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News & Salento

Franco Simone, salentino verace

Il Salento di Franco Simone (in visita nella nostra Redazione): “Credo alla Salentoterapia: lo vedo in mia moglie ed in tanti altri che appena ci mettono piede già stanno meglio con se stessi e con il mondo”; “Grandi Negramaro e Alessandra”; “Una ventata di salentinità nel panorama musicale. La Amoroso ha una voce straordinaria, un mix tra Aretha Franklijn e Anita Baker”. Stoccata a Dolcenera.

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Ultimamente si è molto parlato di censura di regime per Franco Simone. In realtà i fatti risalgono ai primi anni ’80 quando il nostro furoreggiava in Sudamerica ed era amatissimo in Argentina: “La cosa è venuta fuori perché solo ora sono stati resi noti gli elenchi della radiodiffusione argentina di quel periodo. Per quanto mi riguarda, posso dire che sono stato l’unico artista italiano ad essere censurato del tutto”. Il motivo? “Perché non mi sono lasciato usare dai Colonnelli. Il sottoscritto, Joan Manuel Serrat, Mercedes Sousa (“insieme a Mina la più grande voce femminile al mondo”) sono stati censurati proprio come personaggi pubblici. Mi hanno chiesto di asservirmi al sistema, volendo usare l’immagine di noi personaggi pubblici per fare propaganda al regime. C’erano 5mila militari che mi aspettavano, volevano darmi un’onorificenza e utilizzarmi per i loro scopi visto che ero ancora una volta primo nella classifica delle vendite e quindi popolarissimo. Televisioni e giornali mi aspettavano, ma io mi sono rifiutato e il regime ha proibito di mandare in onda tutto ciò che aveva a che fare con il sottoscritto. In quel momento il mio impresario mi prese per matto perché stavo rischiando ben altro che i possibili guadagni (“per questo mio rifiuto, secondo il mio impresario, mi sono giocato mezzo miliardo delle vecchie lire”). Ma non ho avuto un attimo di esitazione perché mi sento un uomo del sud e per noi determinate cose, come la libertà, non hanno prezzo”.


Hai rischiato di brutto anche per salvare Isabel Torres. “L’avevano portata via i militari solo perché si era fermata a parlare con delle persone umili, normali. Può sembrare strano ma sotto il regime accade anche questo. Eravamo in un hotel importante di Buenos Aires e, sapendo che in tanti finivano dentro per motivi futili e poi non ne uscivano più, alle tre di notte mi misi ad urlare come un matto. L’ingiustizia era inaccettabile. Fui chiamato dal direttore dell’Hotel che mi promise, proprio perché Franco Simone popolarissimo in tutta l’Argentina, di impegnarsi in prima persona per Isabel. La mattina dopo andai anch’io in caserma e mi assicurai che Isabel fosse liberata”.


Avuto paura? “Sono stato molto incosciente. Il mio impresario si, ha avuto paura. Diceva agli altri di non rendere pubblico di essere lì con me. A mia moglie invece diceva di nascondere il passaporto”.


Regime argentino a parte, resta il fatto che in tutto il Sudamerica Franco Simone spopolava e spopola. Più che in Italia… “E’ solo una questione di promozione. Canzoni che da noi sono passate sotto silenzio, dall’altra parte del Globo hanno avuto un successo straordinario. Basti pensare che un mio disco come “Totò” è stato a lungo in classifica anche negli USA… In Italia ho vinto per due anni di seguito la Gondola d’Oro (1977 e 1978) ma poi non mi si dava l’opportunità di apparizioni televisive…”. Ti ha penalizzato il fatto di arrivare dal “culo del mondo”? “Sicuramente. Baglioni o Venditti, giusto per fare degli esempi, rappresentano la romanità, io la leccesità. E per la maggior parte degli italiani è sicuramente più facile riconoscersi in loro. Ma sia chiaro, tutte queste apparenti sconfitte mi hanno fatto diventare più bravo e quando vado in scena mi porto dietro tutta l’esperienza che ho accumulato. Senza rimpianti”. Dal tuo primo disco (“Se di mezzo c’è l’amore” – 1972) sono passati 37 anni. Com’è cambiata nel frattempo la musica? E com’è cambiato Franco Simone? “Direi piuttosto che è cambiata la televisione… la musica è sempre bella, non cambia. Io ascolto di tutto, da Mozart a Giuseppe Verdi fino a Jovanotti: la musica buona mi va bene tutta. La televisione invece ha fatto danni tremendi e non solo nella musica. Si guardino i giornali: una volta per guadagnarsi una copertina bisognava saper fare qualcosa, oggi basta partecipare ad uno di quei programmi televisivi più in voga”. E Internet? “Aiuta moltissimo. È una realtà senza la quale oggi non mi saprei immaginare. Ne approfitto per fare autopromozione e ricordare che ho un sito (www.francosimone.it), avviatissimo e con più di 200 pagine e tantissimi contatti da tutto il mondo. Ecco, forse più che la musica, è cambiato il mezzo con cui viene proposta. Riflettendoci, tutti i cantautori, gli artisti che io amo, difficilmente li ascolto alle radio. Quelle che una volta erano chiamate radio libere…”.


Hai dichiarato che ascolti di tutto. E la pizzica? “Mi piace moltissimo tutto quello che sta succedendo intorno a questo fenomeno e sono fiero ed orgoglioso del successo che sta avendo la musica salentina. Anche se non mi appartiene come genere per interpretarlo, mi piace molto. Così come mi piace molto tutta la manifestazione della “Notte della Taranta”. Forse a questo punto bisognerebbe cominciare a mettere fuori quelli proprio stonati stonati…”. E magari accogliere con maggiore calore artisti a tutto tondo come Noa. “Mi ha abbastanza indignato quello che è successo. Non tanto il manifesto opera di quattro scemi, quanto il fatto che la gente ha dato l’impressione di non sapere con chi aveva a che fare. 100mila persone che non applaudono decentemente una signora di quella portata depone molto male per tutti noi. Freddezza indegna, colpa di un’ignoranza totale di un pubblico viziato dalla televisione e che non sa chi sia Noa, confondendola con altre cosucce di stagione”.


Com’è cambiato nel frattempo il Salento? “Oggi è entusiasmante. Chi viene da fuori ci ha fatto rendere conto di quello che abbiamo. Prima forse avevamo un certo pudore, il timore di apparire autoreferenziali, di sembrare quelli che “sa cantane e se la sonane”. Anni fa mi stupì il mio tecnico del suono (Ezio De Rosa che ha partecipato ai migliori dischi di Dalla, Bennato, Battisti), milanese, che parlandomi del Salento spiegava a me, salentino, quanto è bello. Con orgoglio e con piacere, apprendevo come la gente se ne stesse accorgendo. Si parla tanto di Salentoterapia ed io ci credo fermamente: lo vedo in mia moglie ed in tanti altri che appena ci mettono, piede già stanno meglio con se stessi e con il mondo”.


Quanto Salento c’è nei tuoi dischi? “Cento per cento. Mi sento molto salentino in tutte le mie manifestazioni. Anche quando mi dicono che sono ribelle, probabilmente sono solo il classico salentino che sa che certe cose non si mettono in vendita. Ma più che di ribellione, parlerei di dignità e dovere. Credo di averne data dimostrazione in Argentina senza cedere a quei Colonnelli di cui tutti ne conoscevano i misfatti”. Sul Salento neanche una… nota stonata. Possibile? “In questo momento saltano agli occhi soprattutto gli aspetti positivi. Oltre ad una maggiore consapevolezza delle nostre possibilità che non guasterebbe, la nota stonata (“che però non vale solo per il Salento”) è quella di governanti non degni della gente che rappresentano. C’è un intero Paese che meriterebbe governanti ben diversi da quelli che ha. Succedono cose che non hanno cittadinanza in alcun Paese civile ed espongono l’Italia al ridicolo davanti agli occhi del mondo intero”.


Stringiamo il cerchio. Che rapporto hai con Acquarica del Capo, il tuo paese d’origine? “Voglio molto bene alla mia gente e tocco con mano l’affetto che i miei concittadini nutrono per me. Mia figlia me lo sottolinea sempre: quando arrivo io “Francu nosciu, Francu nosciu”… sono uno di loro”. Ad Acquarica ogni anno c’è un premio che tu organizzi. “Anni fa mi hanno chiesto il costo per tenere una serata. Parlare di soldi con il mio paese mi ha molto imbarazzato, così ho proposto di istituire un appuntamento fisso. Un Premio intitolato a don Tito Oggioni Macagnino, grande uomo che è stato anche il sacerdote della mia adolescenza. L’appuntamento è giunto alla quinta edizione e mira a riconoscere il merito di chi non sgomita per avere visibilità. Quest’anno abbiamo premiato, più che il singolo, la figura dell’emigrante. Tantissimi ad Acquarica, a cominciare proprio dalla mia famiglia, hanno vissuto con sofferenza e dignità la necessità di dover emigrare”.


C’è una tua canzone alla quale sei maggiormente legato? “Amo di più le “cenerentole”, canzoni che ritengo davvero belle, ma che non hanno goduto della promozione che avrebbero meritato. Mi vengono in mente “Navigando” e “Notturno Fiorentino”, pezzi degli anni ‘90. E poi ci sono delle canzoni nuove che mi entusiasmano. Forse perché ho un nuovo rapporto con la musica. Prima avevo un eccesso di inquietudine, ora sono più tranquillo e resto seduto al pianoforte fino a notte fonda. E dando molto fastidio ai miei familiari che la notte vorrebbero anche dormire”.


E il nuovo Franco Simone ha partecipato a progetti davvero interessanti come quelli con Claudia Koll. “Abbiamo realizzato “Guarda le mie mani”, disco i cui proventi vanno in beneficenza. Un progetto musicale di solidarietà voluto dalla Koll (“Claudia non tende ad apparire ma a fare, vive la religione come pochissimi altri, una grande persona”), promosso dall’Associa- zione Onlus “Le opere del Padre”, di cui la stessa Koll è presidente e fondatrice, e sostenuto dal Gruppo editoriale San Paolo. Antonella Ruggiero, I Nomadi, Ron, Annalisa Minetti, Povia, Marco Frisina, Mariella Nava, Amedeo Minghi, Marcella e Gianni Bella, Fausto Leali, Tiziana Rivale, Nino D’Angelo, Marco Ferradini, Pina Magri e Giada Nobile sono i sedici grandi artisti italiani che hanno risposto con entusiasmo ed offerto il proprio contributo per sostenere la realizzazione de “La Piccola Lourdes”, un centro destinato ad accogliere ed offrire cure alle persone diversamente abili, soprattutto bambini, che vivono in Burundi, nella Diocesi di Ngozi, una delle più popolate della Chiesa”.


Iinsieme a Claudia Koll ti sei riscoperto anche docente. “Insegno canto in un’Accademia artistica presso le Suore Orsoline a Roma. È stato confortante vedere i genitori ringraziarci per l’evoluzione psicologica vissuta dai figli. Ne sono convinto: il successo deve arrivare come conseguenza, non si può finalizzare tutto al successo. Quando si ha talento, bisogna impegnarsi per farlo venire fuori. Ho sempre fatto distinzione tra artisti e carrieristi”. Nel senso? “Succede anche da noi. I Negramaro, ad esempio, mi entusiasmano ed è bello che abbiano portato nel panorama musicale nazionale una ventata di salentinità. Mi piace molto anche Alessandra Amoroso, ha una delle più belle voci che abbia mai sentito. Ricorda davvero Aretha Franklin e Anita Baker. Ha il velluto nella voce ed una malinconia di fondo molto salentina che ne fanno una vincente. Ci mancava una bella voce femminile salentina”.

E Dolcenera!? “Ne dobbiamo parlare? Bah, lei dice che è di Firenze… Ribadisco: ci sono gli artisti ed i… “carrieristi”. Alessandra Amoroso l’ho già vista in vetta alle classifiche… altri non compaiono neanche al cinquantesimo posto”.


Il  futuro?  “Stiamo lavorando ad una canzone con una grande orchestra. Farà parte di un progetto al quale parteciperanno artisti del calibro di Sergio Cammariere, Antonella Ruggiero, Luca Barbarossa e Milva.  Il disco dovrebbe uscire entro la fine dell’anno con circa 80mila copie di partenza. Ma per il momento, per motivi legali, non posso scendere in particolari”.


Giuseppe Cerfeda


 


Un viaggio da gran vagabondo


Quando nel 1976, una radio trasmetteva per la prima volta nel Salento in FM da una pajara sulla serra di Specchia, Franco Simone era già famoso. Lui fu uno dei primi artisti ad essere intervistato, mentre la sua “Tu e così sia” scalava le classifiche nazionali e veniva richiesta in continuazione da tutti i nuovi entusiasti e liberi ascoltatori. Noi giovani e sperimentali conduttori, con un mixerino da centomila lire, lo accogliemmo con affetto e lui si pose nei confronti del nuovo mezzo mediatico in modo garbato e serio, senza spocchia e arroganza.  Seguirono altri anni di grande successo, roba da primo in classifica in mezzo ai grandi cantautori politicizzati. E noi, benché preferissimo Rimmel e le locomotive di Guccini, seguivamo con attenzione il nostro Franco, che poi tanto male non era. Poi non so con esattezza cosa sia successo, ma all’improvviso il nome di Franco Simone sparì dalla scena italiana. Non va dimenticato che il nostro non ha mai accettato volentieri le prepotenze dello show-business o i trucchi delle nuove televisioni e forse preferisce consolidare una fama spontanea e gratificante nei paesi del Sud America piuttosto che lottare contro i nuovi padroni della musica italiana.


Così oggi Franco Simone non ha in Italia quel ruolo popolare che gli spetterebbe di diritto nell’ambito della musica melodica. Per la verità lui ha continuato in questi anni a produrre musica interessante e testi poetici, non necessariamente legati solo all’amore classico, ricevendo spesso tributi dai tanti suoi sostenitori ma anche dalla critica specializzata. Ha continuato incessantemente a girare con i suoi concerti (e il fido pianista Maurizio Mariano) l’Italia e il mondo, ricevendo in alcuni casi accoglienze da star internazionale, salutato per esempio in Cile “come il poeta italiano che sa parlare al cuore di tutti”. I suoi lavori migliori, per i quali ha composto musica e testi, ricordano alcune sottolineature di Piero Ciampi, certe malinconie di Gino Paoli e ancora alcune invenzioni alla Domenico Modugno (al quale oltretutto dedica puntualmente una parte dei suoi concerti). Ha una promozione mediatica-televisiva di gran lunga inferiore a tanti suoi colleghi, ma certamente artisticamente non è inferiore a un Baglioni (che ha scritto in definitiva due o tre canzoni interessanti in tutta la sua carriera) o a un Gigi D’Alessio (che ha riscritto sempre la stessa canzone). In questi ultimi anni dimostra ancora una grande freschezza creativa e anche una certa voglia di sperimentare: ha creato uno spettacolo di musiche natalizie, ha collaborato con un’orchestra di giovani talenti salentini e soprattutto ha inciso un album arrangiando le sue classiche canzoni con la Grande Orchestra Balcanica diretta dal maestro greco Nikos Papakostas, il cui disco ha vinto il Festival della Musica Etnica.


Questo CD dal titolo “La città del sole”, che ritengo fra le sue cose migliori, ha aperto nuovi orizzonti e potrebbe riservare nuove sorprese nella carriera forever young di Franco Simone. Sono convinto che nei prossimi anni i suoi lavori saranno rivalutati al massimo livello commerciale, magari con nuove collaborazioni e sperimentazioni, perché pochi cantautori sono stati in grado di produrre versi come quello in cui, con voce deliziosamente turbata, canta “per non piegarsi dentro… per darsi di più… io vorrei che il mio viaggio di gran vagabondo finisse con te”. Le sue cose invecchieranno bene, come lui, come noi.


Alfredo De Giuseppe


Attualità

Bocce: al Tricase il derby con la Martanese Greganica

Gara bellissima grazie ai tanti astri emergenti di questo sport che hanno deliziato la platea con colpi spettacolari

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Il campionato nazionale di serie B Federazione Italiana Bocce ha propsoto nell’ultimo fine settimana un derby tutto salentino.

L’AB Città di Tricase ha battuto in casa a Martanese Grecanica Don Bosco per 7 set a 1 ed è volata in testa alla classifica.

Come sempre presente il presidente del Comitato Regionale Puglia FIB,  Cristiano Vitto.

Il risultato ha premiato la squadra di casa ma ciò che resta negli occhi è soprattutto la spettacolarità della partita, grazie anche gli astri emergenti di questo sport che hanno deliziato il pubblico presente.

Da segnalare che tra le fila della Martanese giocano il vicecampione europeo Simone Greco e i campioni italiani Luciano Giaquinto e Gabriele Costantini.

Che sono, ovviamente motivo d’orgoglio per i presidenti Rocco Giaquinto e Assunta Paperi.

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Approfondimenti

Ulivi e vigneti: secoli di storia che non devono finire con la xylella

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di Hervé Cavallera

Chi nel corso della storia visitava il Salento rimaneva colpito dalla distesa di olivi e dalla qualità dell’olio, su cui nel Settecento ben si intratteneva il gallipolino Giovanni Presta (1720-1797), del quale nel 1988 e nel 1989 ho ripubblicato le opere.

Accanto all’olio ecco aggiungersi la produzione del vino, tra cui di particolare pregio è il “primitivo”, il cui nome risale a don Francesco Filippo Indellicati (1767-1831) di Gioia del Colle, il quale ritenne che un particolare vigneto della sua terra si potesse già vendemmiare ad agosto.

La distesa degli oliveti e dei vigneti è stata da sempre un grande spettacolo di bellezza, spettacolo che, al tempo stesso, veniva a simboleggiare due elementi fondamentali nella nostra vita: l’olivo, rappresentando il rinnovamento e la forza vitale; la vite, il benessere e l’abbondanza.

L’olivo, inoltre, è stato sempre inteso come simbolo di pace.

Da tempo la distesa di olivi non è più tale. A partire dal 2013 la Xylella ha distrutto migliaia e migliaia di alberi d’olivo e l’infezione, che ha in primo luogo investito il Salento, si è col tempo estesa sino alla Terra barese.

Così chi percorre le nostre campagne non può che constatare la tristezza degli oliveti in rovina e moltissimi alberi sono stati sradicati. Si è avuto pertanto un eccezionale danno sia ambientale e socio-economico sia storico-paesaggistico.

Alberi plurisecolari sono stati distrutti e la produzione di olio ne ha pagato le conseguenze, non solo con l’aumento del prezzo per quello esistente, ma anche con l’importazione di olio proveniente da altre parti del mondo.

Non è questa la sede per soffermarsi sulla provenienza del batterio e sul modo su cui l’epidemia è stata affrontata, sicuramente sottovalutandola e intendendola come un fenomeno locale, con devastanti conseguenze soprattutto per il Salento ma anche – di conseguenza – per la Puglia in generale.

E la questione non è del tutto chiusa, nonostante qualche studioso sostenga che il peggio è passato e che si può andare incontro alla graduale ripresa, che comunque comporterà non poco tempo data la qualità e quantità del disastro.

E non è finita. Mentre ancora non si riesce a uscire dal malanno, ecco che si annunzia un altro. Un ceppo della Xylella fastidiosa tende a colpire non solo alberi come le querce, i mandorli e gli oleandri, ma anche le viti e pare che nel Barese alcuni vigneti di uva da tavola siano risultati infettati dal batterio, aprendo un altro drammatico scenario.

Sembra di assistere allo sfasciarsi di una tradizione millenaria: la forza vitale (l’olivo) viene meno e dilegua il benessere (i vitigni).

È la realtà di un presente frantumato che non riesce a far fronte con lucidità alle novità che irrompono e devastano e rendono incerta quella che era una garanzia plurisecolare.

La pace come gli olivi viene meno e si estende la violenza sotto forme diverse, mentre si è incapaci di ogni saggio controllo. Tale potrebbe essere una metafora del nostro tempo, una trasposizione simbolica di immagini che rappresentano la situazione dell’esistente.

NON E’  TEMPO DI CONTRAPPOSIZIONI

Al di là di questa considerazione sul mondo che viviamo, resta, prosaicamente si potrebbe forse dire, il problema dell’immediato, che è quello di un’epidemia che ha colpito gli olivi e che rischia di estendersi con altrettanta pericolosità sui vitigni.

E l’affrontare la battaglia spetta ai politici, agli studiosi, agli esperti. E tutti devono agire in una comune simbiosi, ben sapendo che in gioco sono più cose: la bellezza delle campagne, la qualità (dei prodotti), l’economia (il guadagno che si ricava dall’olio e dal vino).

Ma sono anche in gioco l’avvedutezza di coloro che gestiscono la cosa pubblica e le conoscenze tecniche e scientifiche di tanti specialisti.

E devono venir meno le contrapposizioni, soprattutto quelle che impediscono dei piani organici aperti però a continua verifica. Non si deve dimenticare che nel passato non lontano si è considerata la diffusione della Xylella fastidiosa un mero fenomeno locale, trascurando peraltro il fatto che, se anche così fosse stato, il danno non sarebbe stato comunque insignificante.

Come accade che ci siano tuttora pareri diversi intorno all’abbattimento delle piante. Per questo bisogna non solo studiare come arginare e bloccare la diffusione del batterio, ma occorre valutare continuamente gli interventi e modificarli secondo la bisogna.

E non sono sufficienti, per quanto necessarie, unità operative provinciali e regionali. È opportuno che la questione sia portata a livello più alto e superi le barriere di ogni tipo che possono sorgere allorché si manifestano interventi pubblici. Occorre effettivamente un coinvolgimento generale, che al tempo stesso sappia articolarsi secondo le diverse competenze e con opportune strategie oculatamente dirette.

Nell’operare insieme, politici, tecnici, studiosi, proprietari terrieri e così via, si riscopre inoltre il senso di una comunità, il ricompattarsi della stessa.

Con un’espressione latina (ed ecco il rinvio a un mondo – quello dell’antica Roma – che non deve svanire in quanto ne siamo figli) Iam proximus ardet Ucalegon (già brucia il vicino palazzo di Ucalegonte) e le parole di Virgilio (Eneide, libro II, versi 311/312) spiegano molto bene che il danno non riguarda solo gli altri, ma anche noi stessi in quanto, come le fiamme del palazzo attiguo investono il nostro, la rovina della terra in cui viviamo, pur senza esserne proprietari, ci investe tutti.

E il bene pubblico va oltre ogni divisione paesana, territoriale, politica.

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Approfondimenti

Masci: Lu Titoru, anche quest’anno, si soffoca con una polpetta

Anche Gallipoli, Casarano, Racale e Ugento si preparano a far festa…

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GALLIPOLI

È una delle feste più attese dell’anno in tutto il Salento: il Carnevale di Gallipoli, uno degli eventi più suggestivi, capace di unire tradizione, divertimento e cultura popolare.

I giorni stabiliti per le sfilate di quest’anno sono domenica 23 febbraio e domenica 2 marzo, quando lungo Corso Roma sfileranno i caratteristici carri allegorici in cartapesta, tra i quali alcuni rappresentano scene tipiche della cultura e della storia della città, e gruppi mascherati, attirando visitatori da tutta la Puglia.

Il gran finale si terrà martedì 4 marzo nel centro storico, con la rappresentazione della celebre maschera di Lu Titoru, simbolo del carnevale gallipolino.

La leggenda narra che Teodoro fosse un giovane militare gallipolino, che, al ritorno dalla leva, chiese alla madre un piatto di polpette, il suo cibo preferito, prima di entrare nel digiuno quaresimale.

Ma nella fretta di mangiarle, Teodoro si soffocò con una polpetta.

Nel corteo mascherato, viene rappresentato il giovane morto, la madre e un gruppo di “comari”, chiamate chiangimorti, che piangono.

La madre di Teodoro, la Caremma, è la figura che rappresenta la Quaresima e accompagna il giovane in questa macabra ma anche folkloristica tradizione.

La maschera di Lu Titoru ha un viso bicolore, giallo e rosso, proprio come la bandiera della città di Gallipoli, che è il simbolo della festa.

RACALE

Tutto pronto per il Carnevale Racalino 2025.

Sabato 1° marzo maschere, gruppi e carri sfileranno con le loro allegria e simpatia.

Partenza sfilata alle 15 da viale dello Stadio e arrivo stimato per le 16,30 in piazza Beltrano Giardini del Sole.

Qui si accenderà la festa: dalle 17 esibizione dei carri allegorici, gruppi mascherati e maschere singole. Intrattenimento con Andrea Scorrano Dj.

Verranno consegnati i premi: al carro più originale; alla maschera effetto wow; al carro più stravagante; il premio speciale Fidas Racale.

Le iscrizioni sono aperte fino a lunedì 24 febbraio, presso il comune di Racale: tutte le mattine, presso l’ufficio InfoPoint; possibile iscriversi anche il martedì e il venerdì pomeriggio, dalle 17 alle 19, presso la sede FIDAS in via Vespucci n. 3.

Per informazioni, contattare il numero 0833 902324.

CASARANO

Il Carnevale Casaranese quest’anno si consumerà il 1° marzo.

In fase di organizzazione la Pro Loco ha tenuto conto della eventuale difficoltà ad attraversare la città e raggiungere molte piazze del centro, causa cantieri aperti e lavori in corso.

Così ha optato per un maxi-raduno in piazza Indipendenza che culminerà con il live show Kawabonga.

Quindi, sabato 1° marzo tutti in piazza: giovani e meno giovani, di Casarano e dei paesi vicini, si ritroveranno dalle 17 per una grande festa in maschera.

Dalle 19,30 il clou della festa con lo spettacolo esplosivo e travolgente di Kawabonga (ingresso gratuito) con musica e sorprese.

UGENTO

Sono due gli appuntamenti da segnare in rosso sul calendario per il Carnevale Ugentino.

Il primo domenica 2 marzo, presso l’Associazione culturale “Mare Blu” in viale don Tonino Bello, si svolgerà il “Ballo in maschera” (quinta edizione). A partire dalle 15,30 balli di gruppo, baby dance, tiro alla fune, corsa con i sacchi e tante altre attività per il divertimento di bambini, ragazzi e famiglie.

È prevista anche la premiazione della maschera più bella. La sfilata, organizzata dalla ProLoco Ugento e Marine, è in programma lunedì 3 marzo: “Il Carnevale arriva ad Ugento!” alle ore 16.

Il corteo chiassoso e colorato attraverserà Ugento partendo da Largo Pretura (via F.lli Mille), fino ad arrivare in piazza San Vincenzo dove fare festa tra musica e divertimento.

Una giuria decreterà il gruppo e la maschera più belli.

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