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Ugento

Torre San Giovanni: acqua sporca nel canale

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Elevato inquinamento, cattivo odore, presenza di materiale insalubre: sono solo alcune delle situazioni che un gruppo di circa quattrocento persone, insieme al “Comitato per Torre San Giovanni”, ha denunciato con un esposto presentato a 18 tra enti locali e statali. I problemi descritti nella denuncia si sono verificati – e sussistono tuttora – nella zone limitrofe al canale che collega i bacini di bonifica al mare: un corso d’acqua che attraversa il centro abitato della marina ugentina e che riceve anche le acque in uscita dal depuratore comunale e da alcuni impianti di depurazione di insediamenti turistici e residenziali. I cittadini, coordinati dall’avvocato Walter Gravante, lamentano il mancato dragaggio del canale, all’interno del quale si è quindi accumulato del materiale che, unendosi alla massa di alga immessa dal mare, genera cattivi odori e, quindi, una situazione igienica invivibile.


Tali omessi interventi hanno reso il canale inquinato ed invivibile anche ai pesci, i quali muoiono a migliaia a causa della mancanza di ossigeno, ed alle altre forme di vita, sicuramente destinate ad una morte lenta ma inesorabile. La melma accumulata, formata da detriti, rifiuti vari ed alghe, inoltre, va in decomposizione soprattutto, ma non solo, nei periodi in cui la temperatura è elevata, creando un odore nauseabondo che rende l’aria irrespirabile ed insalubre. Il tutto determina, altresì, una proliferazione di ratti ed insetti mai visti in precedenza”. I cittadini, inoltre, portano all’attenzione anche un altro particolare: il canale riceve le acque del depuratore comunale, che “presentano una schiuma abbondante e sono di un colore verde intenso, elementi fortemente indicativi di contaminazione ad opera di agenti inquinanti, sicuramente in palese violazione delle norme di legge vigenti in materia ambientale”. I promotori dell’esposto hanno conferito incarico professionale ad un laboratorio per effettuare delle analisi chimiche su campioni di acqua prelevati sia dal canale che da un pozzo di acqua sorgiva ubicato nelle vicinanze del corso d’acqua.


I risultati delle analisi confermano, in maniera oggettiva, empirica ed inconfutabile, che i parametri di inquinamento superano quelli massimi previsti dalla legge”. Oltre all’inquinamento del mare, al proliferare di insetti e quindi alle conseguenze sulla salute ambientale e pubblica, i cittadini temono delle ricadute anche sul piano economico e di immagine. Si registra, secondo i firmatari, “una consistente contrazione delle presenze, sia per quelle a titolo di soggiorno che per quelle di semplice utenza commerciale. Si assiste al triste fenomeno che vede svariati turisti i quali, giunti in loco con l’intento di soggiornarvi,  disdicono la prenotazione dopo aver constatato quanto innanzi delineato”. Varie sono state le denunce per questo problema nel corso degli anni, ma “la colpevole inerzia, peraltro manifestata in modo palese, chiaro ed inequivocabile, denota una pericolosa indifferenza che si pone in palese violazione delle più elementari statuizioni normative in materia ambientale, atteso che sussiste, in capo agli enti preposti, uno specifico dovere giuridico, consacrato in apposite norme di legge, di intervenire ed attivarsi, in modo radicale, tempestivo ed adeguato, al fine di risolvere alla radice, una volta per tutte, il problema”.


Abbiamo raccolto le dichiarazioni di Vito Caputo, vice direttore dell’Area Tecnica del Consorzio di Bonifica “Ugento e Li Foggi”, ente gestore delle opere di bonifica: “Il Consorzio ha risposto alla segnalazione con nota n. 5831 del 3 dicembre scorso, evidenziando gli interventi già attuati e quelli che si faranno nel prossimo periodo. Nel canale arrivano acque scure e maleodoranti, come bene hanno documentato i cittadini: anche noi abbiamo denunciato questo fatto al Comune. Il Consorzio subisce questo stato di cose che esula dalla vita consortile: i canali sono stati realizzati per drenare le acque piovane che provengono dalle campagne. Per un qualsiasi motivo può poi succedere che il depuratore (che immette nel canale le acque depurate, sulle quali il Consorzio non ha competenza, Ndr) immetta acque sporche. Un altro fattore molto importante sono le mareggiate, che accumulano alghe: abbiamo chiesto finanziamenti alla Regione per poter intervenire prima della prossima stagione estiva. Il Consorzio è un organo regionale che non ha disponibilità proprie, quindi interviene se autorizzato e finanziato dalla Regione”.

Il Comune di Ugento, tramite l’assessore all’Ambiente Massimo Lecci, afferma “di essere a conoscenza degli episodi di superamento dei limiti di legge previsti per la depurazione delle acque reflue nel depuratore di Ugento”. L’Assessore spiega che l’impianto di depurazione fino al 2008 era affidato all’impresa “Dondi S.p.a.”, la quale era tenuta a garantire il rispetto dei limiti previsti dalla legge per lo scarico. L’ARPA Puglia, nei suoi rapporti di analisi, faceva però notare che nelle acque del depuratore ugentino vi erano valori fuori norma. “In conseguenza alla segnalazione di disfunzione dell’impianto, l’Acquedotto Pugliese, in qualità di titolare dell’impianto, come da documentazione acquisita, ha provveduto sistematicamente a contestare presso il Servizio Ambiente – Ufficio Tutela Acque della Provincia di Lecce, i risultati delle analisi ARPA. Le motivazioni della contestazione risiedevano nella mancanza di comunicazione delle date di effettuazione dei prelievi, nella mancata specificazione delle tecnologie metodologiche applicate da ARPA, e dai dati delle controanalisi che evidenziavano il rispetto di tutti i termini previsti per legge. In virtù di tali motivazioni, ogni procedimento per la violazione dei parametri è stato archiviato dalle autorità competenti”. Dal 2009, invece, l’impianto è passato sotto la diretta gestione dell’Acquedotto Pugliese.


Nel corso dell’anno “i controlli effettuati dall’Unità Territoriale di Lecce, Area Controllo Igienico Sanitario dell’AQP S.p.a., in data 19/03/09, non hanno evidenziato alcun superamento dei livelli previsti da legge. Tuttavia l’Amministrazione comunale, essendo ben note le conseguenze che il mancato funzionamento a norma dell’impianto di depurazione potrebbe apportare al sistema dei bacini ed alle acque dei litorali ugentini, provvederà a richiedere formalmente, ulteriori controlli da parte dell’Ato Puglia e della Polizia Provinciale”. L’affluenza delle acque del depuratore comunale nel canale di bonifica, però, è un problema che dovrebbe essere fermato alla radice. “Il Comune”, dichiara Lecci, “farà presente, presso l’ATO idrico Puglia, la necessità di trovare una fonte alternativa di riutilizzo delle acque provenienti dal depuratore comunale, evitando la confluenza delle stesse nei bacini e nei canali”.


Pierangelo Tempesta


Approfondimenti

«Negli anni ’70 il clandestino ero io»

Emigranti, il forum. La testimonianza di Antonio Vantagiato di Ugento. La dritta: «Appena arrivano i doganieri, scendi dal treno e risali sul primo vagone»; «Un escamotage che faceva di me un’emigrante clandestino agli antipodi»

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Ci sono storie che meritano di essere raccontate perché sono parte della storia di ognuno di noi e ripercorrono usi, costumi e necessità delle epoche vissute.

Come quella di Antonio Vantagiato, 73 anni oggi, per tutti il reporter di Ugento.

«Era il 1958», racconta, «quando mio padre passò a miglior vita. Lasciò la mamma con tre figli da crescere. Io avevo appena otto anni. Mia madre lavorava nei campi ed io dovetti occuparmi di mio fratello piccolo. È stata molto importante la figura di mio nonno (Cavaliere di Vittorio Veneto), anche grazie a lui non ci è mai mancato alcunché».

«Finita la scuola, quella che le circostanze ci consentivano di frequentare», prosegue perdendosi nei ricordi, «a soli 11 anni portai a casa la mia prima paga: 150 lire per una giornata di lavoro! Non dimenticherò mai l’emozione di mia madre…».

Crescendo, si doveva decidere che fare della propria vita. E, quasi sempre, in quegli anni, la scelta era obbligata, emigrare: «Avevo 17 anni, un mio caro zio, già da anni impegnato a lavorare all’estero, mi portò con sé in Svizzera».

Il viaggio non fu propriamente lineare e qui casca l’aneddoto: «Arrivati alla frontiera di Chiasso, mi diede la dritta: “Appena arrivano i doganieri, scendi dal treno e risali sul primo vagone in testa prima della locomotrice”.  Un escamotage che faceva di me un’emigrante clandestino agli antipodi».

Non fu tutto rose e fiori neanche la permanenza oltralpe: «Tre mesi di duro lavoro nei cantieri per non parlare delle baracche gelide nelle quali eravamo accampati; per avere il gas per cucinare si introduceva una moneta nella apposita fessura che faceva scattare l’interruttore meccanico e si poteva avere a disposizione per un determinato tempo il necessario al fabbisogno. Se non avessi avuto spiccioli non avrei mangiato. A fine stagione, dopo tre mesi di lavoro, comunque, portai a casa 120mila lire. Per non farmi derubare durante il viaggio, cucii il denaro nelle tasche. L’anno dopo feci lo stesso».

Parallelamente al lavoro estivo Oltralpe, nel 1967 e nel 1968, durante l’inverno, ad Ugento, ha frequentato il Professionale di Radio Tecnico. Circostanza che ha cambiato la sua vita: «Grazie ad un accordo trasversale tra la Germania e l’Ufficio del Lavoro provinciale, i migliori poterono andare a lavorare in Germania. Nel 1970, dopo aver fatto le visite mediche a Verona, mi spedirono a Baknang, nel land del Baden-Württemberg. Fui assunto da una multinazionale che produceva apparecchiature per trasmissioni intercontinentali commissionate dalla Nasa. Nel 1972 mi trasferii a Norimberga per lavorare con la Siemens. L’anno dopo sono andato alla Grundig, dove si producevano apparecchiature di intrattenimento, in particolare le primi Tv a colori. Dopo qualche tempo, mi trasferirono nel reparto dove si producevano i primi videoregistratori. Partecipai ad un corso di formazione e mediante un concorso interno, diventai responsabile delle apparecchiature di controllo. Restai a Norimberga fino al 1986».

Poi il ritorno nel Salento e, dopo una breve pausa di riflessione, iniziò la sua avventura da reporter… d’assalto, in una televisione locale che in quegli anni andava per la maggiore.

Nel corso delle sue scorribande, oltre a portare a termine i servizi ordinari commissionati dall’emittente per cui lavorava, è stato protagonista di due scoperte archeologiche («Il Dolmen di Spongano e la Cava messapica a Diso»), riuscì ad immortalare una Supernova (esplosione stellare) poi andata in onda al telegiornale.

Però, non ha mai dimenticato la sua esperienza lontano da casa, infatti ha scritto, prodotto e girato il cortometraggio (protocollato alla Regione Puglia), dal titolo “L’Emigrante”, che racconta il dramma di una famiglia «quando il marito partiva per lavorare all’estero».

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Approfondimenti

«Tramandiamo le loro storie»

Emigranti, il forum. Sefora Cucci, presidente dell’Associazione Migranti Ugento – Gemini – Marine: «Giovani più coinvolti se conoscessero a fondo le origini delle migrazioni e i sacrifici dei loro avi»

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Sefora Cucci è la presidente dell’Associazione Migranti Ugento – Gemini – Marine: «La nostra è un’associazione storica (è nata nel 2007 su spinta di Antonio Preite) ed è proprio l’aspetto storico che cerchiamo di preservare. La nostra è stata una comunità fortemente coinvolta nelle migrazioni di quegli anni».

L’associazione che è anche arrivata a superare i 150 iscritti, oggi ne conta una cinquantina: «I diretti protagonisti, quelli che ancora sono in vita, hanno una certa età, quindi il nostro intento è quello di preservare e tramandare le loro testimonianze. Per questo cerchiamo di coinvolgere le nuove generazioni, portare dentro quanti più giovani possibili, compresi coloro che vivono all’estero. Sarebbero sicuramente più coinvolti se conoscessero a fondo le origini delle migrazioni e i sacrifici di chi ha aperto loro la strada».

Tre anni fa Ugento si è dotata di un monumento agli emigranti: «Nell’occasione dell’inaugurazione è nata la Festa dell’Emigrante (da allora si svolge ogni estate). Un modo per ricordare la storia dell’emigrazione sia nella nostra comunità che all’estero. Abbiamo realizzato una sorta di gemellaggio con la Svizzera; l’anno scorso abbiamo festeggiato il 150° dell’emigrazione italiana nelle Americhe. Cerchiamo di fare rete e questo un po’ ha pagato. A novembre sono stata contattata dalla Federazione delle associazioni pugliesi in Svizzera, la FAPS, per il Festival delle radici pugliesi che si svolge proprio Oltralpe».

STRANIERI DUE VOLTE

Si dice che quando uno emigra e dopo tanti anni ritorna a casa, sia straniero due volte. È vero?

«È una cosa che si nota subito. Nella nostra sede si ritrovano, stanno insieme per giocare a carte, o per altre attività. In paese, però, è come se fossero un corpo estraneo. Si sentono stranieri rispetto al concittadino che è rimasto sempre in loco. Come se in quegli anni all’estero avessero perso il legame con il resto del paese. Invece in associazione si ritrovano e stanno tutti insieme, si riconoscono».

I figli e i nipoti che sono cresciuti e rimasti all’estero come si pongono?

«Quanto appreso dai loro genitori o nonni si tramanda fino alla seconda, terza generazione ed è quello che consente a progetti come Italea di riportarli a casa. È un progetto lanciato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale all’interno del progetto PNRR e finanziato da NextGenerationEU, dedicato sia a chi conosce già le proprie origini italiane e vuole organizzare un viaggio per scoprire e ritrovare i luoghi, i costumi e la cultura dei propri avi, sia a chi le deve ancora identificare. È un legame che non si può sciogliere anche per una persona che non è mai stata nei luoghi d’origine del nonno ma sa da dove viene, sente la necessità, il bisogno, la curiosità di andare in quel paesino sperduto in Salento. Quindi anche la nostra politica dell’accoglienza dovrebbe integrarsi sempre di più sia con loro che con chi rimane».

Coinvolgere le nuove generazioni: abbiamo chiesto a Sefora di rivolgersi ai più giovani che ci leggono.

«Partire dalla conoscenza della storia è fondamentale, soprattutto quando parliamo delle nostre radici. Conoscere, sentire, capire, è importante per ognuno di noi, per non restare monchi. Loro (gli emigranti dell’associazione, NdA), quando si ritrovano, sono fantastici, raccontano tanti aneddoti e sono anche divertenti. Io, nel mio piccolo, cerco di dare un contributo. Se non lo facessi e se voi non vi avvicinaste, finirebbe tutto nel dimenticatoio. Non sarebbe giusto, né sano».

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Approfondimenti

Quando i migranti eravamo noi

In esclusiva. La testimonianza diretta di chi ha dovuto abbandonare la propria terra per garantire un futuro alla famiglia. I lunghissimi viaggi in treno e le tante umiliazioni. Il racconto di Antonio Preite, 88 anni, di Ugento

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Non tanto tempo fa gli emigranti eravamo noi, meglio non dimenticarlo.

Giusto non scordare i sacrifici dei tanti nostri nonni e papà che il secolo scorso, nel dopoguerra, abbandonavano la loro terra, spesso staccandosi dalla famiglia, per lavorare in Svizzera, Belgio, Germania, Francia. Così come, prima di loro, in tanti avevano preparato la loro valigia di cartone per raggiungere gli Stati Uniti ed anche altri Paesi oltreoceano.

Lo facevano per garantire un futuro alle famiglie e, nella maggior parte dei casi, come era di usanza, per costruire la casa ai figli maschi e mettere su la dote, il corredo, per le femmine.

La partenza era motivata principalmente dall’aspirazione a offrire alla famiglia una vita migliore o, più drammaticamente, dalla necessità di provvedere ai loro bisogni essenziali. Con le loro rimesse alimentavano l’economia locale, immettendo denaro fresco.

Anche ieri, come oggi, erano gli emigranti ad aiutare casa loro, molto di più di quanto facevano (e fanno) le istituzioni internazionali o i governi dei Paesi ospitanti.

Le rimesse aiutavano (ed aiutano) a migliorare l’alimentazione e le condizioni abitative, consentivano di accedere all’istruzione, alle cure mediche. Integravano o rimpiazzavano la pensione degli anziani.

Elevavano l’immagine e lo status sociale delle famiglie che le ricevevano.

In parole povere con il loro lavoro, con il loro sacrificio, questi uomini hanno contribuito alla crescita di tutto il territorio.

Per questo abbiamo deciso di ospitare in redazione testimoni diretti e indiretti di parte della nostra storia recente.

ANTONIO PREITE DI UGENTO: «LA SCELTA ERA TRA PARTIRE O MORIRE DI FAME»

Antonio Preite, di Ugento, il più anziano della compagnia è un arzillo 88enne con spirito, memoria e lucidità da fare invidia ad un ventenne.

«Son partito la prima volta nel marzo del 1960», racconta, «arrivai a Lucerna che c’era una gelata pazzesca alla quale non ero certo abituato. Trovai lavoro come muratore in una fabbrica che aveva tantissimi dipendenti».

La prima sistemazione, come per tutti in quegli anni in Svizzera, era di fortuna: «Dormivamo in delle stanze, se così vogliamo chiamarle, sopra un ristorante. Una mattina mi alzai presto come sempre per andare a lavorare. Il mio letto era zuppo d’acqua perché una tegola aveva ceduto al maltempo. Non conoscevo il tedesco, parlavo solo italiano. Provai a parlare alla titolare ma non conoscevo il tedesco e lei non capiva l’italiano: potete immaginare… Per fortuna nel ristorante c’era un bergamasco che mi ha aiutato e, alla fine, mi hanno trovato un’altra sistemazione».

Come trattavano gli italiani?

«Almeno negli anni ’60, non ci potevano sopportare. Se ti comportavi bene alla fine riuscivi anche a conquistarli ma eri sempre guardato con sospetto.  Proprio quando la popolazione svizzera aveva iniziato lentamente ad aprirsi nei confronti degli italiani, venne lanciata l’iniziativa Schwarzenbach (fuori gli stranieri, NdR), che stravolse di nuovo tutto. La legge fu bocciata alle urne con uno scarto minimo ma l’ondata xenofoba ormai era dura da fermare».

Era da solo?

«Mia moglie mi è sempre stata a fianco, i figli ci raggiungevano d’estate».

Quella di emigrare era una scelta obbligata: «Finito il militare il bivio era tra partire o fare la fame. Alla fine dobbiamo essere grati alla Svizzera perché noi emigrati abbiamo potuto sostenere le nostre famiglie e, al contempo, dare un’opportunità di lavoro a chi restava in Salento, perché investivamo i nostri guadagni per costruire casa».

Sono molti gli aneddoti che Antonio racconta della sua esperienza Oltralpe. Come quando, all’esterno di un grande magazzino nel suo primo giorno di lavoro, si rivolse in dialetto salentino ai colleghi che ancora non conosceva: «A cci tocca moi?». Con sua grande sorpresa gli si avvicinarono in tanti parlandogli nel ritrovato dialetto. Praticamente erano quasi tutti «paesani nosci».

L’altro aneddoto riguarda i primi viaggi in treno, tenendo sempre presente che si parla dei primi anni Sessanta: «Il viaggio era lunghissimo e i vagoni erano stracolmi. Si dormiva anche nel bagno».

Gli fa eco Uccio Negro di Montesardo che racconterà la sua storia più tardi: «In alcune occasioni erano talmente pieni, che mettevamo le valigie nei bagni. Così dovevamo fare la pipì nelle bottiglia di birra che poi la buttavamo dal finestrino».

Antonio Preite riprende la parola per ribadire di non essere pentito, anzi di essere «orgoglioso di aver garantito un futuro alla famiglia così come hanno fatto tanti altri conterranei. Altrimenti sarebbe stata la fame. Se mi manca dopo tanti anni? Mi piacerebbe andarci ma da turista, solo per rivedere tutti quei posti in cui sono stato».

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Antonio Preite

 

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