superiori, i bisogni di appartenenza, di stima e di autorealizzazione.
Questo processo assume oggi maggiore rilevanza e velocità di reazione per gli effetti concomitanti legati alla pandemia in corso, il lockdown, il timore per la salute propria e dei propri affetti, la solitudine, la carenza di rapporti sociali, la paura ad uscire di casa, la crisi economica, la paura di non farcela, la sfiducia verso chi ci governa e verso la politica degli annunci, degli accordi salvo intese, delle conferenze stampa, delle spese folli, dei fallimenti nella gestione della sanità, ecc. ecc.. Una condizione di ansia, di angoscia pervade l’individuo.
Ipotizziamo che queste due figure un giorno si incontrino: il maramaldo, sempre più borioso e dopato, magari anche più attrezzato in termini di strumenti di offesa, che in regime di coprifuoco si fa gioco dei controlli, e la vittima, sempre più esasperata e “bisognosa” di sopravvivere. A questo ritmo, prima o poi succederà. L’incontro sarebbe, per l’individuo in condizioni di ansia e angoscia profonda, un fattore scatenante. Si sentirebbe intrappolato: un pericolo imminente, una via di fuga limitata o che si sta per chiudere.
Se con il termine rischio si indica una “quantificazione del pericolo in termini di conseguenze attese” e con pericolo la “proprietà o qualità intrinseca di una determinata entità avente il potenziale di causare danni”, è l’interazione di questi due elementi con l’individuo a determinare il verificarsi di eventi le cui conseguenze possono essere più o meno gravi.
Faccio riferimento ad eventi oggettivamente pericolosi la cui imminenza e gravità, per quanto possano essere percepite da ogni individuo in maniera diversa, consentono di annoverarli tra gli stressor estremi.
La prima reazione ad uno stressor è un adattamento aspecifico dell’intero organismo che, superata una fase iniziale di shock, si pone nella condizione di fronteggiare il pericolo con un comportamento di attacco o fuga. Non è necessario che la credenza sia esatta, ma è sufficiente che questa sia la percezione per scatenare reazioni volte a garantire la propria sopravvivenza, anche a scapito degli altri, con i noti fenomeni della reazione non proporzionata. Così la chiama chi giudica da un salotto o dal proprio scanno senza responsabilità.
Il giudizio farebbe ricadere la responsabilità delle conseguenze sul cittadino terrorizzato o sul fuorilegge dissennato e senza autocontrollo, piuttosto che su aspetti preventivi e di gestione dell’emergenza criminale.
Ed allora, come possiamo prevenire e gestire? Controllo sociale e sicurezza.
Nel mondo anglosassone il termine “control” rimanda all’idea di dominio, potenza, autorità. Nelle lingue europee continentali invece, il termine controllo significa sorveglianza, ispezione, accertamento, cioè indica unicamente l’attività del controllare.
Nel lessico della sociologia il termine “controllo” è riferito a quell’insieme di processi e di istituzioni sociali (soprattutto religione, scuola, famiglia) con i quali il sistema sociale e i gruppi che ne fanno parte influenzano o costringono la condotta dei soggetti individuali o collettivi verso la conformità alle norme o alle regole dominanti della collettività.
Ogni comunità o aggregazione di individui, da quella primitiva a quella post-moderna, si è sempre dotata di meccanismi di controllo sociale finalizzati ad uniformare il comportamento dei singoli membri del gruppo al potere dominante.
Nelle società arcaiche il controllo sociale informale era centrato sul ruolo del capofamiglia o del capotribù. I ricordi da ragazzino mi dicono che il mio paese era un “villaggio”, dove il controllo sociale era svolto dalla comunità, che si incaricava di sorvegliare i comportamento di noi ragazzini e di riferire ai nostri genitori: “ho visto tuo figlio …”. E funzionava. E mia madre ringraziava. Il maestro rimproverava e bacchettava. Il premio andava guadagnato. Pensate invece oggi, nella nostra modernità, ai genitori che minacciano la maestra o alla imprudente signora che si affaccia all’uscio della vicina per segnalare di averne visto il figlio compiere qualcosa di riprovevole. E ci sono ancora oggi esempi di controllo sociale proprio del villaggio. Penso alle comunità di extracomunitari, indiani, pakistani, musulmani, .. che vivono in Italia e che riconoscono all’anziano della comunità un ruolo superiore di guida, disapprovazione e condanna. Ricordo che nel 2010 l’occupazione abusiva di un cantiere, in cima ad una grù, da parte di alcuni extracomunitari, in rappresentanza di una folla di pari che rivendicavano il permesso di soggiorno, fu risolta dall’intervento dell’anziano della comunità che intercesse per il proprio conterraneo e per telefono esortò/convinse/ordinò di scendere.
In questo processo, le regole sociali, quelle religiose, morali e di costume, sono caratterizzate dal fatto che la loro osservanza non si fonda su una costrizione esterna, ma su una spontanea ed interiore adesione ai valori che esprimono.
Questo ruolo di controllo sociale informale nella modernità si sposta sull’istituzione Stato, nata come punto di mediazione tra interessi diversi. Ma non dobbiamo pensare che le altre agenzie, la religione, la scuola, la famiglia, le associazioni, .. abbiano esaurito il loro ruolo o possano pensare di poter delegare. La famiglia, in particolare, deve svolgere il suo ruolo prioritario, essenziale e non sostituibile.
Ma siamo giunti fino alla postmodernità dove il controllo sociale si sviluppa in larga parte attraverso l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Peccato che sia solo un “dyscontrol”.
Nelle società del controllo postmoderno, l’essenziale è cifra nel senso di password o codice d’accesso. Il linguaggio digitale del controllo è fatto di cifre che segnano l’accesso all’informazione o il rifiuto. Non ci si trova più di fronte alla coppia massa/individuo. Gli individui sono diventati dei “dividui” e le masse dei campioni statistici, dei dati, a disposizione dei mercati, delle banche o dei gruppi politici. Nella società postmoderna, una società mediata, che continuamente oscilla tra virtuale e reale, chi ha la capacità di immettere nell’immaginario collettivo nuovi valori e punti di riferimento, di suggestionare ed affascinare, di sedurre e conquistare ed ha gli strumenti tecnici e materiali per farlo (cellulare, TV, internet), ha in mano uno degli strumenti cruciali per esercitare il nuovo controllo sociale.
Navigando in rete ognuno fornisce continuamente e quotidianamente al sistema di sorveglianza il doppione di se (c.d. doppione elettronico). I principali oggetti al centro dell’attenzione dei sistemi di sorveglianza non sono le persone in carne e ossa, bensì i loro “doppi” elettronici, cioè i dati che li riguardano.
La nuova sorveglianza si propone di selezionare le persone per operarne una classificazione al fine di scegliere un trattamento differenziale per le diverse categorie di consumatori e cittadini. Il marketing valuta i “profili” di ognuno secondo i comportamenti di consumo. Ciò che più dobbiamo temere non è la fine della privacy e dell’anonimato, bensì un inquadramento in categorie in grado di determinare a priori il nostro futuro.
Le nuove forme di controllo e sorveglianza assumono le caratteristiche tipiche del consumo e dello svago. Esporsi alla sorveglianza è oggi divenuto un gesto spontaneo, se non addirittura gratificante (C’è posta per te, Grande fratello, Tik Tok, Instagram, ecc.). Se il sorvegliato del Panopticon, il famoso modello di carcere con le celle su una circonferenza ed il sorvegliante al centro, era ossessionato dall’incubo di non essere mai solo, il nostro incubo è diventato quello di non essere notati da nessuno; quello che vogliamo è non sentirci mai soli. La costruzione di questa macchina infernale procede con la collaborazione spontanea, se non gioiosa, delle sue vittime.
Il controllo sociale formale, invece, viene affidato ad istituzioni “imparziali” che sorvegliano la condotta dell’individuo, pronti a sanzionarla qualora dovesse trasgredire o deviare. A questo fine la società si è dotata di istituti correttivi, norme penali e sanzioni per dissuadere e punire i devianti, ma anche per far interiorizzare delle norme e dei modelli di comportamento.
Le misure adottate sono relative alla prevenzione ed alla protezione, di tipo attivo, passivo, strutturale, impiantistico, amministrativo o disciplinare. E queste misure vanno gestite e mantenute in vita, con studi, aggiornamenti, formazione, informazione, manutenzione, verifiche, esercitazioni, piani di sicurezza e adeguamenti.
Una implementazione del controllo sociale informale richiede anzitutto un riconoscimento della necessità, poi progetti, risorse e tempi non brevi. Invece, sul controllo formale qualcosa si può e si deve fare subito.
Chi lo può fare sono le forze di polizia e la magistratura. Non conosco lo stato delle indagini o se ci sono procedimenti giudiziari avviati e potrei fare delle affermazioni non corrette.
Qualcuno pare sia stato colto in flagrante, fermato e subito a piede libero. Forse il magistrato avrà giudicato che non era socialmente pericoloso o capace di reiterare il reato. Ma la sorveglianza può essere certamente più mirata e più intensificata. Non si può certo accusare chi circola la notte e perseguitare i nottambuli, ma, se si hanno sospetti, li si può tenere sotto pressione (una volta un noto maresciallo lo faceva), li si può sommergere di sanzioni pecuniarie per violazione del coprifuoco e scoraggiare ad uscire da casa.
Dobbiamo invece constatare che non c’è visibilità della vigilanza. Non è visibile una presenza sul territorio che tenga i contatti con chi sa e che possa raccogliere i rumors. Non si vede una pattuglia circolare. Non si vede una divisa. Non si vedono i fari lampeggiare. I cittadini hanno bisogno di sentirsi rassicurati vedendo fari, divise e pattuglie. I malintenzionati devono preoccuparsi vedendo fari, divise e pattuglie.
Un comandante di forze di polizia direbbe “siamo pochi, facciamo già il massimo possibile”. O direbbe, come riporta l’appello dell’associazione dei commercianti, “abbiamo le mani legate da norme e da un sistema giudiziario troppo farraginoso e garantista nei confronti dei delinquenti (e solo dei delinquenti perché se capita dentro un cittadino per bene invece viene stritolato e rovinato a vita)”. E sono d’accordo. Ma Tricase è sede di compagnia dei CC e il Commissariato di PS di Taurisano ha competenza anche su Tricase, che è oggi l’obiettivo consolidato delle azioni malavitose. Le stazioni dipendenti dei CC potrebbero contribuire alle attività di sorveglianza su Tricase. L’autorità provinciale di pubblica sicurezza potrebbe integrare l’attività locale con pattugliamenti di forze di polizia diverse, in particolare polizia di stato e finanza. I pattugliamenti potrebbero essere fatti in divisa ed in borghese, con auto di servizio ed auto anonime. Gli istituti di vigilanza, che svolgono la propria attività sotto la vigilanza del questore, potrebbero essere sensibilizzate a che nei loro giri di ronda attenzionino il problema e segnalino alle forze di polizia situazioni ed eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana.
Alla stessa polizia locale può essere attribuita ad personam la qualifica di agente di pubblica sicurezza, con compiti ausiliari alle forze di polizia, mediante decreto del prefetto, su richiesta del sindaco. Preferirei vedere la polizia locale pattugliare di notte il territorio con i fari accesi, piuttosto che distribuire di giorno con zelo e diligenza tante multe. Ora siamo in emergenza. Per le multe c’è tempo e non ci sono soldi.
Purtroppo, è facile dirlo. Difficile passare dalle parole ai fatti. Lo abbiamo visto nell’insufficiente controllo anti Covid degli assembramenti e del corretto uso delle mascherine.
I sistemi di video sorveglianza li hanno inventati da tempo e adottati diffusamente in tante città. Spero che nel programma dell’amministrazione cittadina ci sia spazio per tale predisposizione.
L’appello dell’associazione commercianti è un grido di protesta, di sconforto e di aiuto ed è bene che si sia fatto sentire, è bene che non si rimanga passivi ad aspettare la provvidenza. Ben venga un “tavolo tecnico che chiarisca cosa è stato fatto e con quale esito, cosa si sta facendo e cosa si ha intenzione di fare per risolvere definitivamente il problema» e che possa sollevare l’interesse e appellarsi alla responsabilità di questore e prefetto. Si potrebbe dire che un tavolo tecnico, un verbale e un po’ di visibilità non si negano a nessuno, ma sottolineo che il tavolo tecnico ha anche un altro scopo, ha la grande funzione di permettere la “comunicazione” che finora è mancata. Non è sufficiente che qualcosa si faccia, occorre assicurare gli spettatori che qualcosa si sta facendo, che le istituzioni stanno svolgendo il proprio ruolo, che si sta lavorando ad una soluzione, che la via di uscita non si sta chiudendo, che non è necessario sostituirsi alle istituzioni e cercare scorciatoie.
E a proposito di scorciatoie e della proposta di “ronde pacifiche” promosse e gestite dall’associazione dei commercianti, “lo Stato è assente, ci pensiamo noi” non mi trova d’accordo. Nessuno deve sostituirsi alle istituzioni, ma possono essere le stesse istituzioni a valutare la necessità ed i modi del contributo di quelli che leggi e regolamenti chiamano “osservatori volontari”.
Ci sono altri due attori in questa triste rappresentazione: i media e la magistratura.
I primi si devono chiedere quale è il loro ruolo. Si devono chiedere se vale sempre la regola “bad news, good news” o se si può fare qualcosa di più in termini di educazione, di richiamo delle agenzie sociali, di stimolo delle funzioni istituzionali interessate. Non mi pare finora di aver letto un’intervista agli organi di polizia, alla procura della repubblica, alle autorità di pubblica sicurezza.
E la magistratura? Un terreno minato. Anche se non si andrà in televisione per una custodia cautelare agli individui di una banda socialmente pericolosa, “facis de necessitate virtutem” fai di necessità virtù. La microcriminalità diffusa, in particolare in questo periodo di grande difficoltà economica, crea allarme sociale più di una rapina alle Poste.
Attualità
Minervino di Lecce: si litiga… a Tavola
In occasione delle festività in onore di San Giuseppe, la Tavola diventa itinerante e abbandona la piazza. Il gruppo di opposizione “Il Cuore di Minerva” accende la polemica: «La decisione di cancellare la Tavola in piazza per rancori personali è assolutamente indecorosa». Il sindaco Antonio Marte preferisce non commentare

«Salta per volontà del sindaco Antonio Marte», tuona dall’opposizione l’ex sindaco Ettore Caroppo.
Si riferisce alla «tradizionale Tavola di San Giuseppe che da decenni ormai si teneva, il 19 marzo, in piazza» che, da quest’anno, diventa itinerante.
«Una novità che sta suscitando molti malumori e che provocherà un’ulteriore delusione tra visitatori, turisti e pellegrini che arriveranno», continuano dai banchi della minoranza.
Sull’argomento il gruppo consiliare de “Il Cuore di Minerva” aveva richiesto un incontro con la parte tecnica dell’amministrazione.
Invece, il responsabile del servizio della gestione dei fondi PNRR, dottor Simone Dima e l’architetto Valeria Giannetta legati al progetto “Borghi Divini” per la parte pubblica, l’Associazione del Mercatino del Gusto, aggiudicatrice della gestione dell’evento per circa 100mila euro e i tre consiglieri Rizzello, Cagnazzo e Caroppo si sono incontrati il 10 marzo.
Fulcro dell’incontro, è stato proprio l’annullamento e la cancellazione dell’evento della Tavola in piazza, secondo Caroppo, «una tradizione consolidata da decenni e ritenuta un prezioso strumento per il rilancio, la promozione e la divulgazione di questa particolare forma di devozione popolare».
Con l’aggiunta che «nel 2005 l’amministrazione comunale, con lo stesso Marte, in Giunta al fianco dell’allora sindaco Ettore Caroppo, condividendone le finalità, istituzionalizzava l’evento giusta delibera di Consiglio Comunale n°3 del 2008».
«Quest’anno», prosegue nel racconto l’ex primo cittadino, «l’amministrazione comunale guidata da Antonio Marte ha deciso di cestinare l’evento nella giornata del 19 e in particolare quello serale senza fornire motivazioni chiare né, tantomeno, dare formale atto d’indirizzo agli uffici, apparsi scendere dalle nuvole durante l’incontro tecnico voluto da noi richiesto. Il Presidente dell’Associazione del Mercatino del Gusto che nell’ambito del bando legato al PNRR denominato “Borghi Divini” è stato chiamato a chiarire diversi punti, in evidente imbarazzo nel giustificare la scelta “imposta” l’ha definita “un cambio di visione”».
«L’amministrazione comunale ha giustificato la scelta parlando di un semplice “desiderio di cambiamento”», come ha dichiarato la ex vicesindaco Maria Antonietta Cagnazzo.
Una motivazione che non ha convinto la minoranza consiliare, che ritiene «l’intera comunità privata di un evento fondamentale per l’identità minervinese e a rischio la futura collaborazione dell’Associazione del Mercatino del Gusto».
«La decisione di cancellare la Tavola in piazza è assolutamente indecorosa. Mischiare rancori personali e la volontà di smantellare quanto realizzato dall’amministrazione Caroppo, arrivando persino a stralciare quanto di buono era stato fatto, nel voler mostrare quanto era forte ancora oggi la devozione per San Giuseppe, è un atto grave. Ancora più inaccettabile è piegare la programmazione di “Borghi Divini” del PNRR, messa a dura prova da una decisione legata a interessi di parte, annientando anni di lavoro per la promozione del territorio», afferma la consigliera Cagnazzo, «il rammarico di questa brusca frenata dopo anni in cui San Giuseppe, la massa (il suo piatto tipico) hanno fatto tanto parlare di sé, anche con le esperienze in Svizzera e alla Bit di Milano. Tutto il nostro impegno in una promozione ampia, che raccontava la nostra gente che fine sta facendo? E il rischio di restituire i fondi del PNRR, con questa decisione imposta dal sindaco Marte, quanto rischia di diventare concreta?».
Le fa eco il giovane consigliere Lorenzo Rizzello: «Sono cresciuto con la tradizione della Tavola di San Giuseppe, con l’orgoglio di vedere rappresentati e raccontati i valori della nostra comunità. Provo profondo dispiacere nel vedere cancellata una parte così importante della nostra storia e identità».
Ettore Caroppo dopo aver ricordato che il progetto Borghi Divini consta di un finanziamento che nella sua interezza si avvicina ai 3milioni di euro di essere «fortemente rammaricato dell’ennesimo schiaffo che Minervino riceve e ancor di più nel vedere quanto imbarazzo vi era negli occhi dei rappresentanti dell’Associazione del Mercatino del Gusto a partire dal suo Presidente, nel dover incontrarmi».
Infine dall’ex sindaco e oggi consigliere Nazionale ANCI e comunale Ettore Caroppo, l’annuncio con tanto di appello per «raccogliere le foto della “Tavola di san Giuseppe in piazza” realizzate in tutti questi anni. Per noi tutti sarà un tuffo nei ricordi del passato mentre per il presente un colpo al cuore nel vedere un vero e proprio buco nero per il 2025. Forse qualcuno vedendo quel buco nero potrà persino provare vergogna».
Sulla vicenda, come nostro costume abbiamo provato a sentire anche l’altra campana ma il sindaco Antonio Marte ha preferito non commentare.
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Arnesano
Xylella fastidiosa: si rischia la tragedia e il bis anche per le viti?
Minerva: “Ci siamo proposti come Ente di coordinamento, al netto delle singole funzioni, e come tale ci rendiamo disponibili a raccogliere le proposte e a provare a costruire le condizioni per far sì che qualcosa di concreto si possa fare. Siamo pronti ad adottare punti di vista e proposte da caricarci sulle spalle e, se necessario, portare sui tavoli istituzionali a Bari, a Roma, a Bruxelles”…

Dopo la rovinosa débâcle che ha subìto il settore agricolo negli ultimi dieci anni a causa della xylella fastidiosa, prima che vada in scena il secondo atto che scateni una tragedia ancor più virulenta della prima, è stato convocato oggi, in Provincia, a Palazzo dei Celestini, un tavolo con i componenti dell’unità operativa per lo sviluppo.
Il tema? La xylella fastidiosa nel settore vitivinicolo.
Ora che il pericolo per le viti, dopo quello per gli ulivi, è sotto gli occhi di tutti significa lanciare un segnale al territorio.
I componenti di questo organismo hanno preso l’impegno di inviare proposte, suggerimenti, osservazioni, finalizzate alla redazione di un documento che sarà “accompagnato” dalla Provincia all’attenzione dei vari livelli istituzionali.
Il presidente Stefano Minerva, che ha convocato la riunione odierna, ha sottolineato il senso dell’iniziativa: “Ci siamo proposti come Ente di coordinamento, al netto delle singole funzioni, e come tale ci rendiamo disponibili a raccogliere le proposte e a provare a costruire le condizioni per far sì che qualcosa di concreto si possa fare. Siamo pronti ad adottare punti di vista e proposte da caricarci sulle spalle e, se necessario, portare sui tavoli istituzionali a Bari, a Roma, a Bruxelles”.
Il vice presidente con delega all’Ambiente, Paesaggio e Riforestazione Fabio Tarantino ha aggiunto “Abbiamo voluto confrontarci sul tema, volgarmente detto della xylella della vite, in quanto riteniamo che la Provincia debba essere portavoce, debba fare cassa di risonanza nei confronti dei settori produttivi e delle associazioni che li rappresentano, così come facciamo in qualità di Casa dei Comuni rispetto agli enti locali”.
E il consigliere con delega all’Agricoltura Paolo Greco ha aggiunto: “La questione xylella è un tema importante, sappiamo quanto abbiamo sofferto e quanto il tessuto agricolo, il paesaggio, l’ambiente stanno patendo nel nostro Salento. Anche per la Xylella della vite il monito deve essere quello di evitare di dare ascolto a prose, poesie e formule magiche, ossia l’humus intorno al quale il nostro territorio si è trovato a muoversi, ed affiancarsi invece completamente alla scienza e al rispetto delle prescrizioni previste. La nostra regione non può vivere una nuova stagione medievale come accaduto per la Xylella”.
Tutti i componenti dell’UOS presenti (Enti, Università, associazioni di categoria e datoriali, organizzazioni sindacali) sono intervenuti con punti di vista e proposte.
I partecipanti hanno sottolineato l’importanza di mantenere alto il livello di guardia su questa nuova forma di Xylella e l’esigenza di dotare il territorio di un piano di rigenerazione unitario.
Il dirigente del Servizio Politiche europee e Assistenza agli enti locali Carmelo Calamia ha, poi, ricordato come l’Unità Operativa per lo Sviluppo é un organismo consultivo creato dalla Provincia dal 1996, composto da 26 soggetti territoriali, chiamati e coinvolti sui temi dello sviluppo del territorio, che tornerà a riunirsi con più frequenza.
In seguito, ha illustrato ai componenti dell’Unità presenti lo stato di avanzamento degli ultimi 6 mesi di SaL.E., il progetto pilota finanziato alla Provincia di Lecce nell’ambito dei Patti territoriali.
“Il primo rapporto semestrale vede tutti i progetti avviati nel completamento delle prime fasi amministrative. Ci attendiamo ora un avanzamento significativo nei primi mesi nel 2025. La chiusura degli investimenti è fissata al 31 dicembre 2026. Per fruire dei 30 trenta progetti pubblici e dei 6 privati, inoltre, si costruirà un itinerario virtuale, un collante unico, sviluppando una modalità innovativa di fruizione e di comunicazione”.
Attualità
Donate 10 sedie a rotelle alla Reception del DEA di Lecce
L’iniziativa dell’Associazione “Cuore e mani aperte” per accompagnare con attenzione, gentilezza e un sorriso sul cuore, tutti coloro che arrivano in Ospedale per cercare risposte che restituiscano la speranza di una vita serena

Cerimonia di consegna per la donazione di 10 sedie a rotelle per la Reception del nuovo Dipartimento Emergenze e Accettazione del Presidio Ospedaliero Vito Fazzi di Lecce.
Le sedie in dotazione al punto accoglienza, infatti, talvolta non risultavano sufficienti a soddisfare le richieste dell’utenza e l’Associazione Cuore e mani aperte OdV, presieduta dal cappellano del nosocomio, don Gianni Mattia, da sempre particolarmente sensibile all’umanizzazione delle cure e degli ambienti ospedalieri, ha provveduto con la donazione odierna.
Alla cerimonia erano presenti la direzione sanitaria del Presidio, dottoressa Patrizia Barone, la direzione amministrativa, dottoressa Sonia Cioffi, il Direttivo e i volontari dell’Associazione.
Tutti i presenti hanno riconosciuto che le 10 sedie a rotelle donate favoriranno l’accessibilità e il comfort dei pazienti in difficoltà motoria temporanea, consentendo loro di raggiungere gli ambulatori/reparti senza sforzi eccessivi e in sicurezza.
“Quando ci si reca in ospedale per una visita, un’emergenza o un ricovero, lo si fa sempre con una tempesta nel cuore. Si vive la speranza di poter star meglio e la paura di perdere la propria quotidianità e autonomia. Noi vorremmo che le emozioni vissute diventassero belle come un fiore che supera l’inverno. Quando la vita ci mette alla prova testando la nostra fede, il nostro coraggio e la nostra forza, può accadere di sentirsi fragili e smarriti. In queste occasioni abbiamo bisogno che qualcuno, prendendoci per mano, ci faccia sentire di non essere soli”, inizia così la dichiarazione di don Gianni Mattia.
“La primavera è alle porte”, prosegue, “il freddo è meno rigido e le strade iniziano a colorarsi con i fiori di campo che rallegrano il nostro sguardo mentre la vita scorre. La primavera risveglia le nostre emozioni e i poeti l’hanno resa poesia. Nel suo rappresentare il risveglio e la rinascita, l’amore, attraverso la sua bellezza, si riveste di essa diventando un gesto d’amore. La vita ci ha condotti su questa strada fatta di sofferenza, ma anche di una delicata forza che ci insegna a tramutarla in speranza, fiducia, sorrisi e amore. In questo poter essere al fianco dei più fragili vi è l’amore incondizionato di tutti coloro che, nel silenzio e nell’umiltà del proprio cuore, donano il proprio 5 per mille, regali di matrimonio, compleanno o ricorrenze varie o semplicemente per rendersi dono in ricordo di un amore che non si può più abbracciare ma condivide ogni nostro respiro. Costoro, eroi silenziosi rendono tutto ciò possibile. A loro va il nostro grazie più sincero”.
L’Associazione Cuore e mani aperte OdV è un ente del Terzo Settore, fondata nel 2001, che opera all’interno del nosocomio leccese da più di venti anni, grazie al sogno e vocazione del cappellano, don Gianni Mattia, che – oltre ad esserne fondatore e presidente – riveste di poesia anche la sofferenza.
Negli ultimi anni si è soffermata con attenzione ad esplorare il concetto della cura che passa anche attraverso l’umanizzazione delle cure e degli spazi ospedalieri.
In questo ambito si inseriscono numerose iniziative: dalla Bimbulanza allo Spazio Benessere, da una Casa di Accoglienza per i parenti dei degenti a diverse umanizzazioni pittoriche di risonanze magnetiche, tac e intere unità operative pediatriche.
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