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News & Salento

“Per favore non sfrattateci”

Tricase. La storia di Anna che, per dare un tetto al suo bambino, ha occupato abusivamente un alloggio popolare. Il Sindaco: “Nei limiti del lecito, non lasceremo nulla di intentato per trovare una soluzione
definitiva, soprattutto in considerazione della presenza di un minore”

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di Giuseppe Cerfeda

Spesso il nostro lavoro ci porta a confrontarci con realtà che tutti, indistintamente, immaginiamo erroneamente (o volutamente) distanti, come se non ci appartenessero. Ci commoviamo quando seguiamo storie simili davanti alla tv, film, fiction o reality che siano ma, quando nella vita di ogni giorno ci imbattiamo in storie vere, con persone vere che soffrono, non attori che interpretano una parte, facciamo spallucce, quasi infastiditi. Eppure come un recente sondaggio Eurispes – CSV ha verificato, il 90% dei salentini si dichiara credente. Per chi crede, però, uno dei cardini fondamentali della Fede dovrebbe essere la carità cristiana. Invece, persone come Anna (che avrà anche sbagliato ma prendendosi le sue responsabilità) e congiunti vengono abbandonati al loro destino. La signora Anna Ruberto, di Tricase, ha alle spalle una vita difficile, con il destino che le ha riservato amare sorprese. Laureata in Chimica Farmacologica, ha lavorato a lungo in Germania per il colosso farmaceutico Bayer. Un giorno ha deciso di tornare nel paese natio, con il desiderio di avviare un’attività che le consentisse anche di rendersi utile per la sua comunità. Così avvia una Cooperativa di servizi socio-assistenziali ed educativi, attività che sembra prendere saldamente piede. L’imponderabile, però, è dietro l’angolo: dal 2007 una serie di eventi, che intaccano anche e soprattutto la sfera personale, avvia un vortice nel quale Anna è tuttora imprigionata. Per una serie di vicissitudini si ritrova sola con un figlio (minore) a carico e senza un’occupazione stabile. “Ho cercato in tutti i modi di trovare lavoro”, ci dice con pudore, “ma questo non è un periodo facile. In un modo o nell’altro”, aggiunge con orgoglio, “a mio figlio non ho fatto mai mancare nulla, dandogli la possibilità di vivere come tutti i suoi coetanei”. Già in un modo o nell’altro… il nodo è proprio qui. Perché “vistami alle strette nel 2012 ho occupato abusivamente una Casa Popolare a Tricase Porto. Non potevo permettermi l’affitto con i costi che ci sono in giro e sapevo che quell’appartamentino era disabitato. So che è ho sbagliato e sono pronta a prendermi le mie responsabilità”.

Infatti Anna non si è nascosta, anzi si è immediatamente recata dai Carabinieri e poi dalla Polizia Locale, per autodenunciarsi: “Lungi da me l’intenzione di fare un torto a chiunque sia in attesa all’assegnamento di un alloggio popolare. Sono cosciente di aver commesso un reato e sono pronta ad affrontare le conseguenze. Tutto quello che ho fatto è per amore di mio figlio e per il desiderio di dargli un tetto ed una vita dignitosa come ogni bambino merita”. La burocrazia, però, ha fatto il suo corso e il 28 febbraio Anna è stata raggiunta da un’ingiunzione di sfratto. “Mi è stato detto”, ricorda sconfortata, “che se non lasciavo la casa, rischiavo di vedermi portato via il bambino. Ma se poi non ho un tetto da dare a mio figlio, il Tribunale dei Minori che fa? Non me lo porta via lo stesso? Grazie anche agli alimenti versati dal mio ex compagno (“che però non basterebbero se dovessi pagare l’affitto”), fino ad oggi non ho mai fatto mancare nulla a mio figlio e continuerò a fare di tutto perché continui ad essere così. Lotterò con tutte le mie forze per restare insieme al mio bambino”. La situazione era, ed è, piuttosto difficile. Ecco perché Anna ha chiesto “a tutte le Istituzioni, allo IACP (l’istituto che gestisce le Case Popolari), al Sindaco di Tricase ed a quanti altri abbiano la facoltà di intervenire, di non fermarsi davanti alla mera burocrazia ed aiutarmi ad avere un’opportunità”.

Il 14 marzo la svolta, speriamo decisiva. Ad Anna è stata offerta una alternativa provvisoria, “in attesa di una soluzione diversa e duratura. Nel frattempo mi preme ringraziare per la pazienza e l’impegno profuso, il sindaco Coppola, il vice sindaco ed assessore ai Servizi sociali, Maria Assunta Panico, ed il comandante della Polizia Locale, Luigi Muci”.

Proprio il sindaco Antonio Coppola che ha seguito, non senza umanissime tribolazioni personali, l’intera vicenda ci ha riferito: “Felici innanzitutto di aver momentaneamente risolto la cosa senza nessuna conseguenza seria nè per la mamma né per il bambino. La situazione era delicata e la Legge non ci consentiva grandi margini di manovra. Garantisco che, nei limiti del lecito, non lasceremo nulla di intentato per trovare una soluzione definitiva, soprattutto in considerazione della presenza di un minore”.


Dura lex, sed lex”, è vero: la legge va sempre e comunque rispettata, per quanto dura possa essere o crudele apparire. Non ci azzarderemmo mai da queste colonne di giustificare un reato o di istigare altre persone in difficoltà ad emulare la protagonista di questa storia. Le conseguenze, è bene ribadirlo e sottolinearlo, sono pesanti e, come la stessa signora Anna ha riconosciuto, alla fine il conto dovrà comunque essere saldato. Quello che possiamo dire, però, è che, accarezzati da un infantile e forse ingenuo sogno, ci piacerebbe vivere in una società in cui lo Stato, le Istituzioni, la collettività, si impegnassero a soccorrere chi, per una questione o per l’altra, è rimasto indietro ed è in difficoltà. Soprattutto se questi ha in tutela un minore. Vana speranza? Un Sindaco, la sua Vice, un Comandante della Polizia Locale e alcuni rappresentanti dello IACP, con il loro atteggiamento costruttivo, ci hanno detto che si può fare. La speranza è sempre l’ultima a morire…


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SIULP Lecce: “Più sicurezza per donne e uomini in divisa”

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Riceviamo e pubblichiamo.

“Continua senza sosta la scia di aggressioni alle donne ed agli uomini in divisa, nella stessa giornata non abbiamo fatto in tempo a tirare un respiro di sollievo per lo scampato pericolo dei due poliziotti affrontati a Padova da un individuo di nazionalità nigeriana armato di ascia, che a poche ore dall’accaduto l’episodio si è ripetuto nel centro cittadino di Lecce, dove un cittadino extracomunitario ha aggredito un Poliziotto senza un apparente motivo ovvero per il solo fatto di indossare un’uniforme.”

E’ quanto afferma in una nota Mirko BRAY, Segretario Generale del SIULP Lecce, a seguito della vile aggressione avvenuta ai danni di un Poliziotto nelle prime ore della scorsa serata ad opera di un cittadino extracomunitario poi arrestato per tentato omicidio.
“La nostra impressione è che la Polizia di Stato stia pagando lo scotto della grave carenza negli organici, problematica che in questa Provincia ci penalizza particolarmente, al contempo emerge nitidamente la necessità di introdurre tutti quegli strumenti che consentano ai tutori dell’ordine pubblico di operare in condizioni di sicurezza, in particolare ci riferiamo all’ampliamento delle dotazioni dei Taser, alla fornitura delle bodycam e dei giubbini tattici antitaglio. Non solo! Chiediamo anche delle tutele legali differenti rispetto a quelle in vigore che giudichiamo eccessivamente garantiste nei confronti di chi delinque a scapito della gente onesta e di chi opera per la legalità e il bene comune. Avvertiamo un’eccessiva tolleranza verso chi usa violenza contro un poliziotto, che sia in ordine pubblico o in un intervento di polizia, di contro il solo sospetto di un possibile eccesso nelle nostre reazioni, che scaturiscono sempre a contenimento delle violenze di ogni genere che siamo chiamati a fronteggiare, è sufficiente ad innescare il c.d. “atto dovuto” che da inizio a quella che oggi in Italia è la vera e propria pena: ovvero, l’iter processuale. Auguriamo al nostro collega una pronta guarigione nella certezza che il consueto spirito di servizio e l’indubbia abnegazione, lo spronerà a superare nuovamente quanto già vissuto in passato.”

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“Le medaglie degli eroi” in mostra a Lucugnano

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Riceviamo e pubblichiamo.

Dal 24 dicembre al 6 gennaio 2025, presso Palazzo Comi a Lucugnano, la raccolta di medaglie italiane ed estere a cura di Collezione Militaria Scolozzi dal titolo “Le medaglie degli eroi”.

Info al 3888960203.

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La benedizione di Monsignore: “Santificate le feste”

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di Luigi Zito
Intervista di fine anno al Vescovo della Diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, Mons. Vito Angiuli. Oltre che sul significato del Natale ormai prossimo, Monsignore ha parlato volentieri di molti temi di attualità.

Angiuli sostiene che occorre «educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza».
Sulle festività imminenti: «Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità».
Dopo 14 anni di attività pastorale nel sud del sud invita, infine, tutti noi a «cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio».

 
Eccellenza, da tanti anni svolge la sua attività pastorale in Salento, in particolare nella Diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca: “la porzione del popolo di Dio”, come recita il codice di diritto canonico, «affidata alle cure pastorali del Vescovo”, è cambiata in questi 14 anni?

«In questi anni, ho compreso meglio la storia e la cultura di questo territorio che impropriamente si definisce “estremo lembo” del Salento, quasi fosse una realtà marginale. I grandi cambiamenti storici e politici che si stanno verificando ai nostri giorni hanno riproposto la centralità del Mediterraneo e, dunque, anche il Sud ha riacquistato una sua importanza. Bisognerebbe, pertanto, cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio. Sotto questo profilo, noto un atteggiamento ambivalente. Se da una parte, si manifesta una nuova forza propulsiva e una rinnovata capacità imprenditoriale, dall’altra rimangono ancora irrisolte alcune questioni in riferimento alla necessità di migliorare le infrastrutture necessarie per un vero sviluppo e soprattutto a promuovere un cambio di passo di tipo culturale. Mi riferisco alla necessità di “fare rete” e di lavorare con una visione più condivisa e una programmazione più generale aperta al bene comune superando la perdurante mentalità individualista, preoccupata solo del proprio interesse contingente. È questo l’aspetto che sottolineo anche in ambito ecclesiale, consapevole che la Chiesa ha un ruolo non secondario nel realizzare una nuova visione e una nuova modalità di stare nella storia e nelle vicende del tempo presente. L’esperienza della “Carta di Leuca”, la promozione dei “Cammini di Leuca” ed altre iniziative ecclesiali che ho promosso in questi anni anche a seguito del riconoscimento da parte dell’Europa del percorso della “via Francigena” da Canterbury a Leuca, dovrebbe servire a sprovincializzare il nostro territorio e a proiettarlo in un contesto più ampio. Il quadro, come si vede, presenta aspetti positivi, ma richiede un ulteriore sforzo per pensare in grande senza impantanarsi o crogiolarsi nelle piccole incombenze tipiche di uno sguardo poco lungimirante e appiattito sul presente».

In questo periodo di Avvento, del Natale, oltre a “Santificare le feste”, cosa consiglierebbe ai fedeli? Cosa significa il Natale oggi? Quanta umanità si respira nel mistero del Natale? Cosa si sta perdendo?

«Intanto mi preme ribadire che “santificare le feste” non è un aspetto secondario. Le singole persone e le società nel loro insieme non possono vivere senza l’anelito alla gioia che promana dalla “festa”. Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità. Consiglierei a tutti, credenti e non credenti, di vivere la gioia della festa, sia quella religiosa sia quella civile e sociale come momento per uscire dall’individualismo e sperimentare il gusto di aprirsi al senso del mistero e del trascendente oltre che di intrecciare rapporti umani più profondi e sinceri. In fondo è questo il senso più vero del Natale.
Come ho scritto in un recente articolo, il Natale è la festa nella quale si opera il “meraviglioso scambio” tra Dio e l’umanità: il Verbo eterno viene nel mondo e gli uomini riscoprono il valore dell’umano quando è aperto al divino. Il Natale è l’esaltazione dell’umanità non chiusa in sé stessa, ma abitata dall’amore di Dio che si fa carne e vive la stessa esperienza degli uomini. In altri termini, la festa del Natale chiede a tutti di vivere concretamente da fratelli che si rispettano e si abbracciano e non da nemici che si combattono o da estranei che si ignorano!
In un mondo lacerato da guerre, attraversato da profondi contrasti dove aumentano le disparità sociali, crescono le diverse forme di povertà, si esasperano i sentimenti di odio, è proprio il valore della fraternità che bisogna rimettere al centro».

Natale, luci sfavillanti, regali, tavole imbandite, gioia e convivialità; per tanti, però, le festività natalizie sono il periodo più stressante dell’anno: come sono cambiate le relazioni umane? Qual è il suo pensiero?

«È vero che a Natale si mette in moto una sorta di meccanismo che privilegia l’esteriorità nelle sue diverse forme.
Questa ricerca a tutti i costi di apparire finisce per stancare e per accrescere il senso di solitudine, di distanza e di estraneità.
Mentre sarebbe auspicabile che, in sintonia con il messaggio più profondo delle feste natalizie, si privilegiassero altri aspetti: la cura dell’intimità, la ricerca de silenzio, la promozione di relazioni interpersonali significative.
Sarebbe anche il tempo opportuno e per trasmettere ai bambini e ai giovani i valori profondi come la generosità, la gratitudine e l’amore per la famiglia, il valore della condivisione e del legame familiare, della    solidarietà quale forza che incoraggi a mettere in atto gesti di gentilezza e di assistenza verso coloro che sono nel bisogno e a riflettere sulla pace e sulla riconciliazione tra i popoli».

La sua Diocesi si spende tanto per gli altri, i poveri, da quando ne ha ricordo sono aumentate le “sofferenze”, che bilancio ne trae?
La sua è una “Chiesa col grembiule”, come esortava don Tonino, o come descriverebbe la sua Chiesa?

«Con il crescere dei problemi economici e sociali sono anche aumentate le attività che la Caritas diocesana e le parrocchie hanno messo in atto per venire incontro alle diverse esigenze delle persone più povere e più bisognose. Tuttavia, cerchiamo di considerare non solo le urgenze materiali, ma anche le “povertà spirituali” che sono anch’esse in aumento e che impoveriscono il tessuto relazionale: la solitudine, la sfiducia, lo scetticismo, la diffidenza, lo scoraggiamento, la mancanza di speranza. Cerchiamo cioè di farci carico di un compito più grande: educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza. Cerchiamo di promuove lo “spirito di famiglia”. Per questo consideriamo la chiesa come una “casa”, dove tutti possono sentirsi accolti, compresi, aiutati. La casa è il luogo delle relazioni, del reciproco riconoscimento, dell’aiuto vicendevole, dello scambio dei doni.  Al fondo del nostro impegno c’è il desiderio di imitare il “buon samaritano” e, pertanto, di trasformare la chiesa non solo nel luogo delle celebrazioni liturgiche, ma anche nella “locanda della fraternità” dove vige uno spirito di cura, di compassione e di consolazione».

LA VIRTù DELLA SPERANZA

Eccellenza, le chiedo un’esortazione sul Natale, su questo periodo così ricco di avvenimenti, su quello che vuole trasferire ai nostri lettori.

«Vorrei soprattutto esortare tutti a riappropriarsi della virtù della speranza.
Non una speranza di piccolo calibro o soltanto l’espressione di un sentimento passeggero e incerto, ma una speranza che non delude, sostiene il cammino della vita, infonde coraggio e desiderio di non arrendersi di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni della vita.
Sperare significa non temere, non lasciarsi prendere dalla paura, ma vivere con gioia e camminare con serenità incontro al futuro.
“Pellegrini nella speranza” è il tema del Giubileo del 2025.
Ciò significa tenere accesa la fiaccola della fiducia e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante.
I simboli tipici del Giubileo sono il camminare da pellegrini e il passaggio della Porta Santa.
Esprimono la decisione interiore di prendere in mano qualche aspetto della propria vita per renderlo nuovo, riconciliato, trasformato, aperto, ospitale.
Abbiamo bisogno di convertirci a una mentalità più evangelica, generativa di un nuovo umanesimo e di un nuovo rinascimento personale e comunitario, sociale e culturale.
Essere pellegrini di speranza vuol dire riappropriarsi della responsabilità e della gioia di servire ogni uomo facendosi prossimo ad ognuno.
La speranza è una luce nella notte, un dono e un compito, l’attesa di qualcosa che riempie il cuore di gioia. Sperare è assaporare la meraviglia di essere amati, cercati, desiderati da un Dio che non si è rintanato nei suoi cieli impenetrabili, ma si è fatto carne e sangue, storia e giorni, per condividere la nostra sorte. Auguro un Natale che rafforzi in tutti la gioia della speranza».

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