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Gratta e Vinci? E’ una vera dipendenza

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Quella dei Gratta e Vinci è una vera e propria malattia, c’è gente che spende tutto lo stipendio nelle “roulette da bar”…: è un problema davvero diffuso ed in costante aumento. Ne abbiamo parlato con un luminare del settore, il dott. Michele C. Sforza, psichiatra e psicoanalista e direttore del Ce.S.Te.P., Centro per lo Studio e la Terapia delle Psicopatologie (con sede ad Appiano Gentile, Milano), che comprende anche lo S.Mu.G.A.P., il Servizio Multidisciplinare Gioco d’Azzardo Patologico.


“E’ innanzitutto opportuno fare il distinguo tra gioco normale e gioco patologico. L’uomo ha bisogno del gioco perché fa parte della sua natura (“Homo Ludens”). Il gioco può anche essere d’azzardo, ma deve avere delle caratteristiche normali: ci si può giocare il proprio Gratta e Vinci da 1 euro una-due volte la settimana, ma poi bisogna piantarla li. Il comportamento dev’essere sotto il controllo volontario, altrimenti diventa un comportamento automatizzato, che si autoalimenta. Il giocatore non è patologico quando il tempo e le somme dedicati al gioco non creano problemi né fisici, né psichici, né sociali. In una fascia di persone, calcolabili tra l’1 e l’1,5% della popolazione (quindi tra 600 e 900mila in Italia, Ndr), il comportamento diventa compulsivo, una vera e propria malattia: il cosiddetto Gioco d’Azzardo Patologico (GAP)”.


E quando si parla di gioco d’azzardo sono tutt’altro che esclusi i Gratta e Vinci: “La mattina, quando compro il giornale, devo fare una fila lunghissima dal mio edicolante perché sono tutti li per i Gratta e Vinci… È naturale che l’offerta maggiore di giochi d’azzardo getti una rete più ampia ed a maglie più strette, per cui fa giocare molte più persone di quanto non fosse un tempo. Una volta si aspettava la schedina Totocalcio al sabato e dunque si aspettava una settimana; oggi si può accedere sempre ai Gratta e Vinci, che durano appena pochi secondi e inducono il giocatore a riprovarci subito. Ed il fenomeno si è allargato”. Cosa fare quando ci si rende conto di essere diventati giocatori compulsivi? “La cosa difficile è proprio rendersene conto. Il nostro cervello privilegia la gratificazione piuttosto che il problema, il danno o il dolore, che si dimenticano più rapidamente. Di solito se ne accorgono prima i parenti perché ci sono degli ammanchi in banca, delle difficoltà che vengono a galla. Il giocatore compulsivo tende a negare l’evidenza ma resta alla ricerca continua di denaro. E allora prima si impadronisce furtivamente di soldi in casa, poi rivende degli oggetti, si fa prestare i soldi, ecc., inguaiando se stesso e la famiglia”.


Proprio come un tossicodipendente quando ha bisogno della sua dose… “Parlare di drogati del Gratta e Vinci o del gioco d’azzardo in genere, non è… un azzardo”, concorda il dr Sforza, “gli effetti di sostanze come l’alcol, la cocaina, l’eroina, finiscono in una zona del nostro cervello, in particolare nell’ “Area Tegmentale Ventrale” e nel “Nucleo Accumbens”, dove la stimolazione di queste sostanze induce alla produzione di dopamina, grande mediatore della gratificazione. E quando noi proviamo piacere, il nostro cervello è programmato per ripetere l’atto che ci ha portato fino a quel punto. È una sorta di programmazione interna connessa alla sopravvivenza. Non a caso l’area di cui stiamo parlando si chiama “Rewording system” cioè sistema di ricompensa e lì dentro ci vanno a finire allo stesso modo, per intenderci, anche il piacere che ci danno il cibo, il sesso e pure le droghe ed il gioco d’azzardo”. Rispetto ai tossicodipendenti, molto spesso soli, “chi finisce dentro il gioco compulsivo è un adulto quasi sempre sposato, che nasconde il suo problema. Quando viene scoperto e accompagnato da noi dai familiari, il peggio è compiuto: non riesce ad andare avanti, non dorme più, è piena di debiti, è in mano agli usurai e spesso cade in depressione. Nei giocatori compulsivi la percentuale di rischio suicidio è per il 50% superiore al resto della popolazione”.

Identificato il problema, che si deve fare? “Chiedere aiuto. E ci si può rivolgere anche ai Sert, oggi attrezzati per questa emergenza. Oppure ad associazioni come quella dei giocatori anonimi o a delle strutture private. Comunque sarà importante coinvolgere anche la famiglia per un supporto”. Il programma di recupero? “Si interviene a 360°. La terapia principe è sicuramente quella di gruppo. Contestualmente si stila un programma perché il giocatore non è più in grado di maneggiare i soldi ed ha bisogno di un tutor, di solito un familiare, che gestisca il denaro e insegni al paziente che questo non può essere considerato alla stregua delle fiches. E molto spesso ha bisogno anche di un avvocato, di un commercialista e, purtroppo, tante volte, anche di un’associazione antiusura”. Anche dopo la terapia si resta a rischio? “Come per tutte le droghe… E’ un po’ come per il fumatore che smette di fumare: magari resta anni senza toccare una sigaretta, poi fa un tiro da quella di un amico e la frittata è fatta!”.


Giuseppe Cerfeda


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Saggio di Natale a Nardò

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Domenica 22 dicembre si è svolto al palazzetto dello sport Andrea Pasca di Nardò, il primo saggio di Natale della scuola di ballo Anastasia Dance: Jingle dance.

Non solo ballo ma anche attrazioni natalizie per tutti i bambini: Anna ed elsa, elfi, zucchero filato per tutti, babbo natale con la buca lettere per le letterine, angolo scenografico. Tante coreografie che hanno visto esibirsi 50 ballerini della scuola Anastasia Dance dei maestri Francesca Paglialunga e Salvatore Vacca.

L’evento è stato patrocinato dal Comune di Nardò, grazie alla preziosa collaborazione del presidente del Consiglio comunale con delega allo sport Antonio Tondo e del presidente della Consulta dello sport Tony De Paola.

Le iscrizioni per il nuovo anno sono aperte e i maestri vi aspettano in via due Aie, 67 a Nardò.

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Annuo Nuovo, una “buona vecchia abitudine: il bagno a mare

Sono tanti i salentini che nonostante l’estate sia solo uno sbiadito ricordo, continuano a “calare” i propri corpi nelle fredde e chiare acque di mare: una usanza, forse; una ricetta per la longevità, sostiene qualcun altro

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Anche questo 2025 si è palesato con il volto e gli usi di altri inverni, un deja vù, insomma.

Sono tanti i salentini che nonostante l’estate sia solo uno sbiadito ricordo, continuano a “calare” i propri corpi nelle fredde e chiare acque di mare: una usanza, forse; una ricetta per la longevità, sostiene qualcun altro; un modo per curare la forma e l’anima; una sorta di rito propiziatorio, ci confidano, un po’ come fare il bagno nelle acque del Gange (per gli indù c’è la convinzione che effettuando il bagno nel fiume si possa ottenere il perdono dei peccati e un aiuto per raggiungere la salvezza).

Pertanto anche quest’anno a Capodanno passeggiando per le nostre coste, da OtrantoS. Cesarea a Castro, passando per Tricase e Leuca, era facile scorgere alcuni coraggiosi e volenterosi che iniziavano l’anno con il “solito” rito propiziatorio: il bagno a mare.

 

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Marittima: in Bottega l’ultimo appuntamento con le degustazioni

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Riceviamo e pubblichiamo

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