Approfondimenti
Il Porto dell’antica Lupiae sui fondali delle Cesine
A una profondità che va da meno di un metro ai 3,5 metri, si sviluppa una struttura identificata con la fondazione di un possente molo, larga circa 8 m, lunga almeno 90 m, realizzata in grandi blocchi giustapposti e originariamente sovrapposti
Avviata la campagna 2023 di ricerche archeologiche subacquee e costiere nel comprensorio della Riserva Naturale dello Stato e Oasi WWF “Le Cesine” nel Comune di Vernole.
Condotta dal Dipartimento di Beni culturali dell’Università del Salento in collaborazione con ESAC – Centro Euromediterraneo per l’Archeologia dei paesaggi costieri e subacquei (Concessione di scavo MiC, DDG-ABAP n. 1057 del 22 agosto 2022, per il tramite della SABAP Brindisi Lecce), con la direzione scientifica della professoressa Rita Auriemma, docente di Archeologia subacquea dell’Ateneo salentino, la campagna mira a indagare le strutture individuate nel 2020, in gran parte di età romana, ubicate lungo il tratto di costa compreso tra San Cataldo e Le Cesine in località “Posto San Giovanni”, nelle immediate vicinanze dell’Edificio Idrovoro della Riforma Agraria, che suggeriscono l’esistenza di un importante complesso portuale.
Ricostruirne lo sviluppo complessivo è l’obiettivo primario di questa campagna di scavo che, avviata dal 3 al 15 luglio 2023 scorsi, continuerà a settembre, anche con eventi di archeologia pubblica e il coinvolgimento delle comunità locali.
La campagna 2023 segue le precedenti fasi d’indagine svolte nel corso del 2021 (sempre dirette da Rita Auriemma), che avevano visto la collaborazione con docenti e ricercatori di due Dipartimenti del Politecnico di Torino per eseguire il rilievo fotogrammetrico delle evidenze e prospezioni con droni, posizionatori subacquei e ROV (robot subacquei muniti di telecamera) di ultima generazione impiegati con metodologie innovative e i cui già eccellenti risultati preliminari erano stati presentati nell’ambito dell’evento dedicato “Il porto ritrovato”, svoltosi nell’Auditorium del Museo Castromediano di Lecce in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia (19 giugno 2021).
A 15 metri circa dalla costa, verosimilmente in corrispondenza della riva antica, a una profondità che va da meno di un metro ai 3,5 metri, si sviluppa una struttura (settore A) identificata con la fondazione di un possente molo, larga circa 8 m, lunga almeno 90 m, realizzata in grandi blocchi giustapposti e originariamente sovrapposti, oggi crollati e sparsi a causa della forza disgregatrice del moto ondoso.
Si nota la presenza di grandi blocchi parallelepipedi con un lato sagomato a cilindro posti a intervalli piuttosto regolari e interpretabili come possibili bitte, anch’essi in crollo, e di altri blocchi lavorati e canalette.
Sullo stesso allineamento ma più al largo si trovano altri blocchi, disposti in linee parallele e perpendicolari (settore B). Una parte di questa struttura era stata vista e documentata negli anni ’90 ma le ricerche in corso hanno messo in luce altri tratti, rivelandone l’imponenza.
La campagna 2023 mira a comprendere se i due settori siano parte della stessa opera (il potente riporto sabbioso dovuto alle mareggiate nasconde forse la continuità della struttura) e a realizzare un nuovo e più completo rilievo tridimensionale delle parti visibili.
Infine, il settore C corrisponde all’area della cosiddetta “Chiesa sommersa”; si tratta dei resti di un edificio con base intagliata in uno sperone roccioso e l’elevato dei muri in cementizio; la possibile identificazione con una “torre-faro” è un’ipotesi ancora da verificare. Nel corso di questa campagna sarà possibile realizzare anche di questo elemento un modello digitale tridimensionale.
La tecnica di costruzione del molo, “a cassone”, con l’impiego di blocchi sui lati e anche nel corpo del molo, insieme a pietrame dilavato dalla forza del mare, è tipica delle strutture di approdo dell’Adriatico e di altre aree del Mediterraneo, soprattutto orientale.
Si segnalano anche strutture a terra, alcune già note – una serie di vasche scavate nella roccia, probabile impianto per la produzione del sale, e alcuni ambienti a nord, forse databili a età tardorepubblicana – altre venute alla luce proprio nel corso di questa campagna, più a sud.
L’insieme delle evidenze a mare e a terra, con l’approccio olistico dell’archeologia dei paesaggi, in questo caso paesaggi di mare, suggerisce appunto l’esistenza di un importante complesso portuale; ricostruirne lo sviluppo complessivo è, come detto, l’obiettivo primario di questa campagna di scavo, che continuerà a settembre, con eventi di archeologia pubblica e il coinvolgimento delle comunità locali.
Questa struttura è simile alla parte sommersa del grande molo adrianeo a nord dell’ampia baia di San Cataldo, a cui lo avvicina anche l’imponente sviluppo e la tecnica edilizia, ma potrebbe essere anche più antico di quello.
Autori antichi ricordano lo sbarco di Ottaviano da Apollonia al porto di Lupiae, che doveva quindi godere di una certa considerazione nella seconda metà del I secolo a.C. ed essere forse già munito di alcune infrastrutture, per accogliere la nave del futuro imperatore Augusto.
In ogni caso quest’importante scoperta non fa che accrescere la ricchezza del patrimonio costiero e sommerso dei comuni di Lecce e Vernole, già testimoniato dai numerosi relitti censiti nella Carta Archeologica Subacquea a cura di Rita Auriemma, ora in CartApulia (Carta dei beni culturali pugliesi, www.cartapulia.it), di età romana, medievale e moderna spiaggiati lungo questa costa.
Un altro importante contributo delle precedenti indagini era stata l’individuazione di una fase dimenticata del porto di San Cataldo: la datazione assoluta di alcuni pali sommersi, effettuata dal CEDAD dell’Università del Salento, conferma la ricostruzione di un molo a opera della regina angioina Maria d’Enghjen nella prima metà del XV secolo, che sfrutta il molo romano come fondazione.
«Questo ricco patrimonio tra terra e acqua si presta senz’altro a un intervento integrato di valorizzazione in grado di coinvolgere tutti gli attori locali (Comune, associazioni, concessionari di lidi, diving club e center, eccetera) e riconoscere a questo paesaggio la sua unicità», sottolinea la professoressa Rita Auriemma: «Fare archeologia dei paesaggi nel comprensorio San Cataldo-Cesine, dove si recuperano anche insediamenti importanti dell’età del Bronzo/Ferro, significa fare archeologia pubblica, per restituire alle comunità locali un patrimonio di eccezionale interesse. È da questo capitale culturale che occorre ripartire per immaginare e progettare la rigenerazione, la valorizzazione e una fruizione nuova del paesaggio dimenticato di un waterfront denso di storia».
Ed è proprio quanto intende fare il nuovo EuroMediterranean Seascapes Archaeology Center – ESAC, nato da un accordo di collaborazione promosso dalla Regione Puglia – Poli BiblioMuseali con le tre Università regionali – Foggia, Bari e Salento – e la Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo; il Progetto dell’ESAC “Andar per mare. Itinerari subacquei e costieri di Puglia” vuole infatti rendere accessibili vari itinerari sommersi, grazie a una rete di servizi e di attori locali; l’antico porto di San Giovanni – Cesine sarà parte di quest’offerta integrata di turismo costiero e subacqueo culturale, esperienziale e sostenibile.
«Abbiamo accolto da subito l’invito della professoressa Auriemma e abbiamo compreso che, oltre alla fondamentale importanza storica e scientifica delle scoperte che si stanno susseguendo nel nostro territorio costiero, siamo davanti alla possibilità di essere protagonisti silenziosi della scrittura di una pagina inedita della storia del nostro mare e della nostra costa», sottolinea il Sindaco del Comune di Vernole Mauro De Carlo, «Per questo è forte la nostra volontà di accompagnare le attività di scavo dando la massima disponibilità a collaborare, a divulgare i risultati del lavoro svolto grazie alla realizzazione di open day e di convegni sul tema dell’archeologia del paesaggio costiero. Per ospitare poi tecnici, archeologi e studiosi provenienti da diverse parti del mondo o semplicemente turisti incuriositi dalle meravigliose scoperte già note e che verranno alla luce nelle prossime campagne di scavo».
Le indagini vedono la partecipazione di archeologi/archeologhe, collaboratori/trici, dottorandi/e e studenti/esse delle Università del Salento, Ege (Izmir, Turchia), Roma Tor Vergata e del Politecnico di Torino: Annamaria Alabiso, Cristiano Alfonso, Antonella Antonazzo, Carlotta Quarta Colosso, Angelo Colucci, Luigi Coluccia, Tuana Zara Eren, Melissa Mele, Michela Rugge, Beatrice Tanduo, Fernando Zongolo. Drone, riprese ed editing video di Emiliano Peluso.
Nelle immagini allegate le strutture sommerse (A: la fondazione del molo, B: gli altri allineamenti di blocchi, C: la “Chiesa sommersa”) e le fasi di lavoro (posizionamento GPS, rilievo fotogrammetrico, scavo stratigrafico con sorbóna)
Approfondimenti
Mesciu Pippi, custode dell’arte edilizia
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte
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In nostro approfondimento sulla tradizione del costruire salentino si chiude con una figura storica dell’edilizia salentina.
I più attempati si ricorderanno certamente di Mesciu Pippi.
Al secolo Raimondo Giuseppe Marra, nato nel 1943 a Montesano Salentino, anche se all’anagrafe risulta Miggiano, di cui il suo paese, all’epoca, era ancora frazione. A 15 anni iniziò a lavorare in cantiere e, da allora, l’arte edile è diventata la sua vita.
Tanto da essere considerato un custode della lavorazione tradizionale e un vero e proprio maestro delle volte a stella, a squadro e a botte.
La sua storia è riportata nel libro “Il cantiere edile come biografia e memoria”, scritto dall’architetto Venanzio Marra, figlio di Raimondo Giuseppe.
Mesciu Pippi cita il suo maestro: «È stato Donato De Matteis, un abile costruttore di Montesano. Poi ho avuto tanti altri maestri, tra cui Ippazio Morciano, mesciu Pati, di Tiggiano. Dopo aver lavorato con lui, nel 1973, ho dato vita alla mia attività».
Nonostante sul finire degli anni 70 stesse cambiando il modo di costruire passando dalle strutture interamente in muratura, con copertura a volta, ai sistemi in cemento armato, con le strutture puntiformi e i solai, Mesciu Pippi è rimasto legato alla tradizione: «Il passaggio dalle costruzioni tradizionali a quelle moderne non è stato indolore. Il cantiere tradizionale veniva sostituito da un cantiere in cui l’esecuzione delle opere diveniva più veloce, aumentava la standardizzazione della componentistica edile. Ma spesso si perdeva parte della sapienza costruttiva e le maestranze diventavano sempre più dequalificate. Sin dal 1975, quando capitava di demolire una volta (per esempio a stella) per costruire una struttura moderna con i solai piani, pensavo che i nuovi edifici non sarebbero durati così a lungo. Insomma, si demolivano strutture fatte ad arte per sostituirle con altre che non davano la stessa garanzia».
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Muretti a Secco e Pajare
Costruire salentino: Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo “riporta in vita” le pietre
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Con Dario Damiano Profico di Gagliano del Capo siamo al quarto capitolo del nostro approfondimento sulla tradizione dell’edilizia salentina (dopo l’intervento del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini, il Coccio Pesto e le Cementine e le Volte a Stella)
Dario ha fatto della sua passione un lavoro.
Da quasi 25 anni la sua mission è restaurare muretti a secco e pajare che, ipse dixit, «ricostruisco com’erano all’origine».
Anche Dario conferma che la «richiesta di lavori tradizionali è alta sia perché il risultato è indubbiamente bello da vedere sia perché, per questo tipo di lavori, ci sono possibilità di accedere a specifici finanziamenti. Il ripristino dei muretti a secco, in modo particolare, è molto richiesto».
Qual è in particolare il tuo lavoro?
«Riportare il tutto com’era un tempo con lo stesso tipo di lavorazione. Da non confondere con ciò che fanno taluni, utilizzando metodi non indigeni che danno un risultato finale diverso rispetto a quello che erano i muretti a secco originali del Salento, rovinandone peraltro l’estetica».
In particolare, a cosa ti riferisci?
«All’utilizzo del calcestruzzo e al mancato utilizzo della terracotta. Sia per le pajare che per i muretti ci tengo farli “a secco”, proprio come si faceva una volta. Per questo chiedo che le pietre non mi arrivino spaccate, ma esattamente come sono state scavate. In modo che io possa dare consistenza al tutto con le pietre grosse, senza utilizzare il cemento».
Il cemento non lo utilizzi affatto?
«Tendo a farne a meno. In qualche occasione sono costretto a farlo perché il committente vuol farci passare la corrente elettrica. Così, per evitare i crolli e cautelare i tubi, uso il calcestruzzo in tre strati: base, centrale e superiore perché ci metto il cordone finale a forma di “A”, per scaricare il peso al centro del muro e dare solidità a tutta la struttura».
Veniamo ai costi. Per un muretto a secco qual è il costo medio?
«Si parte da 35 euro fino ad arrivare a 90 euro a metro lineare. Dipende dalla richiesta. C’è chi vuole un muretto praticamente liscio, a fuga chiusa: in questo caso, la lavorazione richiede maggiori tempi e maggiori costi. Se uno vuole un muro che sia “uno specchio”, senza fughe, vuol dire che la pietra andrà lavorata nel minimo dettaglio e quindi il prezzo sarà più alto. Se, invece, si preferisce il metodo originale, con il minimo utilizzo del martello sulla pietra grezza locale, il costo scende».
E per le pajare? Se, ad esempio, dovessi rimetterne in piedi una di 50 metri quadri?
«Per una pajara di 50 mq, compresi gli esterni (si calcola così, NdR), occorreranno in media 8mila euro, sempre ricostruendola esattamente come era una volta, ovviamente tutta a secco».
Pajare riportate all’origine tranne che per un particolare: «Nel ricostruirla alzo l’apertura fino a due metri, due metri e 15 centimetri, perché in origine l’ingresso alla pajara era molto basso e quindi scomodo»
Qualche tempo fa Dario Profico ha fatto capolino su Rai 3:
«Erano affascinati dalla nostra storia, anche abitativa. Qualche volta è necessario che arrivino da fuori Salento per ricordarci ciò che abbiamo. Non sarebbe male stessimo più attenti a quelle che sono le nostre tradizioni».
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Volte a Stella
Costruire salentino: Donato Marra di Tricase specialista del sistema di copertura a volta
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Dopo l’introduzione storica del Conservatore-Restauratore Giuseppe Maria Costantini e il capitolo dedicato a Coccio Pesto e Cementine, (seguirà quello sul Muretti a Secco e Pajare) il nostro approfondimento prosegue con Donato Marra, imprenditore edile, 59 anni di Tricase, specialista in Volte a Stella.
Da quanti anni fa questo mestiere?
«L’azienda personale esiste da circa trent’anni, ma la prima esperienza risale a quando, adolescente, ho iniziato a lavorare con mio padre, presso la sua impresa di costruzioni. Mio padre è stato il mio mentore e maestro, un gran maestro. È lui che mi ha “iniziato” e insegnato a creare l’arte delle antiche costruzioni, delle volte antiche, quelle storiche che si possono ammirare in Salento in tante costruzioni nobiliari».
È un dato di fatto: lo stile “salentino”, volte a stella, muretti, ecc.. è sempre più richiesto. Le risulta?
«È vero, le volte, le costruzioni tipiche salentine sono sempre più richieste. Per parte mia, una volta appresa la bellezza dell’arte salentina, ho voluto metterla a frutto: tutto quello che mi avevano insegnato l’ho restituito creando e consegnando bellezza nelle mani dei clienti. Vorrei aggiungere, però, che spesso l’eccessivo costo di queste costruzioni non è alla portata e per la tasca di tutti. Inoltre, la terra del Capo di Leuca è piena di vincoli e questo non permette di costruire molte case tipiche in campagna».
Considerata la sua esperienza, cosa le chiede maggiormente la sua clientela?
«Devo dire che sono tante le ristrutturazioni che effettuiamo, anche grazie all’arrivo dei tanti stranieri che comprano in Salento. Loro, per fortuna, sono molto attenti al recupero ed alla ristrutturazione di case, masserie o ville antiche: desiderano soprattutto che i lavori vengano eseguiti con una fedeltà all’antico maniacale e che sempre sia più vicina alla costruzione che è stata, e, aggiungo, questo è un bene per noi e per il nostro Salento».
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