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News & Salento

Franco Simone, salentino verace

Il Salento di Franco Simone (in visita nella nostra Redazione): “Credo alla Salentoterapia: lo vedo in mia moglie ed in tanti altri che appena ci mettono piede già stanno meglio con se stessi e con il mondo”; “Grandi Negramaro e Alessandra”; “Una ventata di salentinità nel panorama musicale. La Amoroso ha una voce straordinaria, un mix tra Aretha Franklijn e Anita Baker”. Stoccata a Dolcenera.

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Ultimamente si è molto parlato di censura di regime per Franco Simone. In realtà i fatti risalgono ai primi anni ’80 quando il nostro furoreggiava in Sudamerica ed era amatissimo in Argentina: “La cosa è venuta fuori perché solo ora sono stati resi noti gli elenchi della radiodiffusione argentina di quel periodo. Per quanto mi riguarda, posso dire che sono stato l’unico artista italiano ad essere censurato del tutto”. Il motivo? “Perché non mi sono lasciato usare dai Colonnelli. Il sottoscritto, Joan Manuel Serrat, Mercedes Sousa (“insieme a Mina la più grande voce femminile al mondo”) sono stati censurati proprio come personaggi pubblici. Mi hanno chiesto di asservirmi al sistema, volendo usare l’immagine di noi personaggi pubblici per fare propaganda al regime. C’erano 5mila militari che mi aspettavano, volevano darmi un’onorificenza e utilizzarmi per i loro scopi visto che ero ancora una volta primo nella classifica delle vendite e quindi popolarissimo. Televisioni e giornali mi aspettavano, ma io mi sono rifiutato e il regime ha proibito di mandare in onda tutto ciò che aveva a che fare con il sottoscritto. In quel momento il mio impresario mi prese per matto perché stavo rischiando ben altro che i possibili guadagni (“per questo mio rifiuto, secondo il mio impresario, mi sono giocato mezzo miliardo delle vecchie lire”). Ma non ho avuto un attimo di esitazione perché mi sento un uomo del sud e per noi determinate cose, come la libertà, non hanno prezzo”.


Hai rischiato di brutto anche per salvare Isabel Torres. “L’avevano portata via i militari solo perché si era fermata a parlare con delle persone umili, normali. Può sembrare strano ma sotto il regime accade anche questo. Eravamo in un hotel importante di Buenos Aires e, sapendo che in tanti finivano dentro per motivi futili e poi non ne uscivano più, alle tre di notte mi misi ad urlare come un matto. L’ingiustizia era inaccettabile. Fui chiamato dal direttore dell’Hotel che mi promise, proprio perché Franco Simone popolarissimo in tutta l’Argentina, di impegnarsi in prima persona per Isabel. La mattina dopo andai anch’io in caserma e mi assicurai che Isabel fosse liberata”.


Avuto paura? “Sono stato molto incosciente. Il mio impresario si, ha avuto paura. Diceva agli altri di non rendere pubblico di essere lì con me. A mia moglie invece diceva di nascondere il passaporto”.


Regime argentino a parte, resta il fatto che in tutto il Sudamerica Franco Simone spopolava e spopola. Più che in Italia… “E’ solo una questione di promozione. Canzoni che da noi sono passate sotto silenzio, dall’altra parte del Globo hanno avuto un successo straordinario. Basti pensare che un mio disco come “Totò” è stato a lungo in classifica anche negli USA… In Italia ho vinto per due anni di seguito la Gondola d’Oro (1977 e 1978) ma poi non mi si dava l’opportunità di apparizioni televisive…”. Ti ha penalizzato il fatto di arrivare dal “culo del mondo”? “Sicuramente. Baglioni o Venditti, giusto per fare degli esempi, rappresentano la romanità, io la leccesità. E per la maggior parte degli italiani è sicuramente più facile riconoscersi in loro. Ma sia chiaro, tutte queste apparenti sconfitte mi hanno fatto diventare più bravo e quando vado in scena mi porto dietro tutta l’esperienza che ho accumulato. Senza rimpianti”. Dal tuo primo disco (“Se di mezzo c’è l’amore” – 1972) sono passati 37 anni. Com’è cambiata nel frattempo la musica? E com’è cambiato Franco Simone? “Direi piuttosto che è cambiata la televisione… la musica è sempre bella, non cambia. Io ascolto di tutto, da Mozart a Giuseppe Verdi fino a Jovanotti: la musica buona mi va bene tutta. La televisione invece ha fatto danni tremendi e non solo nella musica. Si guardino i giornali: una volta per guadagnarsi una copertina bisognava saper fare qualcosa, oggi basta partecipare ad uno di quei programmi televisivi più in voga”. E Internet? “Aiuta moltissimo. È una realtà senza la quale oggi non mi saprei immaginare. Ne approfitto per fare autopromozione e ricordare che ho un sito (www.francosimone.it), avviatissimo e con più di 200 pagine e tantissimi contatti da tutto il mondo. Ecco, forse più che la musica, è cambiato il mezzo con cui viene proposta. Riflettendoci, tutti i cantautori, gli artisti che io amo, difficilmente li ascolto alle radio. Quelle che una volta erano chiamate radio libere…”.


Hai dichiarato che ascolti di tutto. E la pizzica? “Mi piace moltissimo tutto quello che sta succedendo intorno a questo fenomeno e sono fiero ed orgoglioso del successo che sta avendo la musica salentina. Anche se non mi appartiene come genere per interpretarlo, mi piace molto. Così come mi piace molto tutta la manifestazione della “Notte della Taranta”. Forse a questo punto bisognerebbe cominciare a mettere fuori quelli proprio stonati stonati…”. E magari accogliere con maggiore calore artisti a tutto tondo come Noa. “Mi ha abbastanza indignato quello che è successo. Non tanto il manifesto opera di quattro scemi, quanto il fatto che la gente ha dato l’impressione di non sapere con chi aveva a che fare. 100mila persone che non applaudono decentemente una signora di quella portata depone molto male per tutti noi. Freddezza indegna, colpa di un’ignoranza totale di un pubblico viziato dalla televisione e che non sa chi sia Noa, confondendola con altre cosucce di stagione”.


Com’è cambiato nel frattempo il Salento? “Oggi è entusiasmante. Chi viene da fuori ci ha fatto rendere conto di quello che abbiamo. Prima forse avevamo un certo pudore, il timore di apparire autoreferenziali, di sembrare quelli che “sa cantane e se la sonane”. Anni fa mi stupì il mio tecnico del suono (Ezio De Rosa che ha partecipato ai migliori dischi di Dalla, Bennato, Battisti), milanese, che parlandomi del Salento spiegava a me, salentino, quanto è bello. Con orgoglio e con piacere, apprendevo come la gente se ne stesse accorgendo. Si parla tanto di Salentoterapia ed io ci credo fermamente: lo vedo in mia moglie ed in tanti altri che appena ci mettono, piede già stanno meglio con se stessi e con il mondo”.


Quanto Salento c’è nei tuoi dischi? “Cento per cento. Mi sento molto salentino in tutte le mie manifestazioni. Anche quando mi dicono che sono ribelle, probabilmente sono solo il classico salentino che sa che certe cose non si mettono in vendita. Ma più che di ribellione, parlerei di dignità e dovere. Credo di averne data dimostrazione in Argentina senza cedere a quei Colonnelli di cui tutti ne conoscevano i misfatti”. Sul Salento neanche una… nota stonata. Possibile? “In questo momento saltano agli occhi soprattutto gli aspetti positivi. Oltre ad una maggiore consapevolezza delle nostre possibilità che non guasterebbe, la nota stonata (“che però non vale solo per il Salento”) è quella di governanti non degni della gente che rappresentano. C’è un intero Paese che meriterebbe governanti ben diversi da quelli che ha. Succedono cose che non hanno cittadinanza in alcun Paese civile ed espongono l’Italia al ridicolo davanti agli occhi del mondo intero”.


Stringiamo il cerchio. Che rapporto hai con Acquarica del Capo, il tuo paese d’origine? “Voglio molto bene alla mia gente e tocco con mano l’affetto che i miei concittadini nutrono per me. Mia figlia me lo sottolinea sempre: quando arrivo io “Francu nosciu, Francu nosciu”… sono uno di loro”. Ad Acquarica ogni anno c’è un premio che tu organizzi. “Anni fa mi hanno chiesto il costo per tenere una serata. Parlare di soldi con il mio paese mi ha molto imbarazzato, così ho proposto di istituire un appuntamento fisso. Un Premio intitolato a don Tito Oggioni Macagnino, grande uomo che è stato anche il sacerdote della mia adolescenza. L’appuntamento è giunto alla quinta edizione e mira a riconoscere il merito di chi non sgomita per avere visibilità. Quest’anno abbiamo premiato, più che il singolo, la figura dell’emigrante. Tantissimi ad Acquarica, a cominciare proprio dalla mia famiglia, hanno vissuto con sofferenza e dignità la necessità di dover emigrare”.


C’è una tua canzone alla quale sei maggiormente legato? “Amo di più le “cenerentole”, canzoni che ritengo davvero belle, ma che non hanno goduto della promozione che avrebbero meritato. Mi vengono in mente “Navigando” e “Notturno Fiorentino”, pezzi degli anni ‘90. E poi ci sono delle canzoni nuove che mi entusiasmano. Forse perché ho un nuovo rapporto con la musica. Prima avevo un eccesso di inquietudine, ora sono più tranquillo e resto seduto al pianoforte fino a notte fonda. E dando molto fastidio ai miei familiari che la notte vorrebbero anche dormire”.


E il nuovo Franco Simone ha partecipato a progetti davvero interessanti come quelli con Claudia Koll. “Abbiamo realizzato “Guarda le mie mani”, disco i cui proventi vanno in beneficenza. Un progetto musicale di solidarietà voluto dalla Koll (“Claudia non tende ad apparire ma a fare, vive la religione come pochissimi altri, una grande persona”), promosso dall’Associa- zione Onlus “Le opere del Padre”, di cui la stessa Koll è presidente e fondatrice, e sostenuto dal Gruppo editoriale San Paolo. Antonella Ruggiero, I Nomadi, Ron, Annalisa Minetti, Povia, Marco Frisina, Mariella Nava, Amedeo Minghi, Marcella e Gianni Bella, Fausto Leali, Tiziana Rivale, Nino D’Angelo, Marco Ferradini, Pina Magri e Giada Nobile sono i sedici grandi artisti italiani che hanno risposto con entusiasmo ed offerto il proprio contributo per sostenere la realizzazione de “La Piccola Lourdes”, un centro destinato ad accogliere ed offrire cure alle persone diversamente abili, soprattutto bambini, che vivono in Burundi, nella Diocesi di Ngozi, una delle più popolate della Chiesa”.


Iinsieme a Claudia Koll ti sei riscoperto anche docente. “Insegno canto in un’Accademia artistica presso le Suore Orsoline a Roma. È stato confortante vedere i genitori ringraziarci per l’evoluzione psicologica vissuta dai figli. Ne sono convinto: il successo deve arrivare come conseguenza, non si può finalizzare tutto al successo. Quando si ha talento, bisogna impegnarsi per farlo venire fuori. Ho sempre fatto distinzione tra artisti e carrieristi”. Nel senso? “Succede anche da noi. I Negramaro, ad esempio, mi entusiasmano ed è bello che abbiano portato nel panorama musicale nazionale una ventata di salentinità. Mi piace molto anche Alessandra Amoroso, ha una delle più belle voci che abbia mai sentito. Ricorda davvero Aretha Franklin e Anita Baker. Ha il velluto nella voce ed una malinconia di fondo molto salentina che ne fanno una vincente. Ci mancava una bella voce femminile salentina”.

E Dolcenera!? “Ne dobbiamo parlare? Bah, lei dice che è di Firenze… Ribadisco: ci sono gli artisti ed i… “carrieristi”. Alessandra Amoroso l’ho già vista in vetta alle classifiche… altri non compaiono neanche al cinquantesimo posto”.


Il  futuro?  “Stiamo lavorando ad una canzone con una grande orchestra. Farà parte di un progetto al quale parteciperanno artisti del calibro di Sergio Cammariere, Antonella Ruggiero, Luca Barbarossa e Milva.  Il disco dovrebbe uscire entro la fine dell’anno con circa 80mila copie di partenza. Ma per il momento, per motivi legali, non posso scendere in particolari”.


Giuseppe Cerfeda


 


Un viaggio da gran vagabondo


Quando nel 1976, una radio trasmetteva per la prima volta nel Salento in FM da una pajara sulla serra di Specchia, Franco Simone era già famoso. Lui fu uno dei primi artisti ad essere intervistato, mentre la sua “Tu e così sia” scalava le classifiche nazionali e veniva richiesta in continuazione da tutti i nuovi entusiasti e liberi ascoltatori. Noi giovani e sperimentali conduttori, con un mixerino da centomila lire, lo accogliemmo con affetto e lui si pose nei confronti del nuovo mezzo mediatico in modo garbato e serio, senza spocchia e arroganza.  Seguirono altri anni di grande successo, roba da primo in classifica in mezzo ai grandi cantautori politicizzati. E noi, benché preferissimo Rimmel e le locomotive di Guccini, seguivamo con attenzione il nostro Franco, che poi tanto male non era. Poi non so con esattezza cosa sia successo, ma all’improvviso il nome di Franco Simone sparì dalla scena italiana. Non va dimenticato che il nostro non ha mai accettato volentieri le prepotenze dello show-business o i trucchi delle nuove televisioni e forse preferisce consolidare una fama spontanea e gratificante nei paesi del Sud America piuttosto che lottare contro i nuovi padroni della musica italiana.


Così oggi Franco Simone non ha in Italia quel ruolo popolare che gli spetterebbe di diritto nell’ambito della musica melodica. Per la verità lui ha continuato in questi anni a produrre musica interessante e testi poetici, non necessariamente legati solo all’amore classico, ricevendo spesso tributi dai tanti suoi sostenitori ma anche dalla critica specializzata. Ha continuato incessantemente a girare con i suoi concerti (e il fido pianista Maurizio Mariano) l’Italia e il mondo, ricevendo in alcuni casi accoglienze da star internazionale, salutato per esempio in Cile “come il poeta italiano che sa parlare al cuore di tutti”. I suoi lavori migliori, per i quali ha composto musica e testi, ricordano alcune sottolineature di Piero Ciampi, certe malinconie di Gino Paoli e ancora alcune invenzioni alla Domenico Modugno (al quale oltretutto dedica puntualmente una parte dei suoi concerti). Ha una promozione mediatica-televisiva di gran lunga inferiore a tanti suoi colleghi, ma certamente artisticamente non è inferiore a un Baglioni (che ha scritto in definitiva due o tre canzoni interessanti in tutta la sua carriera) o a un Gigi D’Alessio (che ha riscritto sempre la stessa canzone). In questi ultimi anni dimostra ancora una grande freschezza creativa e anche una certa voglia di sperimentare: ha creato uno spettacolo di musiche natalizie, ha collaborato con un’orchestra di giovani talenti salentini e soprattutto ha inciso un album arrangiando le sue classiche canzoni con la Grande Orchestra Balcanica diretta dal maestro greco Nikos Papakostas, il cui disco ha vinto il Festival della Musica Etnica.


Questo CD dal titolo “La città del sole”, che ritengo fra le sue cose migliori, ha aperto nuovi orizzonti e potrebbe riservare nuove sorprese nella carriera forever young di Franco Simone. Sono convinto che nei prossimi anni i suoi lavori saranno rivalutati al massimo livello commerciale, magari con nuove collaborazioni e sperimentazioni, perché pochi cantautori sono stati in grado di produrre versi come quello in cui, con voce deliziosamente turbata, canta “per non piegarsi dentro… per darsi di più… io vorrei che il mio viaggio di gran vagabondo finisse con te”. Le sue cose invecchieranno bene, come lui, come noi.


Alfredo De Giuseppe


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SIULP Lecce: “Più sicurezza per donne e uomini in divisa”

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Riceviamo e pubblichiamo.

“Continua senza sosta la scia di aggressioni alle donne ed agli uomini in divisa, nella stessa giornata non abbiamo fatto in tempo a tirare un respiro di sollievo per lo scampato pericolo dei due poliziotti affrontati a Padova da un individuo di nazionalità nigeriana armato di ascia, che a poche ore dall’accaduto l’episodio si è ripetuto nel centro cittadino di Lecce, dove un cittadino extracomunitario ha aggredito un Poliziotto senza un apparente motivo ovvero per il solo fatto di indossare un’uniforme.”

E’ quanto afferma in una nota Mirko BRAY, Segretario Generale del SIULP Lecce, a seguito della vile aggressione avvenuta ai danni di un Poliziotto nelle prime ore della scorsa serata ad opera di un cittadino extracomunitario poi arrestato per tentato omicidio.
“La nostra impressione è che la Polizia di Stato stia pagando lo scotto della grave carenza negli organici, problematica che in questa Provincia ci penalizza particolarmente, al contempo emerge nitidamente la necessità di introdurre tutti quegli strumenti che consentano ai tutori dell’ordine pubblico di operare in condizioni di sicurezza, in particolare ci riferiamo all’ampliamento delle dotazioni dei Taser, alla fornitura delle bodycam e dei giubbini tattici antitaglio. Non solo! Chiediamo anche delle tutele legali differenti rispetto a quelle in vigore che giudichiamo eccessivamente garantiste nei confronti di chi delinque a scapito della gente onesta e di chi opera per la legalità e il bene comune. Avvertiamo un’eccessiva tolleranza verso chi usa violenza contro un poliziotto, che sia in ordine pubblico o in un intervento di polizia, di contro il solo sospetto di un possibile eccesso nelle nostre reazioni, che scaturiscono sempre a contenimento delle violenze di ogni genere che siamo chiamati a fronteggiare, è sufficiente ad innescare il c.d. “atto dovuto” che da inizio a quella che oggi in Italia è la vera e propria pena: ovvero, l’iter processuale. Auguriamo al nostro collega una pronta guarigione nella certezza che il consueto spirito di servizio e l’indubbia abnegazione, lo spronerà a superare nuovamente quanto già vissuto in passato.”

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“Le medaglie degli eroi” in mostra a Lucugnano

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Riceviamo e pubblichiamo.

Dal 24 dicembre al 6 gennaio 2025, presso Palazzo Comi a Lucugnano, la raccolta di medaglie italiane ed estere a cura di Collezione Militaria Scolozzi dal titolo “Le medaglie degli eroi”.

Info al 3888960203.

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La benedizione di Monsignore: “Santificate le feste”

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di Luigi Zito
Intervista di fine anno al Vescovo della Diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, Mons. Vito Angiuli. Oltre che sul significato del Natale ormai prossimo, Monsignore ha parlato volentieri di molti temi di attualità.

Angiuli sostiene che occorre «educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza».
Sulle festività imminenti: «Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità».
Dopo 14 anni di attività pastorale nel sud del sud invita, infine, tutti noi a «cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio».

 
Eccellenza, da tanti anni svolge la sua attività pastorale in Salento, in particolare nella Diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca: “la porzione del popolo di Dio”, come recita il codice di diritto canonico, «affidata alle cure pastorali del Vescovo”, è cambiata in questi 14 anni?

«In questi anni, ho compreso meglio la storia e la cultura di questo territorio che impropriamente si definisce “estremo lembo” del Salento, quasi fosse una realtà marginale. I grandi cambiamenti storici e politici che si stanno verificando ai nostri giorni hanno riproposto la centralità del Mediterraneo e, dunque, anche il Sud ha riacquistato una sua importanza. Bisognerebbe, pertanto, cogliere il valore delle trasformazioni in atto e assecondare il corso degli eventi per uno sviluppo economico, sociale e culturale dell’intero territorio. Sotto questo profilo, noto un atteggiamento ambivalente. Se da una parte, si manifesta una nuova forza propulsiva e una rinnovata capacità imprenditoriale, dall’altra rimangono ancora irrisolte alcune questioni in riferimento alla necessità di migliorare le infrastrutture necessarie per un vero sviluppo e soprattutto a promuovere un cambio di passo di tipo culturale. Mi riferisco alla necessità di “fare rete” e di lavorare con una visione più condivisa e una programmazione più generale aperta al bene comune superando la perdurante mentalità individualista, preoccupata solo del proprio interesse contingente. È questo l’aspetto che sottolineo anche in ambito ecclesiale, consapevole che la Chiesa ha un ruolo non secondario nel realizzare una nuova visione e una nuova modalità di stare nella storia e nelle vicende del tempo presente. L’esperienza della “Carta di Leuca”, la promozione dei “Cammini di Leuca” ed altre iniziative ecclesiali che ho promosso in questi anni anche a seguito del riconoscimento da parte dell’Europa del percorso della “via Francigena” da Canterbury a Leuca, dovrebbe servire a sprovincializzare il nostro territorio e a proiettarlo in un contesto più ampio. Il quadro, come si vede, presenta aspetti positivi, ma richiede un ulteriore sforzo per pensare in grande senza impantanarsi o crogiolarsi nelle piccole incombenze tipiche di uno sguardo poco lungimirante e appiattito sul presente».

In questo periodo di Avvento, del Natale, oltre a “Santificare le feste”, cosa consiglierebbe ai fedeli? Cosa significa il Natale oggi? Quanta umanità si respira nel mistero del Natale? Cosa si sta perdendo?

«Intanto mi preme ribadire che “santificare le feste” non è un aspetto secondario. Le singole persone e le società nel loro insieme non possono vivere senza l’anelito alla gioia che promana dalla “festa”. Fare festa è una straordinaria opportunità per riscoprire il senso della vita e ricucire i rapporti di aggregazione e di riappropriazione del valore della comunità. Consiglierei a tutti, credenti e non credenti, di vivere la gioia della festa, sia quella religiosa sia quella civile e sociale come momento per uscire dall’individualismo e sperimentare il gusto di aprirsi al senso del mistero e del trascendente oltre che di intrecciare rapporti umani più profondi e sinceri. In fondo è questo il senso più vero del Natale.
Come ho scritto in un recente articolo, il Natale è la festa nella quale si opera il “meraviglioso scambio” tra Dio e l’umanità: il Verbo eterno viene nel mondo e gli uomini riscoprono il valore dell’umano quando è aperto al divino. Il Natale è l’esaltazione dell’umanità non chiusa in sé stessa, ma abitata dall’amore di Dio che si fa carne e vive la stessa esperienza degli uomini. In altri termini, la festa del Natale chiede a tutti di vivere concretamente da fratelli che si rispettano e si abbracciano e non da nemici che si combattono o da estranei che si ignorano!
In un mondo lacerato da guerre, attraversato da profondi contrasti dove aumentano le disparità sociali, crescono le diverse forme di povertà, si esasperano i sentimenti di odio, è proprio il valore della fraternità che bisogna rimettere al centro».

Natale, luci sfavillanti, regali, tavole imbandite, gioia e convivialità; per tanti, però, le festività natalizie sono il periodo più stressante dell’anno: come sono cambiate le relazioni umane? Qual è il suo pensiero?

«È vero che a Natale si mette in moto una sorta di meccanismo che privilegia l’esteriorità nelle sue diverse forme.
Questa ricerca a tutti i costi di apparire finisce per stancare e per accrescere il senso di solitudine, di distanza e di estraneità.
Mentre sarebbe auspicabile che, in sintonia con il messaggio più profondo delle feste natalizie, si privilegiassero altri aspetti: la cura dell’intimità, la ricerca de silenzio, la promozione di relazioni interpersonali significative.
Sarebbe anche il tempo opportuno e per trasmettere ai bambini e ai giovani i valori profondi come la generosità, la gratitudine e l’amore per la famiglia, il valore della condivisione e del legame familiare, della    solidarietà quale forza che incoraggi a mettere in atto gesti di gentilezza e di assistenza verso coloro che sono nel bisogno e a riflettere sulla pace e sulla riconciliazione tra i popoli».

La sua Diocesi si spende tanto per gli altri, i poveri, da quando ne ha ricordo sono aumentate le “sofferenze”, che bilancio ne trae?
La sua è una “Chiesa col grembiule”, come esortava don Tonino, o come descriverebbe la sua Chiesa?

«Con il crescere dei problemi economici e sociali sono anche aumentate le attività che la Caritas diocesana e le parrocchie hanno messo in atto per venire incontro alle diverse esigenze delle persone più povere e più bisognose. Tuttavia, cerchiamo di considerare non solo le urgenze materiali, ma anche le “povertà spirituali” che sono anch’esse in aumento e che impoveriscono il tessuto relazionale: la solitudine, la sfiducia, lo scetticismo, la diffidenza, lo scoraggiamento, la mancanza di speranza. Cerchiamo cioè di farci carico di un compito più grande: educare giovani e adulti a coltivare valori positivi come la comunione, la compagnia, la stima, la vicinanza, il lavoro di squadra, il senso di appartenenza. Cerchiamo di promuove lo “spirito di famiglia”. Per questo consideriamo la chiesa come una “casa”, dove tutti possono sentirsi accolti, compresi, aiutati. La casa è il luogo delle relazioni, del reciproco riconoscimento, dell’aiuto vicendevole, dello scambio dei doni.  Al fondo del nostro impegno c’è il desiderio di imitare il “buon samaritano” e, pertanto, di trasformare la chiesa non solo nel luogo delle celebrazioni liturgiche, ma anche nella “locanda della fraternità” dove vige uno spirito di cura, di compassione e di consolazione».

LA VIRTù DELLA SPERANZA

Eccellenza, le chiedo un’esortazione sul Natale, su questo periodo così ricco di avvenimenti, su quello che vuole trasferire ai nostri lettori.

«Vorrei soprattutto esortare tutti a riappropriarsi della virtù della speranza.
Non una speranza di piccolo calibro o soltanto l’espressione di un sentimento passeggero e incerto, ma una speranza che non delude, sostiene il cammino della vita, infonde coraggio e desiderio di non arrendersi di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni della vita.
Sperare significa non temere, non lasciarsi prendere dalla paura, ma vivere con gioia e camminare con serenità incontro al futuro.
“Pellegrini nella speranza” è il tema del Giubileo del 2025.
Ciò significa tenere accesa la fiaccola della fiducia e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante.
I simboli tipici del Giubileo sono il camminare da pellegrini e il passaggio della Porta Santa.
Esprimono la decisione interiore di prendere in mano qualche aspetto della propria vita per renderlo nuovo, riconciliato, trasformato, aperto, ospitale.
Abbiamo bisogno di convertirci a una mentalità più evangelica, generativa di un nuovo umanesimo e di un nuovo rinascimento personale e comunitario, sociale e culturale.
Essere pellegrini di speranza vuol dire riappropriarsi della responsabilità e della gioia di servire ogni uomo facendosi prossimo ad ognuno.
La speranza è una luce nella notte, un dono e un compito, l’attesa di qualcosa che riempie il cuore di gioia. Sperare è assaporare la meraviglia di essere amati, cercati, desiderati da un Dio che non si è rintanato nei suoi cieli impenetrabili, ma si è fatto carne e sangue, storia e giorni, per condividere la nostra sorte. Auguro un Natale che rafforzi in tutti la gioia della speranza».

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