Attualità
“Quaresima” e “Quarantena”
Messaggio alla Chiesa di Ugento- S. Maria di Leuca per la quaresima 2020. Il vescovo Vito Angiuli: «Esorto tutti ad attenersi alle indicazioni date e a quelle che saranno proposte in futuro per sconfiggere il coronavirus»
Lettera aperta del vescovo di Ugento – S.Maria di Leuca Vito Angiuli.
«Cari fratelli e sorelle,
l’epidemia del coronavirus COVID-19 si è abbattuta su tutto il mondo come una tempesta di sabbia nel deserto. In alcune zone desertiche, capita che le forti raffiche di vento sollevano le particelle di sabbia facendole vibrare e rotolare sul terreno. Queste si rompono in particelle di polvere più piccole che cominciano a viaggiare in sospensione fino a diventare una tempesta che sposta enormi quantità di sabbia, tanto da sembrare un muro di polvere, che può raggiungere anche un chilometro e mezzo d’altezza. Necessariamente tutto si deve fermare e attendere che la tempesta passi. Quando essa sopraggiunge, non si può fare altro se non rifugiarsi in un luogo coperto e aspettare che la tormenta si plachi e diminuisca d’intensità.
Il coronavirus ha bisogno di essere decifrato nella sua composizione e nelle sue dinamiche. Gli esperti si sono attivati con molta generosità e competenza, ma sanno bene che, per conoscere adeguatamente il virus in modo da trovare l’antidoto giusto, occorrerà un congruo periodo di tempo per lo studio e la ricerca del vaccino. Per ora, non si può fare altro se non formulare ipotesi e accumulare dati scientifici che possano condurre a una completa diagnostica del fenomeno.
Nel frattempo, per chi è affetto dal contagio, soprattutto nei casi più gravi, non c’è altro da fare se non entrare in “quarantena”. È la parola che sentiamo ripetere più spesso in questi giorni. Gli esperti sottolineano che, per evitare il contagio e il propagarsi dell’infezione, bisogna sottoporsi a un periodo di isolamento forzato e prendere tutte le necessarie precauzioni. Positivamente si deve registrare che non mancano casi sempre più frequenti di guarigione. Ma la soluzione tarda a venire. Occorrerà ancora altro tempo.
Con il diffondersi dell’epidemia (si comincia già a parlare di pandemia) molte cose sono cambiate nelle relazioni interpersonali e nella vita sociale. Sono state decise dalle autorità alcune misure restrittive e imposti alcuni divieti. Sono state indicate norme da rispettare e comportamenti da evitare. La questione è diventata più problematica se si considera che in gioco non c’è sola la malattia, ma anche il contraccolpo sull’economia. Le due cose sono interdipendenti. Le conseguenze sul piano produttivo, industriale e commerciale si annunciano per il futuro piuttosto problematiche. Insomma, mentre ci si deve preoccupare di combattere gli effetti del virus, si deve anche programmare un piano che permetta di arginare le conseguenze negative dal punto di vista economico, occupazionale, lavorativo.
A ben vedere, questa epidemia non solo si è manifestata nel tempo che noi cristiani chiamiamo “quaresima”, ma presenta una certa analogia con il tempo quaresimale. Il termine “quarantena” deriva da quaranta giorni. Anche la quaresima è un periodo di quaranta giorni, una sorta di “quarantena spirituale”, un periodo di purificazione dell’anima dal peccato per vivere in novità di vita, un tempo di benefica “potatura” delle falsità, della mondanità, dell’indifferenza e di tutte le altre “malattie mortali” causate dal “virus del peccato”. Come per i mali fisici, anche per quelli spirituali possiamo incorrere in tre atteggiamenti sbagliati.
Il primo consiste nel far finta di niente, nel minimizzare la portata negativa o addirittura nel convivere con il male e il peccato, magari pensando che il virus non ci contagerà o giustificandoci sostenendo che in fondo il nostro cattivo comportamento non è peggiore di quello degli altri. Questo atteggiamento assomiglia a chi non vuole vedere ciò che è evidente e per questo chiude volontariamente la porta dall’interno, rimanendo prigioniero di se stesso e della sua pericolosa condizione.
Un altro ostacolo consiste nella vergogna così forte per il male commesso da essere incapaci di confessarla. In questo caso, ci si comporta come chi ha paura di andare dal medico e di confidargli il proprio malessere.
La terza insidia è quella di chi non solo non cerca di aprire il proprio cuore, ma si rintana nella propria misera condizione, rimuginandola continuamente, fino a sprofondare e a rimanere inabissato nel buio e nell’oscurità della propria anima. Allora, non solo non si guarisce, ma aumenta la tristezza e il disgusto della vita. Ciò che occorre, invece, è cercare di venire fuori dalla propria condizione di male e dal proprio labirinto interiore e, seguendo il “filo di Arianna”, cioè ascoltando i buoni consigli che vengono da persone esperte e dalla Parola di Dio, uscire dal tunnel e ritornare a vedere la luce del sole.
Come per guarire dal contagio del virus è necessario un periodo di quarantena, così la prima cosa da fare per guarire dal peccato è ritirarsi nel deserto, in un luogo appartato per rimanere soli con se stessi e con Dio. I quaranta giorni quaresimali sono un tempo cronologico con un forte valore simbolico. Sono, infatti, un’esortazione a rivedere il proprio stile di vita e a cambiare le abitudini più dannose.
Il numero quaranta richiama i quaranta giorni del diluvio universale, della permanenza di Mosè sul monte Sinai, del pellegrinaggio del popolo di Israele nel deserto prima di giungere alla terra promessa, del percorso del profeta Elia per giungere al monte Oreb, del periodo di predicazione del profeta Giona nella città di Ninive per indurre gli abitanti di quella città alla conversione. Anche Gesù digiuna quaranta giorni e quaranta notti nel deserto e, dopo la sua risurrezione, rimane ancora quaranta giorni sulla terra per istruire i suoi discepoli e inviarli nel mondo, mentre lui ascende al cielo.
D’altra parte, come l’epidemia del coronavirus richiede un periodo di cure per riacquistare la salute corporale, così la quaresima è un tempo di “combattimento spirituale contro lo spirito del male” per vivere in pienezza la propria vita. La quaresima, come la quarantena, si presenta come un «tempo favorevole» (2Cor 6,2) nel quale attivare gli anticorpi necessari per vincere la difficile battaglia.
Tre sono le medicine che guariscono dal pericoloso virus del peccato: il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Queste tre opere quaresimali sono intrecciate l’una nell’altra. Non si possono scindere, ma devono essere attuate insieme. Con ragione, san Pietro Crisologo afferma che «preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola e ricevono vita l’una dall’altra. Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia è la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia» (Discorso, 43). Il coronavirus ci sta obbligando a un profondo cambiamento delle nostre abitudini. Anche la quaresima intende scuoterci dal nostro torpore spirituale e spronarci a ricuperare i valori essenziali della vita attraverso «la preghiera, quale apertura verso Dio; il digiuno, quale espressione del dominio di sé anche nel privarsi di qualcosa, nel dire “no” a se stessi; e infine l’elemosina, quale apertura “verso gli altri”» (Agostino, Enarrat. in Ps., 42, b).
Digiunare vuol dire non solo astenersi dal cibo, ma anche fare verità nella propria anima. Questo, per sant’Agostino, comporta che «nessuno, con il pretesto dell’astinenza, cerchi di cambiare piaceri invece che eliminarli del tutto: come avverrebbe se uno andasse in cerca di cibi ricercati perché non mangia carne e di bevande insolite perché non beve vino. In questo caso l’occasione che ha di domare la carne si trasforma piuttosto in ricerca di piacere. Per i puri di cuore infatti tutti gli alimenti sono mondi, ma l’intemperanza li rende tutti immondi» (Discorso, 205,2).
Il digiuno spirituale consiste nel mettere in atto una molteplicità di atteggiamenti positivi per far risplendere la bellezza della vita umana e cristiana: l’uso moderato dei mezzi di comunicazione sociale e dei social, la sobrietà nell’utilizzo delle parole, la ricerca di momenti di silenzio e di riflessione, il superamento della frenetica voglia di novità, la capacità di vivere con calma e tranquillità allentando il convulso ritmo della vita, la moderazione nel soddisfacimento dei propri desideri, l’autocontrollo nella sfrenata brama di divertimento, la sincerità e la serenità nelle relazioni interpersonali, l’equilibro e l’obiettività nei giudizi, la pacifica accoglienza della diversità delle opinioni.
Tra questi atteggiamenti, la lezione che l’attuale epidemia ci rappresenta in modo evidente e inequivocabile è l’accettazione convinta del senso del limite e il riconoscimento della connaturale fragilità e finitudine della nostra umanità. L’accettazione del proprio limite aiuta a ricuperare il valore dell’elemosina, ossia dell’alterità, della solidarietà e della fraternità. Sono questi gli aspetti positivi che l’epidemia del coronavirus sta mettendo in evidenza in modo esemplare. In questi giorni, stiamo assistendo a un meraviglioso spettacolo: una splendida gara di solidarietà, di dedizione, di condivisione. Il dialogo, la disponibilità verso chi è più debole, la costruzione della fraternità sono la vera ricchezza che dobbiamo condividere e incrementare. È questa l’elemosina che bisogna offrirsi reciprocamente. «Tutti concordi, – scrive sant’Agostino – tutti fedeli coerenti, tutti, in questo pellegrinaggio, sospirando per il desiderio e ardendo per l’amore dell’unica patria. Nessuno invidi, nessuno disprezzi nell’altro un dono di Dio che lui non ha. Nei beni spirituali ritieni come tuo ciò che ami nel fratello; e lui ritenga come suo ciò che ama in te» (Discorso 205,2).
La carità infatti, «copre una moltitudine di peccati» (1Pt 4,8) perché è il regno dell’ascolto, della dedizione, della crescita spirituale, della gratuità. La carità è gioia, è slancio, è vocazione alla prossimità, è mano tesa che non smette di portare i pesi dell’altro. E, alla fine, è l’unica cosa che rimane. Sant’Agostino insegna che il digiuno e l’elemosina sono «le due ali della preghiera» (Discorso 205,3). Insieme, queste tre opere quaresimali consentono di superare le difficoltà, di aiutare chi è nel bisogno, di raggiungere il fondo della propria anima per andare, di slancio, incontro a Dio.
In questo particolare momento di difficoltà che l’Italia e il mondo intero stanno attraversando, dobbiamo elevare una grande preghiera al Signore. La preghiera non è evasione, astrazione o fuga dalla realtà, ma è immersione nella storia. Non è rifugio consolatorio, ma sincera confidenza e fiducioso atto di abbandono in Dio. Come insegna Gesù nel “Padre nostro”, pregare è chiedere di essere liberati dal male, dalla paura e da ogni calamità.
Allora, cari fratelli e sorelle, non stanchiamoci di elevare al Signore la nostra insistente e fiduciosa preghiera. Preghiamo per i malati e per i loro familiari. Preghiamo per i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari, perché continuino a fronteggiare questa calamità con professionalità e dedizione. Preghiamo per le autorità civili, perché sappiano prendere le giuste misure per il bene dell’intera popolazione.
Esorto tutti ad attenersi alle indicazioni date e a quelle che saranno proposte in futuro per sconfiggere il coronavirus. Invito a vivere questo momento con fiducia e speranza nella convinzione che insieme potremo debellare la malattia. La quaresima, infatti, è un cammino verso la Pasqua, festa della guarigione corporale e della salvezza spirituale. Formulo l’augurio che la lotta contro questa epidemia si risolva positivamente e ritorni in tutti la gioia di una vita serena e fraterna. La Vergine de finibus terrae ci sostenga e ci accompagni con la sua materna protezione».
Il vostro Vescovo
+ Vito
Attualità
Ineleggibilità dei Sindaci: “Discriminatoria e antidemocratica”
Il dissenso di Anci Puglia per la norma che sancisce che “non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione”
L’associazione dei Comuni pugliesi chiede la revoca della modifica alla legge elettorale regionale, denunciando una penalizzazione ingiusta per i sindaci e una limitazione della libertà di scelta degli elettori.
Anci Puglia esprime fermo dissenso nei confronti della recente modifica all’articolo 6, comma 1, della Legge Regionale 9 febbraio 2005, n. 2 – “Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale” – approvata dal Consiglio regionale mediante emendamento.
La nuova formulazione del comma 1 stabilisce che “non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione”.
Tuttavia, tale ineleggibilità viene esclusa se i soggetti interessati si dimettono dalla
carica non oltre sei mesi prima del compimento del quinquennio di legislatura, o, in caso di
scioglimento anticipato del Consiglio regionale, entro sette giorni dalla data di scioglimento.
I Sindaci di Puglia, secondo ANCI, risultano pertanto fortemente penalizzati dal vincolo di ineleggibilità alle regionali e ritengono si tratti di una norma ingiustificatamente discriminatoria e
antidemocratica: Viene così compromesso non solo il legittimo diritto, costituzionalmente garantito, a candidarsi come chiunque altro, ma anche i cittadini e le cittadine vedono limitarsi la libera scelta per l’esercizio del diritto di voto: “Il termine di 180 giorni per dimettersi risulta infatti estremamente rigido e penalizzante e determina una disparità di trattamento oggettiva tra amministratori locali e altre categorie di cittadini eleggibili.
I Sindaci sono i rappresentanti più diretti e più vicini ai cittadini; tuttavia, invece di valorizzare il loro contributo potenziale nella competizione elettorale regionale, arricchendo così il pluralismo democratico, questa norma li mortifica pesantemente.
Inoltre, priva le comunità amministrate di
una guida con largo anticipo e, ipoteticamente, anche inutilmente, qualora il Sindaco non venisse poi candidato nelle liste regionali.
Anci Puglia ha raccolto nelle ultime ore le rimostranze e la delusione di tanti Sindaci e Sindache – di ogni schieramento politico, perché la norma penalizza tutti, in modo trasversale – e sta valutando ogni più utile ed opportuna azione congiunta, anche giurisdizionale”.
Soprattutto, ANCI PUGLIA oggi chiede ai Consiglieri regionali che hanno proposto e votato l’emendamento di “ritornare sui propri passi, di cancellare quella norma assurda e discriminatoria e consentire a tutti il libero accesso al diritto di candidarsi, accettando un confronto paritario, plurale e democratico.
Al Presidente Michele Emiliano, che è stato Sindaco della Città capoluogo e ha poi voluto
interpretare la carica di Governatore come “Sindaco di Puglia”, chiediamo di fare tutto quanto in suo potere per ripristinare, in seno al Consiglio regionale, il rispetto dei princìpi sacrosanti ed inviolabili di democrazia, uguaglianza di fronte alla Legge e pluralismo”.
Approfondimenti
Inaugurata la biblioteca “Giambattista Lezzi” a Casarano
il Sindaco De Nuzzo e l’Assessore Legittimo: “Grazie alla fiducia che i cittadini ci hanno accordato”. “Avevamo la necessità di una Biblioteca “vera” aperta, fruibile. Per questo motivo abbiamo iniziato da zero”.
“Ci sono sogni destinati a rimanere tali ma che comunque aiutano a migliorarsi. Altri destinati a realizzarsi nel momento in cui si ha la possibilità di incidere”.
E’ lapidario il sindaco di Casarano, Ottavio De Nuzzo, durante l’inaugurazione della nuova Biblioteca Comunale della città.
“È grazie alla fiducia che i cittadini hanno accordato alla nostra Amministrazione che tutto è iniziato. Avevamo la necessità di una Biblioteca “vera” aperta, fruibile. Per questo motivo abbiamo iniziato da zero.
E prosegue: “Sono stati anni di lavoro: convenzione con il Polo Biblio Museale di Lecce, partecipazione al bando per il servizio civile 2025, adesione rete delle Biblioteche Regionali, censimento matricola al Ministero, progettazione e realizzazione arredi e tanto altro.
Fatica? No gioia di vedere prendere corpo e anima ad un luogo che sarà un punto di partenza da dove si propagheranno, tutto intorno, attività culturali”.
“Da quelle stanze”, sostiene l’assessore, Emanuele Leggittimo, “si sprigionerà una luce forte che passando da Palazzo De Judicibis si estenderà nel Sedile comunale per arrivare a Piazza Mercato.
Lievito di vita e di bellezza, di incontro e scambi di saperi.
Siamo contenti e orgogliosi, oggi lo possiamo dire per aver potuto inaugurare e contare su “un luogo del sapere” che è la Biblioteca Comunale “Giambattista Lezzi”.
Alessano
“Vi voglio bene”, un libro essenziale per raccontare don Tonino e la sua storia
Monsignor Vito Angiuli: “Scritti e documenti inediti per scoprire l’intera vocazione pastorale da sacerdote e da vescovo. Guardate con simpatia alle persone e agli avvenimenti della storia, per testimoniare a tutti la gioia del Vangelo”
di Luca De Santis
Vi voglio bene, Continuità e sviluppo nel ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino Bello è l’ultima fatica data alle stampe dal vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli. Il nuovo libro ha visto la luce nel mese di ottobre 2024, per le edizioni Il pozzo di Giacobbe. Quest’ultima si colloca in continuità con le precedenti pubblicazioni frutto di interessanti studi che Angiuli ha compiuto sul sacerdote della diocesi ugentina divenuto vescovo di Molfetta.
Il sottotitolo dell’opera ci fornisce le giuste delucidazioni riguardo a quelle che sono le intenzioni dell’autore: Continuità e sviluppo nel ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino Bello. Il testo è composto da una corposa introduzione dove l’autore pone e spiega la sua tesi riguardo a un’inscindibile armonia e continuità presente tra il ministero sacerdotale ed episcopale di don Tonino.
Nel primo capitolo, Ordinazione episcopale, sono stati curati una serie di scritti in cui il futuro vescovo di Molfetta mette in evidenza un forte attaccamento alla sua terra natia e le motivazioni che lo hanno condotto ad accettare l’ordinazione episcopale. Il secondo capitolo, Don Tonino saluta la Chiesa ugentina, raccoglie alcune omelie di saluto che don Tonino ha pronunciato prima della sua partenza per Molfetta, dove traspare in modo palpabile il suo amore per la Diocesi di Ugento che ha servito per 25 anni.
All’interno dell’ultimo capitolo troveremo invece degli scritti inediti da datarsi secondo Angiuli tra il 1960 e il 1980. La gran parte di essi pur non avendo una data o la firma, possono tranquillamente essere definiti autentici, tenendo conto della calligrafia di don Tonino. L’ordine cronologico è dato dal Curatore sulla base delle tematiche che in questi scritti vengono a essere trattate.
La maggior parte di questi risale al periodo in cui don Tonino svolgeva il suo ministero presso la Diocesi di Ugento.
Questi scritti contengono in modo germinale quelle tematiche che durante gli anni di episcopato don Tonino tratterà in modo più approfondito, in base alle sollecitazioni di quel contesto storico. Tenendo conto di quanto abbiamo rilevato è possibile dire che il libro si lascia leggere in modo molto scorrevole dimostrandosi adatto persino per coloro che non hanno avuto una conoscenza dettagliata di colui che la Chiesa Cattolica ha dichiarato Venerabile.
Il vescovo Angiuli ha deciso di intitolare questo suo ultimo libro con un’espressione che don Tonino lungo il suo ministero sacerdotale ed episcopale ha utilizzato spesso: Vi voglio bene.
Quest’ultima non ha solo la funzione di comunicare i suoi sentimenti, quanto la simpatia con cui si poneva nei confronti di quella porzione di popolo che era stata affidata alle sue cure pastorali, ma anche nei confronti della storia a lui contemporanea in cui l’umanità era immersa.
Il vi voglio bene di don Tonino
Il vi voglio bene di don Tonino – ci aiuta a comprendere l’autore – trova significato in una delle più belle espressioni da lui spesso utilizzate e contenute nella Costituzione Conciliare Gaudium et spes al n. 1: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
Le motivazioni ministeriali di don Tonino nelle varie fasi dei suoi incarichi sia nella diocesi ugentina che in quella di pastore della Chiesa di Molfetta hanno mantenuto le medesime fondamenta che hanno da sempre configurato la sua fede: coltivare la preghiera, meditare la Parola, adorare Gesù eucarestia. Prendiamo atto che gli anni del ministero episcopale hanno oscurato il periodo sacerdotale, ma quegli aspetti che hanno reso il vescovo Bello conosciuto in campo nazionale e oltre, ciò per cui è stato amato nella Diocesi a lui affidata, erano già presenti nel ministero svolto nell’estremo lembo d’Italia, in quel Capo di Leuca, durante il suo lungo ministero sacerdotale come professore e vice-rettore presso il Seminario vescovile, come parroco a Ugento e Tricase, nei vari incarichi pastorali.
Cade in grave errore chi sostiene che l’episcopato, in particolar modo la presidenza di Pax Christi, abbia segnato una svolta ministeriale in don Tonino, una conversione verso le tematiche sociali, in particolar modo quella della pace e della non violenza. A tal proposito Angiuli nell’Introduzione del libro è perentorio nel sostenere il fatto che non vi è nessuna discontinuità di pensiero tra il don Tonino sacerdote e vescovo, e che pensare il contrario significherebbe mistificare la realtà.
Quest’ultimo durante il suo percorso di studio ha consolidato un ottimo utilizzo del metodo deduttivo tramite la sua formazione filosofica e teologica, così come una padronanza del metodo induttivo nel confrontarsi e padroneggiare le scienze moderne: sociologia, psicologia, diritto del lavoro, legislazione sociale, all’interno delle quali venne introdotto durante gli anni seminariali a Bologna presso l’ONARMO.
La cultura sessantottina
Accanto a coloro che sostengono una discontinuità ministeriale di don Tonino, vi sono quelli che manifestano una certa antipatia nei confronti del suo ministero, sostenendo come quest’ultimo sia il prodotto di quella cultura sessantottina che ha avuto i suoi risvolti più nefasti all’interno degli anni ’70 del secolo scorso. A costoro risponde il decreto che sancisce la Venerabilità di don Tonino, definendolo come un ottimo interprete delle istanze conciliari.
L’aspetto, forse il più deleterio, è rappresentato da coloro che del ministero di mons. Bello prendono in considerazione e ne propagano solo i temi sociali (pace, giustizia e salvaguardia del creato), dandone una lettura ideologica.
Costoro affrontano i temi sociali senza tener conto di quelli etici (divorzio, aborto, eutanasia), quest’ultimi aspetti non possono essere separati dai primi ed è chiaro come don Tonino gli abbia mantenuti sempre insieme. Proseguire su questa linea – sostiene Angiuli – significa trovarsi dinanzi a un Giano Bifronte dove diviene molto difficile cogliere, per esempio, la profondità teologica di alcune immagini eloquenti che don Tonino ci ha lasciato come quella della Convivialità delle differenze e della Chiesa del grembiule.
Ciò che mons. Bello esprime nel periodo molfettese, affonda le sue radici nel basso Salento e nella formazione bolognese. Nello specifico va considerata l’impronta ministeriale di mons. Ruotolo, il vescovo di Ugento che ha ordinato presbitero don Tonino e con cui quest’ultimo ha molto collaborato: l’amore all’eucarestia, la devozione mariana, l’impegno ad attuare gli orientamenti pastorali scaturiti dal Concilio Vaticano II, la programmazione per gli itinerari di formazione per i laici, l’attenzione alle problematiche sociali presenti in questa parte del Salento.
Un particolare merito del libro lo si riscontra nel III Capitolo Scritti vari.
In questa sezione si trovano, come già detto, degli scritti inediti di don Tonino, i quali pur non avendo lo stesso spessore o valore di quelli pubblicati da lui stesso, hanno il merito di contenere quelle tematiche che rappresentano la continuità ministeriale che Angiuli, a ragione, evidenzia.
Quest’opera è imprescindibile per chi ha un serio interesse a conoscere la sensibilità e le radici in grado di nutrire il ministero pastorale di don Tonino dal punto di vista teologico e sociale.
Il grande merito di Angiuli consiste nell’averci consegnato un testo che in continuità con le altre sue pubblicazioni su mons.
Bello, ci dona una chiarezza, una verità, che non può essere tralasciata e non considerata, un atteggiamento contrario significherebbe alterare il suo pensiero, oscurare aspetti essenziali e sostanziali della sua santità.
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