News & Salento
Assistenza in Ospedale: a chi tocca “fare la notte”?
A chi tocca assistere gli ammalati, soprattutto quelli gravi, in ospedale? Interrogativo che di primo acchito può sembrare banale, ma che in realtà
A chi tocca assistere gli ammalati, soprattutto quelli gravi, in ospedale? Interrogativo che di primo acchito può sembrare banale, ma che in realtà nasconde una serissima problematica (e tanto malcontento di quanti hanno familiari/parenti/amici “allettati” o comunque non autosufficienti). Per dirla in maniera franca con il dr Franco Sanapo, direttore sanitario dell’Asl Lecce, “stiamo toccando un punto nevralgico della sanità non solo salentina e pugliese, ma nazionale. Parliamo di un fatto tecnico, di organizzazione di profili professionali negli ospedali. Dove fondamentalmente esistono attualmente due figure: quella infermieristica, che ovviamente si occupa delle cure mediche ed anche di alcuni interventi sanitari piuttosto importanti ed invasivi (“cateterismo, ecc.”); e quella degli OTA, Operatori Tecnici di Assistenza. Per cui, sostanzialmente, succede che gli infermieri si caricano pure dell’assistenza alla persona, soprattutto disabili e casi simili. Questa è dunque la situazione attuale”. Siamo di fronte, in poche parole, ad un contesto di vere e proprie carenze strutturali, o se vogliamo normative. Ed in questo contesto ecco che il sistema sanitario ospedaliero, e quello pugliese in particolare, chiede alle famiglie di farsi carico dell’assistenza ai degenti: è l’ospedale stesso a chiedere ai familiari o comunque “esterni” di, come si suol dire, “fare la notte” o “prestare servizio” continuativamente al proprio ammalato. “Questo handicap organizzativo”, aggiunge il dr Sanapo, “produce oggi, e bisogna dirlo con molta onestà, un eccesso di infermieri, i quali devono svolgere, in maniera impropria, funzioni che invece non competono loro. Non solo: spesso tocca anche a loro anche accompagnare il paziente per gli accertamenti (“radiografie, altri esami, ecc.”). Ed allora la norma ha creato oggi una figura professionale proprio per sopperire a queste carenze ed evitare l’eccesso di infermieri: si tratta degli OSS, Operatori Socio Sanitari, che svolgono un corso formativo di un anno, con circa mille ore di teoria e 500 di pratica sul campo. Però queste figure, stante il blocco delle assunzioni dovuto ai problemi finanziari specie di questo momento storico, si stanno introducendo in maniera lentissima”. L’intenzione del direttore sanitario dell’Asl leccese è quella di introdurre al più presto nei nosocomi salentini il modello assistenziale ospedaliero, “che prevede in un’unità operativa di 32 posti letto, 16 uomini e 16 donne”, spiega il dr Sanapo, “al mattino caposala e due infermieri, più due operatori socio sanitari: in questa modo l’assistenza alla persona (“lavarla, accompagnarla al bagno, ecc.”) è garantita e permette agli infermieri di svolgere solo le loro funzioni professionalizzanti. E’ un modello che personalmente ho visto applicare in Veneto, ossia nella parte d’Italia dove la sanità funziona meglio: sono stato al Policlinico di Padova, lo scorso anno, proprio per studiare da vicino la situazione. Di notte, ad esempio, nel reparto di Neurologia, con 32 pazienti, agivano un infermiere e due OSS, i quali con un carrellino e muniti di lampadina tascabile effettuavano di continuo la spola da letto a letto per appurare eventuali esigenze degli ammalati. Nel momento in cui riusciremo ad attuare questo sistema qui da noi, mi auguro entro cinque anni, a quel punto ai parenti non verrà più chiesta alcuna collaborazione. Per cui, ora come ora, direi che chiedere da parte dell’ospedale ad un parente di svolgere funzioni di assistenza sia una scelta opportuna e di buon senso. Ma a questo proposito non dobbiamo dimenticare la straordinaria opera dell’AVO, Associazione Volontari Ospedalieri, ossia di quanti mettono al servizio degli ammalati degenti negli ospedali parte del proprio tempo”.
Federico Scarascia
News & Salento
SIULP Lecce: “Più sicurezza per donne e uomini in divisa”
Riceviamo e pubblichiamo.
“Continua senza sosta la scia di aggressioni alle donne ed agli uomini in divisa, nella stessa giornata non abbiamo fatto in tempo a tirare un respiro di sollievo per lo scampato pericolo dei due poliziotti affrontati a Padova da un individuo di nazionalità nigeriana armato di ascia, che a poche ore dall’accaduto l’episodio si è ripetuto nel centro cittadino di Lecce, dove un cittadino extracomunitario ha aggredito un Poliziotto senza un apparente motivo ovvero per il solo fatto di indossare un’uniforme.”
E’ quanto afferma in una nota Mirko BRAY, Segretario Generale del SIULP Lecce, a seguito della vile aggressione avvenuta ai danni di un Poliziotto nelle prime ore della scorsa serata ad opera di un cittadino extracomunitario poi arrestato per tentato omicidio.
“La nostra impressione è che la Polizia di Stato stia pagando lo scotto della grave carenza negli organici, problematica che in questa Provincia ci penalizza particolarmente, al contempo emerge nitidamente la necessità di introdurre tutti quegli strumenti che consentano ai tutori dell’ordine pubblico di operare in condizioni di sicurezza, in particolare ci riferiamo all’ampliamento delle dotazioni dei Taser, alla fornitura delle bodycam e dei giubbini tattici antitaglio. Non solo! Chiediamo anche delle tutele legali differenti rispetto a quelle in vigore che giudichiamo eccessivamente garantiste nei confronti di chi delinque a scapito della gente onesta e di chi opera per la legalità e il bene comune. Avvertiamo un’eccessiva tolleranza verso chi usa violenza contro un poliziotto, che sia in ordine pubblico o in un intervento di polizia, di contro il solo sospetto di un possibile eccesso nelle nostre reazioni, che scaturiscono sempre a contenimento delle violenze di ogni genere che siamo chiamati a fronteggiare, è sufficiente ad innescare il c.d. “atto dovuto” che da inizio a quella che oggi in Italia è la vera e propria pena: ovvero, l’iter processuale. Auguriamo al nostro collega una pronta guarigione nella certezza che il consueto spirito di servizio e l’indubbia abnegazione, lo spronerà a superare nuovamente quanto già vissuto in passato.”
News & Salento
“Le medaglie degli eroi” in mostra a Lucugnano
Riceviamo e pubblichiamo.
Dal 24 dicembre al 6 gennaio 2025, presso Palazzo Comi a Lucugnano, la raccolta di medaglie italiane ed estere a cura di Collezione Militaria Scolozzi dal titolo “Le medaglie degli eroi”.
Info al 3888960203.
News & Salento
La benedizione di Monsignore: “Santificate le feste”
Angiuli sostiene che occorre «educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza».
Sulle festività imminenti: «Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità».
Dopo 14 anni di attività pastorale nel sud del sud invita, infine, tutti noi a «cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio».
«In questi anni, ho compreso meglio la storia e la cultura di questo territorio che impropriamente si definisce “estremo lembo” del Salento, quasi fosse una realtà marginale. I grandi cambiamenti storici e politici che si stanno verificando ai nostri giorni hanno riproposto la centralità del Mediterraneo e, dunque, anche il Sud ha riacquistato una sua importanza. Bisognerebbe, pertanto, cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio. Sotto questo profilo, noto un atteggiamento ambivalente. Se da una parte, si manifesta una nuova forza propulsiva e una rinnovata capacità imprenditoriale, dall’altra rimangono ancora irrisolte alcune questioni in riferimento alla necessità di migliorare le infrastrutture necessarie per un vero sviluppo e soprattutto a promuovere un cambio di passo di tipo culturale. Mi riferisco alla necessità di “fare rete” e di lavorare con una visione più condivisa e una programmazione più generale aperta al bene comune superando la perdurante mentalità individualista, preoccupata solo del proprio interesse contingente. È questo l’aspetto che sottolineo anche in ambito ecclesiale, consapevole che la Chiesa ha un ruolo non secondario nel realizzare una nuova visione e una nuova modalità di stare nella storia e nelle vicende del tempo presente. L’esperienza della “Carta di Leuca”, la promozione dei “Cammini di Leuca” ed altre iniziative ecclesiali che ho promosso in questi anni anche a seguito del riconoscimento da parte dell’Europa del percorso della “via Francigena” da Canterbury a Leuca, dovrebbe servire a sprovincializzare il nostro territorio e a proiettarlo in un contesto più ampio. Il quadro, come si vede, presenta aspetti positivi, ma richiede un ulteriore sforzo per pensare in grande senza impantanarsi o crogiolarsi nelle piccole incombenze tipiche di uno sguardo poco lungimirante e appiattito sul presente».
In questo periodo di Avvento, del Natale, oltre a “Santificare le feste”, cosa consiglierebbe ai fedeli? Cosa significa il Natale oggi? Quanta umanità si respira nel mistero del Natale? Cosa si sta perdendo?
«Intanto mi preme ribadire che “santificare le feste” non è un aspetto secondario. Le singole persone e le società nel loro insieme non possono vivere senza l’anelito alla gioia che promana dalla “festa”. Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità. Consiglierei a tutti, credenti e non credenti, di vivere la gioia della festa, sia quella religiosa sia quella civile e sociale come momento per uscire dall’individualismo e sperimentare il gusto di aprirsi al senso del mistero e del trascendente oltre che di intrecciare rapporti umani più profondi e sinceri. In fondo è questo il senso più vero del Natale.
Come ho scritto in un recente articolo, il Natale è la festa nella quale si opera il “meraviglioso scambio” tra Dio e l’umanità: il Verbo eterno viene nel mondo e gli uomini riscoprono il valore dell’umano quando è aperto al divino. Il Natale è l’esaltazione dell’umanità non chiusa in sé stessa, ma abitata dall’amore di Dio che si fa carne e vive la stessa esperienza degli uomini. In altri termini, la festa del Natale chiede a tutti di vivere concretamente da fratelli che si rispettano e si abbracciano e non da nemici che si combattono o da estranei che si ignorano!
In un mondo lacerato da guerre, attraversato da profondi contrasti dove aumentano le disparità sociali, crescono le diverse forme di povertà, si esasperano i sentimenti di odio, è proprio il valore della fraternità che bisogna rimettere al centro».
Natale, luci sfavillanti, regali, tavole imbandite, gioia e convivialità; per tanti, però, le festività natalizie sono il periodo più stressante dell’anno: come sono cambiate le relazioni umane? Qual è il suo pensiero?
«È vero che a Natale si mette in moto una sorta di meccanismo che privilegia l’esteriorità nelle sue diverse forme.
Questa ricerca a tutti i costi di apparire finisce per stancare e per accrescere il senso di solitudine, di distanza e di estraneità.
Mentre sarebbe auspicabile che, in sintonia con il messaggio più profondo delle feste natalizie, si privilegiassero altri aspetti: la cura dell’intimità, la ricerca de silenzio, la promozione di relazioni interpersonali significative.
Sarebbe anche il tempo opportuno e per trasmettere ai bambini e ai giovani i valori profondi come la generosità, la gratitudine e l’amore per la famiglia, il valore della condivisione e del legame familiare, della solidarietà quale forza che incoraggi a mettere in atto gesti di gentilezza e di assistenza verso coloro che sono nel bisogno e a riflettere sulla pace e sulla riconciliazione tra i popoli».
La sua Diocesi si spende tanto per gli altri, i poveri, da quando ne ha ricordo sono aumentate le “sofferenze”, che bilancio ne trae?
La sua è una “Chiesa col grembiule”, come esortava don Tonino, o come descriverebbe la sua Chiesa?
«Con il crescere dei problemi economici e sociali sono anche aumentate le attività che la Caritas diocesana e le parrocchie hanno messo in atto per venire incontro alle diverse esigenze delle persone più povere e più bisognose. Tuttavia, cerchiamo di considerare non solo le urgenze materiali, ma anche le “povertà spirituali” che sono anch’esse in aumento e che impoveriscono il tessuto relazionale: la solitudine, la sfiducia, lo scetticismo, la diffidenza, lo scoraggiamento, la mancanza di speranza. Cerchiamo cioè di farci carico di un compito più grande: educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza. Cerchiamo di promuove lo “spirito di famiglia”. Per questo consideriamo la chiesa come una “casa”, dove tutti possono sentirsi accolti, compresi, aiutati. La casa è il luogo delle relazioni, del reciproco riconoscimento, dell’aiuto vicendevole, dello scambio dei doni. Al fondo del nostro impegno c’è il desiderio di imitare il “buon samaritano” e, pertanto, di trasformare la chiesa non solo nel luogo delle celebrazioni liturgiche, ma anche nella “locanda della fraternità” dove vige uno spirito di cura, di compassione e di consolazione».
Eccellenza, le chiedo un’esortazione sul Natale, su questo periodo così ricco di avvenimenti, su quello che vuole trasferire ai nostri lettori.
«Vorrei soprattutto esortare tutti a riappropriarsi della virtù della speranza.
Non una speranza di piccolo calibro o soltanto l’espressione di un sentimento passeggero e incerto, ma una speranza che non delude, sostiene il cammino della vita, infonde coraggio e desiderio di non arrendersi di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni della vita.
Sperare significa non temere, non lasciarsi prendere dalla paura, ma vivere con gioia e camminare con serenità incontro al futuro.
“Pellegrini nella speranza” è il tema del Giubileo del 2025.
Ciò significa tenere accesa la fiaccola della fiducia e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante.
I simboli tipici del Giubileo sono il camminare da pellegrini e il passaggio della Porta Santa.
Esprimono la decisione interiore di prendere in mano qualche aspetto della propria vita per renderlo nuovo, riconciliato, trasformato, aperto, ospitale.
Abbiamo bisogno di convertirci a una mentalità più evangelica, generativa di un nuovo umanesimo e di un nuovo rinascimento personale e comunitario, sociale e culturale.
Essere pellegrini di speranza vuol dire riappropriarsi della responsabilità e della gioia di servire ogni uomo facendosi prossimo ad ognuno.
La speranza è una luce nella notte, un dono e un compito, l’attesa di qualcosa che riempie il cuore di gioia. Sperare è assaporare la meraviglia di essere amati, cercati, desiderati da un Dio che non si è rintanato nei suoi cieli impenetrabili, ma si è fatto carne e sangue, storia e giorni, per condividere la nostra sorte. Auguro un Natale che rafforzi in tutti la gioia della speranza».
-
Attualità3 settimane fa
Un tricasino Miglior Wedding Shooting
-
Cronaca4 settimane fa
Arresto cardiaco durante match di volley a Tricase
-
Cronaca3 settimane fa
Scontro all’incrocio: spavento a Gagliano del Capo
-
Alliste3 settimane fa
Rocambolesco scontro, auto vola contro un muro
-
Casarano5 giorni fa
Infastidito dai lavori, colpisce un uomo in testa con l’accetta
-
Casarano4 settimane fa
Due auto in fiamme a Casarano
-
Cronaca3 settimane fa
Incendio a Napoli, muore turista di Maglie
-
Attualità3 settimane fa
Tricase, Luigi che festa!